Nel migliore dei casi resterò a questo mondo per altri settant’anni, ma non ho progetti né idee con cui costipare l’avvenire e continuo a non provare il bisogno di crearmi un’identità precisa per ricavare dal tempo a mia disposizione i germogli dei ricordi futuri. Ancora una volta mi permetto di ospitare una citazione di Emil Cioran sebbene non abbia ancora l’età per poterla condividere pienamente: “Quello che so a sessant’anni lo sapevo altrettanto bene a venti. Quarant’anni di un lungo, superfluo lavoro di verifica…”.
Sono in grado di camminare da solo e posso orientarmi tanto con le scelte ponderate quanto con i colpi di testa benché io non sappia replicare le prodezze di Oliver Bierhoff. Provo una certa insofferenza nei confronti di chiunque non possa guardare dentro di sé o non voglia farlo per timore delle possibili conseguenze, tuttavia riesco a tenermi lontano da individui del genere e adopero paratie di silenzio o d’indifferenza per non deviare troppo l’attenzione da me stesso. Vivo in una democrazia immatura e sono circondato da persone insicure, però, dando un rapido sguardo alla storia e ammettendo che quest’ultima riporti la verità, non posso certo lamentarmi più di tanto del tempo in cui vivo e invero non ne ho motivo alcuno, almeno per quanto riguarda direttamente la mia esistenza. Sono una comparsa, felice di non essere papabile per il martirio. Io seguo l’andamento dei giorni e non ho grandi critiche da muovere a chicchessia. Credo che il bene si affermi da sé e si sviluppi al di là delle intenzioni più feconde.
La mia condotta non è improntata al diniego e alla derisione dei giudizi altrui, ma si premura di limitare le coercizioni più o meno percepibili che possono essere dettate da alcune circostanze. Talvolta appaio sgradevole e sgarbato, ma tali apparenze secondo me costituiscono un prezzo accettabile da pagare per non snaturarmi eccessivamente in un ambiente che pullula di indoli diametralmente opposte alle mia. Non m’illudo d’essere sempre autentico e talvolta, anche a distanza di anni, noto a posteriori l’artificiosità inconsapevole di certe azioni o di determinati ragionamenti. La falsità non si annida soltanto nelle debolezze altrui e non la tratto mai come un corpo estraneo, ma cerco anzitutto di prevenirla in me e non riesco sempre a scongiurare il suo ingresso furtivo nelle espressioni della mia personalità. Non provo sensi di colpa su questo punto poiché si tratta di episodi che sfuggono alla mia coscienza, tuttavia rinnovo a me stesso l’invito a compiere maggiori sforzi per ridurre ulteriormente questa enclave della stupidità.
Ovunque mi pare d’intravedere individui che non amino sé stessi. Odo e leggo critiche ripetitive verso la società civile da cui certuni cercano di differenziarsi tramite l’uso della parola e solo di questo, ma tali acuti osservatori mi paiono dei poveri imbecilli allo sbaraglio, inetti alla ricerca di attenzioni che non sanno procurarsi in un modo meno subdolo. Ammiro chiunque sia votato al miglioramento di sé, ancor più di chiunque si dedichi alla filantropia e non escludo affatto che le due pratiche possano viaggiare di pari passo. Ho l’impressione che qualcuno reputi un’azione indegna d’essere compiuta se quest’ultima non presenti alcuna possibilità di raggiungere la considerazione altrui. Io nego sempre l’idea che la mia persona possa risultare gradevole o addirittura interessante benché la realtà non sia così netta, ma questo approccio mi permette più facilmente di non forzare né viziare (perlomeno coscientemente) i miei comportamenti affinché combacino con la simpatia degli estranei o dei conoscenti. Cerco di pormi al di là delle formalità e talvolta mi vedo un po’ irruento, volgare, inopportuno, irriverente, insolente, troppo distaccato o eccessivamente aperto, ma credo che questa maleducazione apparente sia un prezzo ragionevole da pagare per salvare il salvabile in termini di autenticità. D’altronde sto attento anche alla attenzioni che riservo ai miei gesti e cerco d’evitare che s’incanalino in automatismi difensivi. Voglio stare tra due forze contrarie, senza (di)pendere troppo da una parte o dall’altra.
Credo che la suggestione sia la più grande nemica di un comportamento sincero e la trovo un’avversaria abile poiché la sua forma cambia di persona in persona, di circostanza in circostanza. Non credo che la confidenza riduca l’incidenza dei gesti manierati, anzi, suppongo che in alcuni casi possa provocarne una cristallizzazione e difatti mi è capitato più d’una volta di percepire dei discorsi artefatti in un gruppo apparentemente affiatato di persone. Ovviare a tutto questo comporta la necessità di mantenere una certa soglia di attenzione e talvolta, quando la stanchezza è troppa, mi permetto di delegare la comunicazione a delle reazioni quasi meccaniche di cui le frasi di circostanza sono un ottimo esempio.