Talora le parole giuste cadono dal cielo o precipitano dalle bocche nei momenti sbagliati, perciò ogni loro beneficio viene nullificato dal pessimo tempismo. Non so quali formule pronunciare davanti agli eventuali entusiasmi di una nuova conoscenza e suppongo che questa mia incapacità derivi da una crescente noncuranza verso ogni possibile reciprocità, ma preferisco attribuirla a un amor proprio fattosi ipertrofico per ragioni di sussistenza interiore.
In trentasette anni non ho mai esperito relazioni sentimentali né carnali, però ho avuto delle sporadiche infatuazioni platoniche con pochissime temerarie che si sono concluse sempre con un distacco vicendevole e definitivo. A me piace pensare che qualche rara volta le persone si allontanino così tanto solo per ritrovarsi all’altro capo del mondo, ma io non mi ci vedo in un rendez-vous di questo tipo. Forse l’età fa scemare certi bisogni, specialmente se essi siano rimasti inespressi e inappagati proprio quando potevano affermarsi all’acme della loro intensità. Non riesco davvero a rendermi conto se in me alberghi ancora qualche necessità affettiva e, qualora davvero ve ne si annidino, quale sia la loro entità. Non sono neanche in grado d’immaginarmi al di fuori di quel numero che precede tutti i numeri primi benché esso stesso non lo sia e mi doni alla grande: è l’abito buono per… tutta l’esistenza.
Dagli albori a oggi la mia individualità ha compiuto passi da gigante, ma forse questi non sono così ampi da consentirmi di farne qualcuno indietro. Mi sento quasi in debito con la specie per il mio (in)giustificato assenteismo.
Non ho un’indole autodistruttiva e la mia funzione di adattamento negli ultimi tre lustri ha dato il meglio di sé, ma il rovescio della medaglia si trova nella lontananza e nel disinteresse da ogni altro universo che proprio qui dibatto tra me e me stesso: mi avvince più la questione in quanto tale che il suo oggetto di domanda. Può darsi che ulteriori introspezioni di cui l’avvenire è puntuale latore finiscano per darmi ulteriori spunti, ma al momento non ne scorgo e quindi non ho altro da aggiungere né qualcosa da rimuovere.
Così è se mi pare.
Avrei avuto qualche angoscia in meno se, anni or sono, la Pizia di Delfi mi avesse dato contezza della tranquillità con cui oggi procedo verso la mia terza decade.
Credo che un’esatta lettura del passato ridimensioni quelle piccolezze che un tempo parevano attentare alla vita stessa. C’è chi soccombe alla nostalgia, specialmente nelle ore in cui gli occhi dovrebbero chiudersi per sospendere lo stato di coscienza, e così i fantasmi restano ipertrofici. Non posso salvare nessuno da se stesso e, per quanto mi riguarda, un legame profondo non può che ingenerarsi tra i sopravvissuti di Mnemosine: io sono dispensato dal dovere di piacere a tutti i costi perché so che basta un cenno per riconoscersi e il resto non è di mia competenza. Sono in grado di correre cento chilometri, ma non sono capace di fare il primo passo e questa inadempienza seduttiva è spesso fraintesa come anaffettività, superbia, distacco atarassico: è invece tutt’altra cosa e in tanti altri modi ancora si presta alle incomprensioni più fantasiose. Chissà io quante volte ho interpretato male certi atteggiamenti: succede e di fatto nulla cambia. Nell’aria avverto la stramba convinzione che il valore di una vita si misuri con le attenzioni che le sono tributate ed è così che molti microcosmi restano inesplorati, ma anche l’oblio fa parte del tutto e talvolta la dimenticanza non ha né inizio né fine. Non posso confrontarmi con chi non ha dimestichezza col vuoto perché se lo facessi finirei per crearne di minori, di questo sono sicuro. Le parole cadono su loro stesse, le pose si ripetono come in un immobile parossismo, e via con la guerra degli ossimori senza l’accordo dei contrari. Gli autoritratti digitali, ribattezzati con un anglicismo, sono chiamati a convogliare forze d’attrazione, oberati dalle aspettative dell’ipnosi e sottoposti a prospettive precise, ma non ci vedo nulla di male perché ogni epoca ha i suoi vezzi e talvolta io stesso sconfino in campi altrettanto vanesi. Le critiche passano come le mode a cui si rivolgono e io non posso fare altro che passarci attraverso o esserne un convinto autore, ma né in un caso né nell’altro si sposta una virgola della realtà: tutto rimane al grado di fonazione.