Passa il tempo nel computo degli anni e gli effetti della gravità si mostrano con maggior rilievo su quanti non le si oppongano con lo spirito, il corpo e talora persino con creme anti aging nella misura delle proprie possibilità. Non riesco a ritenere le rivoluzioni quali scopi ultimi nonostante, devo riconoscerlo, siano forme d’intrattenimento che si rapportano alla storia come i luna park alla loro vocazione itinerante: si tratta di entità e di dinamiche di passaggio, di qua e di là, alla stregua di tutto il resto, compresi i saldi di fine stagione e l’ultimo turno dei tardigradi.
Cosa devo prendere sul serio? Le cellule? Ma una a una o in qualità di aggregati in perenne mutazione giacché le une non sono mai le altre e l’apoptosi assomiglia più a una conquista sindacale che a un processo evolutivo? Chi siamo, dove andiamo, per quanti prenotiamo nei cieli superni? Io preferirei una singola con vista sull’eternità, ma per il momento mi andrebbe bene anche una torre eburnea. Viene ricercato il possesso nelle mendaci forme della dolcezza, la nozione come arma in luogo della conoscenza, il modo d’essere al posto dell’essere senza modo e così via, fino a certa estinzione e dimenticanza. Nelle scatola dei regoli (forse simile a quella delle regole) non so dove mettere (a sedere o su un piedistallo?) il bene e il male, perciò si accomodino le antitesi e, sebbene orfane, facciano come se fossero nella casa del Padre.
Non amo tatuaggi né piercing perciò se avessi un credo, uno qualunque, dovrei tenermi al labbro il suo amo: ecco, questo per me sarebbe davvero insopportabile. Talvolta mi chiedo se abbia fatto bene a non seguire mai uno sguardo, forse anch’esso simile a una professione di fede. Le domande si possono lasciare in sospeso perché prima o poi, in ragione dell’anzidetta gravità, cadranno da sole e si faranno polvere come ogni altra cosa. Nottetempo mi accomodo tra le mie piccole arguzie, o almeno io concedo loro questo nome, mi cullo nelle mie cose che in realtà mie non sono, ma tanto vale scrivere così.
Caduta una guglia se ne innalza un’altra
Pubblicato lunedì 15 Aprile 2019 alle 23:09 da FrancescoL’incendio che è prorotto da Notre Dame mi ha ricordato ancora una volta la caducità di tutte le cose umane. La breve storia della mia specie si annida in simboli, edifici e opere di vario genere su cui il tempo sedimenta i significati del passato.
In un lontano futuro anche la Terra verrà avvolta dalle fiamme e non rimarrà nulla di codesto proscenio dal nucleo di ferro, tuttavia mi chiedo se quello spettacolo d’estinzione avrà degli spettatori come in queste ore se ne adunano sulle rive della Senna, magari a bordo di navi spaziali approntate all’uopo con vista sul disastro o, per i meno facoltosi, con gli occhi incollati a potenti telescopi.
Anche il dispiacere e lo struggimento sono passeggeri, proprio come lo sono le loro controparti, ma è comprensibile che tanto gli uni quanto le altre si avvicendino in testa (anch’essa effimera nella sua duplice accezione) in pieno accordo con le circostanze: il presente non fa altro che consegnare corone d’alloro agli stati emotivi. Tutto ciò mi porta alla mente un passaggio de “Il libro tibetano dei morti”, secondo il quale l’acqua si estingue nel fuoco e quest’ultimo nel vento, ma la mia immaginazione mi propone anche le pire sul Gange e le loro volute di fumo.