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Le derive dell’identificazione

Pubblicato sabato 5 Settembre 2015 alle 18:00 da Francesco

Grazie ai seminari di Jung sto capendo come Così parlo Zarathustra non sia stato concepito dalla pazzia di Nietzsche, bensì quanto quest’ultima sia derivata dalla stesura dell’opera: egli scrisse al modico costo della propria salute mentale ed elaborò una filosofia tra le cui pagine… capitolò!
Jung pone l’accento su un errore fondamentale di Nietzsche, ovvero la sua identificazione con Zarathustra e quindi con il Sé, un processo insostenibile per chiunque, qualcosa che nel migliore dei casi può essere sopportata per un certo periodo prima di soccombervi, ma talora sembra che lo stesso Nietzsche profetizzi inconsciamente la propria caduta e ciò si ravvisa in un passo su cui Jung si sofferma: “Quando volevo elevarmi, anelavo al mio tramonto, e tu sei il fulmine che io attendevo!”. Quelle parole sono rivolte a Zarathustra da un giovane che rappresenta una parte di Nietzsche la quale rimane vittima del fulmine (cioè di Zarathustra e della conseguente follia) perché non ne è all’altezza: avviene un’esplosione improvvisa che Jung riscontra di frequente nei casi di schizofrenia. A breve distanza dalla cassandra succitata v’è poi un anticipo di un’idea che troverà posto nella psicologia moderna: “Il vostro nemico voi dovete cercare, e fare la vostra guerra, per i vostri pensieri”. Tali parole possono assumere un determinato significato qualora le si consideri sul piano politico, ma ne ottengono uno completamente diverso e più profondo nel caso in cui le si connoti a guisa di un conflitto individuale: opto per la seconda interpretazione.
Non ricerco nella filosofia delle verità assolute, non sono interessato ai destini ultimi dell’uomo né a tutto ciò che mi allontani dall’indole introspettiva, ma talora questi elementi collettivi mi si parano davanti poiché non sono slegato dall’umanità come non lo è nessun altro: insomma, consciamente o meno, non si può sfuggire dal confronto con gli archetipi e anzi, questo è di importanza fondamentale. Jung non ne è certo, però nel conflitto anzidetto egli vede da parte Nietzsche l’intuizione del processo d’individuazione, difatti quest’ultimo ha modo di verificarsi solo quando si trovi un centro più o meno equidistante dalle tendenze della personalità che sono in contrasto tra loro. L’identificazione con un unico versante di sé stessi è un pericolo e secondo Jung può dare l’idea che il nemico si trovi all’esterno: in termini pratici tutto ciò si nota nelle accuse che taluni rivolgono a terzi come forma di giustificazione per le proprie mancanze.
Finora nei seminari sullo Zarathustra non ho trovato da parte di Jung e dei suoi astanti nessuna forzatura, bensì delle interpretazioni con diversi gradi di attendibilità che non lasciano nulla al caso. Questo ciclo di conferenze, di cui finora ho letto e approfondito la prima metà, ovvero circa ottocento pagine, offre delle utili digressioni per le quali talvolta lo scritto di Nietzsche mi pare che sia solo un pretesto da cui sgorgare, ma non sottolineo quest’impressione come una critica ed è invece un segno di apprezzamento che tributo a tale modus operandi.

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6
Mag

Dall’inconscio in su

Pubblicato domenica 6 Maggio 2012 alle 03:05 da Francesco

Ho quasi terminato la lettura e lo studio de “La scoperta dell’inconscio”, mille paginette divise in due volumi che illustrano la storia della psichiatria dinamica. Avevo davvero bisogno d’affrontare un’opera del genere per approfondire alcune nozioni e per schematizzarle in ordine cronologico. Negli ultimi capitoli mi sono reso conto di quanto abbiano inciso i vissuti personali degli psichiatri nell’elaborazione dei loro sistemi. Se Freud fosse nato e cresciuto in una famiglia come quella di Adler forse egli non avrebbe mai ideato il complesso di Edipo.
Il mio interesse per la psicologia del profondo non è mai stato accompagnato dalla pretesa di trovare una via maestra che potesse risultare valida per ogni individuo. Poiché la psicoanalisi è nata dall’autoanalisi di Freud e la psicologia analitica di Jung ha tratto molto dalla cosiddetta nekyia del suo creatore, anch’io, nel mio piccolo, per scopi introspettivi ottengo parecchio da un attento esame della mia persona, ma attingo pure e a piene mani da alcuni concetti dei luminari succitati oltreché dall’opera di Heinz Kohut: inoltre, benché io non abbia ancora letto nulla della sua bibliografia, ho tratto degli spunti piuttosto interessanti dagli interventi di Eugenio Borgna. Per conoscere me stesso credo che l’introspezione sia fondamentale, tuttavia non la reputo sufficiente ed è per questa ragione che vedo nelle neuroscienze una risorsa importante al fine di oggettivare alcune risultati del processo di autoanalisi. In questo ambito non riesco proprio a separarmi da un concetto esoterico che non ho mai deriso, ovvero quello del ricordo di sé nella dottrina di Gurdjieff, ma l’atto di essere presenti è altra cosa rispetto all’introspezione e forse ha una valenza noetica in senso aristotelico a differenza della seconda che invece è discorsiva. Quest’epoca offre strumenti potenti per la conoscenza di sé stessi, però in taluni casi possono rivelarsi delle armi a doppio taglio. Il simpatico Nietzsche in “Così parlo Zarathustra” fece quel viaggio interiore di cui più tardi si rese protagonista Jung nella suddetta nekyia, tuttavia il primo impazzì poiché non aveva nulla e nessuno al mondo, il secondo invece ne uscì più forte perché grazie alla famiglia e al lavoro fu in grado di mantenere il contatto con la realtà.
La storia mi conferma qualcosa che in passato ho sottolineato più volte sulla base della mia esperienza personale, ovvero la pericolosità di un’introspezione che si arresti in dei punti critici. Forse la superficialità che spesso viene messa all’indice, in alcuni casi è meno deleteria di una introspezione incompleta: quasi una difesa naturale. Oltre un determinato limite, immagino che lo sforzo per conoscere sé stessi sia irreversibile e io penso di averlo già superato da tempo senza però pentirmene.

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