Lungo queste pagine ho affrontato in più occasioni due aspetti della vita che non ho mai provato: l’amore e il sesso. Non ho nulla da aggiungere a quanto ho scritto finora e non intendo girare un altro video per ribadire gli stessi concetti. L’amore esiste ed è la più grande potenza interiore a cui l’uomo possa ambire, ma credo che non abbia nulla a che fare con le aspettative egoistiche che talvolta si annidano negli esseri umani. Io amo l’imparzialità e per questo motivo mi rifiuto di negare l’esistenza dell’amore. In diversi punti de “La Masturbazione Salvifica: Diario Agiografico Di Un Onanista” ho toccato questo tema e l’ho trattato con la riverenza che merita ogni opera monumentale della natura umana. Ho imparato ad amare me stesso e di conseguenza posso vivere serenamente senza amore, ma so che la sua assenza mi rende incompleto e mi limito a prenderne atto senza scadere in comportamenti di bassa lega. Una frase molto banale esprime perfettamente ciò che intendo: “Non si può avere tutto nella vita”. Ho ventiquattro anni e sono ancora giovane, ma credo ugualmente che alla mia età sia indicativa la totale estraneità ai rapporti affettivi. Mi limito a seguire la mia indole solitaria, tuttavia non la rafforzo con il più grande inganno che l’essere umano possa tessere contro di sé, ovvero la negazione dell’amore. Io sento continuamente le lamentele di alcune persone che sono profondamente condizionate dalle loro delusioni. I fallimenti sono fenomeni personali, soggettivi, privati, mentre l’amore è un dato di fatto che per alcune persone, compreso me, è ancora un’astrazione. Non cerco una verità assoluta, ma cerco di puntare sempre verso una posizione imparziale e per alimentare il mio moto morale devo sacrificare porzioni di Ego di cui ormai non mi importa nulla. Penso che la vita sia meravigliosa perché il suo svolgimento è soggetto a combinazioni infinite. Forse manca sempre qualcosa nella maggioranza delle esistenze umane, ma io sguazzo in questa carenza mutevole e spesso la identifico con una parola che adoro nel suo senso mistico: “Vuoto”. Amo la vita e di questi tempi non è poco; l’amo senza l’appoggio di un sentimento esterno e senza l’ausilio di una fede oppiacea. Le mie parole si ripetono come certe fasi del giorno che riescono ancora a stupire dopo miliardi di repliche.
Solitudini differenti: tra mediocrità e nobiltà
Pubblicato martedì 15 Luglio 2008 alle 16:45 da FrancescoAlcune persone si autodenigrano per attirare l’attenzione altrui e si lamentano continuamente delle loro esistenze per lo stesso motivo. Disprezzo chi cerca la compassione a buon mercato e nega il suo fine. Io adopero l’autoironia per alleggerire il velo di serietà che talvolta appesantisce le mie indagini introspettive, ma non trasformo mai i miei dileggi in una lagna fastidiosa e trovo che la vita sia un evento eccezionale. Chi denigra sé stesso non incontra grandi difficoltà a fare altrettanto con i suoi simili, ma credo che una condotta di questo tipo possa essere la conseguenza di una integrazione sociale che non abbia avuto un esito positivo. Talvolta chi sente la mancanza dei legami affettivi non ammette le sue necessità e cerca di svalutare le vite di coloro che non sono affatto estranei all’amicizia e alle relazioni sentimentali: spesso è più facile distruggere che creare. Io non ho mai negato il mio bisogno d’amore e ho attribuito sempre un ruolo marginale all’amicizia per descrivere fedelmente quanto mi concerne, tuttavia vivo tranquillamente la mia aridità emotiva e credo che la mia capacità di gestirla sia inestimabile. La mia solitudine è ragionata e ha delle motivazioni precise che ho spiegato in più occasioni, perciò ignoro chi la confonde con un disagio sociale o una scelta obbligata. Penso che i bisogni non vadano trasformati in punizioni, ma credo che questa accada ogniqualvolta qualcuno si rifiuti di guardare ciò che possiede per concentrarsi unicamente su quanto gli manca. Ritengo che certe cose si possano guadagnare soltanto con il sudore e il rispetto verso sé stessi, ma talvolta è facile credere il contrario e lo è ancora di più qualora il diretto interessato non sia avvezzo alla fatica. Io non devo spaccarmi la schiena per provvedere al mio sostentamento, perciò uso l’attività fisica per allenare e mantenere la mia volontà. Talvolta i primi autori dell’emarginazione sono gli emarginati e non mi riferisco ai poveri che vivono per strada, ma a tutte quelle persone che hanno un reddito normale da cui non possono detrarre l’infelicità che caratterizza le loro esistenze. Anche chi ha una vita sociale piuttosto attiva può sentirsi solo in mezzo agli altri, ma la sua apparenza conviviale gli consente di dissimulare ciò che prova realmente e di conseguenza chi lo circonda può soltanto supporre cosa egli provi qualora si sforzi di immaginarlo. Io appaio triste e non lo sono, qualcun altro lo è veramente e nessuno lo nota. Credo che soltanto il diretto interessato possa aiutare sé stesso e per quanto mi riguarda io ci sono riuscito da un po’ di tempo, perciò non mi curo dei danni che subisce la mia immagine e non oso offrire aiuti arroganti a chi ha problemi con la sua vita. Trovo che la mia indifferenza verso certi drammi sia più rispettosa dell’invadenza di chi gioca a fare il samaritano per sentirsi una persona migliore. Ammiro chi riesce a superare le sue difficoltà con i mezzi che ha a disposizione e ritengo che quanto ho scritto finora valga per qualsiasi classe sociale poiché fenomeni come la depressione sono egualitari. Prima di concludere voglio porre l’accento su alcune cose. L’ozio può essere ricreativo, ma quando si trasforma in apatia può risultare fatale e non provo nulla verso chi sparisce dal mondo a causa di quest’ultima. L’amore è un assioma e paradossalmente credo che si possa acquisire la capacità di viverlo qualora si abbia prima conseguito l’abilità di vivere serenamente senza di esso, anche nel caso in cui la sua mancanza sia destinata a protrarsi vita natural durante. A mio avviso la nobiltà della solitudine si basa sul rispetto degli altri ed esige che i suoi rappresentanti si astengano dalla denigrazione gratuita dei loro simili, ma allo stesso tempo questa forma di rispetto richiede un distacco che non deve mai diventare sinonimo di superbia. Non mi sento superiore a qualcuno perché vivo in un certo modo e non mi sento inferiore a qualcun altro che consegue risultati che a me sembrano inaccessibili. Le parole sono inutili, ma le azioni parlano per conto della realtà e non restano mai inascoltate neanche dai sordi né da coloro che fingono di esserlo. Si può affermare tutto e il contrario di tutto, ma alla fine credo che non si dica niente perché le cose veramente importanti si esprimono da sole.
Ieri mattina sono andato a correre, ma ho non seguito il mio consueto percorso e ho optato per un itinerario in salita. Mi sono diretto verso la croce del Monte Argentario e quando sono arrivato ai suoi piedi mi sono ritrovato in mezzo a una nuvola, ma ero al corrente del suo passaggio ed è proprio quest’ultima che mi ha spinto a raggiungere la mia meta. L’atmosfera aveva un non so che di mistico e mi ha reso entusiasta, ma non mi sono trattenuto molto e dopo meno di dieci minuti me ne sono andato per non sostare troppo tempo vicino ai ripetitori televisivi, inoltre ero fradicio di sudore e la temperatura non era confortevole. Sulla strada del ritorno ho scorto “La Sorgente”, un ristoro che si trova accanto al Convento dei Frati Passionisti, e mi sono ripromesso di andarci a pranzare da solo per degustare qualche piatto tradizionale della mia regione: ero ancora un bambino quando mangiai per l’ultima volta al succitato ristoro e ancor oggi ricordo che il mio pasto fu delizioso. Oltre alle rimembranze culinarie ho evocato una gioia solitaria che conosco bene perché mi accompagna regolarmente da parecchio tempo e ne ho apprezzato gli effetti quando l’ho ritrovata a capo delle mie sensazioni per l’ennesima volta, ma la sua presenza non mi ha mai indotto a sminuire l’amore, anzi, credo che nel corso degli anni mi abbia aiutato a comprenderlo meglio e ad apprezzarlo più di quanto avrei potuto fare tramite la necessità di viverlo. Prima d’uscire di casa ho notato che Monte Argentario è salito agli onori della cronaca per la scoperta di un cadavere che è stato trovato a bordo di una barca alla deriva: penso che le circostanze di questo ritrovamento si prestino perfettamente per comporre l’incipit di un romanzo giallo o di un thriller.
Accolgo la primavera con piacere e mi auguro che la sua permanenza si protragga più del necessario. Questa stagione evoca fantasie appassionate e flette i desideri verso l’amore erotico, perciò non influenza la mia vita. La mia verginità perdura e continua a rappresentare una delle araldiche che popolano la roccaforte della mia personalità. Sulle alture dei miei giorni solitari rivendico la volontà d’amare completamente e respingo ogni agguato aleatorio che provenga dalla mercificazione dei sentimenti. Oggi come ieri non so cosa sia un bacio, ma la mia inconsapevolezza lo rende un gesto memorabile nei limiti della mia sfera individuale. Difendo l’autenticità dei miei sentimenti a spada tratta perché non voglio diventare uno schiavo del malessere. Sono il dignitario della mia capacità d’amare e irrido le elemosina della mera carnalità. Gioco a carte scoperte e sono pronto a perdere le occasioni della giovinezza qualora un legame artefatto sia l’unica alternativa. Sono libero perché non temo il tempo e la mia condizione mi consente di provare dei sentimenti veridici. La mia tenacia non tende alla misantropia come presumono taluni, ma spiana una strada tortuosa che potrebbe restare deserta per sempre: non temo questa evenienza perché l’ho già messa in conto ed è questa consapevolezza che alimenta il mio vigore sentimentale. Sarei un vile e diventerei un servo della superbia se confinassi la mia felicità nelle dimensioni del mio equilibrio solitario.
Xmas doesn’t concern my inner thoughts
Pubblicato sabato 22 Dicembre 2007 alle 08:10 da FrancescoIeri ho chiuso un breve capitolo della mia vita che non ho mai aperto e sono contento che tutto questo sia accaduto in prossimità della fine dell’anno. Credo che dicembre sia soltanto un mese di bilanci inutili e di propositi altrettanto sterili, ma penso che gennaio sia la rampa di lancio per rendersi concreti e agire. Talvolta concedo alle persone più attributi positivi di quanti ne abbiano in realtà, ma quando me ne rendo conto riesco a ridimensionare l’importanza di coloro che ho sopravvalutato e lascio dietro di me scie di indifferenza. Nessuno mi ha insegnato a distaccarmi da qualcuno per spianare la strada alla felicità, ma l’ho imparato da autodidatta nel corso dei miei studi casuali sui rapporti interpersonali. Quando l’ossessione predomina sulle emozioni qualcosa non va ed è meglio abbattere tutto per erigere una nuova costruzione sentimentale. Non importa sotto quale nome appaiano la passione, il trasporto o, come è sempre accaduto nel mio caso, le loro manifestazioni platoniche, dato che per me dietro le lettere J, V, e L ci sono periodi in cui ho lambito le sponde dell’amore, ma sono nomi privi di sostanza dato che io sono ancora in alto mare e mi godo la distesa infinita che mi circonda mentre continuo romanticamente la mia navigazione solitaria a bordo della realtà.
Adopero l’indifferenza per schermirmi dagli scherni della spiritualità e mostro la mia indole materialistica per declinare ogni invito alle ricerche ultraterrene, ma non mi affido al nichilismo né ad altre scuole di pensiero. Apprezzo il vuoto e proteggo la sua vacuità dalle consolazioni nocive che galleggiano nel mondo in cui vivo, ma per agire in questo modo sono costretto a rimandare a tempo indeterminato certe acrobazie dei sensi. Identifico il vuoto con la mancanza di qualcosa e credo che sotto i suoi strati di sconforto si trovi uno strumento ostico per rinvigorire la personalità. Incontro qualche difficoltà semantica nella ricerca delle parole adatte per appuntare con precisione i vapori di questo geyser introspettivo e mi accingo a esemplificare brevemente quanto ho scritto in precedenza. Quando un individuo si accorge del vuoto che lo avvolge e guarda al suo interno egli può arrestare il suo sguardo davanti agli strati di sconforto e consumarsi in un vittimismo tanto deleterio quanto inutile, ma qualora il suo occhio riesca a penetrare la vacuità può cominciare a studiare i meccanismi di ciò che ancora non gli appartiene. Ad esempio quando una persona avverte la mancanza di amore può cristallizzarsi nella malinconia e nella nostalgia o può utilizzare la parte più profonda della sua mancanza (lo strumento ostico) per affinare la sua capacità di amare e credo che questa scelta avvenga in base a un’intuizione indipendente dal livello di erudizione. Suppongo che la felicità e la visione del mondo che essa porta con sé lambiscano la traiettoria della cultura, ma sono portato a credere che quest’ultima non sia fondamentale per raggiungere uno stato d’animo ben più pregiato di qualsiasi nozione del cazzo.
L’esperienza è una sarta rozza che usa le cicatrici per cucire la personalità, ma credo che un portamento particolare della volontà individuale possa compensare i difetti di un abito confezionato in modo maldestro. Il bavero sgradevole di questo indumento costringe alcuni dei suoi proprietari ad alzare le loro teste per osservare la tracotanza delle loro pretese. Qualcuno ritiene che basti non essere amati per pretendere di farsi amare, ma suppongo che occorra qualcosa in più. Penso che sia facile lamentarsi qualora non si abbia nulla e trovo che sia ancora più facile nel caso in cui si possegga tutto. Mi sembra che le ricerche ossessive ogni tanto rivelino un disinteresse totale verso l’oggetto apparentemente desiderato e mi pare che in casi simili si possa notare un attaccamento morboso verso il piacere di trovare qualcosa per iniziare a cercare qualcos’altro, ma probabilmente taluni vedono in questo processo ripetitivo una via per l’immortalità nello stesso modo in cui un bambino può scambiare un pezzo d’ottone per un pezzo d’oro. Esistono molti espedienti per sfuggire alla paura ingiustificata della propria finitezza ed è un peccato che nessuno di essi funzioni. La sofferenza affina la sensibilità e quest’ultima può essere utilizzata per recidere la carotide di un innocente o per incidere il proprio nome nella mente di una persona colpevole d’amare.
Il respiro della coscienza: l’evasione dalla fuga
Pubblicato venerdì 26 Ottobre 2007 alle 00:53 da FrancescoUn interrogativo si propaga con la stessa cadenza dei suoi colleghi: “L’amore ruota attorno al popolo della Terra oppure quest’ultimo si limita a roteare una delle sue manopole eteree per sintonizzarsi sulle frequenze dell’utopia?”. La vocazione congenita per l’amore assomiglia a uno spiraglio da cui qualcuno tenta di passare per scappare dalla morte, ma credo che una tale lettura corrompa ogni manifestazione di questo sentimento. Talvolta l’amore e la morte compongono dei drammi ampollosi che si svolgono sulle pagine di un libro, sul palco di un teatro, nell’occhio inflessibile di una telecamera o in una stanza che è destinata a rimanere vuota, ma in tutto questo non vi trovo né pathos né romanticismo fosco. Mi sembra che a volte il desiderio di amare nasconda il timore della morte e penso che queste due entità psicologiche si incrocino più di quanto io riesca a presumere. Ritengo che l’amore non possa essere disinteressato, ma in questo caso al vocabolo “interesse” conferisco un significato più “filosofico” per affrancarlo dalle connotazioni materialistiche dell’eloquio popolare. Talvolta sembra che si debba vivere per sempre e non è semplice emanciparsi da questa illusione poiché è tanto confortante quanto errata. Può risultare sgradevole e difficoltoso guardare le prime avvisaglie della propria finitezza nel fiore degli anni e forse l’impresa diventa ancora più ardua quando si giunge in prossimità della morte senza averla messa in conto. Non penso che sia salutare trascorrere una vita a contemplare la propria finitezza, ma forse questo è ciò che accade quando l’amore viene considerato come un modo per evadere dalla fuga della vita. Qualcuno pretende che l’amore giri in senso antiorario per accedere a un’esistenza perpetua, ma questo genere di pretese assomigliano a quelle di un bambino che non vuole andare a dormire. Trovo che sia indispensabile accettare integralmente la presenza futura della propria assenza qualora si voglia amare in modo sublime. Suppongo che l’amore e la morte agiscano su due piani diversi e si incrocino al sorgere delle problematiche esistenziali nella sfera introspettiva. Non ho mai amato e credo di non essere mai morto finora, ma non ritengo che la mia inesperienza possa pregiudicare in qualche modo le mie considerazioni trascurabili.
Ipotesi sperimentali di passione: parte seconda
Pubblicato giovedì 4 Ottobre 2007 alle 08:07 da FrancescoProva a insegnarmi qualcosa che non sono in grado di imparare cosicché io possa osservare come scuoti la testa. Apri una delle tue mani e imprimi violentemente lo stampo delle tue cinque dita sulle mie guance disabituate al contatto umano. Sparami in testa e poi partoriscimi. Creami a tua immagine e somiglianza prima che io mi uccida per ricostruirmi daccapo con le mie mani. Facciamo un passo oltre i limiti del possibile. Usa il tuo kajal per tracciare sulla mia schiena le coordinate del nostro chalet lunare. Interpretiamo le nozze di Cana e assicuriamoci che la nostra taumaturgia non si limiti alla moltiplicazione delle vettovaglie. Creiamo un totem del nostro vincolo e neghiamogli qualsiasi banalità cuoriforme. Cambiamo costantemente il nostro stato di aggregazione. Io costruisco e tu demolisci. Tu costruisci e io demolisco. Scambiamoci i sessi, le età, i ricordi e tutti gli altri orpelli che non occorrono alla nostra riconciliazione cosmogonica: invecchiamo di colpo e torniamo spermatozoi per gettare nei venti solari la ciclicità dei nostri errori. Ammutoliamo i poeti e stracciamo le loro odi. Riscriviamo i libri sacri senza usare le parole e usiamo i liquidi seminali per incollarne le pagine. Dissociamoci da ogni equilibrio e seguiamo l’andamento caotico di una creazione continua. Sappiamo che “amore” è una parola composta dalle lettere di alfabeti primitivi, ma dietro la sua forma etimologica si cela pacificamente un’energia che va al di là di qualsiasi connotazione morale. In ultima analisi decapitiamo gli stereotipi della tristezza e della sua antitesi, ma non dimentichiamoci di attendere con ansia che esplodano le parole e chi le incorpora pedissequamente nel proprio vissuto.
Ipotesi sperimentali di passione: parte prima
Pubblicato mercoledì 3 Ottobre 2007 alle 05:54 da FrancescoAl posto delle labbra abbiamo due conduttori termici. Il tempo usa due dita sporche per schiacciarci: la presenza del passato e la fine del futuro. Parliamo lo stesso idioma, ma sembriamo due muti che non conoscono il linguaggio dei segni e riusciamo a comunicare solo quando le nostre debolezze utilizzano le stessa frequenza. Ci puntiamo addosso i nostri segreti e alziamo le mani per fonderci in una figura erotica che ricorda Ganesh. Deformiamo i piumoni con le abduzioni e le adduzioni che proteggono la simmetria simbiotica di un istinto di complementarietà. Le luci ci servono soltanto per assicurarci che le nostre ombre combacino. Non rifuggiamo dalla morte poiché ne siamo parte ed elogiamo noi stessi perché siamo i fondatori dei ponti che ci uniscono per miracolo. Ripetiamo i nostri nomi come se fossero dei mantra e svuotiamo di qualsiasi significato i nostri corpi per trasformare l’abitudine procreatrice della nostra specie in una rivoluzione emotiva. Siamo gli strumenti organici della nostra sopravvivenza interiore e teniamo svogliatamente la mano della verosimiglianza della realtà apparente mentre scendiamo a rotto di collo i gradini della follia più recondita. Raccogliamo tutti i frammenti temporali che la nostra memoria può contenere e ne appoggiamo le parti più significative dentro le teche aortiche a tenuta stagna per evitare che il sudore della voluttà ne impregni la forma.