Pubblicato venerdì 18 Dicembre 2020 alle 22:51 da Francesco
Quest’anno il clima natalizio è subordinato a quello dell’Apocalisse, ma io credo che il giorno del giudizio sia stato rimandato per evitare assembramenti. Anche l’eventuale fine del genere umano deve osservare le regole contro il contagio. Non seguo i deliri politici che si dispiegano nella nazione di cui possiedo il mio unico passaporto e mi espongo all’informazione nella misura in cui questa mi risulti d’utilità pratica, perciò non mi avvincono affatto le diatribe tra i piccoli pensatori del piccolo schermo. A me tutte queste restrizioni non pesano per nulla in quanto sono solito trascorrere per i fatti miei questi giorni mitriaci, tuttavia capisco quale colpo al cuore costituisca per taluni l’impossibilità d’imbandire tavole e discorsi allegri.
Non faccio l’albero di Natale perché i gatti a cui mi accompagno già dispongono di molteplici svaghi, però ne ho uno piccolissimo di cartone che ogni dicembre colloco accanto ad alcuni dischi: è un oggettino kitsch la cui provenienza attribuisco a una vecchia rivista. Mi pare che le feste comandate si comandino da sole, un po’ come un desiderio che possieda chi s’illuda di possederlo. Non ho regali da incartare né da aprire, però ho qualche presente per il mio presente: un caso di omofonia nel quale unisco l’utile al dilettevole.
Invece sulla falsariga dell’allitterazione ho la sensazione che tra certi addobbi vi siano degli addebiti, ma io vivo al di sotto delle mie possibilità in senso lato e dunque la questione non mi tange. Mando i miei migliori auguri laddove questi non possono arrivare, perciò con la speranza che mi tornino indietro affinché svelino quanto autoreferenziali siano. Resta poco di tutto alla fine della vita, alla fine della sera, alla fine dei saldi. Brindo alla tua, alla sua, alla mia, con una bottiglietta di Sprite poiché per me alle nozze di Cana andava benissimo l’acqua.
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Pubblicato lunedì 14 Dicembre 2020 alle 22:43 da Francesco
Circa quattro settimane fa sono stato contattato da una casa editrice benché non sia stato io a sollecitarne l’interesse. Un’addetta della società in oggetto, forse mentre cercava istruzioni su come fabbricare ordigni artigianali, s’era imbattuta in un mio libercolo di qualche anno fa, Nuovo nichilismo solidale, e così, illico et immediate, mi aveva chiesto di inviarle il testo completo affinché un presunto comitato di lettura potesse valutarne un’eventuale pubblicazione.
Dopo una rapida ricerca sulla sua casa editrice avevo capito che si trattava di un editore a pagamento, ovvero un’entità verso cui nutro la stessa simpatia che gli azeri riservano agli armeni e viceversa. Per gentilezza e invero anche per curiosità avevo risposto quasi subito alla collaboratrice di cui sopra, avendo cura di specificarle come non fossi affatto interessato a condividere il rischio d’impresa con la sua azienda, ma a seguito di questa mia precisazione lei mi aveva invitato a spedirle comunque il PDF dello scritto poiché il presunto comitato di lettura ne avrebbe valutato una pubblicazione che non avesse richiesto contributi di sorta da parte mia.
Qualche giorno addietro, ormai quasi del tutto dimentico della circostanza testé raccontata, mi è giunta una telefonata da un tizio a cui la collega aveva passato la palla. La conversazione è stata rapida e indolore, ho persino reso edotto il mio interlocutore di come a mio avviso sia meglio spendere del denaro per la promozione di un’opera piuttosto che usarlo per l’acquisto di eroina, ma ho ribadito come non sia interessato alla faccenda poiché detesto tanto le illusioni quanto le droghe. Non pago di questa mia risposta, costui ha sottoposto alla mia attenzione una “proposta di contratto” tramite posta elettronica, perciò mi sono sentito in dovere di rispondergli a mia volta con un’epistola digitale che riporto di seguito.
Per me si tratta di una proposta irricevibile poiché sono contrario a qualunque forma di editoria a pagamento, ma questa mia posizione era già emersa nel corso della nostra telefonata.
Se il mio scritto fosse davvero valido e presentasse realmente una potenziale commerciabilità allora non sussisterebbe l’esigenza di condividere il rischio d’impresa.
Il vostro modus operandi è adottato anche da altri, tuttavia non è la prassi e posso affermarlo senza tema di smentita poiché conosco realtà editoriali, piccole e grandi, che non chiedono contributi agli autori. Comprenderei e accetterei finanche la proposta di un editore che mi chiedesse di rinunciare per sempre a qualunque diritto per lo sfruttamento commerciale dell’opera, ma per principio non sborserei mai del denaro di tasca mia a meno che non decidessi di investire su me stesso in piena autonomia.
Dieci anni fa, per il mio secondo libro, rifiutai l’offerta di un piccolo editore che mi chiese soltanto un modesto contributo per i bollini SIAE, ergo su questo punto sono inamovibile. Inoltre non ho mai avuto velleità da scrittore proprio perché conosco lo stato dell’arte (in senso lato e letterale) e difatti consiglio a chiunque di preferire la pratica dell’atletica leggera all’esercizio della cultura, giacché quest’ultima ormai s’è fatta asettico numero e solo in rari casi assurge allo stesso grado del bilancio aziendale.
Vi ringrazio comunque per l’interesse, vi porgo cordiali saluti e vi auguro un buon Sol Invictus.
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Parole chiave: case editrici, contratto editoriale, editore a pagamento, editoria a pagamento, libri, proposta di contratto, pubblicazione, scritti, scrittura, stato dell'arte, testi
Pubblicato mercoledì 9 Dicembre 2020 alle 01:09 da Francesco
Finalmente ho risolto un problemino fisico che per un paio di mesi mi ha impedito di allenarmi bene e così, da alcuni giorni, ho ripreso a sostenere delle buone andature nelle mie uscite podistiche. Per superare quel fastidio non mi sono rivolto a un medico né mi sono prestato a una ridda di esami: ci ho convissuto fino a quando non si è estinto e immagino che lo stesso modus operandi si possa applicare alla vita tout court, laddove essa si configuri o venga intesa come un infortunio cosmico.
Vivo in un’epoca del cazzo che straripa di giovani idioti e vetusti incapaci, ma io sto per i fatti miei, coltivo le mie passioni in un giardino d’amor proprio e frequento perlopiù gatti castrati dall’indole atarassica. Sto cercando di scrivere il mio sesto libro, ma al momento non ho molte idee e forse è venuta meno o è diminuita parecchio quell’esigenza interiore che mi ha spinto a redigerne cinque. Nel mio caso la mancanza d’ispirazione deriva da una certa tranquillità d’animo, perciò non la reputo un problema e invero non me ne frega nulla. Mi sento in pace con me stesso e non vedo cosa possa chiedere di più dalle circostanze. Non rimbombo nella testa di nessuno e nessuno tuona nella mia, in una reciprocità che non può risultare altrettanto equa nelle asimmetriche forme del desiderio o nei rapporti di coppia.
Di tanto in tanto scorgo in me un tenue invaghimento, ma lo lascio sempre dove lo trovo, così ho più tempo per correre. Non ho mai appurato se sulle etichette delle persone campeggino avvertimenti quali “maneggiare con cura”, “materiale fragile” o, nel caso dei piromani, “liquido infiammabile”, ma io non mi occupo di resi e non ho niente da vendere, perciò la mia è destinata a rimanere una semplice curiosità. Non posso mercanteggiare le croci altrui perché non ne ho di mie da barattare, ma potrei ordinarne una online da personalizzare all’uopo. Ci penserò. In fede, mio Francesco.
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Pubblicato mercoledì 2 Dicembre 2020 alle 20:48 da Francesco
Sono oberato di noie passeggere a cui devo dedicare più tempo di quanto voglia distrarre dalla mia disponibilità, però la mia mente non risente di questa seccante fase e io me ne rallegro. È come se la mia realtà interiore godesse di una crescente indipendenza rispetto a una certa quota dei fenomeni esogeni, tuttavia non m’illudo che l’intima enclave di cui sono reggente sia davvero un’opera compiuta. Non mi reputo un cercatore d’oro né di guai, ma talora i secondi s’imbattono in me e cercano di trattenermi nella loro pochezza. Di norma non mi attardo per le vie maestre della mediocrità e anche per questa ragione delego alla mia assenza molte ambasciate sociali, ma di tanto in tanto i gangli del potere e la stupidità umana mi obbligano a presenziare dinanzi alle spoglie offese del buonsenso.
La legge degli esseri umani non mi trasmette alcuna fiducia e provo una forte diffidenza nei confronti dei suoi molteplici interpreti. Nelle divise di ogni ordine e grado io vedo sempre dei potenziali nemici, perciò non riesco a illudermi che il loro operato possa tutelarmi. Forse non credo neanche alla verità, qualunque essa sia, ma di certo quest’ultima non ha bisogno della mia approvazione affinché la sua essenza possa godere d’una certa autonomia. Le diatribe, le controversie, le guerre tribali, le liti di condominio, le battaglie per diritti più o meno civili, le rivoluzioni violente e i bombardamenti a tappetto sono degli svaghi diffusi a cui io, tuttavia, ne preferisco altri, quindi rinuncio volentieri al ruolo di comparsa in quei giochi senza frontiere e non temo d’offendere qualcuno con il mio fermo rifiuto. Non voglio essere al di sopra bensì al di là delle parti, compresa la mia, e chissà che un giorno non riesca in cotale opera; nel frattempo costeggio la mediocrità di cui sono ospite e non mi faccio scrupoli a pisciarci contro.
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Pubblicato sabato 28 Novembre 2020 alle 20:32 da Francesco
I primi freddi cominciano ad attanagliare i dintorni, ma le loro espressioni più secche e chete mi rinvigoriscono oltremodo. Sono alle prese con degli interessanti libri di saggistica e come al solito ricerco nell’atto stesso di leggere ad alta voce una forma di meditazione che sovrappongo a quella della corsa. Il continuo ripiegamento in me stesso mi concede il lusso di tollerare con maggiore facilità i trascurabili accadimenti che si moltiplicano sul piano della prossimità materiale e su quello della vicinanza astratta, ancorché io non ne risulti mai del tutto immune.
Il mio modo di vivere presuppone un richiamo vaccinale contro fatti e idee i cui possibili sviluppi sono destinati a esiti esiziali di diversa gradazione, ma la copertura non è mai completa né pretendo che lo sia. Talora non riesco a capire se io mi ritrovi in alcune situazioni per mio demerito, o se certe dinamiche mi si presentino come un compito da svolgere sull’accidentato iter della mia mutevole soggettività, tuttavia non escludo che a volte le due circostanze possano convivere con buona pace della mia inavvedutezza.
Non posso darmi un tono che non sia quello muscolare, ma tendo a svilire anche quest’ultimo con la mia devozione alla maratona, perciò di me rimane poco ed è comunque troppo. Questa constatazione non riguarda la mia autostima, ossia quello strumento di navigazione che manutengo con regolarità, ma al quale non ricorro oltre la misura di cui è capace. Insisto su di una ricerca endogena, perlopiù avulsa da ausili alieni, laddove tale aggettivo si adatti anche a me rispetto agli altrui mondi interiori. Le faccende umane si riassumono spesso in una questione di prospettiva, anche quando quest’ultima descriva la pavidità con cui gli individui sanno girarsi dall’altra parte, qualunque sia la direzione altra. Non ho aggiunto granché in queste righe di testo, tuttavia almeno qualche lucina natalizia avrei potuto mettercela. Crepi l’avarizia e non solo lei.
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Pubblicato domenica 15 Novembre 2020 alle 17:04 da Francesco
Tace tutt’attorno l’urbe e nei suoi punti nevralgici; polso debole, coma vigile: gli uni sono sedati e gli altri pure. L’attuale realtà è velata d’un silenzio imperfetto ma egemone di cui al contempo apprezzo il dominio e disistimo le cause formali. Un lieve vento di cui ignoro la provenienza allieta questa domenica vermiglia, però non mi suggerisce nulla di nuovo poiché quest’oggi neanche il Sole, come sempre d’altro canto, illumina qualcosa d’inedito.
Assorto nei miei pensamenti e nei piccoli svaghi, mi staglio su una prospettiva indefinita e non riesco a proiettare forme sul futuro che possano definire le linee abbozzate di un qualsivoglia orizzonte. Hic et nunc non c’è un ponte radio con l’avvenire, non sono in grado di prevedere gli incroci che mi attendono né se effettivamente più in là ve ne siano, però sono pervaso da una coriacea serenità la quale, al momento, non risente delle piccole ammaccature di cui gli agenti atmosferici e gli eventi umani sanno essere cagione.
Non sono votato ad altra ricerca che non sia quella interiore, ma essa però si ripercuote al di fuori del suo campo d’indagine e forse è anche attraverso un tale sconfinamento, per mezzo dell’eterogenesi dei fini, che questa trova un parziale compimento sulla scorta del quale il processo si rinnova nei suoi limiti ultimi e si configura dunque come interminabile per sua stessa natura. Nella perenne ecatombe di senso io non cerco la resurrezione di ciò che forse non ha mai avuto sostanza né essenza, bensì mi limito a passeggiare sulle fosse comuni di frasi che furono e di cui il tempo non serba né i resti semantici né i segni d’interpunzione. Non ho stretto promesse perché non è mio costume usare violenza verso terzi e dunque lascio ad altri l’onere di soffocare gli impegni presi nelle loro puntuali inadempienze. Saluto i controsensi perché spesso viaggiano in direzione contraria alla mia, ma talora c’incolonniamo a mio detrimento.
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Parole chiave: chiusura, divenire, hic et nunc, incertezza, mancanza di senso, qui e ora, silenzio, zona rossa
Pubblicato sabato 7 Novembre 2020 alle 00:30 da Francesco
Mi sto ponendo con forte insistenza alcuni quesiti sull’attività onirica, poiché mi porto ancora dentro il dubbio se essa abbia una sua realtà autonoma o se invece si tratti soltanto di un epifenomeno biologico. In un sogno recente mi sono ritrovato a conversare con una giovane donna e da quel momento alberga in me la sensazione che io debba incontrarla di nuovo, però non ho idea di come possa presentarmi a un secondo rendez-vous.
Dubito che esistano in commercio dei navigatori satellitari per altre dimensioni, ma qualora dovessi ritrovarmi da quelle parti non saprei comunque a chi chiedere indicazioni. Non ho idea di come io possa giungere a un appuntamento che sfugge alla convenzione del tempo ordinario. Mi mancano i riferimenti, non ho una mappa né un numero verde da comporre con il pneuma, eppure dev’esserci un modo tramite cui mi sia dato di ritrovare quelle coordinate tutt’altro che euclidee. Ogni stato di sonno costituisce per me una ricerca di quella ragazza, o almeno del punto in cui ci siamo incontrati, ma la mente mi porta altrove, come se fosse un furbo tassista e fingesse di non capirmi per allungare la strada sbagliata. Può darsi che alla fine sia importante lo sforzo e non già la meta, tuttavia voglio parlare di nuovo sul piano sottile con quella giovane e incontrarla mentre risulto incosciente a livello grossolano.
Mi rendo conto di quanta poca dimestichezza ancora io abbia in ogni stato diverso da quello vigile, ma in una tale inadeguatezza ravviso più stimoli che frustrazioni e conto di migliorare il mio senso dell’orientamento laddove la rosa dei venti non indica alcunché.
Mi domando se la bussola migliore non sia la necessità che pulsa al mio interno, quell’elemento intangibile del quale fatico a dare finanche una forma scritta, ma la cui portata è immensa ed empirica, almeno fino a un certo grado. Insisto a occhi chiusi.
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Parole chiave: coordinate euclidee, dimensione sottile, incontro onirico, piano sottile, ripetere un sogno, sogno, sonno, tornare nel luogo onirico
Pubblicato lunedì 2 Novembre 2020 alle 00:48 da Francesco
Non ripongo la mia fiducia in nulla, non stabilisco alleanze, non seguo correnti e non sono disposto a mettere la mano sul fuoco o sul cuore per nessuno, nondimeno si prospettano tempi assai interessanti, suggestivi, incerti, di certo imputabili alle puntuali emanazioni della legge di causa ed effetto che vige su ogni aspetto della realtà impropriamente detta. Ogni evento continua ad apparirmi come un epifenomeno di facile spiegazione benché a volte possa risultare difficile da accettare, ma forse agli accadimenti viene talora attribuita una difficoltà interpretativa affinché la loro ricezione risulti più tollerabile, come in un goffo tentativo d’indorare la pillola: in tutto ciò la parola presta i propri servigi a buon mercato e all’apparenza può sembrare più conveniente dell’onestà intellettuale o delle esose richieste d’una profonda introspezione. Ognuno fa i conti con se stesso.
In quest’epoca di savi distanziamenti non credo che sia il caso di abbracciare acriticamente la prima consolazione a portata d’inganno, ma in realtà neanche una che che consegni se stessa a domicilio. Sono sospeso tra vari cambiamenti che convergono da ogni parte verso di me e me ne attendo altri da cui non ricevo nemmeno un avviso. Non so a chi rivolgermi per farmi consegnare tutto all’ultimo stadio. Ogni mutamento rientra nella categoria dell’usato garantito e non si può restituire al mittente a meno che non ci si rechi in filiale di persona, o meglio, di pneuma. Invece di dimenticare tutto è opportuno ricordare di quale risma è questo pianeta affinché la prossima incarnazione si svolga altrove: questo me lo devo appuntare da qualche parte, forse sulla ghiandola pineale.
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Pubblicato venerdì 30 Ottobre 2020 alle 22:48 da Francesco
Mi chiedo se l’attuale annus horribilis voglia intrattenere con ulteriori giochi di prestigio il suo pubblico di candidati alla morte, ineluttabile protagonista sul fatiscente proscenio di un presente diroccato. Una claque di fantasmi e un sipario stracciato dalle intemperie.
Cosa si può regalare a chi abbia donato tutto se stesso? Io non mi sono mai trovato in una situazione di cotale altruismo e annullamento, invero neanche l’anelo, però compio uno sforzo empatico per capire la difficoltà di chi davvero debba trovare un piccolo presente per un siffatto individuo. Non sono votato alle cause perse né mi piace salire al volo sul carrozzone dei vincitori, tuttavia sarebbe buffo se le prime dirottassero il secondo: ecco, quello è uno spettacolo per il quale sarei disposto a saltare il mio unico pasto o a farne uno con il servizio a tavola dal distributore di merendine.
Non credo che l’assurdità dei tempi correnti vesta abiti poi così diversi dalle sue precedenti colleghe. Bene o male le cose sono sempre le stesse, però è sufficiente non crederle tali per viverle come inedite e primarie.
Non so se sia peggio uscire dal seminato o da un utero, ma di certo il corpo è una prigione che io curo come se fosse un tempio da lasciare in eredità agli agenti atmosferici. Per qualcuno non ha senso morire sani, come se l’organismo fosse soltanto il faccendiere dell’appagamento subitaneo dei sensi, per me invece il momento della morte è fondamentale e credo che dipenda molto da come sia stata condotta la vita, perciò io agisco in accordo con questa piccola convinzione. La mia è un’accortezza metafisica che ha tante buone ripercussioni sul piano ordinario dell’esistenza, ergo non ho proprio bisogno di consultare il libretto delle istruzioni né il manuale dell’altrui disfacimento. L’impalpabile pochezza dell’avvenire è visibile a occhio nudo, la verità invece mi pare assai più casta e pudìca.
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Parole chiave: annus horribilis, Crono, divagazioni, flusso di coscienza
Pubblicato lunedì 26 Ottobre 2020 alle 23:16 da Francesco
Mi trovo al centro di una vicenda disgraziata, uno di quegli eventi annunciati che tante volte ho sondato con occhi e orecchie nei servizi di cronaca, ma sto affrontando la cosa con il dovuto distacco, con una forte vocazione all’atarassia e come se non mi riguardasse. Colgo quest’occasione per inseguire ancora una volta la phronesis nelle tenebre degli eventi e dunque nulla mi sorprende. Le difese immunitarie del mio spirito si sono sviluppate negli anni alle pendici dell’Iperuranio, sul pensiero dei grandi filosofi e in seno a un’efficace introspezione.
Legge e giustizia non combaciano sempre e talora risiedono agli antipodi delle cose umane, ma io non ho la facoltà di accorciare le loro distanze e dunque mi rimetto al volere degli dèi. Tutto accade per un motivo: o per insegnare qualcosa al diretto interessato o come risultato di un ritorno karmico. Osservo la prosaicità dei fenomeni ordinari alla luce accecante di una realtà superiore e non chiedo conto della seconda proprio come non pretendo di governare i primi in un’ubriacatura di controllo.
Sarà ciò che dev’essere, com’è sempre stato e come sempre sarà. Le miserie degli esseri umani sono forse le caratteristiche distintive della specie, almeno per quanti non protendano verso le possibilità più alte a loro disposizione. Potrei disquisire su cosa sia la società, per quali ragioni essa nasca e su quali premesse, ma ho disturbato tante volte il signor Hobbes che non me la sento di turbarne ancora il meritato riposo. Nulla permane, né la verità né quanto le si oppone ontologicamente, e questa certezza mi rasserena. Il resto va da sé, allo sbando, nel tempo che gli rimane tra le illusioni di un’attualità sempiterna. Mi raccomando il gallo a Esculapio.
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Parole chiave: Areopago, eventi, gallo a Esculapio, giustizia, nulla accade per caso, ritorni karmici, Socrate