Pubblicato martedì 9 Dicembre 2014 alle 09:31 da Francesco
Se fosse possibile richiederei asilo politico agli Stati Uniti, però mi accontenterei anche del più grande dei miracoli. Nella mia giovane esistenza ho avuto molti bei periodi, ma quest’ultimo è uno dei migliori che abbia mai vissuto e inoltre si è manifestato all’improvviso dopo circostanze di tutt’altro tenore: in questo caso, a differenza dell’aritmetica, se i fattori fossero stati invertiti il prodotto sarebbe cambiato.
Forse per arrivare prima dove mi trovo adesso avrei dovuto proseguire più ad est quando mi sono recato in estremo oriente: con un ulteriore sforzo sarei giunto in estremo… occidente!
Vorrei restarmene qua, avere una casa modesta ma con vista sull’oceano, una ragazza del Midwest con cui condividerla per il resto dei miei giorni e il piacere di leggere le prime pagine dei giornali come se fossero la cronaca estera di Alfa Centauri.
Ancora una volta il caso mi ha regalato uno shock addizionale per il salto d’ottava, ma non me ne sarei mai reso conto se non fosse stato così palese.
Non è che prima non ne fossi al corrente, anzi, ma adesso, in seguito all’esperienza diretta, mi è più chiaro come non sia sufficiente leggere alcune cose o convincersene per acquisirne un certo grado di comprensione. A tempo debito mi riapproprierò dello status di straniero in patria e di certo non per il gusto banale (e fuori tempo massimo) da bastian contrario, ma per altre ragioni a cui vanno bene tutti i nomi possibili (e non).
Mi attendono giorni lieti benché differenti da quegli attuali e imminenti. Aloha.
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Pubblicato lunedì 1 Dicembre 2014 alle 00:14 da Francesco
Ieri ho incontrato di nuovo una ragazza tedesca che ho conosciuto sul volo da Los Angeles a Kona. Siamo rimasti in contatto via e-mail e abbiamo deciso di trascorrere una giornata insieme. In aereo ho scoperto che è stata anche a Orbetello: quante erano le possibilità che io sedessi accanto a lei? Per me è stato un incontro bizzarro! Mi ha divertito la sua accesa spiritualità, ma non l’ho mai irrisa. Abbiamo cominciato a parlare perché lei ha notato la copertina del libro che stavo leggendo, ovvero “Simboli della scienza sacra” di René Guenon.
Sono andato a prenderla in un ostello squallidissimo nel centro di Kona e l’ho aiutata a trovare un posto migliore a sud della città, ma prima abbiamo pranzato insieme in un posto incantevole ed economico sul mare, poi abbiamo esplorato dei negozietti dai cui traboccavano cianfrusaglie d’ogni tipo. In uno di questi posti ho scovato un vinile che non m’aspettavo di trovare, un album che per me ha un significato particolare, “Sacred Hymns”: è un disco di Keith Jarrett dedicato a Gurdjieff e l’ho pagato appena dieci dollari! Alla cassa una signora prim’ancora che della merce mi ha chiesto conto del mio accento e io le ho detto: “Guess!”. Dopo due tentativi ha indovinato la mia nazionalità, che un tempo fu anche la sua, difatti è emigrata trentadue anni fa da Livorno e ora gestisce un grazioso negozio d’antiquariato (con parecchi vinili) insieme ad altre persone.
Verso l’imbrunire ho accompagnato la viaggiatrice teutonica in un ostello più confortevole e là ci siamo salutati come in un film. All’inizio le ho detto che non mi sentivo a mio agio con lei, infatti per quanto piacevole fosse stata la giornata avevo avvertito della distanza e grandi differenze. Ad un certo punto dopo un silenzio interminabile mi ha detto: “I like how you’re handling it”.
Allora abbiamo cominciato a parlare in auto e siamo rimasti là per un paio di ore. Dopo questa lunga e profonda conversazione l’ho vista sotto un’altra luce, ma ci siamo detti comunque addio perché in patria ha qualcuno che l’aspetta. Le ho spiegato che se l’avessi incontrata di nuovo me ne sarei potuto innamorare o forse avrei trovato un’ulteriore conferma delle differenze che avevo avvertito in un primo tempo, perciò avremmo perso in ogni caso: “Great, in any case we cannot win, no way out!”. Alla fine ci siamo messi a ridere perché è stato tutto così surreale.
Per me quelli di ieri sono stati i momenti più romantici della mia vita. Entrambi avremmo voluto che tutto finisse e continuasse, in un paradosso insostenibile per questo piano dell’esistenza. Alla fine lei è scomparsa sotto un’orribile insegna al neon che recitava “open” anche se per me rappresentava un’altra porta chiusa. Prima di andarmene le ho lanciato un bacio dall’auto e lei mi ha aspettato per ricambiare. Non la dimenticherò mai.
Ho messo insieme dei filmati che ho registrato a tempo perso durante questa prima settimana in mezzo al Pacifico: frammenti di quotidianità. Oggi sono pervaso da sensazioni agrodolci, ma nulla che non mi sia già noto. Forse ad altre latitudini è una citazione inflazionata, ma per me continua ad essere qualcosa di più: “Per aspera ad astra!”.
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Pubblicato venerdì 28 Novembre 2014 alle 20:20 da Francesco
Mi trovo alle Hawaii da cinque giorni e me ne sono già innamorato: non ho mai provato nulla del genere negli altri luoghi in cui ho messo piede. Attorno a Waimea c’è un paesaggio lavico che dà un’idea di come un giorno potrebbe presentarsi un esopianeta abitabile agli occhi di quegli astronauti che devono ancora nascere.
Il mio viaggio è stato lunghissimo ma meno stancante del previsto. Ho già conosciuto persone stupende e durante il volo da Los Angeles a Kona ho fatto un incontro particolare di cui scriverò in un secondo tempo. Cerco ancora di profondere gli sforzi necessari per non cambiare nome alle coincidenze, ma eventi piacevoli e inonsueti continuano a suggerire un nuovo battesimo. Negli ultimi giorni ho corso e sono andato in bicicletta: durante un allenamento a piedi ho fatto diciotto chilometri e ho raggiunto quasi i mille metri sopra il livello del mare! A quattromila metri di altitudine c’è un osservatorio astronomico dal quale spero di sbirciare questo mio universo. Sono felice di trovarmi in mezzo all’oceano Pacifico e invece di due mesi vorrei trascorrerci almeno un paio di vite, perciò al prossimo giro di samsara spero di rinascere da queste parti. Sono stato anche nella valle di Waipio la cui vista toglie davvero il fiato: ci tornerò di sicuro! Potrei annoverare un numero sconfinato di sensazioni in un quantitativo altrettanto indefinito di parole, ma ho di meglio da fare e ne sono lieto.
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Pubblicato giovedì 20 Novembre 2014 alle 17:47 da Francesco
Sono prossimo alla partenza per un lungo viaggio, il più lungo che abbia mai affrontato e ne sono entusiasta. Non ho colto al volo l’occasione che mi è capitata, ma ho fatto comunque in tempo ad approfittarne per mettere qualcos’altro nel bagaglio delle mie esperienze.
Credo sempre meno alle coincidenze ma continuo a chiamarle in questo modo perché non voglio azzardare più di quanto mi consentano le mie intuizioni. A volte la sincronicità di Jung mi sembra che assurga la rango di scienza esatta, però non me ne convinco mai abbastanza e dunque ne resto solo affascinato, mai persuaso! Mi aspettano diciotto ore di volo e altrettante di attesa negli aeroporti. Vorrei uscire illeso da un disastro aereo per fare marameo alla morte, però se io dovessi davvero precipitare mi piacerebbe che le correnti dell’Atlantico (o quelle del Pacifico) avessero cura di portare i miei effetti personali sulle rive battute dai passi di una persona sola. Anni fa mi ero ripromesso che il mio prossimo viaggio sarebbe stato accanto a qualcuno e così per un po’ ho tessuto fantasie d’unione alle quali non sono mai seguiti intrecci di altro tipo: non sono riuscito a tenere fede a quel proposito perché di fede non ne ho trovata.
Come al solito cerco di viaggiare il più leggero possibile, perciò mi porto dietro poco di più di quanto serve per coprire la nudità adamitica: qualche libro, un paio di scarpe per correre, il mio passaporto, la patente internazionale e un paio di dispositivi elettronici (come sarebbero stati definiti un tempo, quand’ancora certa tecnologia non era diffusa come oggi e come forse lo sarà ancor di più un domani, magari con un’accresciuta consapevolezza di tutto il resto).
Prima di ogni partenza c’è sempre una traccia che ascolto più di altre e Sono un uomo di Claudio Rocchi è quella in cui adesso trovo maggiore risonanza: insomma, frequento quelle frequenze.
Buona fortuna a chiunque stia riprendendo quota, in volo o sul livello del mare.
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Pubblicato lunedì 10 Novembre 2014 alle 23:10 da Francesco
Quando andavo a scuola seguivo di rado le lezioni, ne ero incapace, e silenti inquietudini non mi agevolavano, così, ogni tanto, per ingannare il tempo tracciavo sui libri o sui quaderni delle linee e delle curve dalle quali ricavavo degli spazi vuoti che poi riempivo con lo stesso inchiostro. Quell’espediente mi rilassava e le spiegazioni degli insegnanti mi scivolavano addosso come gli eventi scivolano su chi abbia raggiunto un certo grado di coscienza. Solo dopo qualche anno ho associato quegli apparenti scarabocchi a dei simboli vedici, ovvero i mandala.
Circa una settimana fa ho acquistato dei libri che porterò in un lungo viaggio la cui partenza è imminente: testi di cui preferisco possedere un’edizione cartacea quantunque non abbia alcuna intenzione di lasciare a casa il mio Kindle e la sua portentosa comodità. Insomma, durante i miei acquisti mi sono imbattuto in un libro illustrato dei mandala di Kamala Murty che ho apprezzato subito per la sua semplicità. L’intento dell’opera è quello di fornire un’ampia gamma di mandala che rappresenti uno spettro altrettanto esteso di stati d’animo. Jung si occupò di questi e di molti altri simboli, inoltre egli stesso ne esperì gli effetti terapeutici; così quest’oggi ho preso un foglio bianco, ho scelto il mandala più adatto a me e l’ho ricalcato prima di colorarlo con quattro matite: una rossa, una verde, una viola e una blu.
”Incassare le delusioni”, così titola la pagina che introduce il simbolo suddetto. In poche righe è spiegato molto bene ciò che per taluni è impossibile da capire. Mi ha colpito la capacità di sintesi del seguente passaggio: “Mi aspettavo probabilmente decisioni e azioni dall’altra persona che non corrispondevano alla sua natura. Se i miei sogni per nulla realistici vanno a monte, non posso dargliene la colpa, anche se mi sento ingannato e sono infuriato”.
La spirale centrale di questo mandala rappresenta la delusione recente, le spirali più piccole le delusioni che l’hanno preceduta, ma ci sono altre forme che si palesano e queste simboleggiano le speranze. Il testo recita: “Nella misura in cui il mio sguardo diviene più libero, riconosco che la mia vita non è suggellata soltanto da affanno e dolore, ma tra le delusioni-spirali sbocciano delle forme piene di speranza”.
Quando ho ricalcato il primo cerchio ero scettico, quando ho finito di colorare l’ultimo spazio ero calmo, forse sereno. Non so se sia stata l’autosuggestione o cos’altro, però riproverò di sicuro. In questo caso ho usato il verde della speranza e il rosso della passione (inespressa) per le spirali (le delusioni) poiché vanno di pari passo. Il rosso l’ho usato anche in alcune forme che io non considero speranze (come suggerito dal testo) ma sublimazioni (cioè passioni incanalate altrove). Il viola (che non si distingue granché dal blu a cui sono ricorso) rappresenta le forme a cui anch’io attribuisco il valore di speranza: speranze diverse a cui il verde non appartiene più. Il blu indica la dimensione terrestre, il cerchio rosso quello della passione che separa le spirali da ciò che invece compone speranze autentiche, di cui forse non ho neanche contezza, e difatti il cerchio esterno è viola come le forme anzidette.
Sto cominciando ad avvertire la necessità di tornare il più indietro possibile a tutto quanto v’è d’archetipico. Sono alla ricerca di un passato che non si trova sui libri di storia: intanto vivo.
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Pubblicato sabato 8 Novembre 2014 alle 16:51 da Francesco
E fu così che una mattina di novembre mi ricongiunsi con una parte di me. Adesso ogni cosa è al suo posto e di posto ve n’è ancora tanto. Sono ispirato da una nuova e spontanea vivacità che mi ha colto senza preavviso ma di cui conosco l’origine: quest’ultima si trova laddove le parole sgorgano nel pieno del loro senso e chiudono i cicli prima di sfociare nel passato.
Riesco a vedere con chiarezza i miei moti interiori tanto nei momenti bui come in questi scampoli di luce, tuttavia non posso orientarne la direzione a mio piacimento e non so se questo limite sia un bene o un male. Senza rendermene conto sono capitato su un piano dell’esistenza in cui gli esiti non contano nulla perché tutto verte sul modo in cui questi si delineano: chissà quanto ci resterò. Tutte le cose e le circostanze a portata d’uomo mi sembrano volubili, però mi chiedo se siano davvero tali o se vengano rese in questo maniera dalle percezioni che le mediano nel linguaggio del pensiero: com’è ovvio quest’ultima ipotesi a me pare la più plausibile.
Prima tetra e opprimente, ora dotata di senso e quasi confortante: questo è lo stato attuale della desolazione in cui versa una parte di me, come se fosse passata dalla notte al giorno o viceversa. Non ho vincoli da sciogliere né ponti da tagliare e forse per adesso è meglio così.
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Pubblicato sabato 1 Novembre 2014 alle 23:53 da Francesco
Non ho mai avuto un sogno lucido e non sono stati degli sforzi intenzionali a produrre quei rari bagliori della coscienza che ho esperito nel corso di certe fasi oniriche. Forse non sono portato per questo genere d’attività o può darsi che io non mi ci sia impegnato abbastanza: ho provato anche ad avvalermi dei toni binaurali e isocronici, ma non mi hanno aiutato e d’altronde temevo che non funzionassero. Che si trovi proprio nella mia mancanza di aspettative l’ostacolo più grande per questo ordine di cose e per tutto il resto? Sono immune a qualsiasi effetto placebo?
Se fossi riuscito ad acquisire anche solo una parziale padronanza dei miei sogni avrei potuto trovare in quelle esperienze delle utilissime valvole di sfogo per la vita vigile e avrei facilitato il decorso del mio attuale periodo di transizione. Per Freud l’Io non è padrone a casa sua, però in qualità di ospite a me basterebbe un’accoglienza più calorosa da parte dell’inconscio.
Intendo riprendere il lavoro sul pranayama: ho smesso d’interessarmi al respiro quando pareva che quest’ultimo stesse per mancarmi. Sono tornato in pianta stabile sulla mia via anche se di tanto in tanto odo in lontananza delle frane innocue. Ho in serbo ulteriori piani per la cura della mia persona: tutte cose che posso fare da solo e nelle quali tale facoltà è ipso facto un dovere. La corsa continua ad essere alla base del mio equilibrio psicofisico e mi rendo conto di come ora me la goda più di quanto l’agonismo mi consentisse di fare. Stamattina ho percorso quindici chilometri in cinquantanove minuti e quarantanove secondi, ovvero con un ritmo di un secondo inferiore ai quattro minuti al chilometro: mica male. I numeri esprimo fatti e ciò che mi resta.
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Pubblicato domenica 26 Ottobre 2014 alle 00:03 da Francesco
Sorseggio del tè verde ma non mi bevo speranze d’egual colore. Stanotte dormirò un’ora in più, però la mia esistenza non si allungherà di sessanta minuti.
Questo autunno per me è abbastanza solitario, come se aderisse pienamente alla mesta idea che talora evoca nell’immaginario collettivo: invero i precedenti non sono stati all’insegna della mondanità, ma quantomeno vibravano d’un fiero isolamento. Da quando ho spalancato le porte del cuore solo il vento è rimasto a sbatterle: ora di aria ne passa e se non altro respiro meglio!
Negli ultimi anni ho sempre incensato i miei periodi migliori perché lo ritenevo opportuno, ma ho speso altrettante parole per descrivere i frangenti meno sereni. Attualmente mi sento in una fase di transizione sebbene non sappia di preciso quale sia il punto di partenza né mi sia chiaro quale debba essere quello d’arrivo, un po’ come la vita stessa. Ho trascorso un settembre nero meno tragico di quello che piombò (in tutti i sensi) sulle olimpiadi di Monaco nel settantadue, ma ho dovuto comunque sacrificare intere giornate all’altare della disfatta.
Certe sensazioni sembrano simili a quei luoghi che appaiono diversi a ogni passaggio e talvolta trovo buffo come il riassunto delle puntate precedenti si ritrovi in quello che le circostanze fanno apparire come l’ultimo episodio. Non cerco empatia né consolazioni, ma estraggo da me stesso la materia prima che dopo un’attenta lavorazione costituirà la pietra angolare della mia nuova individualità. Mi chiedo dopo quanto tempo un’altra meravigliosa prospettiva metterà a rischio il mio ritrovato equilibrio (che ancora non è tale): affronterei un’esistenza più semplice se avessi la stoffa dell’anacoreta, ma paradossalmente la mia natura è più estroversa di quanto facciano credere le mie introspezioni. Intanto porto avanti tutte quelle cose che mi hanno consentito di non restare indietro o che in determinati casi mi hanno addirittura dato un vantaggio sul futuro. Insomma, basto a me stesso nella misura in cui devo, come d’altronde mi sono bastato finora, ma non mi beo di questa situazione a differenza di quanto ho fatto in passato a ragion veduta e in forza di un’autenticità che oggi ha altre sembianze, quelle dei miei attuali limiti.
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Parole chiave: equilibrio ritrovato, ora solare, settembre nero
Pubblicato sabato 18 Ottobre 2014 alle 21:39 da Francesco
Alcuni giorni fa ho iniziato la lettura de “Il suicidio” di Durkheim, ma prima di affrontare il testo originale mi sono immerso in un’introduzione di oltre duecento pagine che mi ha dato un quadro attuale del tema. La sociologia non mi attrae poiché allo studio delle masse io preferisco quello dei singoli casi, però so che le une non sono scisse dai secondi poiché questi formano le prime. Il pensiero della morte mi accompagna fin dalla più tenera età: non ho mai tentato d’eluderlo e so anche che non potrò deluderlo. In determinati casi persino l’uso delle assonanze può essere considerato come un ricorso all’eutanasia: quella dello stile.
Malgrado le più tetre elucubrazioni non ho mai compiuto dei tentativi di suicido, infatti volente o nolente non mi fanno difetto né la salute fisica né quella mentale: tutt’al più mi sono procurato qualche problema di troppo con la mia lucidità, talora un’arma a doppio taglio.
Finora nel libro succitato non ho scorto nulla di nuovo, niente che non abbia già appreso altrove o a cui non sia già arrivato da solo, tuttavia lo reputo un ottimo lavoro di verifica e apprezzo il fatto che l’introduzione offra il proprio fianco all’autocritica, in particolare quella sulla raccolta dei dati e sulle loro comparazioni. Che anche i ricchi piangano o che, a seconda dei contesti e delle congiunture economiche, delle condizioni sociali o dei frangenti politici, determinate fasce d’età siano più esposte al rischio di uccidersi rispetto ad altre, ebbene, tali conclusioni a me erano già note. Mi ha colpito l’impiego del termine anomia con il quale Durkheim riassume la carenza di solidarietà e le sue nefaste conseguenze, ma al di là della forma non l’ho condiviso poi molto in quanto mi pare che egli lo designi come il cippo iniziale di una crisi dei valori, ciò che io ho subito associato al Crepuscolo degli idoli di Nietzsche e che dal mio punto di vista non reputo negativo. Pecco di empatia, coltivo il mio orticello dove a volte pare che nulla nasca e tutto sia già morto? Può darsi, infatti porto in un contesto autoreferenziale tutto quello che posso trascinarmi dietro dalla trattazione di cui sopra e non ho alcuna intenzione di fornire interpretazioni generali.
Per Aristotele (e chissà per quanti prima e dopo di lui) l’uomo è un animale sociale, ma io credo che ci sia una netta differenza tra la percezione di sé stessi come pecora in un recinto o come lupo in un branco: poi ci sono i disturbi bipolari che permettono il rapido avvicendarsi d’ambo le esperienze a costo della dissociazione, ma questo è un altro discorso, un’altra altalena; forse.
L’identificazione (uno dei mali che Gurdjieff e i suoi allievi hanno spesso sottolineato) mi sembra che sia una spontanea attività compensatoria: la politica, la gelosia, il tifo, la religione e tutto il resto dell’illusorietà, compresa la cultura quando sia ridotta ad un semplice accumulo di nozioni. Io credo che sia possibile appartenere autenticamente a qualcosa o a qualcuno (non nel senso del possesso, bensì in quello stabilito da un’intesa che sappia sancire e annullare le rispettive solitudini), ma lo reputo tutt’altro che semplice, eppure non vedo a cos’altro possa tendere chi non avverta una vocazione naturale per il romitaggio (e anche nelle pratiche ascetiche ho visto molta identificazione). Thanatos prevale quando Eros latita, come i topi ballano quando il gatto non c’è, perciò, senza scadere nell’ingenuità o nella pochezza di certi sentimentalismi, condivido quanto sosteneva La Fontaine, ovvero che tutto l’universo obbedisce all’amore.
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Pubblicato mercoledì 8 Ottobre 2014 alle 08:14 da Francesco
Nel corso delle ultime settimane sono rimasto indietro rispetto a tutto e così già che c’ero (qui l’uso dell’imperfetto supera la perfezione) ho provato a fare un salto in un passato recente, ma sono finito nel clima artico di un’aorta meridionale e là non ho ritrovato nessuna traccia del mio primo passaggio: tutto è stato sepolto dai cristalli di neve e dai lunghi intervalli dell’indifferenza. Non ho occupato abusivamente i pensieri altrui e non mi sono infiltrato nei pertugi sottocorticali di nessuno, tuttavia ho preferito constatarlo in prima persona al fine di scongiurare ogni dubbio. Non ho raccolto degli indizi per farne una prova, ma delle conferme con cui rimuovere le velleità pregresse dalle cornici delle ipotesi future. Sulle pareti della mia mente sono rimasti soltanto dei chiodi e alcuni rivoli di sangue rappreso: adesso là dentro c’è più spazio per pensare e posso anche correrci liberamente come s’avessi a mia disposizione un castello abbandonato.
Ho ripreso con un po’ di regolarità quelle abitudini che favoriscono nuove connessioni sinaptiche e certe le ho sostituite con degli interessi quasi inediti che per lungo tempo ho mantenuto in secondo piano. Alla luce di questa tabula rasa anche le faccende quotidiane hanno perso parte della zavorra che si erano spartite con il resto del mio microcosmo: ora ci sono meno elettroni di valenza, ma più voglia di farsi valere. Non solo non m’aspetto dei riconoscimenti, ma neanche di essere riconosciuto da chi potrebbe trarre giovamento dalla mia vicinanza; non so quanto ci sia di vero nell’adagio secondo cui tutti sono utili e nessuno indispensabile, ma di sicuro non posso essere io a certificare la mia eventuale insostituibilità e già sono grato d’esserne impossibilitato.
Per quanto siano ancora incompleti, non mi aspettavo un così rapido esordio dei primi segnali del mio recupero e forse è stata una tetra ed erronea convinzione a restringerne i tempi, però dubito che l’efficacia di tale processo sarebbe stata la stessa se quell’idea sbagliata fosse stata intenzionale, come indotta a mo’ di trucco dall’autosuggestione o in seno a sotterfugi analoghi.
In questo frangente mi vengono in mente delle parole che non sono mie e nelle quali ritrovo la forza espressiva delle cose semplici: “Errori forse non esistono, solo lezioni che ti accrescono”. Mi sento come se mi stessi per affacciare ad una nuova vita, come se mi stessi per reincarnare ad opera ancora in corso, però poco importano le immagini evocative che tento di destare con alterne fortune; non sono vuoto perché ho perso qualcosa (cosa o chi, poi?), bensì lo sono in quanto devo ancora accogliere ciò che di meglio vuole farsi presenza.
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