Nelle ultime due settimane non ho avuto molto tempo per scrivere su queste pagine, ma anche se mi fossi ritrovato nelle condizioni di dedicarmici le avrei comunque lasciate spoglie.
Sto attraversando un periodo di forti letture in cui mi alterno tra un manuale di neuroscienze e la Guida alla lettura del Libro rosso di Jung (l’opera originale l’ho già affrontata); quest’ultimo è un testo che ho cominciato a studiare appena ho finito i quattro volumi di Jung dedicati a Così parlò Zarathustra di Nietzsche. Non mi crogiolo in un becero intellettualismo, bensì mi avvalgo di simili strumenti per perorare la causa del processo d’individuazione e dunque non considero uno scopo nobile il mero accumulo di nozioni.
Per sette mesi non ho corso e solo da sessanta giorni ho ripreso ad allenarmi, di conseguenza anche questo impegno fagocita il mio tempo libero, ma sono certo che prima o poi tornerò a ripartire le sabbie delle mie clessidre in modo diverso. Mi appresto a vivere la mia terza vita da maratoneta, spero la migliore, e sento in me un rinnovato entusiasmo. Sono l’allenatore di me stesso, il mio migliore amico, il mio maestro e voglio tornare a gareggiare per il gusto di farlo.
Oltre allo sport, agli studi personali e all’introspezione sto cercando di diventare un chitarrista decente e anche se questa strada per me è in salita non posso negare che mi piacciano le sue pendenze. Insomma, io mi sento ancora centrato sulla mia via e concentrato su attività che mi arricchiscono interiormente. Per quanto possibile cerco di mantenere pensiero e azione nel migliore degli equilibri. Mi trovo su un piano emotivo di particolare intensità, ma non domando rassicurazioni né pretendo vaticini infallibili.
Avverto dentro di me il risveglio di forze che sono rimaste sopite a lungo. Riesco ancora a trarre molto dalla mia esistenza, forse più di quanto abbia fatto in passato e sono pervaso da piaceri a volte semplici, altre complessi, i quali non mi dominano né tanto meno io domino loro: in altre parole si tratta di piaceri autentici a prescindere dal loro grado di enigmaticità.
La spinta e il dinamismo di cui mi sento destinatario e ingranaggio hanno nel mio immaginario un non meglio definito legame col futurismo, perciò in calce a questo appunto di vaghezze e di personalismi inserisco il manifesto di Filippo Tommaso Marinetti magistralmente (un avverbio da poco in questo caso) letto da Carmelo Bene.
Il dovuto distacco che precede un opportuno ritorno
Pubblicato martedì 1 Dicembre 2015 alle 02:07 da FrancescoÈ entrato nel vivo quell’esercizio di vanità che è il voto, vizio del tutto nuovo per me, infatti mi sono sempre astenuto (tranne un voto di protesta dato per delle trascurabili elezioni comunali). Non accetto lezioni da chi in passato ha scelto degli idioti come suoi rappresentanti, spesso per partito preso e senza essere in grado di fornire una spiegazione. Queste comunque sono cose che in parte ho già scritto altrove seppur in maniera lievemente diversa, ma ho deciso di usarle per macchiare queste pagine con la fanghiglia della politica.
Se avessi milioni di euro e una doppia nazionalità me ne fregherei di tutto ciò. Non ho scelto io di nascere né tanto meno di ritrovarmi nel gran pollaio della democrazia.
Non voto PDL perché ha mancato la rivoluzione liberale, straripa di impresentabili e ha su di sé buona parte delle colpe per l’aumento delle imposte e per l’avvento del governo tecnico: chi lo vota per me non fa altro che conclamare la propria coglionaggine invece di fare il proprio interesse.
Non voto PD in quanto le sue politiche economiche sono incentrate più sulla tassazione e sulle patrimoniali (temo fino al ceto medio) che sull’attacco agli sprechi e ai tagli della spesa pubblica, inoltre ha una forte componente cattolica e un tasso di scandali quasi pari a quello del PDL.
Non voto nemmeno SEL per motivi analoghi a quelli del PD anche se ne apprezzo le posizioni sull’ambiente.
Non voto per la Scelta Civica di Monti poiché il governo tecnico non ha fatto ciò che avrebbe potuto fare ed è stato forte con i deboli e debole con i forti.
Non voto UDC in quanto emanazione del Vaticano e quindi pura flatulenza.
Non voto né Fratelli d’Italia né La Destra né Forza Nuova né Casapound perché in queste formazioni si possono identificare soltanto dei fascistelli repressi: che l’autocombustione le raduni sotto una fiamma tricolore.
Non voto Lega Nord perché ha mancato il federalismo e si è messa al pari con gli scandali, inoltre la sua retorica xenofoba è fuori dal tempo: il mio nemico non è il clandestino con molta melanina, ma il legislatore bianco caucasico che partorisce leggi di merda.
Non voto Rivoluzione Civile perché anche il comunismo è fuori dal tempo, inoltre la presenza di Di Pietro mi fa temere che egli porti con sé (in)degni eredi di Razzi e Scilipoti, ma ne apprezzo i propositi per la lotta alla criminalità organizzata e l’intento di monetizzare le confische.
Non voto Amnistia Giustizia e Libertà perché la prima parola di questa triade nega le altre due. Il mio primo voto andrà al Movimento Cinque Stelle senza illudermi che sia la panacea di tutti i mali; se non si fosse presentato io sarei stato costretto a restare nell’astensionismo. Non faccio propaganda e i motivi della mia preferenza si trovano tutti nel programma del movimento, nella rinuncia ai rimborsi elettorali e nella decurtazione volontaria degli emolumenti.
Venerdì sono stato a Roma in piazza San Giovanni, non troppo lontano dal palco, e ho avuto riprove che comunque non mi servivano. Una parte dell’elettorato del Movimento Cinque Stelle è composta da bifolchi che hanno come unico scopo ridere e berciare sulle battute ripetitive di Grillo, dubito persino che costoro sappiano tracciare una ics: è inevitabile che anche antropoidi del genere godano del diritto di votare. C’è comunque gente di tutt’altra risma che sa informarsi e preservare il proprio senso critico.
Non sono granché democratico e se potessi scegliere davvero allora eleggerei la buon’anima di Alessandro Magno o magari il moderato Gengis Khan. Per me si aprono due strade e comunque vada perderò e vincerò. Nel caso in cui il Movimento Cinque Stelle dovesse mancare ai propri intenti di opposizione e di proposta otterrei la riprova di quanto la democrazia sia fallimentare, ma ne perderei in utilità e allo stesso tempo non verrei confutato: questa sarebbe una vittoria di Pirro. Se invece il corso degli eventi dovesse snodarsi in un quadro del tutto diverso allora ne guadagnerei nell’amministrazione dello Stato e sarei costretto a retrocedere dalle mie posizioni antidemocratiche. Se l’esito dipendesse da me preferirei calpestare le mie convinzioni e vedere il miglioramento della società in cui erogo i miei respiri.
Per l’occasione ho rivisto alcune interviste di Carmelo Bene e mi sono trovato (o forse sarebbe opportuno scrivere “smarrito”) perfettamente a mio agio nel suo citazionismo. Tra il dire e il fare forse c’è meno distanza che tra il fare e il disfare, nel senso più ampio e vuoto dell’espressione. Parole profetiche: “La libertà è affrancamento dal lavoro e non occupazione sul lavoro”. La catena di montaggio, la Macchina che Bene chiama in causa sulla scorta di Deleuze, non è definibile, però ognuno la conosce a suo modo.
Chissà se è vero che “la democrazia è quel sistema in cui il popolo, prende a calci il popolo, su mandato del popolo”. Chi vivrà vedrà e già questa è una condanna.
Anni fa un’amica di mia madre mi regalò un libro di Dino Campana, “Canti Orfici”, ma appena me lo diede le dissi che non lo avrei mai letto e ancor oggi tengo fede a quella promessa letteraria. Malgrado la mia ritrosia verso la poesia, ho trovato per caso un video di Carmelo Bene in cui egli recita dei versi di Campana che mi sono piaciuti quasi quanto l’interpretazione di colui che non è.
Quando avrò la mia prima ragazza senz’altro le declamerò questa composizione a gran voce.
Coi tuoi piccoli occhi bestiali
Mi guardi e taci e aspetti e poi ti stringi
E mi riguardi e taci. La tua carne
Goffa e pesante dorme intorpidita
Nei sogni primordiali. Prostituta…
Chi ti chiamò alla vita? D’onde vieni?
Dagli acri porti tirreni
Dalle fiere cantanti di Toscana
O nelle sabbie ardenti voltolata
Fu la tua madre sotto gli scirocchi?
L’immensità t’impresse lo stupore
Nella faccia ferina di sfinge
L’alito brulicante della vita
Tragicamente come a lionessa
Ti disquassa la tua criniera nera
E tu guardi il sacrilego angelo biondo
Che non t’ama e non ami e che soffre
Di te e che stanco ti bacia
Voglio enfatizzare questo periodo di silenzio con un appunto fantastico. Diversi anni fa passai una nottata magnifica di fronte al televisore e restai incantato a guardare due repliche del Maurizio Costanzo Show che avevano come protagonista Carmelo Bene. Non ho il retroterra culturale per comprendere Bene e me ne rendo conto ogni volta che lo ascolto e lo vedo. Ci sono citazioni che non colgo e concetti che non afferro, ma non escludo che sia fuorviante ed erroneo il proposito di capire ciò che non esiste. Non sono mai stato attratto dal teatro e per questo motivo mi interessa ciò che Bene ha detto al di fuori di quest’ultimo (ammesso che sia possibile una divisione di questo tipo). Non voglio cadere nell’idolatria perché sarebbe ingiustificata e irriguardosa, infatti ho premesso di non avere i mezzi per comprendere né per non comprendere Bene. Mi limito a ricordare quella notte di diversi anni fa con un video che a sua volta replica una parte della replica a cui ho assistito, ma prima annoto alcuni passaggi di questo estratto dato che i video posso scomparire da un giorno all’altro. In questo caso credo che decontestualizzare le frasi che seguono sia un atto di vandalismo, ma non me ne pento.
“Il non capire non è prerogativa degli scemi, non è il privilegio dell’idiota, è l’abbandono”
“Essere nell’abbandono non significa essere deficienti, significa non esserci, smarrire, non essere più in casa, maledette le case, le famiglie, le mogli, i padri, i figli, lo Stato, l’anima”
“Facciamola finita con questa fine perché la fine e il principio sono la medesima cosa, siamo sempre nell’origine, siamo sempre nel senso di colpa, siamo sempre nella parola”
“Bisogna fare di sé dei capolavori”.
“L’istruzione obbligatoria? Ma cos’è la Siberia, ma perché bisogna istruirsi?”
“Quando la minchia diventa tanta non c’è più perché non c’è culo che la ospiti”.
“Lei deve parlare ancora? Ha parlato?”
“Non sono dei calembours questi, sono schiaffi alla vita puttana e mediocre”