18
Feb

Questioni editoriali

   

Pubblicato venerdì 18 Febbraio 2011 alle 19:05 da Francesco

Tra me e la mia casa editrice c’è una questione insoluta legata alla SIAE, un ente che secondo me dovrebbe scomparire assieme ai suoi fautori. Probabilmente questo bracco di ferro finirà con la risoluzione del contratto, senza tarallucci né vino di cui non sentirò certo la mancanza poiché in questo periodo non tocco dolciumi e sono astemio: al massimo potrei usare il vassoio come corpo contundente. Ho ventisei anni e mi sento appagato. Su di me non c’è nessuno che possa fare leva sul narcisismo artistico poiché quest’ultimo io non lo conosco, tuttavia quando sono in forma devo ammettere che pratico l’autocompiacimento davanti allo specchio ed è questo che io voglio riprendermi dopo il soggiorno nipponico. A me non frega una beneamata minchia di pubblicare a tutti i costi il mio secondo libro.
Qualche mese fa ho deciso di confrontarmi con l’editoria italiana poiché ritenevo che fosse un atto dovuto verso la mia scrittura, ma non mi aspettavo nulla pur riconoscendo al mio scritto un certo valore. Non ho bisogno di critici per valutare il mio operato e difatti ho evitato di spedire il mio primo libro in giro per l’Italia poiché non soddisfaceva i miei canoni. Ovviamente mi sarebbe piaciuto avere le spalle coperte da una casa editrice e fruire della possibilità di fare lo scrittore. La vita è fatta anche di rinunce, ma le mie sono poca cosa rispetto a quelle di tanti altri. C’è chi immola la propria felicità per pagarsi un abbonamento vitalizio al senso del dramma e vivere in base alle scelte che altri hanno preso per lui. Come la stragrande maggioranza delle persone io non sono completamente libero, però lo sono in larga misura dalle catene che potrei impormi e questo è un privilegio tale che per taluni risulta addirittura inconcepibile. Probabilmente non sarò mai nessuno e nessuno mai mi farà la cortesia d’aprirmi il suo cuore, però cazzo, quanto mi diverto in questa vita. Intanto che i miei simili si struggono, inseguono successo o potere, io mi diletto ad ascoltare Nuvole Senza Messico di Giorgio Canali e Rossofuoco.

È la vita che va è la vita che va,
è una piccola morte che viene
esercizi di stile che scorrono nelle vene

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17
Feb

Archivio onirico: sogno n. 3

   

Pubblicato giovedì 17 Febbraio 2011 alle 11:02 da Francesco

Questa sogno è stato un po’ inquietante, però non lo definirei un incubo. Mi trovai dentro un treno merci assieme ad una ragazza di cui rammento soltanto le labbra sottili. Dopo un arco di tempo imprecisato capitai in una città fatiscente della seconda metà del novecento e già nel corso del sogno mi sembrò che questa fosse situata in Corea del Nord. Provavo un certo disagio in mezzo a quelle strade urbane e stavo attento a non dare nell’occhio per evitare i controlli della polizia. D’un tratto fui affiancato da un autobus nero, dalle forme tondeggianti, sul quale si trovava anche la ragazza che precedentemente era stata con me dentro il treno merci. L’autista dopo essersi fermato aprì le porte del mezzo e la ragazza di cui sopra mi invitò ad entrare. Io le risposi che non avevo soldi per il biglietto e lei, a sua volta, disse che bastava un documento d’identità, ma io non disponevo manco di quello e mi allontanai in tutta fretta fino a raggiungere un attraversamento pedonale. Attesi il semaforo verde, ma quando fui ancora a metà strada per arrivare dall’altra parte, la luce divenne rossa e allora seguii quella verde di un altro semaforo. Mi ritrovai in un parco affianco al quale c’erano svariate rovine. Dei ragazzi giocavano a pallavolo, ma ce n’era uno che aveva una palla bianca e la lanciava continuamente contro una parete piena di crepe. Ad un certo punto quella palla bianca finì al secondo piano di un palazzo distrutto che confinava con il campo di gioco e ricordo il contrasto che il colore niveo della sfera suscitò in me quando balzò sopra due aste arrugginite della struttura portante.
Prima di questa scena mi affiancai ad un muro per lasciar passare alcuni bambini che correvano assieme a dei tutori piuttosto anziani. Dopo tutto ciò mi ritrovai a camminare su un terrapieno e mi parve di essere seguito. Da questo momento in poi l’inquadratura del sogno passò alle mie spalle e vidi alternarsi dietro di me due gemelli e un terzo tizio che sembrava il loro capo. D’un tratto costoro mi fermarono e sorridendo mi dettero del denaro. Capii che per salvarmi la vita io dovevo sembrare entusiasta di quell’elargizione e così feci. Quando ripresi a camminare, questa volta senza essere seguito, guardai le banconote e vidi che erano stampate soltanto su di un lato. Non ricordo altro.

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16
Feb

Ematuria, che passione!

   

Pubblicato mercoledì 16 Febbraio 2011 alle 12:47 da Francesco

Sono tornato in Italia la sera del nove febbraio e nella tarda mattinata del giorno seguente ho corso per ventuno chilometri seppur con un tempo lontano dalla mia media. L’undici febbraio ho ripetuto lo stesso percorso, ma al quindicesimo chilometro mi sono fermato per fare un po’ di stretching poiché sto lavorando sull’elasticità delle gambe per eseguire lo yeop chagi. Prima di riprendere a correre ho svuotato la vescica e per la seconda (e mi auguro ultima) volta nella mia vita ho pisciato sangue. Sono tornato a casa camminando, senza sforzarmi. Non ho avvertito dolori sul momento né in seguito. Ormai so di cosa si tratta: è disidratazione. Quando i reni non trovano più acqua, attingono dal sangue e l’ematuria è servita. Non è nulla di grave, però devo stare attento. Ultimamente bevo almeno due litri d’acqua al giorno ed eseguo solo esercizi di stretching e con i pesi. Ho rivisto anche la mia alimentazione poiché per un po’ di tempo dovrò fare a meno del dispendio calorico causato dalla corsa.
Ogni tanto si dice che qualcuno si allena fino a sputare sangue, però io che ho la faccia come il cazzo ho preferito pisciarlo. La corsa è estenuante e chiunque si sia spinto oltre o quasi i propri limiti in questa disciplina sa quanto essa sia meritocratica. Se io non avessi mai cominciato a correre non so neanche se oggi sarei ancora vivo. Quella fatica solitaria per me è stata come una madre severa e buona allo stesso tempo. Dalle prime corse incerte di pochi chilometri alle mezze maratone ho imparato ciò che nessuno poteva insegnarmi e ho affermato la mia volontà di vivere. Avrei voluto scoprirla prima, ma ormai sono anni che ne traggo beneficio e mi ritengo fortunato. Ricordo un tardo pomeriggio d’alcuni anni fa, quando lacrime di gioia si mimetizzarono nel sudore al mio arrivo ad una certa altezza rispetto al livello del mare. Mi amo e questo è un fatto incontrovertibile. Riprenderò a correre quando mi sentirò pronto e sicuro, ma fino ad allora il mio allenamento verterà sulla pesistica e sugli esercizi di estensione. Nei prossimi mesi aumenterò la massa muscolare e la flessibilità delle gambe, però avvertirò la mancanza della corsa e i bagni d’umiltà a cui mi sottopone sempre, immancabilmente.

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14
Feb

Archivio onirico: sogno n. 1 e sogno n. 2

   

Pubblicato lunedì 14 Febbraio 2011 alle 19:19 da Francesco

D’ora in avanti cercherò di appuntare spesso i miei sogni per organizzare il mio materiale onirico ed eventualmente avvalermene per scopi introspettivi.

Sogno n. 1

Questo sogno cominciò con una panoramica sullo skyline di una metropoli. Presto mi ritrovai a guardare con i miei occhi una scena statica in bianco e nero. Ricordo che all’improvviso vidi tre funghi nucleari e provai una paura profondissima. Fui scosso dallo spavento, ma quest’ultimo fu interrotto da voci sconvolte che mi pregarono di seguirle per sfuggire alla minaccia. Seguii quei richiami e d’un tratto il sogno prese a svolgersi in un sotterraneo. Da questo momento in poi non riesco a rammentare granché. Comunque, ad un certo punto, mi ritrovai dinanzi a una donna imbolsita, dai capelli neri, d’età compresa tra i trenta e i quarant’anni: costei non mi disse nulla e si limitò a osservarmi con un’espressione in cui si fondevano la sorpresa e la diffidenza. Infine scappai dal luogo in cui ero capitato e durante la fuga mi resi conto che le voci iniziali avevano mentito. Devo annotare che tutto il sogno, o almeno la parte che d’esso m’è dato ricordare, m’è apparso in bianco e nero.

Sogno n. 2

Questo sogno fu molto breve e intenso. Mi ritrovai a camminare su un ponte autostradale sotto cui scorreva un fiume. Era giorno e il cielo era annuvolato. All’improvviso sopraggiunse un’auto e fece una manovra brusca per fermarsi davanti a me. Il guidatore mi osservò con severità, ma io guardai la donna spaventata che stava sul sedile del passeggero. L’auto fece marcia indietro e finì nel fiume come se non ci fosse stata alcuna barriera, ma prima della caduta la donna gridò forte: “No!”. Io corsi subito a vedere che fine avesse fatto la vettura e ricordo un lungo silenzio.

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12
Feb

Stephania

   

Pubblicato sabato 12 Febbraio 2011 alle 20:25 da Francesco

A me piace prendere le cose di petto, proprio come una ninfomane giunonica. La scorsa estate il caso mi ha portato a scambiare alcune opinioni con una ragazza partenopea. Costei m’affascina e vorrei approfondire la sua conoscenza o, alternativamente, mi piacerebbe estradarla dai miei pensieri. Pur non conoscendola io intuisco qualcosa di estremamente adorabile in questa figlia del Mezzogiorno.
Com’è fatta Stephania? Dunque, è piuttosto esile e conserva un’apparenza efebica. Ha un naso che ricorda un po’ quello di una befana, però si sposa benissimo con il resto del volto e poi è il segno distintivo dell’epifania (nel senso più profondo del termine) che ella rappresenta.  Adoro i lineamenti lievemente aguzzi. Non è bionda né ha gli occhi chiari, però non me ne frega un emerito cazzo e ciò mi sorprende. Oibò. Non è procace. Per sbirciarle la scollatura credo che occorra tendere il collo. Insomma, non potrà mai avere il suo quarto d’ora di fama grazie al suo décolleté, però dentro il cranio ha tante cosette che possono garantirle una felicità vitalizia.
Abbiamo appurato che il suo sguardo non brilla di luce propria, però ella ha un taglio degli occhi che io trovo favoloso. Insomma, Stephania è una figliola che presenta un’estetica armoniosa, in cui ogni parte è nel posto che le spetta e alla giusta distanza dalle altre. Costei esprime quella classicità di cui è imbevuta la sua esperienza. Visto che lei capita puntualmente sui miei appunti io mi sento autorizzato a visitare altrettanto puntualmente la sua pagina di Facebook. Cazzo, questo gioco voyeuristico sembra un rifacimento scadente della Guerra Fredda.
Una fotografia recente ritrae la suddetta con un bambino in braccio e appena l’ho vista io ho pensato subito a Medea. Nell’immagine Stephania sembrava intenta a compiere delle prove tecniche di maternità, però non escludo che in lei possa celarsi un’infanticida. Comunque quello scatto mi è piaciuto molto e mi ha fatto riflettere sulla paternità. Devo confessarlo: mi sarebbe piaciuto infiltrarmi in quella foto e accettarne la staticità, magari cingendo delicatamente i due soggetti che già vi si trovavano di diritto. Stephania ha un’aura pudica, però non so di cosa sia fatta: dramma, scelta, educazione o caso, chissà. Non dialogo con lei e un po’ me ne dispiace, però cerco di spintonare via le fantasie amorevoli che ha suscitato in me dopo oltre due anni in cui non ne ho esperita neanche una. Ovviamente non posso disfarmi di certi pensieri da solo e come al solito il tempo mi aiuterà, seppur con i suoi tempi. Questo è il passato che si ripresenta e gli esiti possono essere soltanto due: uno manco si presta alle parole per quanto è ineffabile e l’altro invece riguarda i confini del dimenticatoio. Per fortuna non ci sono vie di mezzo in questi casi. A suo tempo avrei abbassato ogni difesa per stare con L. poiché avevo avuto modo di conoscerla e confrontarmici, ma alla fine lei ha imboccato (in tutti i sensi) un’altra strada. Oggi abbasserei ogni difesa per cominciare a conoscere Stephania, ma non c’è comunione d’intenti. Queste righe almeno mi dimostrano quanto io sia disinvolto e ben disposto verso ciò che faccia anche lontanamente pensare all’amore e quest’ultimo esiste al di là dei nomi nei quali lo si può incarnare: viverlo autenticamente è un privilegio, ma lo è anche ponderarlo senza che inevitabili delusioni e rifiuti precoci ne alterino la percezione. Questa volta ho scritto delle belle cose.

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10
Feb

Let’s twist again

   

Pubblicato giovedì 10 Febbraio 2011 alle 11:27 da Francesco

A me il volo è andato bene, ma ad un passeggero giapponese un po’ meno poiché all’arrivo è stato accolto da una squadra medica. Quando mi è possibile cerco di evitare la compagnia di bandiera, ma questa volta la sua offerta era molto vantaggiosa. Credo che il volo migliore io lo abbia fatto con la Finnair, poiché l’avvenenza delle assistenti di volo e l’altitudine a cui mi trovavo mi facevano pensare all’ascesa delle valchirie. Mi piace transitare sulle nuvole e vorrei poterci saltare sopra velocemente per spostarmi di gran carriera da un continente all’altro.
Devo già riappropriarmi delle mie abitudini. Non ho affatto dimenticato l’obiettivo d’eseguire lo yeop chagi e riprenderò subito ad allenarmi per riuscire ad assumere quella posizione. Durante gli ultimi trenta giorni ho preso un chilo e mezzo che provvederò a smaltire prima di marzo. Mi sento particolarmente bene e incline a compiere sforzi d’ogni sorta. Tanto per restare in ambito felino, a me caro, già rivedo le cose con gli occhi della tigre.
Ho deciso di rinunciare all’idea che aveva caratterizzato il periodo precedente alla mia partenza. Ho avuto un’esposizione così massiccia al Sol Levante che è venuta meno la spinta di approfondire la lingua nei termini che mi ero ripromesso. Continuerò a collezionare kanji nella mia memoria poiché credo che lo studio degli ideogrammi possa tenere la mia mente allenata. Scongiurerò il pericolo di crogiolarmi su certe cose. Devo essere meno categorico, altrimenti rischio di far cadere troppo intonaco dalla coerenza.

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5
Feb

Osaka, Nara, varie ed eventuali

   

Pubblicato sabato 5 Febbraio 2011 alle 21:47 da Francesco

La mia partenza è vicina. Tra qualche giorno sarò di nuovo in Italia e resterò uno straniero, però questa condizione mi aggrada e mi diverte. Ho compiuto una visita doverosa a Nara e l’ho trovata un po’ troppo a misura di turista, però questa impressione non mi ha impedito di apprezzarne l’atmosfera. Credo che ricorderò a lungo l’imponenza del Buddha (Daibatsu) che si trova nel tempio Todai-ji.
Durante gli ultimi giorni ho giocato a calcio. La prima partita l’ho fatta circa una settimana fa dalle parti di Ebisucho con alcuni ragazzini: per un pomeriggio mi sarebbe piaciuto riprendere a noleggio l’età che fu anche mia.

Recentemente ho scoperto il parco di Nagai e là ho trovato persone più grandi con cui giocare, perciò ho cominciato a frequentarlo per unirmi a partitelle con un maggiore coefficiente di difficoltà. Tra un match e l’altro ho conosciuto due inglesi e un giamaicano con i quali ho scherzato ampiamente sul Giappone, sui giapponesi e, più in generale, sul mondo intero. Finora all’estero sono sempre entrato in contatto con individui interessanti, ma d’altronde credo che una mente aperta costituisca un requisito importante per recarsi e sostare in certe parti del mondo senza negarsi a sé stessi né agli altri.

Torno volentieri nella mia terra benché uomini indegni di vivere la offendano sulle carte dei progetti ecomafiosi. In Italia regna l’ignoranza e talvolta chi le si oppone lo fa soltanto per interpretare un ruolo che gli permetta di prendere parte al gioco di società.
Una volta a casa dovrò scambiare qualche parola con il mio editore poiché c’è una questione contrattuale ancora aperta che ritarda la pubblicazione del mio secondo libro. Non mi piace affatto il mondo dell’editoria, specialmente quella parte in cui transitano gli scrittori emergenti, perciò sto pensando di farne a meno poiché esistono valide alternative per la distribuzione e io non ho alcuna pretesa in termini remunerativi né in termini di fama. Scrivo cose che vorrei leggere: questo è quanto. Entro la fine dell’estate potrei concludere il mio terzo libro poiché ho già scritto ventuno pagine e di solito mi fermo poco dopo le cento. Ho buttato giù qualche testo e vorrei registrarne almeno una parte su alcune basi di mio gradimento che ho raccattato un po’ di tempo fa. Ne farei volentieri a meno, ma nella musica italiana non ci sono molti testi che mi piacciano e dunque devo registrarmene qualcuno. Probabilmente sarò costretto a emulare quanto ho già fatto in passato per sopperire alle mie mancanze tecniche, tuttavia sono indeciso se ricorrere ad autotune o meno. In Italia ci sono ottimi musicisti, ma sono pochi coloro che riescono a dirmi qualcosa e il signor Brondi, per altro mio coetaneo, è tra questi. “Con le nostre discussioni serie si arricchiscono solo le compagnie telefoniche”.

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29
Gen

Emissioni notturne

   

Pubblicato sabato 29 Gennaio 2011 alle 19:08 da Francesco

Trasudo pace. Dov’è la nostalgia? Nei miei viaggi non fiorisce mai perché le erbacce si vergognano a crescere nei giardini pensili. Al tatto manca un po’ la morbidezza dei miei gatti, gli unici felini che m’è dato carezzare benché io adori l’intera famiglia e provi soltanto un doveroso senso di rispetto per il resto del regno animale. Il puma, il giaguaro, la tigre, la lince: tutti intenti a sbranare il topo, l’elefante e i due liocorni. Trovo che i pronomi possessivi stonino di fronte agli esseri senzienti, ma d’altronde costituiscono il dazio cacofonico da pagare per mantenere un briciolo di chiarezza.
Non riesco a capire se mi sembrino più divertenti quei giapponesi che provano ad assomigliare agli occidentali o quegli occidentali che cercano di fare l’inverso. Anche in Giappone, come del resto in ogni parte del mondo in cui non regni la fame o la Sharia, credo che l’uso degli strumenti per il maquillage dovrebbe essere soggetto alle stesse norme che regolano il porto d’armi. Secondo me certi modi di truccarsi deturpano il viso quanto un colpo di fucile a pompa in pieno volto, perciò penso che la Beretta potrebbe tranquillamente entrare nel mercato della cosmesi e finalmente le vittime fashion diventerebbero tali in senso letterale. In realtà non ho nulla contro le mode poiché dietro le stronzate che le compongono ci sono dei posti di lavoro. Io sembro un pezzente, ma in realtà sono un minimalista. Ho la barba incolta, ultimamente indosso dei pantaloni del Bayern Monaco, una felpa del Liverpool e un paio di Nike nere che presto dovrò cambiare.
Quando tornerò in Italia ricomincerò subito ad allenarmi. Ho voglia di correre e di alzare pesi. Mi manca l’attività fisica nonostante le lunghissime camminate di cui mi rendo protagonista ogni dì, manco dovessi sostenere delle prove per capeggiare un nuovo Esodo. Comunque sono contento, pago, disinvolto, sciallato, come dicevano i giovani un tempo, ovvero alcuni di coloro che oggi puntano le dita ormai trentenni contro le nuove generazioni: le prediche sono imperiture, santi numi! Nel mio lettore mp3 girano parecchie cose, tra cui un pezzo di James Senese (già una volta apparso su queste pagine) nel quale mi rispecchio tantissimo: è la prima scelta quando, stufo di velare il mood musicale con un po’ di malinconia, voglia riportarlo in crescendo, dimensione a me congeniale. Amen, cazzo, perché sono pieno di grazia. “D’int ‘a capa so’ vivo so’ vivo je nun tengo età”.

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26
Gen

Tra le strade, i pensieri e l’eterno ritorno

   

Pubblicato mercoledì 26 Gennaio 2011 alle 17:07 da Francesco

Qualche giorno fa sono stato dalle parti di Shin-Imamiya, che assieme a Nishiniari è considerata una delle aree più pericolose di Osaka e dell’intero Giappone. In realtà la zona non presenta rischi e la sua nomea è ingiustificata, tuttavia pullula di senzatetto e disperati di vario genere che vagano storditi come dei morti viventi in mezzo alla sporcizia e al degrado. Durante la camminata ho avuto l’impressione di trovarmi in un manicomio a cielo aperto, ma con pazienti placidi, sedati dal dolore e dalla vergogna. La microcriminalità è pressoché assente. Insomma, nel caso in cui s’intendesse davvero classificare Shin-Imamiya come una zona pericolosa, allora bisognerebbe alzare (o meglio, abbassare) le quotazioni di altri posti sulla base della semplice fama, perciò lo Zen di Palermo, Secondigliano a Napoli o una qualsiasi banlieue dovrebbero essere equiparati all’Iraq.

Alcuni occidentali idealizzano molto il Giappone poiché fruiscono in maniera più o meno massiccia dei prodotti d’intrattenimento che alienano una buona parte dei giapponesi, insomma le bazzecole da otaku. Sono figlio degli anni ottanta, perciò ho guardato i cartoni animati nipponici, ho giocato con parecchi videogiochi del Sol Levante, ma almeno i manga, fatta eccezione per Jiraishin, non hanno attecchito su di me. Preferisco altre letture ai fumetti, tuttavia non voglio essere altezzoso e credo che le une possano tranquillamente convivere con le altre. La cortesia giapponese è rinomata in tutto il mondo e costituisce uno stereotipo vero, però è tremendamente meccanica e a tratti mi sembra davvero di trovarmi in un incubo orwelliano. In Italia certe volte pare quasi che il venditore venga infastidito dal cliente, mentre in Giappone quest’ultimo è sempre rispettato e riverito. Ho l’impressione che l’italiano medio confonda la libertà con la pretesa d’essere il centro dell’universo, mentre la controparte giapponese mi sembra soffocare in una spersonalizzazione vorticosa. Io non mi rivedo affatto nella società italiana né in quella nipponica e credo che siano le due facce della stessa medaglia. Ripeto: mi piacerebbe lavorare in Giappone per sei mesi o un anno (magari come lettore d’italiano), però non ci vivrei mai a meno di non essere costretto da cause di forza maggiore.

Qualche volta certi italiani mi chiedono come siano le donne giapponesi e le mie risposte a domande del genere si tingono sempre d’ironia. Cazzo, non conosco manco le italiane, cosa potrei mai narrare di quelle con gli occhi a mandorla e le gambe storte? Esteticamente non mi attraggono molto le ragazze asiatiche sebbene ve ne siano di avvenenti: comunque a me pare che sfioriscano presto. Non potrei mai avere una fidanzata orientale poiché ritengo la comunicazione un perno imprescindibile in un legame affettivo, sebbene qualcuno per confutarmi possa ricorrere alla retorica del linguaggio universale del corpo e delle emozioni. Ammesso che in futuro una ragazza entri nella mia vita, ho ragione di credere che costei sarà un’italiana (tale per sbaglio) o un’anglosassone. Se ragionassi con organi non deputati a farlo forse mi risolverei a studiare il finlandese. Per me la cultura è un elemento estetico, indipendente e allo stesso tempo notevolmente minore rispetto alla personalità di un individuo, e per poterne godere credo che non debbano esserci barriere linguistiche. Eros e logos sono simbiotici, ma qualcuno cerca sempre di contrapporre l’uno all’altro per rendere più sopportabile nei suoi legami la mancanza eccessiva di uno dei due elementi. Fottere senza parlare né capirsi è come parlare e capirsi senza fottere. Del triumvirato mi mancano due terzi, perché finora nella mia vita ho parlato, però forse non mi sono fatto capire (o magari io non ho capito) e per fottere i tempi non sono ancora maturi anche se i fiori cominciano già ad appassire. Inclinazione troppo cervellotica? Eh, beh: fanculo. Tra le tracce di vario genere che ascolto durante i miei vagabondaggi, ce n’è una particolare che in questi giorni metto in repeat piuttosto spesso per infondermi un po’ di sana malinconia, senza eccessi.

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21
Gen

Kameoka, Arashiyama, Hozugawa e occhi azzurri

   

Pubblicato venerdì 21 Gennaio 2011 alle 16:50 da Francesco

Spinto dal desiderio di fare un giro sul fiume Hozu, due giorni fa mi sono recato a Kameoka. Per raggiungere l’imbarco sono dovuto passare da Kyoto, dove poi ho preso un altro treno della linea Sagano fino alla cittadina summenzionata. La mia scarsa conoscenza del giapponese mi ha permesso tuttavia di chiedere informazioni precise per arrivare alla banchina e, lo devo ammettere, sono stato davvero contento di essere riuscito a raccogliere un frutto piccolissimo dallo studio intermittente della lingua.

Il tragitto è durato quasi due ore, nel corso delle quali ho contemplato entrambe le sponde del corso d’acqua, a tratti persino innevate, ma spesso spoglie. Il fiume Hozu offre alcune rocce dalla foggia particolare, tuttavia queste non mi hanno impressionato granché e sono rimasto colpito dall’insieme degli elementi naturali più che da qualche dettaglio. Mi è piaciuta molto l’escursione e vorrei ripeterla durante una giornata primaverile, per farmi rapire dall’incanto roseo dei ciliegi fioriti che già una volta ha sequestrato i miei sensi: mai sindrome di Stoccolma fu più piacevole.

A cotanta bellezza, imponente e algida, s’è aggiunta una visione celestiale. Nel corso della traversata ho conosciuto due ragazze australiane, credo mie coetanee, con le quali tuttavia ho cominciato a parlare in modo più approfondito soltanto ad Arashiyama, quando siamo sbarcati. Insieme abbiamo visitato l’esterno del tempio Tenryu-ji e un bosco di bambù che ho trovato davvero meraviglioso.
Una di queste due ragazze aveva degli occhi azzurri in cui mi sarei perso volentieri per tutto il resto della mia vita, magari a bordo di un’arca, o di una zattera, o semplicemente a cavallo di un canotto gonfiabile a forma di coccodrillo. Inoltre sono stato colpito e affondato dalla nicchia in cui questo sguardo era custodito, ovvero nei lineamenti britannici della ragazza, esponenti essenziali di una normalità stupefacente senza il supporto friabile del make-up. Non mi era mai successo nulla del genere. Avrei voluto conoscere ogni cosa di quella cittadina australiana, parlarle per ore e ore, ma le nostre strade si sono separate alla stazione di Kyoto. Non ho neanche fatto in tempo a dirle quali rare sensazioni aveva suscitato in me, e credo che se lo avesse saputo almeno un po’ le avrebbero fatto piacere le mie parole. Diamine, se credessi al destino dovrei andare a prenderlo per la collottola e redarguirlo: “Oh, ma sono scherzi da fare brutto infame?”. Alla fine sono tornato a Shin-Osaka e poi da qui a Tennoji, dove ho comprato qualcosa da mangiare prima di rincasare ad Abeno. Durante il ritorno ho continuato a pensare a quella visione celestiale e, senza che ce ne fosse ulteriore bisogno, ho compreso quanto sarebbe stato bello condividere certi momenti con qualcuno. Ogni tanto mi pare che le coincidenze s’impegnino a ricordarmi quanto sembra che l’abitudine mi induca a dimenticare. Fino a quando certi eventi avranno una tal presa su di me, io non sarò mai solo pur essendolo fisicamente. Anche stasera, dopo una prima udienza con la rete cigolante del mio letto, lascerò il compito di conciliarmi con il sonno all’immagine che ho incensato finora.

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