È trascorsa una settimana da quando sono tornato in Italia. Ho ripreso a correre, ma impiegherò un po’ di tempo per raggiungere nuovamente i ritmi che riuscivo a sostenere prima della mia partenza, intanto i miei polpacci sono imbevuti di acido lattico come non accadeva da tempo immemore. Adopero questo appunto breve per appuntare i filmati che ho girato durante l’ultimo viaggio.
Qualche giorno fa ho visitato il National Palace Museum dove sono conservati circa ottomila anni di storia cinese che sono stati salvati da Chiang Kai-shek quando egli e il Kuomintang dovettero abbandonare la Cina che si apprestava alla deriva comunista. Il museo propone ai visitatori un numero elevato di pezzi e proprio a causa della grande quantità di materiale da esibire che ciclicamente la direzione avvicenda i manufatti nelle teche. Ho trascorso circa quattro ore a contemplare un arco di tempo che esordisce nel neolitico e termina nel ventesimo secolo con la dinastia Qing: ceramiche, dipinti, utensili, armi, gioielli, mobili e mappe. Ho visto persino dei trattati in cirillico che sancivano i vecchi confini tra la Cina e la Russia. Davanti a una statua del Buddha ho avuto una sensazione anomala, quasi ipnotica benché io sia immune alla sindrome di Stendhal ed estraneo agli insegnamenti di Siddharta Gautama. Ho notato anche degli oggetti che riportavano delle scritte in sanscrito. Non mi sono piaciuti tutti i pezzi in esposizione sebbene ne abbia apprezzato il valore storico. Certi manufatti non avrebbero mai trovato un posto nella mia abitazione né tra le fila di una fiera kitsch qualora avessi avuto la sventura di doverne organizzare una. Mi hanno impressionato fortemente i dettagli di un dipinto di circa dieci metri, uno shou juan, ovvero il formato in rotolo che si spiega orizzontalmente. Quest’ultimo proponeva all’estremità destra paesaggi bucolici e vita rurale mentre verso sinistra snocciolava progressivamente scene sempre più inurbate che alla fine culminavano nelle attività febbrili del centro cittadino. Anche le opere di calligrafia mi hanno colpito e mi hanno permesso di capire quanto siano incerti i miei tratti quando disegno i pochi ideogrammi che conosco. Dovrei spendere fiumane di parole per contenere l’incompletezza descrittiva che concerne la mia giornata al National Palace Museum, ma alla fine rischierei di essere prolisso. Ho respirato un’aria antica.
Ieri mi sono avventurato per la prima volta nel cuore di Taipei City. Io, che risiedo nella Taipei County, quando percorro i sei chilometri che mi separano dal centro della capitale, mi sento un po’ come Renato Pozzetto in “Ragazzo di campagna”. Sono passato sopra il fiume Xindian attraverso il ponte Zhongzheng e ho raggiunto per caso il tempio di Longshan al quale tuttavia dovrò pestare una visita più approfondita. Nel mio peregrinare mi sono ritrovato al Chiang Kai-shek Memorial Hall dove ho potuto mirare l’imponenza architettonica degli edifici e gli ampi spazi che ne separano i perimetri. Mi sono anche fermato a guardare i movimenti lenti e accurati di alcune persone che praticavano Tai Chi in un giardino attiguo al sito suddetto. Qualcuno crede che Taiwan faccia parte della Cina, ma in realtà è una nazione indipendente a cui Chiang Kai-shek ha dato vita dopo la sua dipartita dalla Cina continentale (con le riserve auree al seguito) che avvenne quando Mao assurse al potere in quel di Pechino. A me pare buffa e grottesca la politica estera di quelle nazioni che si rifiutano di riconoscere l’indipendenza di Taiwan per non incrinare i rapporti diplomatici con la Cina. A proposito di tensioni politiche: ho portato con me la maglia della nazionale giapponese di calcio, ma ovviamente non la indosso per le strade di Taipei e la uso esclusivamente per dormire.
In quest’ultima fotografia mi sono immortalato presso il fiume Xindian. In lontananza è visibile il ponte Zhongzheng. Avevo appena mangiato un baozi e forse stavo pensando a come fosse identico in tutto al nikuman giapponese benché sia quest’ultimo a derivare dal primo.