Pubblicato giovedì 23 Maggio 2013 alle 14:54 da Francesco
Si avvicina il giorno de Il Passatore, ma vivo questa attesa come il preludio di un cambiamento. Ieri ho corso gli ultimi ventuno chilometri della mia preparazione e stamattina mi sono svegliato bene dopo un’ottima dormita. Non c’è tensione in me. Mi sento leggero e determinato, perciò se dovessi fallire non avrei scuse a cui aggrapparmi. Le previsioni meteorologiche sono infauste e indicano pioggia da Firenze a Faenza per tutta la durata della manifestazione, ma in parte ne sono contento perché se dovessero risultare corrette l’ammanterebbero di ulteriore epicità.
Sfido me stesso perché non mi nascondo nei lambiccamenti sui massimi sistemi, bensì cerco di guadare oltre le tenebre dei miei recessi, laddove l’invito al suicidio non manca mai. È il pericolo dell’introspezione che corro, e per il quale corro. Non c’è “la società”, non c’è “la storia”, non c’è “la politica”, non c’è “la morale”, non c’è “la filosofia”: gli unici presenti sono il sottoscritto e i suoi limiti, senza possibilità di riparo o dissimulazione. Sono i passaggi intimisti di Yukio Mishima che mi corroborano il morale. Per me la corsa è l’humus perfetto in cui prendere il polso della situazione, anche a costo di non sentire più il mio; è il punto ideale (poiché privo di stabilità) nel quale il dinamismo dell’azione porta su di sé la gravità del pensiero e soltanto la mia volontà sceglie se quella zavorra debba schiacciarmi o alleggerirmi. Io cerco un ritorno all’archetipo, ai primordi, quando ancora il linguaggio non aveva sviluppato quello strato di viltà che non di rado compone i filamenti del velo di Maya. Non è attraverso l’uso della parola o il consumo d’arte che io posso diventare ciò che sono, bensì solamente tramite l’azione. Questo appunto è superfluo ed è dettato dall’abitudine a scrivere, ma può aiutarmi ad aumentare la pressione della prova a cui sto per sottopormi. Avrò tempo e modo per riprendere il logos della situazione, però questo sarà sempre il subalterno di quanto ritengo ineffabile.
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Parole chiave: azione, corsa, introspezione, logos subalterno, pericolo dell'introspezione, recessi, riflettere correndo
Pubblicato giovedì 16 Maggio 2013 alle 21:07 da Francesco
Corro da sette anni e non ho mai preso parte ad alcuna gara, ma una manifestazione ha fatto breccia nel mio interesse ed è quella de Il Passatore: si tratta di una corsa di cento chilometri che parte da Firenze e si conclude a Faenza. A causa della burocrazia ho impiegato un po’ di tempo per completare l’iscrizione, ma adesso ho tutte le carte in regola per potervi partecipare. Non ho mai coperto in un solo giorno una distanza così grande. Il mio allenamento più lungo è avvenuto un paio di settimane fa ed è stato propedeutico per l’evento di cui sopra: sessanta chilometri in cinque ore e quarantuno minuti di cui ho scritto qualcosa su queste stesse pagine. Mi sento pronto fisicamente e anche la mia mente è preparata. Punto a completare il percorso in undici ore, tuttavia non mi lamenterei se alla fine dovessi impiegarne un paio in più.
Ho cominciato a correre per disperazione e forse nel corso degli anni la ragione non è cambiata. Ci sono dei momenti nei quali avverto la necessità di sottopormi ad uno shock e la corsa mi dà la possibilità di farlo attraverso il processo di sublimazione. Cento chilometri sono molti e per me sarà interessante guardare quali pensieri mi si pareranno davanti. Mi appresto a partecipare a questa gara in un momento della mia esistenza tutt’altro che roseo, però se riuscissi a finirla sono certo che dentro di me rovescerei tutto il parossismo in cui navigo a vista da un po’ di tempo a questa parte. In una distanza del genere le insidie sono molte, ma è anche questo che mi alletta. Dispongo di una buona dose di rabbia che centellinerò a dovere, tuttavia non ne ho abbastanza per farne la mia unica risorsa ed è per questa ragione che mi affiderò più che altro alla lucidità. Mancano nove giorni alla partenza; diminuirò progressivamente il chilometraggio in allenamento e riguarderò un paio di volte Chariots of Fire.
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Pubblicato venerdì 10 Maggio 2013 alle 23:36 da Francesco
Il sole mi brucia le carni senza annerirmi l’umore, laonde ragion per cui non m’incupisco anche se le circostanze m’invitano a farlo. Se Eraclito fosse stato mio contemporaneo forse avrebbe sostenuto che non ci si può bagnare due volte con lo stesso acido muriatico. L’amore violento è un ossimoro in cui ravviso una conferma ulteriore dell’autolesionismo umano. Per me è da sminare qualunque area che contenga ossessioni ed è per questa ragione che non ho ancora messo piede in certi campi…
Non ho bisogno di fare esperienze negative in quanto non credo che la sofferenza sia una maestra insostituibile benché in parte le riconosca una valenza istruttiva. Ho la sensazione che il tempo mi stia dando ragione, ma di quest’ultima non me ne faccio nulla. Non ho la pretesa d’ingabbiare il globo terracqueo in considerazioni personali poiché queste non sono abbastanza larghe per cingerlo in modo obiettivo; se m’illudessi di possedere un’apertura alare talmente ampia allora rientrerei di diritto nella schiera dei filosofi della domenica, tuttavia da cotanta stoltezza io sono assente anche nei giorni infrasettimanali. Non posso che calibrare il pensiero sulla mia esistenza e guardo al mondo quanto basta per non sofisticare il legame che mi fa esserne una parte infinitesima. Qualche volta quando mi guardo dentro non vendo il fondo: l’introspezione è una pratica pericolosa. Mi domando se la staffetta delle necessità termini con l’esalazione dell’ultimo respiro. In realtà sono altri gli interrogativi che in questi periodi frappongo tra me e il presente. Attualmente non sono nelle condizioni di cogliere l’attimo fuggente perché vivo un po’ sospeso, però conto di riprenderlo a piene mani. Per quanto trascurabili, le parole che scrivo mi aiutano a parlare a me stesso e così ho modo di trovare quella comprensione che altrimenti non saprei davvero a chi chiedere. Non mi sento solo anche se di fatto lo sono e non ho bisogno di restarlo anche se una tale evenienza mi sembra plausibile. In me ospito paradossi e imparo dalle loro relazioni improbabili. Mi fido delle mie intuizioni, ma per adesso non mi resta che accettarne il silenzio in quella che è diventata quasi una piacevole abitudine.
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Pubblicato domenica 5 Maggio 2013 alle 14:03 da Francesco
Ieri sera mi sono recato a Roma per assistere ad un concerto di Andy Timmons all’ex Palacisalfa. È stata una grande serata: ingresso gratuito e ottime vibrazioni. Prima dello statunitense si è esibito il trio di Ciro Manna che avevo già visto dal vivo in un concerto di Kiko Loureiro e anche questa volta ne ho applaudito la performance, in particolare nei pezzi marcatamente più fusion. Timmons ha suonato quasi due ore e ha iniziato con il proprio repertorio prima di riproporre a suo modo i pezzi di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, pezzi verso i quali nutrivo un certo scetticismo in quanto a me non è mai piaciuto il quartetto di Liverpool, ma alla fine ne sono rimasto pienamente soddisfatto. Per me è stato un live davvero coinvolgente, al punto da indurmi a considerare Timmons come il chitarrista che mi ha esaltato più d’ogni altro suo collega. La conclusione è avvenuta con Crossroads, suonata con Ciro Manna e con Alessandro Benvenuti in una pioggia di assoli piacevolissimi.
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Parole chiave: Andy Timmons, chitarrista, live, Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, virtuoso
Pubblicato mercoledì 1 Maggio 2013 alle 05:17 da Francesco
Domenica ho corso per sessanta chilometri e ancora ne risento un po’. Non avevo mai fatto un allenamento così lungo. Sono arrivato al quarantaduesimo chilometro dopo tre ore e trentanove minuti, al sessantesimo in cinque ore e quarantuno minuti.
Ho ripetuto un percorso circolare per cinque volte e così ho potuto fare rifornimento ogni dodici chilometri in auto: acqua, Gatorade e pezzi di dolciumi per prevenire gli effetti dell’ipoglicemia. Sono rimasto soddisfatto dalla performance. In quasi sei ore ho avuto modo di pensare in una maniera che solo la corsa sa offrirmi, tuttavia con una durata assai maggiore rispetto alla solita. Prima o poi dovrò smettere di correre: è inevitabile. Non so che incidenti mi attendano né tanto meno conosco i programmi dei miei geni. Talvolta ripenso ad un ragazzo che correva davvero forte, un atleta eccezionale che è deceduto a febbraio per un tumore: aveva trentanove anni. Paradossalmente nel mio slancio per la vita mi capita spesso d’immaginare il modo in cui morirò e oltre che a tarda notte di codesti pensieri sorgono in me anche durante gli sforzi più intensi. Apprezzo la persona che sono diventato, tuttavia la morte improvvisa, l’invalidità permanente e l’indigenza sono prospettive che non escludo mai. Non mi sento immortale sebbene la mia età si presti ad una illusione del genere. Mi sento giovane perché di fatto lo sono, però ammetto che anno dopo anno vivo sempre più pacificato con l’idea della fine, senza abbrutirmi. Penso che a tempo debito sostituirò il podismo con una meditazione confacente alle mie necessità, tutt’altro che spirituali. Vivo tra autolesionisti, sadici e repressi, ma ci sono anche persone che solo con la loro esistenza costituiscono per me motivo d’ispirazione. Conosco individui da cui imparo senza che essi se ne rendano conto; d’altronde se costoro fossero consapevoli del loro operato forse quest’ultimo oltre che di spontaneità perderebbe anche d’efficacia. Per banale che sia, mi pare che il Tao (non nella sua versione statica) sia una riproduzione in scala uno a uno d’un tutt’uno.
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Parole chiave: corsa, sessanta chilometri, Tao
Pubblicato sabato 27 Aprile 2013 alle 01:57 da Francesco
Ho incrementato le mie sessioni di corsa e negli ultimi sei giorni ho coperto centodue chilometri. Il mio corpo risponde bene alle sollecitazioni e mi sento in ottima forma, ma a questo stato fisico si contrappone una malinconia di fondo alla quale io comunque lascio fare il suo corso.
Ogni primavera rinnova in me l’intensità dell’assenza d’amore, ma in cambio mi dà giornate più lunghe e piacevoli. Anche qualche vago frammento dell’attività onirica mi ricorda con una certa assiduità la voragine emotiva che si trova al mio interno, tuttavia non mi lascio inghiottire da me stesso e non nascondo l’evidenza. Considero l’amor proprio una precondizione irrinunciabile per ogni rapporto, però mi domando se non mi sia concentrato troppo su me stesso in questi anni. Qualche volta ho la sensazione che una parte di me sia diventata così passiva da non prendere neanche più in considerazione l’ipotesi che il sottoscritto possa instaurare un legame, ma io non sono un fatalista e di conseguenza metto in riga questa stortura cognitiva. Di tanto in tanto la stanchezza cerca di adulterarmi i pensieri, ma ormai conosco i suoi sotterfugi e quando mi sento spossato non prendo decisione alcuna né mi cimento in lambiccamenti fuorvianti. Attraverso un momento senza infamia e senza gloria, però continuo ad aspettarmi sia di meglio che di peggio. C’è qualcosa che mi riscalda le interiora, niente di metafisico comunque, e manco il colon irritato.
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Pubblicato domenica 21 Aprile 2013 alle 22:11 da Francesco
Ieri pomeriggio, dopo la riesumazione del cadavere di Giorgio Napolitano, mi sono recato nella capitale per prendere il polso della situazione in prima persona, senza filtri. Ho lasciato l’auto ai margini della città e mi sono mosso con la metropolitana. Lungo la strada per Montecitorio mi sono unito ad un gruppo di attivisti del Movimento Cinque Stelle, gente del frusinate alla cui testa v’era un ragazzo con una bandiera del movimento che incitava tutti a seguirlo; quando l’ho sentito gli ho detto: “E annamo va!”. Strada facendo altri ragazzi si sono accodati e nel giro di pochi minuti siamo arrivati davanti alla porcilaia, al cospetto dell’obelisco di Psammetico II, il cui vertice a mio avviso dovrebbe ospitare i culi di buona parte dell’arco parlamentare.
Per un paio di ore molti hanno atteso che Beppe Grillo giungesse a Montecitorio, ma ad un certo punto un tizio mi ha chiesto di memorizzare un numero di cellulare e di ripeterglielo poiché aveva un problema con WhatsApp, così ho assistito alla chiamata e ho appreso da lui che Grillo ci aveva ripensato per motivi di sicurezza. In effetti ho immaginato che se il suddetto si fosse presentato anche l’Italia avrebbe dovuto aggiungere una festa nazionale simile al quattordici luglio francese e, invero, io contavo proprio su questo: in parte credo che sia stata un’occasione mancata. Nel corso della sera ho parlato con un po’ di persone, tra le quali un deputato del Movimento Cinque Stelle, mio coetaneo, che mi ha lasciato un’ottima impressione. Ovviamente tra i presenti non sono mancati gli squinternati e il passaggio di alcuni personaggi pubblici ha prodotto momenti goliardici. Indossavo una maglietta di Antigua, con un teschio e delle spade, perciò qualcuno mi ha scambiato per un membro del Partito Pirata (al quale comunque guardo con curiosità) e alla fine ho incontrato un tizio vestito da bucaniere che ne fa davvero parte, perciò gli ho chiesto una foto insieme: chissà che in futuro non si riveli un’immagine profetica.
Ad un certo punto ho sentito i morsi della fame e l’impellenza della vescica, così ho socializzato con dei debosciati, gente simpatica, sempre disposta a condividere cose che tuttavia io non ho mai usato né cercato e in cui vedo solo conformismo, ovvero droghe, alcolici e presunti ideali. Sono andato a mangiare un pezzo di pizza con costoro e, una volta rifocillatici, abbiamo saputo che s’era formato un corteo. Nelle vicinanze del Quirinale siamo arrivati da soli a ridosso di un cordone della polizia e io ho preso a intonare la canzone dell’Armata Brancaleone appena un maresciallo si è mosso in controtempo rispetto ai colleghi, esibendosi in un movimento davvero goffo. Uno dei quattro ragazzi era ubriaco fradicio, teneva in mano una bottiglia di Peroni e ogni tanto chiamava al cellulare un suo amico che era nel corteo e che ci doveva dare indicazioni precise su come raggiungerlo. Abbiamo girato a vuoto come degli stronzi e in questo lungo peregrinare abbiamo incontrato un prete davanti ad una chiesa. Ho fatto il segno della croce al sacerdote e gli ho detto: “Ego te absolvo!”; chissà se poi ci è andato a puttane! Una volta raggiunto il corteo c’è stata un po’ di tensione, però nulla di che. Divertito ma un po’ deluso ho lasciato Roma verso l’una di notte. Non che avessi bisogno di conferme, ma ho capito che non cambierà mai un cazzo fino a quando non vi sarà un sano ricorso alle armi e io purtroppo sono già impegnato con la mia rivoluzione interiore, l’unica che m’interessa davvero.
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Parole chiave: Montecitorio, Partito Pirata, politici porci, Psammetico II
Pubblicato martedì 16 Aprile 2013 alle 11:44 da Francesco
Il mondo non è cambiato granché dal giorno della mia nascita e qualche volta mi chiedo se io lo abbia frequentato già altre volte prima di ripiombarci nell’attuale incarnazione. È un peccato che il mio ateismo mi precluda un’adesione convinta alla metempsicosi.
Da qualche parte le bombe esplodono e fanno un grande rumore, altrove deflagrano allo stesso modo però quelle onde d’urto e quei morti si limitano gonfiare delle statistiche che tutt’al più aggiornano il repertorio di qualche terzomondista. Ovunque io appoggi l’attenzione, in qualche grado, scorgo violenza, ignoranza, fanatismo e prevaricazione: da un’impiegata pubblica affetta da secchezza vaginale fino al più determinato dei salafiti. Non posso cambiare il mondo, perciò mi concentro su me stesso e cerco di perseguire l’evoluzione della mia persona, tuttavia non ne faccio una ragione di vita perché anche in questo caso la morte è un’azionista di maggioranza… Passerò giorni migliori degli attuali, di questo posso dichiararmi sicuro senza che intervenga un ottimismo di facciata. Malgrado tutto avverto in me una propensione naturale a ricercare quanto sia capace di giovarmi e non bastano le parole per invertire questa tendenza, nemmeno le mie. È un po’ di tempo che non mi regalo le analisi del sangue, ma tengo sotto controllo quei valori che ho avuto il piacere di demolire su consiglio di un tedesco sifilitico.
Uso l’esperienza, le intuizioni e l’amor proprio per farmi scudo contro l’impazzimento generale a cui assisto quotidianamente. Si avvicendano giornate terse e calde dalle quali cerco di trarre il meglio. Non mi aspetto che qualcosa cada dal cielo, né manna né i frammenti di un meteoroide. Trovo paradossale come io mi avvii verso il mio ventinovesimo compleanno meno disilluso che in passato, ma ne sono contento. Ho lanciato lontano buona parte del mio disfattismo, proprio ora che potrebbe farmi comodo. Sono colpevole d’istigazione alla serenità.
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Pubblicato venerdì 12 Aprile 2013 alle 11:59 da Francesco
Ieri mi sono recato a Ciampino per assistere ad un concerto acustico dei Pain of Salvation benché invero non ne fossi granché convinto. Quando ho varcato la soglia dell’Orion gli Arstidir avevano appena cominciato a suonare e dopo un paio di pezzi la band islandese ha catturato il mio interesse con sonorità molto delicate, talvolta soltanto corali, perciò ho deciso che prima o poi ne approfondirò l’ascolto. Già presentatasi in un pezzo con i summenzionati, Anneke van Giersbergen è poi rimasta sul palco con la sua voce e una chitarra acustica. Il suo vibrato mi ha ipnotizzato per tutta la performance e avrei ascoltato volentieri qualche pezzo in più del suo repertorio: mi è piaciuta moltissimo la sua versione di “Time After Time” di Cyndi Lauper.
Ho trovato simpatica la scenografia, la quale ha offerto una cornice domestica e retrò con cui Gildenlöw e soci hanno interagito durante l’esibizione, inoltre ha dato all’intero concerto una dimensione ancor più intima di quanto già non fosse per la presenza di un pubblico esiguo.
Non sapevo se dal vivo mi sarebbe piaciuta la proposta acustica dei Pain of Salvation, gruppo che avevo già visto in un leggendario concerto a settembre dello scorso anno in quel di Veruno. Ne sono rimasto soddisfatto oltre ogni più rosea aspettativa e l’unico pezzo che non ho gradito è stato un duetto jazzato e melenso con Anneke, ovvero la cover di “ Help Me Make It Through The Night“ di Kris Kristofferson: avrei preferito udire la voce dell’ex cantante dei The Gathering in un pezzo più potente. Ho trovato assai migliori la cover di “Dust In The Wind” dei Kansas e quella sanguigna di “Perfect Day” di Lou Reed. La band è rimasta sul palco per circa due ore e ha alternato parti più datate della propria discografia a tracce più recenti come “1979” che in veste acustica mi ha davvero stregato. Insomma, è stato un bel live, il primo in quest’anno così avaro di concerti interessanti e alla portata del mio nomadismo solitario.
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Parole chiave: acoustic tour, Anneke van Giersbergen, Arstidir, Gildenlöw, Pain of Salvation
Pubblicato martedì 9 Aprile 2013 alle 13:56 da Francesco
Espando il pensiero per proteggermi dalla pioggia di rane, dalla caduta libera del senno e dalle depressioni collettive. Basta allungare una mano in qualsiasi direzione per cogliere il pomo della discordia, ma io non sono in vena di dissanguarmi e perseguo la meta di una serenità costante. Mi sembra che tutto concorra affinché una scure si abbatta sul presente, perciò mi faccio un po’ più in là e resto defilato nel sole primaverile mentre le ombre altrui si moltiplicano a vicenda per scoraggiarsi con altrettanta reciprocità, in misura sempre maggiore. Esercito l’autodifesa, anche e soprattutto per proteggermi da me stesso, in particolare dai condizionamenti fuorvianti delle mie introiezioni. Non mi sento parte di un disegno più grande, ma neanche una nota a margine. Forse sono quei vuoti ai quali ogni tanto guardo con sospetto che mi riempiono la vita, come se fossero delle zone cuscinetto in grado di salvaguardarmi da quanto in fondo non ho mai smesso di desiderare. Comunque, fino a qui tutto bene. Sto all’erta, però senza farmi venire il torcicollo. Faccio affidamento sulla mia parte migliore e non mi preoccupa l’idea che la mia buona stella sia ormai una nana bianca. Io non sono infatuato del fato: colpe e meriti mi appartengono in pieno. Ho avuto occasioni che non ho saputo sfruttare e ho commesso degli errori evitabili, ma non ne approfitto per edificarci sopra il muro del pianto: ‘sti gran cazzi.
Non sono infallibile e non bramo la considerazione di chi pretende che io lo sia; non sono così ingenuo da credere che esista un rimedio per ogni sbaglio, ma non ho nulla da farmi perdonare. Ora come ora a me interessa soltanto che il sole mi scaldi abbastanza da indurmi a riprendere la confidenza stagionale con le acque salmastre. Tra le mie mani riesce a passare a malapena il mio destino, perciò è inutile che io provi a filarne qualcun altro. Avverto quelle che qualcuno un po’ naif chiamerebbe “buone vibrazioni”, ma per me sono semplicemente sensazioni e intuizioni che turbinano assieme in un periodo un po’ strano, refrattario alle definizioni, insomma, ostile al verbo. Le parole grondano troppa vanità: maledette.
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Parole chiave: all'erta, buone vibrazioni, entelechia, introspezione