Sabato ho corso la cento chilometri del Passatore per la seconda volta e sono di nuovo riuscito a terminarla benché il mio tempo sia stato più alto di circa cinquantaquattro minuti rispetto a quello dell’anno precedente: nel 2013 impiegai 9 ore, 40 minuti e 54 secondi per raggiungere piazza del Popolo a Faenza, in quest’edizione invece ho fermato il cronometro 10 ore, 34 minuti e 31 secondi dopo lo start che è avvenuto in via dei Calzaiuoli, in quel di Firenze.
Fino al Passo della Colla tutto è filato liscio e infatti, da quanto m’è stato riferito, ero tra i primi novanta benché abbia impiegato quattordici minuti più dello scorso anno per scollinare al 48° chilometro. Fino a Marradi, al 65° chilometro, ho mantenuto un passo che mi proiettava ancora sotto le dieci ore, ma dopo il 70° ho avuto dei crampi ai polpacci e all’addome, dolori così lancinanti per i quali mi sono dovuto stendere sull’erba al lato della strada mentre passavano le auto. Una volta a terra, nel buio della notte e in quello del cuore, ho spinto le gambe contro una recinzione: dopo un po’ è sopraggiunto un altro podista che s’è fermato quasi un minuto per aiutarmi. Quando costui è ripartito io sono rimasto qualche altro secondo disteso e mi sono chiesto se avrei fatto lo stesso qualora i ruoli fossero stati invertiti: ho pensato subito di sì, ma ne sono diventato certo prim’ancora di rialzarmi per ripartire.
Verso Brisighella mi sono dovuto fermare una seconda volta per dei conati di vomito, forse un principio di congestione che mi sono procurato con l’assunzione di troppi liquidi: insomma, mea culpa, ho fatto qualche errore d’integrazione. Qualche chilometro dopo, prima del 95°, si sono ripresentati i crampi: bentornati! Seppur di minore intensità, i dolori alle gambe mi hanno fatto crollare di nuovo a terra e ho impiegato oltre un minuto per riprendermi. All’ultimo ristoro, quello del 95° chilometro, ho bevuto del the caldo e mi è sembrato la panacea di tutti i mali perché mi ha permesso di correre gli ultimi cinquemila metri sotto i sei minuti al chilometro: una velocità stellare per la condizioni in cui ero ridotto e con i quasi cento chilometri che avevo già macinato. Ho riguadagnato diverse posizioni e mi ha davvero sorpreso il cambio di passo che mi sono imposto, però avrei preferito che una tale brillantezza fosse stata spalmata meglio negli ultimi trenta chilometri.
Ora mi domando dove io abbia trovato quel vigore finale. Forse dopo il superamento di un limite s’apre per un po’ una comoda strada che ne introduce di più tortuose. La mia tenuta mentale è stata ottima e ne sono felice perché mi ha dato buone indicazioni su quanto esula dallo sport. Ho patito molto in questa cento chilometri, è stata la mia gara più lunga in assoluto e penso che mi abbia aiutato ad incrementare la mia soglia di sopportazione del dolore (che fa tanto comodo anche nella vita), ma alla fine sono riuscito a concluderla con un dignitoso 204° posto su 1738 atleti arrivati e su 2198 partiti.
Penso che ormai abbia dato il meglio di me nell’ultramaratona, perciò ho intenzione di dedicarmi a distanze più brevi, almeno per qualche tempo, però è sempre facile ricascarci…
Invero la cosa migliore sarebbe che io cominciassi a scopare.
Ad maiora.