15
Giu

Il solito punto

   

Pubblicato venerdì 15 Giugno 2012 alle 11:10 da Francesco

Mi affaccio sopra un muro di gomma per guardare con aria divertita come la mia psiche respinge tutti i tentativi di sabotaggio. Sfuggo al contagio dello sconforto perché mi sono vaccinato ab illo tempore grazie all’introspezione. Qualche volta mi pare che ogni segnale di vita indichi un vicolo cieco, ma io non me ne preoccupo e seguo una bussola cuoriforme.
Vivo ancora da numero dispari in un mondo che spesso mi si palesa binario e non ho ragione di credere che questo andazzo possa cambiare a breve, però non ho un atteggiamento fatalista e cerco d’impiegare bene tutto quel tempo che a me piacerebbe condividere con un’altra persona. Porto in grembo un’inclinazione vecchissima e inespressa che ogni tanto dimentico di esternare per lunghi periodi, tuttavia una tale negligenza non è sinonimo di arrendevolezza: manco per il cazzo. Vengo considerato un introverso scostante, però sono l’esatto opposto e l’ho dimostrato a me stesso in più occasioni. D’altro canto non posso immolare il mio tempo e il mio umore per qualcosa che soltanto in parte dipende da me, di conseguenza vivo come vivo per migliorarmi e non mi gioco la carta di un’atarassia che non mi appartiene: insomma, io faccio di necessità virtù. La vita è un’esperienza così breve che gli atti dolore possono essere posticipati al post mortem: mi piangerò addosso quando le mie cavità oculari saranno luogo di transito per i vermi.

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Giu

Enso, un cerchio come tanti…

   

Pubblicato lunedì 11 Giugno 2012 alle 10:54 da Francesco

Il ciclo di morte e nascita delle stelle pare destinato a concludersi tra migliaia di miliardi di anni. Mi piacerebbe restare nel cosmo fino allo spegnimento delle luci per farmi rimboccare le coperte prima d’udire l’ultima storia, ma sono una forma di vita che non può ambire a tanto: la natura mi vuole addormentato prima di quel momento e purtroppo non ho modo di disobbedirle, altrimenti non mi farei scrupoli a violare tutte le leggi fisiche del caso.
Una frase presente in un enso giapponese afferma che tutte le creature sono legate, ma certe volte mi domando quali siano i fili e le catene. Qualcosa mi sfugge prim’ancora che sia io stesso ad evadere, però non mi lancio all’inseguimento della mia ombra né delle sue colleghe. Avverto ancora mancanze che travalicano il mio individualismo e dalle quali traggo la conferma della mia umanità. Goccia a goccia, riempio i fiumi di parole in cui mi perdo più di quanto preveda un sano smarrimento, ma entrambe le sponde sono alla mia portata e non mi disturbano le birichinate che di tanto in tanto le inducono a scambiarsi il posto. Quel poco che io conosco del pensiero di Schopenhauer mi basta e mi avanza per non farmi correre il rischio di annoiarmi con ulteriori approfondimenti. Rovisto laddove credo che si annidino sforzi oggettivi e non tra i rifiuti, dati o ricevuti da quanti abbiano assaporato gusti amari per meritare un cantuccio nella storia umana.

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Giu

Le assenze del controllore

   

Pubblicato domenica 10 Giugno 2012 alle 15:11 da Francesco

Io non pretendo di avere sempre il controllo della situazione perché una tale superbia potrebbe nuocermi gravemente. Qualche giorno fa ho constatato durante una discesa che un freno della mia bicicletta si era allentato, di conseguenza ho dovuto scegliere se insistere sull’arresto del mezzo o aggirare l’auto che mi precedeva: alla fine ho lasciato il freno e sono schizzato di lato. Altre volte mi sono trovato in situazioni analoghe.
Alcuni anni fa in mountain bike dovetti affrontare una discesa sterrata all’inizio della quale presi più velocità del dovuto, ma evitai di frenare perché se lo avessi fatto sarei sicuramente rovinato a terra. Aiutato dal caso, l’ammortizzatore degli audaci, raggiunsi illeso la strada piana e potei rallentare, ma impiegai di più a fare altrettanto con il battito cardiaco.
In casi del genere credo che in me si scontrino l’istinto e la ragione: nel primo la paura è una plenipotenziaria, nella seconda invece un’affidabile consigliera. Forse certi incidenti sono dettati dall’arrogante pretesa di risolvere un imprevisto col primo approccio, nonostante risulti subito non adatto. Talora potrebbe sussistere un’incapacità di pagare la propria avventatezza con la cessione parziale e temporanea di sé a quanto ne trascenda le capacità, allo stesso modo in cui il pericolo sia stato innescato da un salto a piè pari sul buonsenso.
Possibile che per qualcuno sia preferibile battere la testa contro un muro pur di non ammettere di avere torto? La risposta è così telefonata che costa una conferma solida ad ogni scatto d’ira. La traslazione di queste righe sul piano emotivo è spontanea, ma soltanto estensiva dato che non si compie un vero un cambio di campo. In altre parole la possibilità di ragionare a lungo su d’un problema non costituisce necessariamente un vantaggio, ma talvolta può essere soltanto un’occasione d’ozioso lambiccamento in attesa d’una catastrofe evitabile. Per banale che sia, e questo appunto lo è in molte parti, mi vedo ancora intento a incensare la lucidità senza tuttavia nasconderne i limiti: vorrei potermi comprendere così tanto da poter fare a meno di me stesso.

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8
Giu

Archivio onirico: sogno n. 7

   

Pubblicato venerdì 8 Giugno 2012 alle 14:38 da Francesco

Da parecchio tempo non riesco a ricordare nulla dell’attività onirica, tuttavia qualche giorno fa è affiorato alla mia coscienza un sogno di qualche anno addietro.
La prima scena constò di una casa bianca, circondata da un giardino a gradoni e sottoposta ad un cielo terso. In seguito mi ritrovai all’interno dell’abitazione e avvertii una sensazione di forte disagio. D’un tratto qualcuno bussò alla porta o suonò il campanello: non m’è dato ricordare con precisione questo particolare. Come mosso da un automatismo capace di scavalcare ogni mia riserva, mi recai all’ingresso per rispondere a quel richiamo. Sull’uscio trovai un signore, forse un postino, che pronunciò un nome femminile: quand’egli lo ripeté vidi l’immagine di una signora di mezz’età. La sequenza successiva mi portò al piano superiore dell’abitazione di cui rammento soltanto un abbaino che permetteva alla vista di perdersi in uno scenario agreste: nulla di più.

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Giu

Vento di belligeranza sulla ventottesima primavera

   

Pubblicato martedì 5 Giugno 2012 alle 14:26 da Francesco

Mancano ventiquattrore ai miei ventotto anni. Non ho candeline da spegnere né candelotti da accendere. Attraverso un momento positivo e sono soddisfatto di me stesso. Mi sento più forte di quanto sia mai stato in passato. Conservo nozioni, tendo ad apprenderne di nuove e mi vedo più determinato a stringere un coltello tra i denti. D’anno in anno sguscio sempre di più la paura della morte e la mia esistenza ne trae grande beneficio.
Sono nato esattamente quarant’anni dopo lo sbarco in Normandia e questo particolare non può che contribuire ad enfatizzare gli aspetti più titanici della mia forma mentis. Cerco di trarre forza dagli uomini intrepidi che mi hanno preceduto, personaggi di cui la storia è prodiga nonostante ricorrano di rado nell’interesse generale. Non c’è moneta con cui si possa comprare un’autentica preparazione all’eventualità d’una morte precoce e violenta, tuttavia proprio in una mentalità plasmata a tal guisa io intravedo la chiave di una vita piena e, con tutti i miei limiti, la inseguo mentre punto verso la longevità. Non voglio udire auguri di compleanno, ma preferisco ricordare il ruggito del leone del Panjshir.
Ho già ricevuto un regalo, difatti ieri mi sono state rivolte delle graziose minacce da un parente che alcuni anni fa tentò di aggredirmi con un pretesto per poi ricavarne soltanto un pugno sul suo nasino e di conseguenza un referto medico col quale poté sporgere denuncia verso me: in quell’occasione ebbi la colpa di difendermi senza riportare manco un’escoriazione. Non cado nelle provocazioni, ma rispondo sempre con la stessa moneta. Sono sempre pronto allo scontro anche se ne riconosco la stupidità e non ho l’indole del Mahatma Gandhi né tanto meno la cristiana inclinazione a porgere l’altra guancia. Non cerco la vanagloria della sopraffazione né la sterile gratificazione di una prova di forza ai danni di qualcun altro, ma tento di custodire in me una fierezza che, tra i vari esempi offerti e dissimulati dalla civiltà umana, io quest’oggi riprendo dalla figura del mujaheddin. Eh, comprare una torta e fare una festa in una pizzeria sarebbe stato troppo semplice.

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1
Giu

Ancora una volta da Orbetello a Montepulciano

   

Pubblicato venerdì 1 Giugno 2012 alle 01:32 da Francesco

Lunedì, venti all’una, ho messo uno zaino sulle spalle, sono montato in bicicletta e ho pedalato per quasi nove ore fino a Montepulciano, in provincia di Siena. Ho compiuto brevi soste per mangiare, bere e pisciare. Già altre due volte avevo guadagnato la meta poliziana con itinerari diversi e anche in quest’ultima occasione ho affrontato un percorso differente dai precedenti.
Da Orbetello ho raggiunto Pitigliano e là ho fatto la prima delle quattro soste. Ho proseguito per Sorano e poi verso San Quirico. Superato Casone, alla mia destra ho notato un cartello stradale che segnalava la fine della Toscana e ho compreso che a Sorano avrei dovuto seguire la strada per Castell’Azzara invece di allungare verso Acquapendente, ma oltre alla bestemmie di rito mi sono concesso un autoscatto per immortalare cotanta coglioneria. Per raggiungere la Cassia ho attraversato l’Onanese, ovvero la strada provinciale che porta a Onano e mi sono chiesto se sia stato soltanto un caso: ogni riferimento biblico è tutt’altro che casuale.
 

Una volta raggiunta Acquapendente ho seguito la Cassia e ho cominciato ad accusare parecchia fatica nonostante avessi ancora da coprire sessanta dei centocinquanta chilometri. Il continuo saliscendi ha messo alla prova i miei nervi, tuttavia sapevo cosa mi aspettava poiché avevo già affrontato la strada per Chianciano. Sono arrivato a destinazione poco dopo le nove di sera e ho fatto un pasto abbondante per il quale ringrazio chi mi ha ospitato per i tre giorni seguenti. L’indomani ho camminato per alcuni chilometri e il giorno successivo ho ripreso la bicicletta per raggiungere Cortona: una cinquantina di chilometri tra andata e ritorno. Infine sono rincasato a bordo di un mezzo meccanico a quattro ruote.
Sono tornato sui pedali da circa tre mesi e ho abbandonato la mountain bike per una bicicletta da ciclocross, più leggera e più adatta alle mie esigenze. Sono rimasto abbastanza soddisfatto della mia prestazione benché non sia stata nulla di trascendentale. Io rapporto gli sforzi alle capacità personali e mi diverto a cimentarmi nelle sfide a singolar tenzone che di tanto in tanto oso lanciare a me stesso. Mi ricamo su misura dei momenti di esaltazione che un dì potrebbero procurarmi dei punti di sutura o un infarto perfetto, ma cerco di passare la notte con quello che ho e dell’alba forse non m’interessa granché. Lo sforzo solitario e il contatto con la natura sono gli strumenti migliori che conosca per dilatare la vena più clemente dell’esistenza ed è un vero peccato che non possa ricorrervi sotto la promessa di una dissoluzione sublime.

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26
Mag

Momento di grazia

   

Pubblicato sabato 26 Maggio 2012 alle 15:09 da Francesco

Sguazzo nel citoplasma di un periodo floridissimo nonostante mi sia dato d’assistere alla deriva dei continenti e in particolare dei loro contenuti. Non ho legami né legacci e non sono mai stato così distante dal resto del mondo sebbene tutt’altro che di rado io mi ritrovi a corrervi in mezzo. Il mio morale non è alle stelle, però orbita a debita distanza dalla biosfera e mi permette di fare sonni tranquilli che aggettano verso dei risvegli altrettanto sereni. Il mio organismo sta bene e il suo involucro è debitamente allenato; se qualche malattia volesse farsi avanti la pregherei di presentarsi almeno con un collo di bottiglia ben aguzzo. Lo yeop chagi è sempre più vicino.
Durante l’estate comincerò a scrivere il mio quinto libro e renderò disponibile il terzo attraverso i canali a cui ho già affidato il secondo: il quarto non ho alcuna intenzione di sottoporlo alla trafila degli altri e lo terrò in serbo per un’improbabile aggiunta di sfumature rosee agli scenari futuri. M’impegnerò seriamente a cercare un contratto editoriale per esordire col quinto scritto poiché quest’ultimo non sarà un romanzo, bensì uno studio attraverso cui nutro l’ambizione di colmare quella che reputo una grave lacuna. Non ho grandi speranze di riuscita, ma avverto la necessità di tentare lo stesso: a differenza d’altri, io non posso proprio tirarmi indietro al cospetto d’una così oracolistica intuizione. Il tempo sarà mio giudice, con palette per i voti o paletti per ostacoli.

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23
Mag

A volte come un meteco

   

Pubblicato mercoledì 23 Maggio 2012 alle 13:46 da Francesco

Il crollo di un campanile mi ricorda puntualmente come il tempo sia destinato alla stessa caduta. Vorrei slacciarmi dal corpo per fluttuare sopra i nocumenti. Vorrei convertire il mio ateismo in un atto di fede per una palingenesi retroattiva, però non esiste un Monte dei Pegni che me lo valuti abbastanza e anche per questa ragione prediligo altri crinali, irti di saliscendi sui quali mi diletto a corsa o in bicicletta. Trovo insincere quelle parabole della vita che certuni sono adusi a tracciare o a ricalcare sotto le ombre degli archivolti; mi ricordano gli orribili castelli di sabbia dei bimbi, ma irraggiungibili dalla salmastra clemenza d’una marea che possa abrogarne le storture. I bagni d’umiltà sono fuori questione nonché fuori stagione.
Il primato della dissoluzione non mi spinge verso un annichilimento precoce, bensì mi rende più incline a felicitarmi per i respiri che pongo in essere. Dovrei avvalermi di più della criptolalia; non coltivo l’utopia della comprensione: anch’essa è fuori stagione e, purtroppo, pure fuor di dubbio. Per pareggiare i conti mi confronto con la mia immagine riflessa; di rado con quella fotostatica. Non scorgo grandi cambiamenti nell’immediato futuro, tuttavia gli orizzonti restano incantevoli. Chissà se le istruzioni per l’uso assomigliano alle garze che qualche volta i chirurghi lasciano nei corpi dei pazienti: meticolosi e sbadati come i protagonisti del pantheon ellenico.

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20
Mag

Nelle Marche

   

Pubblicato domenica 20 Maggio 2012 alle 23:42 da Francesco

Ho avuto modo di trascorrere un paio di giorni nelle Marche senza sborsare una rupia e ne sono stato felice. Ho compiuto brevi visite a Urbino, Macerata, Osimo, Numana e Sirolo: sono rimasto incantato da quest’ultimo e ho stretto un patto con il Conero per farvi ritorno.
Sono stato anche a Recanati e ho fatto due passi davanti alla casa di quel buontempone che fu Giacomo Leopardi, tuttavia me ne sono sbattuto altamente le palle di visitarla e ho invece avuto la fortuna di accedere ai locali di una vecchia sartoria sita nelle immediate vicinanze. Vesto come il cliente medio degli scafisti, non ho mai indossato una cravatta né una camicia e mi auguro di farne a meno per il resto dei miei giorni, ma sono rimasto affascinato dal lavoro di quell’atelier. La bellezza di Urbino non mi ha sconvolto, però nei suoi dedali ho trovato un vicoletto che mi ha rapito, precisamente un’umida viuzza alla cui fine si trova la sezione periodici della biblioteca umanistica dell’università Carlo Bo. Avrei parecchio di cui scrivere e questo è un buon motivo per non farlo, però non sarebbe sufficiente se non fosse accompagnato dalla mancanza di voglia.

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16
Mag

Reiterate impressioni con apocalisse annessa

   

Pubblicato mercoledì 16 Maggio 2012 alle 12:44 da Francesco

Seguo con interesse la deflagrazione dell’Europa. Ogni tanto penso a quel farmacista che si è sparato in piazza Syntagma ad aprile: sopravvissuto all’occupazione dei nazisti nel quarantuno, è stato ucciso dalla dittatura finanziaria che ne ha legittimati dei nuovi nel parlamento greco. Laddove è nato il pensiero occidentale, oggi per molte persone si prospetta uno stile di vita pari a quello che fu di Diogene di Sinope. La culla della democrazia è intrisa di sangue e tra quelle macchie rapprese forse ritorneranno i tempi efferati di Licurgo. Ho sempre lottato dentro di me per confutare la più celebre espressione di Hobbes, ma ormai non mi resta altro che chiedere l’onore delle armi: homo homini lupus.
Questi anni finiranno nei libri di storia su pagine di caligine. Io non condanno la violenza, bensì mi auguro che esploda in faccia ai governanti inetti: passati, correnti e futuri. Credo che occorra uno shock potentissimo per riportare il male sotto la soglia della sopportazione, a mo’ di cura omeopatica. L’acqua bolle a cento gradi Celsius e il piombo fonde ad oltre trecento: in tutto vi è un punto di rottura. Se in Europa dovessero verificarsi tensioni sociali su vasta scala allora mi adopererei per trovare un’amaca nel sud-est asiatico, ma non punterei il dito contro fiumane di persone incazzate e disposte a tutto. Spero di non essere mai costretto ad abbandonare la mia terra, tuttavia se lo stallo continentale provocasse uno scenario del genere io approverei tutte le reazioni violente e non potrei fare altresì per rimanere onesto con me stesso. Ogni individuo dovrebbe auspicarsi il bene del prossimo in quanto le persone che non hanno nulla da perdere sanno diventare armi fatali: seguo la via di un egoismo illuminato in quanto non ho facoltà di incidere al di fuori della mia esistenza. I politicanti, le istituzioni, i feticisti del garantismo e altra gentaglia del genere esigono l’uso esclusivo di strumenti democratici per cambiare le cose, ma solo perché  sanno benissimo quanto sia facile abusarne per proteggere i loro interessi o i loro princìpi, entrambi sottoprodotti del banditismo. I tempi biblici dei meccanismi democratici sono clessidre di morte: ci deve essere una convenienza comune a rispettare le regole e queste non devono valere al di là della vita come un dogma religioso. Purtroppo espongo la mia attenzione a tematiche del genere perché ritengo che il peggio debba ancora arrivare con tante mattanze in dote, perciò cerco di giocare d’anticipo, almeno col pensiero. Non si può buttare in faccia a dei disgraziati agi e privilegi per poi ricordare agli stessi che sono appannaggio di quanti sappiano abusare della res publica. A me non interessano gli ideali, ma le questioni pragmatiche. Non ho una causa da sposare e cerco di pensare a me stesso senza danneggiare il prossimo. Non mi perdo nell’identificazione con qualche corrente di pensiero pur approvandone talune, a torto o a ragione. Non sono un idealista e penso soltanto a me, ma per farlo bene, a differenza di quanto ritengono arraffoni ottusi d’ogni risma, devo confrontarmi onestamente col malessere altrui. Se avessi gli attributi per fare l’anacoreta nel Kalahari probabilmente me ne sbatterei i coglioni, ma d’altronde gli effetti di queste parole sono del tutto identici all’indifferenza di certuni e hanno un po’ di utilità esclusivamente per il sottoscritto, cosicché sia pronto alla peggiore delle evenienze.

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