Ci sono state delle volte nella vita in cui mi sono sentito al posto giusto nel momento giusto e quattro giorni fa mi è capitato proprio questo. Ho guidato per duecento chilometri fino a Perugia in compagnia di me stesso e mi sono fermato vicino al teatro Bertolt Brecht nel quale sono poi entrato per assistere al concerto de Il Bacio della Medusa, un gruppo che io (e non solo) reputo di levatura mondiale nella scena del rock progressivo; attendevo da molto tempo un loro live e non mi sono fatto sfuggire la prima buona occasione di prendervi parte: per fortuna, aggiungo! Di costoro possedevo già i dischi in vinile, ma al termine dell’esibizione ho preso gli equivalenti in CD poiché credo che certa creatività vada supportata. Sul palco è stata eseguita per la prima volta Deus lo vult, un pezzo impegnativo, specialmente per la voce di Simone Cecchini che ha sottolineato questo particolare prima di toccare delle note piuttosto alte: performance superba, davvero esaltante! La proposta di questi alfieri della musica immaginifica è stata tratta dai loro tre dischi nella cornice di un’atmosfera incantata e, per quanto io ne sia stato coinvolto per tutto il tempo, devo ammettere che i momenti apicali per me sono stati i brani provenienti da Discesa agl’inferi d’un giovane amante. In alcuni momenti il flauto e il sax di Eva Morelli sono stati davvero ipnotici, come il piffero in una celebre favola tradotta dai fratelli Grimm! Grandiosa la sezione ritmica, con Diego Pietrini alla batteria (e non solo..) e Federico Caprai al basso; si è dimostrata coriacea nell’accompagnamento e incisiva negli assoli anche la Gibson di Simone Brozzetti! Spero di rivedere presto un altro concerto de Il Bacio della Medusa perché mi ha dato molto e credo che in quel teatro ne sia rimasto un segno.
Il concerto si è concluso con Amico di ieri, un pezzo de Le Orme che Il Bacio della Medusa ha suonato assieme ad Aldo Tagliapietra (quest’ultimo aveva prima eseguito dei brani da solo): mi sono goduto e ho filmato quell’inedita condivisione dello stage, lo stupendo finale di una serata magica le cui buone vibrazioni in me, ne sono certo, non si estingueranno a breve…
Il sette settembre mi sono recato a Novara e precisamente in quel di Veruno per assistere alla prima giornata di un festival progressive. Sono stato in piedi per venti ore, di cui quattordici le ho passate al volante, ma adesso posso affermare che ne è valsa la pena! Sono stato sotto il palco per tutto il tempo, appoggiato alla transenna dalla prima all’ultima nota.
Prima dell’inizio ho passato in rassegna i vinili in vendita e mi sono fermato alla bancarella della Black Widow Records, la stessa da cui quest’estate ho comprato l’album de Il Tempio delle Clessidre in occasione di un evento analogo a Bagnaia. Questa volta ho acquistato i primi due vinili de Il Bacio della Medusa che sono già fuori catalogo. La mia militanza è stata plaudita da altri avventori, ma per me viaggi del genere non sono mai un sacrificio.
I primi a suonare sono stati i Court, una band locale di vecchia data che non avevo mai sentito e che ho applaudito con convinzione: ne rimedierò qualche album perché è stata davvero una bella scoperta. È venuto poi il momento dei Wicked Minds che non mi hanno catturato benché suonino alla grande: mi sono piaciute molto le parti di Hammond, le rullate del batterista e ho apprezzato qualche assolo, ma niente di più. Dopo i gruppi suddetti, entrambi italiani, sul palco di Veruno sono saliti i Pain of Salvation, osannati dall’inizio alla fine. Per fortuna nella scaletta hanno prevalso dei pezzi datati, infatti le ultime produzioni non sono state di mio gradimento. La band è stata impeccabile, anche se verso la fine il tastierista ha avuto un problema e Daniel ci ha scherzato su prima di ricominciare il pezzo daccapo. Insomma, è stata una bella esibizione che per qualcuno è stato il momento più alto della serata. Io invece sono andato in estasi con i Flower Kings che hanno esordito con un pezzo di venticinque minuti, ovvero Numbers, la prima traccia del loro ultimo album: per me è stata un’esperienza lisergica, forse onirica o chissà cosa. Sono state suonate anche perle come Stardust We Are e What If God Is Alone? che volevo udire dal vivo, ma tra i tanti pezzi proposti io sono andato davvero in un altro mondo con la chiusura, fatta anch’essa con un pezzo dell’ultimo album, Rising The Imperial: penso che questa traccia mi accompagnerà in tante sere solitarie, tra luci soffuse e speranze fiaccate, ma quel tocco sulle sei corde, quelle voci alternate e il lavoro del basso mi faranno sembrare tutto meno amaro.