Pubblicato venerdì 15 Ottobre 2010 alle 00:04 da Francesco
Martedì mi sono recato nella capitale per assistere ad un concerto dei Dark Tranquillity. Il live è stato aperto dai Lunar Sea, un gruppo italiano che io non sono proprio riuscito ad apprezzare malgrado le indubbie qualità. Gli Insomnium sono stati i secondi a suonare e la band finlandese mi è piaciuta molto sotto ogni aspetto, ma d’altronde sapevo già cosa aspettarmi poiché l’ultimo album del gruppo, “Across The Dark”, è stato soggetto a più di un repeat da parte mia. L’unica nota dolente è stata l’acustica dell’Alpheus, appena sufficiente, almeno per me.
I Dark Tranquillity hanno eseguito parecchi pezzi, alternando le tracce dell’ultimo disco alle loro creazioni più note. La voce di Stanne dal vivo è impressionante e mi ha colpito il modo in cui egli cerchi sempre un contatto con il pubblico, tanto che verso la fine del live ha avuto anche le palle di gettarsi tra gli avventori per compiere un po’ di sano stage diving. Erano quasi dieci anni che non ascoltavo nulla dei Dark Tranquillity e questo live mi ha permesso di riavvicinarmi al gruppo svedese, tanto da invogliarmi a rivedere una loro esibizione. Come al solito, durante questo genere di eventi, ho incontrato personaggi piuttosto folcloristici con i quali mi sono intrattenuto a discorrere un po’.
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Parole chiave: Dark Tranquillity, death metal, Insomnium
Pubblicato mercoledì 13 Ottobre 2010 alle 16:22 da Francesco
Nel migliore dei casi resterò a questo mondo per altri settant’anni, ma non ho progetti né idee con cui costipare l’avvenire e continuo a non provare il bisogno di crearmi un’identità precisa per ricavare dal tempo a mia disposizione i germogli dei ricordi futuri. Ancora una volta mi permetto di ospitare una citazione di Emil Cioran sebbene non abbia ancora l’età per poterla condividere pienamente: “Quello che so a sessant’anni lo sapevo altrettanto bene a venti. Quarant’anni di un lungo, superfluo lavoro di verifica…”.
Sono in grado di camminare da solo e posso orientarmi tanto con le scelte ponderate quanto con i colpi di testa benché io non sappia replicare le prodezze di Oliver Bierhoff. Provo una certa insofferenza nei confronti di chiunque non possa guardare dentro di sé o non voglia farlo per timore delle possibili conseguenze, tuttavia riesco a tenermi lontano da individui del genere e adopero paratie di silenzio o d’indifferenza per non deviare troppo l’attenzione da me stesso. Vivo in una democrazia immatura e sono circondato da persone insicure, però, dando un rapido sguardo alla storia e ammettendo che quest’ultima riporti la verità, non posso certo lamentarmi più di tanto del tempo in cui vivo e invero non ne ho motivo alcuno, almeno per quanto riguarda direttamente la mia esistenza. Sono una comparsa, felice di non essere papabile per il martirio. Io seguo l’andamento dei giorni e non ho grandi critiche da muovere a chicchessia. Credo che il bene si affermi da sé e si sviluppi al di là delle intenzioni più feconde.
La mia condotta non è improntata al diniego e alla derisione dei giudizi altrui, ma si premura di limitare le coercizioni più o meno percepibili che possono essere dettate da alcune circostanze. Talvolta appaio sgradevole e sgarbato, ma tali apparenze secondo me costituiscono un prezzo accettabile da pagare per non snaturarmi eccessivamente in un ambiente che pullula di indoli diametralmente opposte alle mia. Non m’illudo d’essere sempre autentico e talvolta, anche a distanza di anni, noto a posteriori l’artificiosità inconsapevole di certe azioni o di determinati ragionamenti. La falsità non si annida soltanto nelle debolezze altrui e non la tratto mai come un corpo estraneo, ma cerco anzitutto di prevenirla in me e non riesco sempre a scongiurare il suo ingresso furtivo nelle espressioni della mia personalità. Non provo sensi di colpa su questo punto poiché si tratta di episodi che sfuggono alla mia coscienza, tuttavia rinnovo a me stesso l’invito a compiere maggiori sforzi per ridurre ulteriormente questa enclave della stupidità.
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Parole chiave: a posteriori, autenticità, difetti interiori, emil cioran, falsità propria, giudizio, introspezione, stupidità
Pubblicato sabato 9 Ottobre 2010 alle 19:02 da Francesco
Un pomeriggio, durante il mio soggiorno a Taiwan, mi recai in una grande libreria di Taipei con l’intenzione di acquistare un paio di libri in inglese e uno dei due fu “The Rape of Nanking” di Iris Chang, di cui tra l’altro esiste anche una traduzione in italiano.
La lettura del testo mi ha portato a diverse conclusioni. Anzitutto mi ha confermato il grado di ferocia che i giapponesi adottarono nel corso della Seconda Guerra Mondiale, di cui supponevo erroneamente che la costruzione della cosiddetta “ferrovia della morte” in Birmania fosse stata la massima espressione. Ho trovato anche una conferma per quanto riguarda l’uso delle bombe atomiche da parte degli Stati Uniti per porre fine al conflitto nel Pacifico. Ho sempre sposato la tesi di alcuni storici secondo cui il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki costrinse l’Impero Giapponese a una resa che nel caso in cui non fosse giunta avrebbe prodotto un numero considerevolmente maggiore di vittime, sia tra le fila degli Alleati che tra quelle del Sol Levante. Ovviamente lo sdegno di alcuni contemporanei non tiene conto di quanto e come si sarebbe protratto il conflitto senza un’azione così drastica che Truman fu ben lieto di non dover compiere una terza volta.
Il massacro di Nanchino secondo me viene giustamente definito come un olocausto dimenticato. Nel mondo occidentale pare che gli ebrei abbiano l’esclusiva sulle persecuzioni e ancor oggi certi politici tirano in ballo la Shoah per argomentare le loro idee con dei parallelismi che ogni tanto si rivelano piuttosto imbarazzanti.
Nell’arco di alcune settimane, a Nanchino, i giapponesi uccisero circa trecentomila civili, ma non si limitarono a compiere un eccidio e dettero prova di un sadismo pari a quello nazista o forse addirittura maggiore in alcuni frangenti. I civili agonizzanti erano usati come bersagli viventi per l’uso della baionetta, le donne venivano mutilate, i genitori venivano costretti ad avere rapporti sessuali con i figli, altre vittime venivano sepolte vive, le decapitazioni erano innumerevoli e i cadaveri (o ciò che ne rimaneva) subivano scempi di vario genere.
Non credo che possa essere istituito un concorso per eleggere il massacro più cruento, tuttavia nei testi di storia che finiscono sui banchi di scuola forse dovrebbe trovare spazio anche questo evento, magari un paio di paragrafi prima di quello in cui solitamente viene raccontato l’operato dell’Enola Gay e del Bockscar.
Infine, oltre alle considerazioni superficiali di carattere storico, ho ricavato l’idea che l’empatia collettiva possa essere una questione prettamente geografica e cronologica. Non importa tanto cosa sia successo, bensì dove e quando oltreché al modo in cui siano rese note le coordinate spaziotemporali. Nella storia come nella politica ci sono troppi paralogismi e faziosità eccessive. Credo che i cambiamenti avvengano inevitabilmente al di là delle idee con cui la superbia dei vincitori (oggi si chiamano “eletti”) prova a rendersene interprete e attuatrice. Determinismo e meccanicismo non sono concetti che mi appartengono. Non disturbo la Terra, la lascio ruotare attorno al suo asse e ringrazio chiunque si prenda la briga di identificarsi con le ideologie o le correnti di pensiero, difatti se non ci fossero così tanti amanti dei giochi di società, anch’io, invece di perdere tempo a scrivere cose del genere, dovrei impegnarmi a mantenere gli squilibri del mondo in cui sono nato.
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Parole chiave: Bockscar, Enola Gay, Hiroshima, Iris Chang, Nagasaki, Nanchino, Nanking, olocausto
Pubblicato venerdì 8 Ottobre 2010 alle 04:20 da Francesco
Non mi sorprende l’efferatezza degli esseri umani. L’epoca presente offre ancora ampi spazi agli istinti peggiori della mia specie, ma nei cosiddetti paesi civilizzati non ci sono deterrenti efficaci per prevenire la brutalità. Non ho una grande considerazione della pena di morte, ma vorrei che fosse applicata contro i vertici delle organizzazioni criminali per impedire agli ergastolani mafiosi di gestire i loro affari dal carcere. Per una serie di reati invece credo che la pena capitale non sia un deterrente valido e difatti apprezzerei oltremodo che un legislatore audace contravvenisse a certe convenzioni per reintrodurre la condanna alla tortura. Simili ragionamenti ovviamente provocano lo sdegno di tutti coloro che stravedono per un garantismo molto comodo all’aspetto moderno e maturo delle loro personalità che evidentemente non è sincronizzato con la realtà attuale. Le utopie viaggiano al passo dell’illuminismo, tutto il resto invece mi sembra che segua un’andatura medievale.
In altre parole, io suppongo che la violenza nelle società sviluppate sia diminuita sotto l’aspetto quantitativo mantenendo invece immutata la sua intensità e immagino che all’abbassamento delle pene non sia seguita una diminuzione della gravità dei reati. A me sembra che il crimine viaggi ad una velocità e la giustizia ad un’altra. Non sono un fautore della violenza e con tutta la cronaca nera che ho raccolto in questi anni mi sono reso immune al trasporto demagogico che di solito segue gli impatti emotivi dei delitti più atroci. Potrei elencare svariati omicidi che hanno scosso l’opinione pubblica nell’ultimo decennio e finirei per paragonare ogni caso ad un lancio del disco per misurarne la lunghezza temporale sulla metratura mediatica. Devono ancora nascere le vittime future e dubito fortemente che la violenza intenda abbassare presto le quote d’iscrizione alla realtà. Non sono in grado d’indignarmi né di stupirmi poiché mi aspetto sempre fatti come quello di cui tutti parlano e che io non voglio neanche nominare poiché sarebbe fuori luogo qualsiasi riferimento esplicito in queste righe trascurabili. Purtroppo giornali e telegiornali avranno ancora edizioni particolarmente remunerative: è soltanto questione di tempo. Ancora una volta, nel buio profondo del presente, io eleggo l’amore per me stesso come faro da cui farmi guidare. Non mi lascio abbruttire dalla parte peggiore della Terra. Mi sforzo di tenere testa alle influenze negative. Poiché non ne sono in grado, non pretendo di cambiare le cose, ma posso evitare che le cose cambino me. Questo appunto è fatto per tre quarti di sfogo mentre la parte restante contiene avvedutezza.
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Pubblicato martedì 5 Ottobre 2010 alle 15:38 da Francesco
Ho iniziato la stesura del mio terzo libro prima del previsto, ma probabilmente non sarei stato così celere se non avessi accettato un contratto editoriale di tre anni. Intanto la mia esistenza procede bene e segue i ritmi ai quali è abituata. L’attività fisica, la lettura e qualche distrazione solitaria mi accompagnano a ridosso del futuro. Non ho preoccupazioni e non ho motivo alcuno per supporne l’imminenza.
Talvolta può apparire dissonante il rapporto tra il tempo e i significati con i quali viene riempito. Cerco di fuggire da parecchie forme di identificazione per evitare di mettere la mia felicità nelle mani degli eventi, ma non sono ancora in grado di svincolarmi coscientemente da ogni morsa di questo genere. Pago il prezzo della mia giovane età e per questa ragione vedo ancora orizzonti tanto meravigliosi quanto inesplorati nel potenziale emotivo delle relazioni possibili tra persone.
Per diverso tempo ho creduto di essere un portatore sano di anaffettività cronica, ma in seguito ho dovuto ricedermi perché sono stato confutato dall’esperienza. Per quanto siano rare, ancor oggi non mi sottraggo da quelle occasioni casuali che in un modo o nell’altro mi permettano di conoscere in maniera più o meno superficiale qualcuno che mi sia affine e dubito che sentirei un moto di piacere in questi casi se io fossi davvero anaffettivo. Finora le conoscenze platoniche da me esperite a vari livelli di approfondimento non hanno portato a nulla, però non credo che bastino un certo grado di affinità e un principio di attrazione per sancire un rapporto autentico. Conosco vari individui che mostrano i segni evidenti della depressione ogniqualvolta debbano affrontare lunghi periodi senza amore o privi di qualcosa che assomigli a quest’ultimo e non è affatto raro che sottraggano il significato a ogni altra cosa durante i periodi di solitudine; tutto ciò avviene tramite il disfattismo, l’autodistruzione e quant’altro sposi la causa del malessere. Per me non è affatto auspicabile un approccio di questo tipo ai rapporti sentimentali ed è forse a causa di questa concezione che io in passato ho sospettato d’essere affetto dall’anaffettività.
Riesco a guardare il vuoto emotivo senza impaurirmi e se un domani dovessi colmarlo non sarà certo il mio mondo interiore a rivoluzionarsi, tuttavia quest’ultimo accoglierà con i dovuti onori e sommo entusiasmo un legame per me ancora inedito.
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Parole chiave: amore per sé stessi, bellezza della vita, calma, equilibrio interiore, libertà emotiva, piacere, semplicità
Pubblicato sabato 2 Ottobre 2010 alle 19:51 da Francesco
A cloudy evening lies above my head and a weak wind blows against the flues. Tonight I don’t plan to break the enduring silence. My thoughts are educated by the respect of happiness and I look at them as peaceful paintings. There are many closed doors in life that I don’t wish to open because their keys show awful shapes. A lot of people blame other people so as to feel better and they act like they can’t achieve their inner wishes. I don’t worry to face my charges and I see no benefit in declaring others guilty. Why in the hell another individual should have the privilege to pay my mistakes in my place?
I had many contacts with those who are victims of themselves even if I’ve never looked for such idiocy. It’s not my fault if disturbed people enjoy me and try to engage conversations. As far as I’m concerned, everyone is free to speak about his problems, however I know that few are able to solve them instead of hiding them along the seasons of life. I guess that inner worlds are under some kind of social Darwinism and thereafter only the fittest minds survive to painful feelings. I got a wise advice from my personal experience: don’t trust someone that doesn’t know himself and don’t bother to know someone that doesn’t trust himself.
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Pubblicato venerdì 1 Ottobre 2010 alle 00:30 da Francesco
Ancor oggi l’amabile Gea osserva e ospita le corse chilometriche di cui il mio corpo oramai non osa più chiedermi conto. Sulla mia tavola abbonda la pasta integrale di farro, ma non devo mai preoccuparmi di prepararne più d’un piatto. Ottobre per me non è un mese d’ottenebramento e ritengo intatto il potenziale di ogni giornata che sia possibile annoverare tra le fila dell’autunno o fra quelle dell’inverno. Mi diletto ancora a tracciare degli ideogrammi su un quadernetto per allenare la memoria e stimolare la curiosità, ma non cerco di penetrare nella lingua giapponese più di quanto riesca a fare attraverso i miei sforzi incostanti. Sono molto contento del tempo che trascorro assieme a me, però spero di non diventarne troppo geloso. Oltre a un certo equilibrio interiore, posso anche usufruire delle tranquillità in cui versa al momento la zona geografica in cui risiedo e questi privilegi, per taluni scontati, tutt’oggi restano utopie ad alcune centinaia di chilometri a sud della mia regione. Io vivo quieto mentre l’esasperazione si prepara ad armare la gente onesta e qualora dovesse riuscirci io seguirò senza stupore i moti violenti. Sono pronto ad andarmene lontano al primo segnale d’instabilità della mia nazione e già posso immaginare le parole di commiato: “Amata patria, mai t’ho amato”.
Tra i miei pensieri, contro ogni aspettativa, ricorre ancora Ipazia di Alessandria e avverto un lieve disagio perché al desiderio di parlarle si contrappone la necessità di non farlo. Se io negassi questo conflitto d’intenti peccherei di rigore nei miei confronti. Le riconosco il merito involontario d’aver smosso il mio interesse dopo anni di staticità e mi piacerebbe incolparla del silenzio che ci siamo imposti se la realtà dei fatti mi consentisse di farlo. Vorrei conoscere i suoi recessi e mi piacerebbe indagare le promettenti avanguardie d’affinità che adesso sono trincerate nel mio manicheismo. Evidentemente vive anche in me e gode di buona salute quel bisogno congenito di complementarietà e mutue attenzioni, tuttavia non pretende più di quanto io abbia e placido accetta la sua nullatenenza. Ai piedi di queste righe resta ancora una volta un fiore di ninfea con il suo significato mitologico. Contento e incompleto saluto il nuovo mese con lo sventolio di una contraddizione piacevole.
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Parole chiave: calma, Gea, Ipazia di Alessandria, ottobre, tranquillità
Pubblicato domenica 26 Settembre 2010 alle 01:10 da Francesco
Ancora una volta semino annotazioni aperiodiche, brevi e prive d’impegno che concernono i miei gusti musicali: la grande giostra della soggettività.
Coats of Arms è l’ultima fatica dei Sabaton. Apprezzo molto questo album, sebbene lo ritenga inferiore al precedente The Art of War. Mi esalta molto la prima parte del disco e non mi piacciono granché le tracce conclusive. Ho l’impressione che rispetto ai lavori precedenti le tastiere trovino più spazio senza snaturare il suono tipico della band. “Uprising” è mio il pezzo prediletto ed è anche accompagnato da un video che a mio modesto avviso è un piccolo gioiello.
Questo disco degli Skelator sembra uscito dagli anni ottanta e invece appartiene all’anno corrente. Death To All Nations è un album solido, completo, ricco di passaggi esaltanti che mi inducono a stringere i pugni verso il basso e ad alzare il capo per eseguire qualche acuto in playback. Per certi versi il suono della band mi ricorda quello dei Sanctuary su Refuge Denied e questa associazione di idee è senz’altro il prodotto di un effetto positivo. Non ho una traccia preferita poiché apprezzo la prima, l’ultima e quelle che ci sono in mezzo, ma se dovessi sceglierne una probabilmente opterei per la seconda: “The Truth”.
The 3 Day Theory per me è l’album migliore di Killah Priest, leggendario rapper d’oltreoceano che gravita attorno al Wu-Tang Clan. In quest’ultimo lavoro il flow, i testi e le basi sono ai massimi livelli, almeno per i miei gusti. Le collaborazioni abbondano, ma non mi disturbano affatto. Sulle quindici tracce che compongono il disco per me svetta “Betrayal”, la quale contiene un campione meraviglioso di un pezzo soul di Millie Jackson, ovvero “Child of the God” (già usato da altri produttori seppur in maniera diversa).
Non ascolto molta musica classica, o almeno non quanta dovrei poiché richiede un certo grado di attenzione per un orecchio profano come il mio. Di solito prediligo i requiem, ma non sono prevenuto nei confronti delle composizioni e allo stesso tempo dubito che tutta la musica classica sia apprezzabile, malgrado la riverenza di certi ascoltatori. Die Kunst der Fuge è un’opera di Johann Sebastian Bach di cui io fruisco tramite un’esecuzione diretta da Jordi Savall e la riporto in queste righe perché ultimamente l’ho ascoltata più volte.
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Pubblicato venerdì 24 Settembre 2010 alle 01:04 da Francesco
Sul globo terrestre si susseguono eventi di grande portata che fanno da sfondo a miliardi di mondi interiori, però tra le priorità della mia vita v’è l’urgenza di rivedere “I quattro dell’Oca selvaggia”: ne abbisogno seriamente. Su un altro fronte, ben diverso nello spazio e nel tempo da quello in cui operò il colonnello Allen Faulkner, m’è giunto un dispaccio interessante. Una casa editrice ha esaminato il mio secondo libro e mi ha proposto di pubblicarlo senza chiedermi contributi economici; d’altronde ho scelto in modo oculato a chi spedire il testo e mi sono premurato di non inviarlo a chiunque richiedesse l’acquisto di copie o altre forme d’esborso monetario. Gli editori a pagamento mi fanno ridere e per me sono semplicemente dei tipografi mascherati che lucrano sulle velleità artistiche delle persone più ingenue, perciò apprezzo molto l’offerta che mi è stata sottoposta e intendo accettarla. Il contratto prevede una tiratura di mille copie per la prima edizione, tuttavia sulla vendita delle prime cento non mi verranno corrisposti i diritti d’autore e ritengo che questo particolare sia giusto. La distribuzione dovrebbe toccare una parte della Svizzera oltre all’Italia. Qualora tutto andasse in porto, la pubblicazione dovrebbe combaciare con l’inizio del nuovo anno.
Non sono molto sorpreso benché non mi aspettassi una risposta e tanto meno una così celere. Nel corso degli anni il mio stile è stato elogiato in diverse occasioni, ma io ho conservato soltanto i complimenti disinteressati e la piaggeria l’ho sempre fatta scivolare nella raccolta differenziata dei rifiuti. Non intendo assolutamente identificarmi con gli aspetti positivi di questa storia e non sono disposto a cedere neanche un millimetro di me alla boria né ad altre puttanate del genere, ma sono pronto a ripagare la fiducia dell’editore e per questa ragione, nel caso in cui tutto dovesse procedere bene, non avrei problemi a svolgere le attività di promozione: presentazioni et similia. Comunque, giusto per tornare all’ordine delle priorità: non dispongo ancora de “I quattro dell’Oca selvaggia” e dunque devo optare per “Programmato per uccidere” con Steven Seagal. Fanculo al cinema d’essai, almeno per il mese presente e quello venturo.
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Pubblicato lunedì 20 Settembre 2010 alle 00:54 da Francesco
Non ho sogni da inseguire benché mi piaccia correre. Per me la frustrazione e la bramosia sono simili al bastone e alla carota, ma ancor oggi queste forze opposte e complementari trainano lo sviluppo della mia specie. Non ho contributi da infondere nel mondo e per tale mancanza chiedo venia anche alla consorte di quest’ultimo: la storia. Sono di passaggio da queste parti sebbene al momento non riesca proprio a ricordare la mia destinazione né ove sia cominciata questa gita fuoriporta. Forse dovrei consultare qualche testo sacro per ovviare alla mia smemoratezza, ma nutro il sospetto che gli elenchi telefonici contengano indizi più attendibili.
Gli assetati di potere fanno bere molte cose alle persone meno ambiziose, però questo atto di carità non incontra sempre l’apprezzamento di taluni e in particolare di coloro che preferiscono gli stuzzichini a base di utopie fuori luogo, fuori tempo e fuori portata. Pace e prosperità forse verranno servite al gran rinfresco del futuro, perciò chiunque tra i presenti le voglia assaporare deve recarsi al di là dei limiti biologici. Io opto per un digiuno terapeutico e per ora non sento le farfalle nello stomaco. Cumuli di nozioni, manciate di esperienze e un velo d’individualismo sono gli ingredienti fondamentali per preparare l’impasto dell’identità, ma è possibile scegliere quale forma adottare tra quelle disponibili nell’epoca vigente e sbizzarrirsi con la fantasia per crearne altre d’aggiungere alle più famose: la stellina di David, i disegnini pagani e le crocette cristiane. Al posto del sale in zucca certuni preferiscono quello nei sacchetti per proteggersi dal malocchio e dal lume della ragione. Se sapessi giocare a domino userei le rune come pezzi per le partite. L’analfabetismo scongiura il pericolo che un individuo possa leggere il proprio oroscopo, perciò ne approvo l’insegnamento nella scuola italiana. Ho ragione di credere che il mio ascendente sia una nerchia in fase di masturbazione. Non attendo smentite né messia, perlomeno non a cena.
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