Pubblicato martedì 20 Giugno 2023 alle 23:32 da Francesco
Secondo me l’esistenza più alta alla quale un essere umano può ambire è quella dell’anacoreta contemplativo, ossia una vita ritmata dai moti del Sole che sia votata alla meditazione e alla sussistenza, destinata a concludersi con l’inedia: qualcosa del genere è fuori della mia portata, perciò cerco di fare quanto rientri nelle mie corde senza correr l’alea d’impigliarmici. A proposito di corsa, negli ultimi nove giorni ho macinato centosessantuno chilometri giacché la mia idea è quella di mettere volume nelle gambe per tonare alla migliore condizione di sempre e superarla: il giudizio di Krónos è inappellabile perché nell’atletica leggera i numeri non mentono e difatti non ho mai visto una cifra con il naso lungo (tutt’al più qualche quattro scritto male). Mi diverto tanto a giocare con i tempi mentre altri ne scorrono in clessidre invisibili delle quali non mi curo e le cui durate mi trovano al di fuori dei loro effetti, ma può darsi che con l’avvento dei primi caldi io mi risolva a fare qualche bagno in un fiume eracliteo. Oltre del puer che è in me, sempre sia benedetto, sono contento anche per me in quanto allenatore di me stesso, una sorta di senex in comodato d’uso, però non posso chiedere a me medesimo di non essere autoreferenziale o forse posso farlo per confermare vieppiù questa mia natura; si tratta di un cul de sac, il quale per assonanza mi fa domandare se esista un culo che mi piaccia un sacco: v’è da rifletterci e non escludo di farlo quando il cielo stellato sopra di me mi ricordi come dentro di me non alberghi tanto uno chef a cinque stelle quanto un astemio e vegetariano avventore degno di un’osteria, ma soprattutto delle bestemmie ivi echeggianti. Per continuare queste righe estemporanee devo prima assicurarmi che abbia finito di scrivere stronzate: a me care, per carità, ma pur sempre stronzate. Il mio sesto libro si trova ancora a metà della stesura e mi sento un po’ in colpa nei confronti delle pareti che lo stanno aspettando immobili: devo darmi una mossa o prepararne una che giustifichi il mio ritardo al cospetto di quello già maturato da Godot. Ho qualcosa da fare, piccole mete da raggiungere, ma sono epifenomeni e io mi sento uno privo di nome come Clint Eastwood in certi film western o come Tiziano Terzani quando fu a ridosso della sua ultima incarnazione conosciuta (il domicilio biologico). La mancanza di prospettive e di orizzonti mi permette di avere altri tipi delle prime e dei secondi. Non so cosa significhi crescere, fatta eccezione per l’accorciamento dei telomeri.
Pubblicato venerdì 16 Giugno 2023 alle 00:18 da Francesco
Qualche settimana fa ho terminato la gradevole lettura de Il sé viene alla mente, un saggio neuroscientifico in cui Antonio Damasio si avventura in una speculazione volta a rintracciare le fondamenta fisiologiche della coscienza. È un lavoro articolato, certosino, in cui ho trovato una buona esposizione con uno stile potabile, perciò fruibile anche da chi non sia un addetto ai lavori. I miei pochi e sparuti appunti non rendono giustizia al testo. Nello scritto il sé è presentato come un processo diadico diviso in sé-oggetto e sé-soggetto, laddove il secondo deriva dal primo benché il sé-oggetto abbia una portata più limitata: tra i due vi è continuità e progressione, nessuna opposizione. I concetti di proto-sé (sentimenti primordiali), sé nucleare (relazione tra organismo e oggetto) e sé autobiografico (“pulsazioni” del sé nucleare) sono gli stadi che rappresentano l’ascesa del sé alla mente e quindi la nascita della coscienza. In merito alla soggettività Damasio nega a quest’ultima un ruolo alla base degli stati mentali, bensì lo attribuisce alla consapevolezza della medesima: per quanto sottile, a me pare una differenza evidente. Le cosiddette percezioni sono indicate come effetti derivanti dalla capacità del cervello di creare mappe (le quali sono tripartite in enterocettive, propriocettive ed esterocettive): tali mappe pare che si originino in strutture subcorticali che risiedono nel tronco encefalico. A corredo di tutto riporto quanto mi ha fatto ridere di gusto per ragioni sulle quali evito di soffermarmi, ovvero l’affermazione inconfutabile secondo cui l’intenzione di sopravvivere che si trova nella cellula eucariotica è identica a quella implicita nella coscienza umana.
Pubblicato lunedì 12 Giugno 2023 alle 17:43 da Francesco
Ogni tanto il mio spirito d’osservazione mi ricorda quanto sia importante il controllo del respiro e come il giusto ricorso a quest’ultimo sappia scardinare le tante e possibili situazioni della vita quotidiana, però non lo definisco un segreto di Pulcinella giacché la maschera partenopea non si presta bene a una corretta pratica del pranayama. Non amo molto quanti si prendano troppo sul serio, forse perché dubito che ami se stesso chi indulga in un’esasperata considerazione di sé e considero l’amor proprio una conditio sine qua per un principio di simpatia: alla fine dei conti nulla di ciò è affar mio e quindi posso gettare parole al vento senza pretenderne la restituzione completa o parziale. Non sono mai stato in dolce attesa, neanche quando da ragazzino avevo qualche chilo di troppo, perciò non ho aspettative e posso godere dei giorni che si avvicendano come se non avessero differenze. Mantengo la direzione verso una rotta ignota e navigo a vista soltanto quando ho gli occhi aperti, ma certe volte le intuizioni più profonde le colgo negli abissi onirici e purtroppo non riesco sempre a riportarle sopra la soglia della coscienza. Sarei ancora troppo legato a una dimensione carnale e fisica se usassi il Jolly Roger come bandiera per il mio vascello, perciò devo pensare a qualche altro simbolo col quale presentarmi al cospetto del nulla. Non so quante avventure solitarie mi restino ancora da vivere, ma in me perdura qualcosa di primigenio, come se con l’età non avessi perduto l’antica innocenza di chi torna a vivere su questo pianeta. Non mi tuffo di testa nella metafisica d’accatto, nell’esoterismo spicciolo (dove la moneta serve come gettone per comunicare con un al di là interurbano), nelle frasette motivazionali o nei sincretismi pasticciati che hanno come scopo precipuo l’evasione da una realtà prosaica: la mia è una ricerca personale, inconcludente e simpatica, senza pretese né protesi egoiche. Intanto vado, poi vediamo.
Pubblicato giovedì 1 Giugno 2023 alle 02:22 da Francesco
Passa il tempo nel computo degli anni e gli effetti della gravità si mostrano con maggior rilievo su quanti non le si oppongano con lo spirito, il corpo e talora persino con creme anti aging nella misura delle proprie possibilità. Non riesco a ritenere le rivoluzioni quali scopi ultimi nonostante, devo riconoscerlo, siano forme d’intrattenimento che si rapportano alla storia come i luna park alla loro vocazione itinerante: si tratta di entità e di dinamiche di passaggio, di qua e di là, alla stregua di tutto il resto, compresi i saldi di fine stagione e l’ultimo turno dei tardigradi. Cosa devo prendere sul serio? Le cellule? Ma una a una o in qualità di aggregati in perenne mutazione giacché le une non sono mai le altre e l’apoptosi assomiglia più a una conquista sindacale che a un processo evolutivo? Chi siamo, dove andiamo, per quanti prenotiamo nei cieli superni? Io preferirei una singola con vista sull’eternità, ma per il momento mi andrebbe bene anche una torre eburnea. Viene ricercato il possesso nelle mendaci forme della dolcezza, la nozione come arma in luogo della conoscenza, il modo d’essere al posto dell’essere senza modo e così via, fino a certa estinzione e dimenticanza. Nelle scatola dei regoli (forse simile a quella delle regole) non so dove mettere (a sedere o su un piedistallo?) il bene e il male, perciò si accomodino le antitesi e, sebbene orfane, facciano come se fossero nella casa del Padre. Non amo tatuaggi né piercing perciò se avessi un credo, uno qualunque, dovrei tenermi al labbro il suo amo: ecco, questo per me sarebbe davvero insopportabile. Talvolta mi chiedo se abbia fatto bene a non seguire mai uno sguardo, forse anch’esso simile a una professione di fede. Le domande si possono lasciare in sospeso perché prima o poi, in ragione dell’anzidetta gravità, cadranno da sole e si faranno polvere come ogni altra cosa. Nottetempo mi accomodo tra le mie piccole arguzie, o almeno io concedo loro questo nome, mi cullo nelle mie cose che in realtà mie non sono, ma tanto vale scrivere così.
Pubblicato martedì 30 Maggio 2023 alle 22:12 da Francesco
Sulla base del mio trascurabile parere Nazarìn è un film dai contorni mistici e grotteschi, dove registri differenti si uniscono in un connubio di cui, secondo me, Luis Buñuel è indiscutibile maestro per come rende e armonizza elementi all’apparenza contrastanti e contraddittori. In questa storia il protagonista è un sacerdote che si sforza di osservare i princìpi della propria vocazione, ma la sua coerenza, la sua empatia e la sua solidarietà gli cagionano i torti più disparati, fino a quand’egli, dopo un atto di carità, viene tradito dalla meretrice alla quale aveva prestato aiuto e si vede strappare l’abito talare dai propri superiori. Attorno a Nazarìn gravita una corte dei miracoli tramite la quale, per me, Buñuel rappresenta quelle che allora erano le fasce più deboli della società messicana e a mio avviso quest’affresco di umanità (nient’affatto inedito nella sua produzione) gli riesce magistralmente come sempre. Nella mia personale lettura del film vedo la fede come abbandono quale tema portante, difatti Nazarìn non tentenna mai, neanche quando sostiene di avere difficoltà a perdonare un uomo da cui è stato picchiato pochi istanti prima, però a mio avviso quelle sue parole d’incertezza vengono sconfessate subito dall’espressione, dal tono e dalla gestualità che le accompagnano. In quest’opera colgo una fede adamantina che, in una mia personale e spontanea associazione d’idee, reputo speculare per converso a quella di Luci d’inverno di Bergman, fatica quest’ultima più tarda di qualche anno rispetto a quella di Buñuel e nella quale il protagonista, un pastore protestante, assiste alla crisi della propria fede dopo la morte della moglie, con angoscia ed esistenzialismo in luogo della ricerca mistica. Per me la scena più iconica di Nazarìn, nella duplice accezione del termine, ossia iconica in quanto rappresentativa dell’opera ma anche perché concerne un’icona sacra, è quella in cui la prostituta, in preda alle allucinazioni, crede che un ritratto di Cristo rida di lei, come se il figlio di Dio la prendesse in giro.
Pubblicato sabato 27 Maggio 2023 alle 16:42 da Francesco
Ieri sera, appena imboccata la Prenestina, ho visto volare un oggetto non identificato: apparteneva a una meretrice che lo aveva appena lanciato contro un’auto di grossa cilindrata. Soltanto la presentazione di Lemures del Balletto di Bronzo (trio di cui avevo già visto due concerti) poteva convincermi a rimettere piede nella Caracas italiana: ne è valsa la pena perché alla fine ho rimediato anche una delle bacchette. Ys uscì nel 1972, album occulto e di culto, imprescindibile e avanti di almeno cinquant’anni, perciò era nell’ordine delle cose che il suo seguito, Lemures, fosse pubblicato mezzo secolo più tardi. Dal vivo Gianni Leone e i suoi accoliti formano sempre un unicuum, qualcosa di alienante nelle molteplici accezioni del termine: paragoni non possono essere fatti, livello massimo, l’oltre-prog, “cosa altra” come si dice in certi ambienti.
Il concerto di ieri è avvenuto in una dimensione raccolta, quella del Traffic Club di Roma, circostanza a me congeniale per apprezzare le esibizioni dal vivo, ma credo che il Balletto di Bronzo meriti cornici più importanti come non di rado trova all’estero: nemo propheta in patria. Tra Ys e Lemures colgo una continuità eccezionale che forse non poteva avere altro tempismo, in pieno rispetto del cosiddetto kairos, ma non voglio scadere in una stucchevole idolatria e preferisco che siano i dischi a parlare in una lingua sconosciuta ai più.
Pubblicato sabato 20 Maggio 2023 alle 02:52 da Francesco
Le catastrofi costringono certi soloni a un fatale bagno d’umiltà, a ulteriore riprova di quanto gli elementi siano imprevedibili. Per me le forze che si scatenano all’esterno sono speculari ai moti interiori, in un reciproco rapporto di rappresentazione. Può accadere ciò che non può essere neppure immaginato e dunque il margine di controllo è ridotto all’osso, spesso a quello del collo di chi possiede illusioni egemoniche sulla natura o su se stesso. L’altrui sofferenza fa eco a quella potenziale di chi accoglie la prima nella propria empatia e negli immediati dintorni d’ogni simile afflato, ma non può che risuonare come i sussurri del vento nella proverbiale notte in cui tutte le vacche sono nere. Non è sempre facile dosare le parole e forse il più delle volte sarebbe meglio se non fossero mai esistite, però la natura discorsiva della coscienza non può farne a meno giacché in principio, si dice (appunto), era il Verbo. Resto ai margini dell’esistenza, sugli argini del fiume eracliteo, consapevole di come anch’esso, prima o poi, sia destinato a esondare. Quanto profondità devo ancora sondare benché siano affiorate con la nascita. Attorno a me il silenzio va in frantumi e si ricompone in un costante compromesso tra l’ambiente circostante e le possibilità delle coclee. Non ho idea di quale ardua sentenza spetti ai posteri, ma anche loro ricorreranno ai cinque sensi (più uno in omaggio) per le loro deliberazioni. Tutti hanno il proprio posto a sedere e a defungere nella cronologia degli eventi, ammesso che il tempo esista e passi senza salutare. Io me ne resto in disparte giacché l’ubiquità non mi è propria.
Pubblicato domenica 14 Maggio 2023 alle 22:55 da Francesco
Si avvicina il mio genetliaco e ne scrivo come se me ne fottesse qualcosa, ma in realtà questo incipit è una scusa per spiccare un volo pindarico. Negli ultimi sette giorni sono riuscito a correre cento chilometri, circostanza che non si verificava da marzo, e il mio assetto psicofisico ne ha tratto beneficio: mi sento in forma e la fluidità delle mie letture ad alta voce mi conferma come io abbia ritrovato un alto livello d’attenzione. Le mie facoltà non sono in totale subordine all’attività fisica, ma è innegabile quanto le prime si avvantaggino con la seconda: la macchina biologica, o almeno la mia, funziona così. Uso me stesso per studiarmi, in una disciplina che più autoreferenziale e introspettiva non si può, quasi una ricerca dell’autoscopia in senso lato. Credo invero che l’analisi dei miei processi dica molto anche sulla realtà a cui nolente o volente io appartengo, però non mi spingo a ritenere le mie conclusioni pari a una scrupolosa ricerca compiuta con tutti i crismi del caso e d’altro canto nemmeno me ne frega un cazzo. Indagare le mie funzioni, le mie associazioni d’idee, risalire alle cause prime (o presunte tali) di certi pensieri, insomma vagliare buona parte della mia congerie mentale e biografica è una buona pratica a cui devo tanto (è un po’ come il debito pubblico nipponico che è detenuto in larga parte dai giapponesi). Cosa voglio esprimere con quanto ho scritto finora? Nulla di particolare, è un po’ come se usassi le lettere a mo’ di coriandoli e me le gettassi addosso per celebrare l’usanza inveterata di guardare al mio interno. So come condizionarmi, almeno in parte, perciò ho il grosso vantaggio di non essere in completa balìa degli eventi, al di là che essi siano positivi o nefasti. Ogni tanto penso a me stesso e mi strappo un sorriso da solo. Bene, molto bene.
Pubblicato giovedì 4 Maggio 2023 alle 18:11 da Francesco
La mia età atletica è inferiore rispetto a quella anagrafica, anch’essa invero non troppo tarda, perciò sono conscio di come tutti i miei primati personali nella corsa siano passibili di miglioramento e, nella misura del possibile, intendo perseguirne il progresso. A ottobre la rocambolesca vittoria alla maratona di Pescara e, la settimana dopo, il quarto posto alla maratona di Forlì, mi avevano fatto sperare in una stagione stellare, ma poi non sono riuscito a sfruttare gli ottimi allenamenti di cui sono stato, autore e interprete. Credo che questi mesi di lontananza dalle gare abbiano giovato alla mia fame agonistica o almeno alla voglia di tornare a un certo livello di preparazione. Da mesi nella mia zona battono venti insistenti che sono stati concausa del mio allentamento negli allenamenti (col senno di poi una provvidenziale assonanza), ma sto recuperando anche la voglia di vincere questa tremenda rottura di coglioni. La corsa mi ha dato più di quanto io abbia dato a lei e finché ne avrò modo continuerò a praticarla, fosse anche a ritmi blandi, ma credo che davanti a me si stagli ancora un ampio orizzonte su cui togliermi ulteriori soddisfazioni, come già mi sono prospettato all’inizio di queste trascurabili righe. L’entusiasmo può variare d’intensità, tuttavia di fondo v’è qualcosa d’immutabile nell’essenza ludica e infantile (nell’accezione più alta del termine) che sta alla base del mio rapporto con questo sport: di ciò sono molto grato in quanto mi rendo conto della mia fortuna. Al di là che un domani certe cose mi riescano o meno, sono le intenzioni, e non già i processi a loro carico, a stimolarmi e ad avvincermi, ergo a prescindere dagli esiti che verranno. Non riparto da zero giacché riesco ancora a tenere ritmi attorno ai 4’/km o poco al di sotto, perciò devo solo sottopormi a una buona base di fondo settimanale e poi aggiungere alla strada, per me mai costellata di tabelle o programmi prestabili, qualche sessione più specifica per la velocità di punta.
Pubblicato mercoledì 19 Aprile 2023 alle 20:07 da Francesco
Un ministro ha prospettato il pericolo della sostituzione etnica in Italia e questa sua uscita mi ha divertito tanto quanto le accuse di suprematismo che gli sono state rivolte da gente altrettanto rivoltante. Credo che in larga parte dell’Europa si sia oramai innescato un processo ricorrente nell’effimera storia del genere umano, ossia quello della progressiva scomparsa o riduzione di una cultura a favore di un’altra, o la diluizione della stessa in una nuova sintesi. Mi viene da pensare che in passato simili dinamiche avessero tempi dilatati per la maggiore lentezza delle migrazioni, per la minore aspettativa di vita e per le popolazioni in numero inferiore rispetto a quelle odierne. Non mi identifico con un avvenire che mi sarà postumo, perciò non mi turbano gli inevitabili mutamenti ai quali i consessi umani non possono sottrarsi. Al contempo non stravedo per le società multietniche e difatti preferisco quelle più omogenee laddove, sia chiaro, una simile omogeneità vada intesa sempre come un elemento spurio per le influenze pregresse e ormai sedimentatesi da cui è nata, ma di certo più identitaria rispetto a realtà aperte: è anche in ragione di questo mio punto di vista se apprezzo il Giappone sotto plurimi aspetti. L’Italia non si è sempre chiamata così e l’italiano è stato preceduto da altre lingue su cui si è formato, perciò, a mio trascurabile parere, tanto la prima che il secondo, scemeranno lungo l’orizzonte della storia, perlomeno nei modi e nelle forme esperiti da chi ne è, ne è stato e ne sarà coevo. Certe preoccupazioni secondo me dànno conto della paura della morte e di come l’idea di quest’ultima possa influenzare quello stesso presente che invece, in una rigorosa lettura dei fatti, da quella dovrebbe trarre la sua essenza. L’ipotesi che l’ordine delle cose non rimanga lo stesso può spiazzare taluni, ma tutto è destinato a mutare e quest’ovvietà risulta meno banale quando debba diventare oggetto di un’autentica interiorizzazione, al di là della sua facile e immediata comprensione intellettuale.
Mi chiamo Francesco, mi trovo nel mio ottavo lustro e vivo dove sono cresciuto, ossia in Maremma.
In questo blog conduco da anni la mia autoanalisi, perciò i contenuti hanno un alto tasso d'introspezione e sono speculari agli sviluppi della mia persona.
Qui sono raccolti appunti intimisti, grotteschi, ironici; archiviati vi sono anche sfoghi, provocazioni, invettive ed esternazioni d'altro genere che oggi io considero quasi imbarazzanti od obsolete, ma di cui serbo traccia poiché nel bene o nel male hanno fatto parte del mio percorso e sono assurte fino alla coscienza.
Qualche passaggio può suscitare simpatia, talora fino all'insorgere dell'identificazione, invece brani d'opposto tenore hanno una portata sufficiente per destare un po' di disgusto, però credo che tanto i primi quanto i secondi siano adatti agli immancabili fraintendimenti o alle (in)volontarie incomprensioni.
Non sempre i significati dei miei scritti emergono dal loro contenuto manifesto, quindi io stesso mi guardo dal prendere alla lettera certe cose che metto nero su bianco o che altrove sarebbero già sbiadite.
Mi sono diplomato con ben sessanta centesimi al liceo linguistico, non ho mai messo piede in un ateneo e non ho mai fatto ingresso tra le grazie di una nubile.
Poiché errare è umano, e io di certo non nascondo né rinnego la mia natura mortale, ho ragione di credere che in tutta questa mole di appunti mi sfuggano refusi ed errori di cui chiedo venia alla mia attenzione e a eventuali (quanto incauti e improbabili) lettori.