Tra la prepubertà e la tarda adolescenza ho custodito regolarmente delle fantasie affettive in relazione all’altro sesso. A letto, prima di addormentarmi, assumevo spesso una posizione fetale e solevo cingere uno dei miei due cuscini per ricreare dei momenti d’intima dolcezza. Tutto ciò avveniva in modo spontaneo e mi faceva sentire bene, in particolare di domenica, quando alla possibilità di dormire più del solito si aggiungevano gli effetti di quella simulazione sentimentale. Non escludo che a quel tempo l’assenza di rapporti con le mie coetanee, oltre alla timidezza coeva, sia dipesa in minima parte anche dalla mia disponibilità a farmi bastare quelle fantasticherie notturne per soddisfare le mie esigenze emotive. Alla luce dei particolari anzidetti mi permetto di suppore che già allora in me fosse nascente l’attuale concezione dell’amore, seppur in una forma ancora grezza. Probabilmente le mie prime conclusioni sono state ideate attraverso gli sbagli altrui che ero abituato a ricavare in modo naturale dai discorsi degli adulti, durante quei pranzi e quelle cene in cui venivano consumati piatti abbondanti e sistemi nervosi. Senza saperlo io giocavo con le contraddizioni che udivo, giustapponendole e incastrandole come dei mattoncini colorati fino al punto di ottenere delle costruzioni rivelatrici.
Da adolescente non mi sono mai esposto ai pericoli dei rifiuti, però ho accolto le attenzioni di alcune ragazze curiose e sulla scorta di cotanta superficialità si sono originate delle infatuazioni platoniche piuttosto ridicole da cui ho comunque saputo trarre qualche insegnamento.
Ricordo una certa pudicizia nelle mie prime fantasie amorose che io faccio risalire all’età di dieci anni. Ricordo che allora l’idea di un bacio mi catapultava in un imbarazzo tremendo e quasi non riuscivo a concepirla. Provavo una sensazione analoga ogniqualvolta appoggiassi la mano destra sulla zona vuota di un banco scolastico: mi sembrava di mettere il palmo sulla parte superiore di una coscia. Non sono mai riuscito a risalire fino all’origine di questo turbamento, ma credo che abbia evidenziato una dissonanza tra la totale estraneità all’erotismo e le prime masturbazioni, in concomitanza delle quali è poi sparito del tutto.
La mia fantasia nell’arco di tempo in esame si è divisa tra la pornografia e il desiderio profondo di avere una relazione: in seguito questi livelli della mia immaginazione si sono sovrapposti per conformarsi all’idea idilliaca di un legame completo. Se in questa fase delicata del mio sviluppo io avessi avuto una relazione sentimentale forse la mia mente si sarebbe impigrita e avrebbe compromesso o almeno reso più difficoltoso il mio percorso introspettivo. Quest’ultimo dettaglio non è nuovo, però mi piace riproporlo di tanto in tanto poiché lo considero come l’aneddoto di qualcuno che abbia scampato un pericolo enorme.
Anche grazie a questo iter tortuoso sono giunto a un livello di autocoscienza che reputo buono. Il processo di cambiamento è stato così veloce in me che ha doppiato la vecchia identità, ma a uno sguardo estraneo potrebbe sembrare che quest’ultima sia ancora in testa, anche in senso letterale. Un mutamento graduale e costruito sarebbe stato possibile da parte mia, ma avrebbe snaturato completamente la mia personalità per adeguarla a maggiori occasioni sul piano delle relazioni umane. La mia introspezione ha escluso l’evenienza dell’anaffettività nel mio carattere e per me già questo particolare è un motivo di contentezza abnorme, ma forse se me lo facessi bastare mi ridurrei ad ammodernare l’errore che fu proprio della mia pubescenza. È un segno di salute psichica la mia voglia d’amare ed è un capolavoro dell’autoanalisi la mia capacità di non sentirmi frustrato né amareggiato per l’attuale impossibilità di farlo, ma su questo punto non intendo spendere altre parole poiché in più occasioni ho incensato giustamente il mio stato d’animo e, per quanto sia stupefacente, a ‘na certa pure io mi rompo i coglioni di elogiarlo.
Introspezione retrospettiva: terza parte
Pubblicato venerdì 27 Agosto 2010 alle 06:08 da FrancescoIntrospezione retrospettiva: seconda parte
Pubblicato mercoledì 25 Agosto 2010 alle 03:43 da FrancescoTra l’infanzia e l’adolescenza mi sono sentito sempre inadeguato al cospetto della vita. Credevo di non essere affatto in grado di piacere agli altri, perciò spesso tendevo a isolarmi in silenzio o assumevo dei comportamenti asociali, volgari, talvolta persino aggressivi. Mangiavo molti dolci per colmare i vuoti affettivi, ma ovviamente non me ne rendevo conto, con buona pace del povero cesso che per oltre una decade ha ospitato i miei tocchi di merda. All’origine del mio disagio penso che vi sia stato un concorso di cause. In primis, ricordo un episodio che mi segnò.
Quasi certamente avevo cinque anni quando una sera d’estate i figli dei vicini mi esclusero dal loro gruppo e mi lasciarono davanti alla porta chiusa di una casa in cui erano entrati prima di me per giocare insieme. Io non ebbi alcuna reazione particolare, ma scesi le scale e rincasai. Da piccolo ero tremendo e fastidioso, perciò non escludo che l’assenza di proteste da parte mia sia stata in realtà un’ammissione di colpa (anche solo inconscia) e dunque posso supporre che io abbia ritenuto (giustamente) d’essermi meritato quel trattamento.
In seguito stentai sempre di più a relazionarmi con gli altri perché temevo di rivivere lo stesso dispiacere. A quell’età non sapevo ancora scorgere né analizzare i movimenti del mio mondo interiore. Comunque l’episodio dell’esclusione mi espose ancor di più al clima familiare che era piuttosto teso, tanto che non c’era nulla che ricordasse anche solo per sbaglio il Mulino Bianco; manco i biscotti di quella marca arrivavano in tavola e difatti bruciavano prima in quell’atmosfera domestica, quasi come delle meteore ignifere. Il mio presunto padre era occupato con le amiche di mia madre e mia madre tra le sue priorità aveva l’onere di soffrirne. Mi ricordo ancora quando il mio presunto padre mi parcheggiava in sala giochi sotto l’egida del titolare (un suo amico) e se ne andava per qualche ora: io passavo i pomeriggi là, con i videogiochi, e mi divertivo.
Immagino che anche la mancanza di una figura paterna abbia contribuito a rafforzare in me una condotta erronea per tutta la fase del mio sviluppo, ma non posso certo negare quanto mi sia piaciuta quella libertà e probabilmente è stata più propedeutica di quanto avrebbe mai potuto esserlo una presenza soffocante.
È troppo facile accusare i propri genitori di essersi comportati male e io non mi avvalgo di una giustificazione del genere, altrimenti oggi, malgrado tutto, non sarei così radicalmente diverso da com’ero un tempo. Nessuno può imparare a crescere un figlio e la pedagogia non è una scienza esatta. Chi mi ha messo al mondo ha provato a tirarmi su, ma sotto molti aspetti ho dovuto rimediare io alle mancanze altrui. Comunque ho goduto anche di alcuni privilegi e ancor oggi devo molto a mia madre, perciò è giusto che io sottolinei anche questo particolare.
In fin dei conti non me la sono mai passata male e se pensassi il contrario allora dovrei proprio chiedermi come valutare le esperienze di quei miei coetanei che sono cresciuti nell’indigenza, tra storie di abusi e indifferenza. Certi figli tendono a fare i vittimisti per non prendersi alcuna responsabilità in merito ai loro demeriti, ma io non ho nulla da rimproverare a nessuno e sono contento di come mi sono corretto. Il mio carattere tra l’infanzia e l’adolescenza mi ha portato a non coltivare amicizie profonde né rapporti con l’altro sesso, infatti mi sono tagliato fuori da molte dinamiche sociali, ma questa mancanza, per quanto possa essere ritenuta gravosa, mi ha facilitato la vita. Oggi sono abbastanza maturo per intrattenere rapporti di ogni tipo e potrei persino avere una relazione, ma sono uno sconosciuto sereno e questo paradosso mi fa morire dalle risate. Va bene così.
Dissertazione faceta sulla serietà moderata della mia illibatezza
Pubblicato giovedì 1 Luglio 2010 alle 02:07 da FrancescoQualche giorno fa ho rincontrato per caso un vecchio compagno di giochi e l’ho salutato prima di accorgermi del suo passaggio all’età adulta, difatti si trovava con la compagna e la figlia neonata al seguito. Cazzo, non sono riuscito a trattenermi quando ho visto il passeggino e invece di complimentarmi per la nascita gli ho detto qualcosa che suonava più come una condoglianza: “Eh, ti è toccata! Che ci vuoi fare!”. Dodici anni fa io e questo tizio mettevamo le caccole sui pollici e le colpivamo con l’indice per bombardarci reciprocamente, bestemmiavamo a ogni piè sospinto e ogni tanto, prima di una serata davanti ai videogiochi, rubavamo qualche lattina di Coca Cola dal ristorante dei suoi genitori. Cazzo, mi dispiace che egli abbia procreato così giovane, difatti ha cinque anni meno di me benché io sia decisamente più infantile di lui. Ricordo ancora quando mi diceva: “Oh, io da grande faccio l’avvocato o l’attore porno”. Immagino che la prima carriera potrebbe ancora intraprenderla se decidesse di affrontare un quinquennio di giurisprudenza, ma sospetto che la seconda ormai gli sia preclusa. Dannazione. Durante l’adolescenza i miei conoscenti erano quasi tutti più giovani di me perché i miei coetanei inseguivano già le fighe. Ormai anche quei piccoli disgraziati sono cresciuti e si sono fatti irretire dalle passioni o da qualcos’altro che ne ha annientato lo spirito di un tempo. Io sono sempre la stessa persona, ho maggiore consapevolezza di me e conosco qualche data storica in più rispetto al passato, ma sono ancora un ragazzino segaiolo che sfrutta ogni occasione possibile per ridere senza freni di sé e del mondo che lo circonda. La sindrome di Peter Pan non c’entra nulla. Di gente immatura n’è pieno il mondo, ma io ho ancora il privilegio di conservare in me qualcosa d’infantile che paradossalmente mi ha permesso di crescere bene e continua a sostenermi sopra la coltre di mestizia nella quale spesso si rifugiano i cosiddetti adulti.
Una mattina della scorsa estate ho fatto impazzire il figlio di nove anni di un’amica di mia madre. L’ho battuto sul suo stesso campo e l’ho portato all’esasperazione con un armamentario verbale e facciale, però alla fine, dopo il piacevole spettacolo della sua disperazione, contro le indicazioni della madre, l’ho fatto giocare a Grand Thef Auto: Chinatown Wars e pare che si sia divertito a spacciare cocaina ed eroina mentre compiva omicidi su commissione per conto di Zhou Ming. Fanculo il metodo Montessori, se avessi meno tempo da perdere offrirei nuove teorie alla pedagogia. Comunque, a parte quest’ultimo excursus aneddotico, anch’io dovrei cominciare a guardare il gentil sesso da un punto di vista che non sia autoptico, ma c’è un’altra congiunzione avversativa che si frappone alla natura condizionale della mia intenzione: “Ma!”.
Insomma, di ragazze avvenenti ce ne sono molte e ogni anno ne nascono di nuove, ma io non ho mai conosciuto né incontrato una ragazza interessante o che io reputassi avulsa dalle banalità. In quanto affermo non incide il livello culturale, bensì la personalità e immagino che a ventisei anni per me cominci a diventare piuttosto improbabile la possibilità d’imbattermi in una ragazza che mi sia affine. La solitudine non mi pesa affatto e anch’io, per quanto ne so, le sto simpatico, perciò la preferisco ai rapporti che scaturiscono dal bisogno e dall’insicurezza, come per altro ho già avuto modo di scrivere e dire in altre sedi. Nel mio comune e nelle zone limitrofe non ho mai conosciuto qualcuno che abbia suscitato in me un interesse vivo. Infatuazioni, tutt’al più, mai partite da me, tra l’altro. Insomma, tutto ciò che ho scritto finora esemplifica in parte le ragioni per cui io preservo la verginità. Certa gente mi considera anormale perché non ho mai avuto una fidanzata né ho mai dato un bacio, ma io compatisco chi invece ha dovuto farlo per sentirsi in linea con gli obblighi virili. In me vivono paradossi che trovo fantastici. Sono disinibito, piuttosto libero, lontano dalla maggior parte delle costrizioni che spesso scaturiscono dal giudizio della collettività (o meglio, di una sua parte, quella trascurabile, per inciso) e tutto ciò lo considero più utile, prezioso e persino più simpatico di qualche episodio orgasmico. Beh, posso dire di essermi fatto con le mie mani, con la sinistra precisamente. È buffa la serietà che taluni attribuiscono a certe cose. Per la chiusa di questo appunto prolisso voglio allegare un video che reputo molto interessante. Nel filmato, precisamente dal cinquantunesimo secondo, Franco Battiato intervista Claudio Rocchi e quest’ultimo racconta una sua esperienza che a mio avviso merita un ascolto attento: io la considero una delle cose più interessanti tra quelle che ho udito negli ultimi tempi.