Agli sgoccioli del calendario gregoriano non mi figuro nulla d’inedito giacché la fine di un anno e l’inizio del successivo hanno carattere puramente formale. Non ho progetti né per il trentuno né per l’avvenire tutto, ma posso contare una spontanea disciplina che allieta i miei giorni e mi fa appartenere al tempo di cui dispongo.
In quest’epoca di facili contagi permane l’influenza dell’altrui scoramento, perciò mantengo oggi come ieri le debite distanze da quanti siano portatori, interpreti o appassionati di sventura e, di nuovo, io non faccio mistero del mio solipsismo. Non ho la facoltà di aiutare nessuno e non possiedo nulla da condividere, ma rivolgo i miei più sinceri auguri a quanti navighino in acque burrascose: che gli dèi vi assistano. Non ho fiducia in nessuna idea, in nessuna persona, in niente, tuttavia tale mio scetticismo è fondato su una convinzione filosofica e non scaturisce da una qualche esperienza incresciosa che mi abbia portato a dire “amici amici e poi mi rubi la bici”. Non mi arrovello per il futuro né colgo l’attimo, ma non cerco neppure di accomodarmi nel passato e in altre parole, ugualmente criptiche, sembra quasi che io non esista: in tutta onestà codesta prospettiva non mi turba. Lascio ad altri l’onere di definirsi o addirittura d’essere. Anch’io sono un oggetto ontologico, però non m’identifico in questo ruolo più del dovuto e mi accontento del sei politico: non vedo quale sia il problema di farsi rimandare in un gioco di rimandi. Si parla tanto per parlare, si scrive tanto per scrivere e si vive tanto per vivere o almeno questo è il punto massimo a cui obtorto collo sono disposto a spingermi.
Scrivo mentre il nuovo anno emette i primi e roboanti vagiti. Vicino a me non c’è nessuno, ma in lontananza odo il battesimo del fuoco. Per me gli ultimi dodici mesi sono stati come la faccia di un dio etrusco, Giano bifronte, infatti i primi sei si sono rivolti al passato e gli altri invece hanno mirato il futuro. Sotto la guida di una potente solitudine ho ampliato le mie conoscenze, ho allargato i miei orizzonti, ho conseguito soddisfazioni vivificanti e ho fatto anche qualche buco nell’acqua, ma d’altro canto gli incidenti di percorso fanno parte del percorso stesso.
Anch’io per ragioni di comodità seguo il calendario gregoriano, ma questa volta approfitto delle sue ripartizioni per affacciarmi sul futuro prossimo con uno spirito ulteriormente rinnovato. Invero non mi aspetto molto dall’avvenire e non confido in sue inaspettate prebende: forse questo mio atteggiamento è dovuto alla capacità di farmi bastare ciò che ho già e dalla furbizia di non sprecare energie verso quanto per me risulti inarrivabile. Mi sento un equilibrista e qualche volta temo di mettere il piede male perché non di rado vedo tanti che cadono da una fune identica alla mia, tuttavia tali inquietudini riescono a serpeggiare in me allorquando la stanchezza apra loro la via regia ai recessi della mia mente: evanescenti e infondate, esse poi svaniscono, come tutto del resto, anzi, come tutto il resto.
Ho in me stimoli che si rinnovano come in un processo pluricellulare, ho la mia quota di tempo da vivere e voglio modellarla nel migliore dei modi. Non vi sono alleanze atlantiche o paesane di cui mi possa avvalere, ma già da solo costituisco una legione. Scrivo per leggermi e mi leggo per pensarmi: è così che riproduco i miei giorni senza che ne derivi troppo materiale di risulta.