6
Feb

Pagina 777 del Televideo

   

Pubblicato sabato 6 Febbraio 2021 alle 15:54 da Francesco

Di certo animato da buone intenzioni e da un’ingenuità di fondo, qualche giorno fa un conoscente di vecchia data mi ha detto: “Scusa, ma perché tutta l’energia che usi per la corsa non la investi in qualcos’altro? La vita poi passa, guarda me che ho già sessant’anni”.Non ho trovato affatto peregrina quell’esternazione, tuttavia, come spesso accade in questo genere di cose, l’altra persona in realtà si stava rivolgendo a se stessa.In quel momento, mentre parlavamo, probabilmente mosso da un’insoddisfazione di fondo, egli ha visto nella mia età (ancora relativamente giovane) una panoplia di possibilità inespresse, di vie non battute e l’inspiegabile preminenza da me accordata a qualcosa che per lui non conduce a nulla, irrazionale e insensato; forse ha provato in se stesso un fastidio inopinato per le sue occasioni mancate, come se tra sé e sé si fosse detto: “Ah, se avessi i tuoi anni, io farei questo e quello”.Ci sta, rientra nel cosiddetto e consunto ordine delle cose, ma la mia visione della realtà differisce dalla sua e io ricerco un gusto superiore, dove “superiore” non risponde a un sistema gerarchico, piramidale o verticistico, ma è cosa altra da questo tipo di categorizzazioni e anzi, la sua essenza verte sulla loro costante elusione.La mia reazione sarebbe stata più sbrigativa e inautentica (miope, limitata, fuorviante) se mi fossi risentito per quella frasetta, come se l’avessi presa per un atto di lesa maestà nei confronti di qualcosa a me caro, ma verso cui invece, anche e soprattutto nella pratica, devo mantenere un certo distacco proprio per ossequiare la ricerca di quel gusto superiore. Su tante cose soprassiedo perché non posso mettere sempre i sottotitoli, quindi lascio a terzi l’onere di andare alla pagina 777 del Televideo.


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1
Feb

Idillio di astrazioni e falcate

   

Pubblicato lunedì 1 Febbraio 2021 alle 22:25 da Francesco

Mi sento in procinto di raggiungere la migliore forma fisica che io abbia mai esperito e spero di farla valere alla prima occasione utile. Nelle ultime settimane ho riflettuto sul mio rapporto con l’atletica leggera e sono giunto a una simpatica conclusione che mi ha fatto ridere di gusto.
A livello emotivo la corsa mi ha dato più di quanto abbiano fatto tutti i rapporti platonici in cui, a mio disdoro, mi sono ritrovato nell’arco di sedici anni. Non sono state molte le occasioni nelle quali s’è innalzato un ponte tra me e una ragazza, però tutte le confidenze, i prodromi di complicità, la sagacia, le piacevoli illusioni d’una parvente intesa, persino un rinnovato senso d’identità per interposto sé, ebbene, tali cose non mi hanno mai fatto provare ciò che mi ha rapito in alcune gare o in certi allenamenti dove mi sono sentito tutt’uno con il cosmo.
A questo proposito mi vengono in mente le parole di Toshihiko Seko, un fortissimo maratoneta giapponese degli anni ottanta che una volta disse: “The marathon is my only girlfriend, I give her everything I have“. Lui era un campione mentre io sono soltanto un buon dilettante, ma capisco ciò che intendeva. Domani stesso potrei essere costretto a non correre più per un incidente, una malattia o per qualche altra disgrazia, ma se mi accadesse qualcosa del genere avrei comunque già maturato tanti bei ricordi.
Per me la corsa non rappresenta tutto così come io stesso non sono il mio semplice corpo, però mi rendo conto che le riservo delle attenzioni particolari e ancor oggi, dopo tanti anni, ne sono ancora perdutamente innamorato.
Cosa può darmi una relazione affettiva che la corsa non sia in grado di elargirmi? A parte le facili battute da caserma, le quali comunque mi divertono sempre, mi pongo quell’interrogativo con la massima serietà. Immagino che io riesca a dare il meglio di me da solo perché ho molto amor proprio e poco da condividere. Sono arrivato a un punto in cui sto talmente bene con me stesso che potrei contenere e modificare questa mia condizione solo se mi trovassi dinanzi a una esponente della kalokagathia con le medesime intenzioni: meglio che io continui a correre!

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23
Gen

Il peso specifico dei pensieri

   

Pubblicato sabato 23 Gennaio 2021 alle 21:16 da Francesco

Più volte, in passato, ho avvertito un senso d’impotenza dinanzi a fatti e impegni da cui sono stato investito con particolare intensità, come in una tempesta perfetta, ma da qualche anno a questa parte ho sviluppato la capacità di rallentare, correggere e ordinare quelle percezioni erronee. Anche in ragione di questa miglioria la qualità della mia vita è aumentata, ma oltre a un vantaggio organizzativo e umorale ne ho tratto l’ennesima prova di quanto la cosiddetta realtà, almeno fino a un certo livello, dipenda dai costrutti della mente. Invero tutto ciò può sembrare banale e forse lo è, ma credo che i suoi meccanismi e le sue epifanie sfuggano al controllo più di quanto lascino intendere le facili descrizioni a cui si prestano.
I pensieri hanno un peso specifico e sono soggetti a una forza di gravità superiore a quella terrestre, perciò il loro corretto trattamento deve tenere conto di questa differenza e sulla base della mia esperienza credo che un tale approccio non sia affatto intuitivo. Avverto i benefìci dei molteplici progressi che la mia introspezione mi ha fatto guadagnare a fronte di sforzi equi e sinceri. Non m’illudo che il processo d’individuazione possa farsi entelechia, nell’accezione più profonda del termine, ma tale impedimento immagino che caratterizzi la natura intrinseca del fenomeno e dunque prescinda dall’impegno del soggetto.
Forse la libertà si misura nel grado di controllo della mente e può darsi che questo sia uno dei motivi per cui alcuni individui risultano più liberi di altri benché all’apparenza versino in condizioni precarie. Pare davvero che ogni individuo abbia in sé il proprio carceriere e il suo salvatore, oltre a tutta una serie di personaggi intermedi, ma l’importante gerarchia alla quale mi riferisco non ha nulla di pirandelliano. Per mia fortuna non devo insegnare né spiegare alcunché a nessuno, difatti sono il maestro di me stesso e mi considero un allievo diligente: spero che la realtà, ossia la costante commissione esterna, continui a promuovermi.

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17
Gen

La baracca repubblicana

   

Pubblicato domenica 17 Gennaio 2021 alle 22:04 da Francesco

Le manie di protagonismo e l’avidità di potere brillano di luce propria: almeno quest’ultima non è a carico dei contribuenti. Credo che ogni nazione abbia la classe politica che merita e quindi ogni popolo viene sì rappresentato, ma in primo luogo per le proprie storture e poi, in un secondo tempo e solo formalmente, per le confuse istanze di cui si fa richiedente grazie al giochino democratico delle “libere” elezioni.
La mia non è una banale invettiva, giacché se tale fosse il mio intento risulterei più scontato di quanto già io non sia, e quindi mi limito a una constatazione dei fatti, invero anch’essa piuttosto ovvia. Per me le istituzioni sono ricettacoli di acque reflue, prive di pragmatismo e incapaci di perseguire quest’ultimo, anche nei rari casi in cui esse ci provino nella persona di qualche integerrimo funzionario, ma d’altro canto non può essere altrimenti perché una democrazia corrotta e immatura necessita di un tale trofismo per mantenere in vita gli aggettivi anzidetti. Un sistema differente può essere ideale per me, ma esiziale per chi invece trovi vantaggi e una propria identità in una cotale porcilaia, dunque non ammanto queste mie considerazioni d’una patina moralistica e riduco tutto a un approccio analitico assai semplice o semplicistico.
Se anche volessi vedere delle persone capaci e meritevoli sugli scranni più alti di questa baracca repubblicana, come potrei fare? Di certo non con il voto, ma soltanto con un atto di forza per istituire un nuovo potere che a taluni, alla fine, risulterebbe altrettanto oppressivo, inetto e reo delle peggiori sperequazioni. Non se ne esce, ma il problema si trova a monte: esserci entrati con l’incidente della nascita.
Lo stato (con la esse maiuscola o minuscola in base al proprio sentire) si configura come il male minore di un male maggiore ma spesso necessario: quest’ultimo altro non è che è la vita in società. Non m’interessa granché l’argomento del giorno quanto invece quello dell’eternità, ma dal primo traggo spunto per eiaculare un pensiero infecondo sull’attualità, altrettanto sterile.

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12
Gen

Un’altra maratona in solitaria

   

Pubblicato martedì 12 Gennaio 2021 alle 21:50 da Francesco

Rischio di risultare ripetitivo come i migliaia di passi che quasi ogni giorno alterno sull’asfalto, ma oltre ai chilometri corro anche l’alea di un approccio monotematico perché, in ultima analisi, non ho lettori a cui rendere conto e io non mi annoio mai con me stesso. In Oriente per taluni l’unica cosa che non cambia mai è il cambiamento stesso: condivido e per adesso non mi sento incline a dedicare sguardi attenti ai tanti e apparenti fatti del pianeta sul quale risiedo.
Ieri pomeriggio ho corso una maratona in allenamento in 2 ore, 56 minuti e 25 secondi, ossia a un passo di 4’11” al chilometro, perciò alla fine non è uscita neanche così veloce, ma l’ho portata a termine in una cornice di trenta giorni in cui ho mantenuto un chilometraggio settimanale superiore ai 130 chilometri e un’andatura media di 4’18” al chilometro.
Non ho assunto acqua né ingerito gel, come faccio quasi sempre in gara; non ho ricevuto alcuna assistenza e sono stato parzialmente accarezzato da un leggero grecale: queste le condizioni, invero nient’affatto avverse.
Si è trattato di uno sforzo abbastanza controllato e ho fatto in modo che il chilometro più veloce fosse l’ultimo. Sotto il profilo mentale ho retto bene, ma quello è l’unico aspetto che non devo allenare ed è una meritata fortuna. Quando sto così tanto sulle gambe penso alle cose più disparate, dal grottesco al metafisico: di solito mi faccio un film a metà tra Nuovo Cinema Paradiso e Il commissario Lo Gatto.
Per almeno tre settimane non farò sessioni superiori ai venti chilometri e mi concentrerò su qualche frazione da spingere in soglia.


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9
Gen

L’andatura giusta

   

Pubblicato sabato 9 Gennaio 2021 alle 21:52 da Francesco

Mi sto allenando con una costanza e una determinazione dalle quali non ero mai stato investito prima, inoltre il fisico e la mente stanno rispondendo bene agli sforzi che impongo loro con una certa frequenza. Voglio spingermi fino ai confini delle mie possibilità genetiche e non ho altre ambizioni all’infuori di questa, ma se non dovessi riuscirci non cambierebbe nulla, proprio come se invece portassi a compimento l’opera mia. È tutto autoreferenziale e si esaurisce in sé.
Il gesto atletico e l’accumulo di acido lattico mi fanno sentire tutt’uno con il cosmo, perciò non intendo rinunciarvi fino a quando cause di forza maggiore non me lo imporranno. La corsa mi ha dato molto e io mi ci rapporto come se fosse una dea madre. Se la natura mi avesse donato il talento necessario, mi sarei votato anima e corpo al professionismo, ma io ho soltanto un po’ di predisposizione e non posso ambire a certi tempi.
Ammiro chiunque coltivi con devozione quasi mistica il proprio potenziale perché ai miei occhi è come se assolvesse un dovere che nessuno gli ha imposto né suggerito. È stato speso bene tutto il tempo che ho trascorso sull’asfalto e tra i sentieri della macchia mediterranea: non mi sono perso nulla e ho guadagnato qualcosa che non si può comprare. A taluni tutto questo appare privo di senso, però io non so dove ordinare i pezzi di ricambio né le parti mancanti per aggiustare il loro punto di vista e, soprattutto, non offro questo tipo di assistenza tecnica.
La mia motivazione s’ingenera con un processo d’abiogenesi. Dentro di me c’è tutto quello di cui ho bisogno e ormai ho una certa confidenza con i processi estrattivi dai quali dipende l’accorto sfruttamento delle risorse endogene.

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5
Gen

Una sera di gennaio

   

Pubblicato martedì 5 Gennaio 2021 alle 20:42 da Francesco

Le prime righe dell’anno le lascio sgorgare da un flusso di coscienza che stasera precede la preparazione del mio unico pasto: la cena. Talora mi capita di rileggere le mie esternazioni più recenti e mi ci riconosco pienamente come in una sorta d’ulteriore conferma, ma di tanto in tanto trovo risibili alcuni dei toni solenni con cui appunto idee e sensazioni passeggere.
Mi piace schernire alcune parti della mia persona, ma lo faccio senza cattiveria a mo’ d’esercizio ginnico e come pratica preventiva, affinché il sottoscritto non rischi di prendersi troppo sul serio. Nei miei testi, o almeno su queste pagine, a volte dovrei ricorrere a una maggiore leggerezza per cagione delle mie stesse riletture, ma in certi casi il mio apparente sussiego nasconde raffinate facezie e, altezzoso, non frequenta la modestia. Mi vengono in mente tante cose da mettere nero su bianco e se fosse possibile alcune di esse le reificherei con lettere cubitali, ma per fortuna la grandezza dei concetti non dipende da quella dei caratteri tipografici.
Provo un moto di nostalgia verso una signorina con cui interloquii quando l’attuale presente si profilava come prossimo futuro, però non sono così motivato da scriverle qualcosa o forse non mi va, ergo riverso qui il mio ricordo di lei, il quale dubito che corrisponda al di lei ricordo.
Cosa mi preparo stasera da mangiare? Oggi ho corso trentatré chilometri a un ritmo di quattro minuti e nove secondi al chilometro, ossia due ore e sedici minuti sulle gambe, perciò due etti di pici senesi (spaghetti toscani piuttosto grandi, simili ai vermicelli) con del pesto alla genovese penso che si confacciano allo sforzo profuso: ha la felicità un altro gusto? Probabile, ma io mi contento d’una certa serenità d’animo.
In questo preciso istante ho una fame tremenda. Non sono un grande cuoco né lo sarò mai, difatti mi limito a rovinare ricette semplici, però mi piace preparare i miei pasti; anzi, ne avverto proprio l’insolito bisogno.

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31
Dic

Vent’anni dopo il terzo millennio

   

Pubblicato giovedì 31 Dicembre 2020 alle 21:42 da Francesco

Quest’oggi ho concluso il mio dicembre podistico con una sessione da diciottomila metri che ha portato il computo dei miei chilometri mensili a 550, ma di questi dati parlerò più avanti con un filmato nell’idioma d’Albione. Gli ultimi dodici mesi sono stati uno più simpatico dell’altro e non m’illudo che la loro scia di sangue si arresti di colpo per fare cosa grata al calendario gregoriano. Sono un po’ indifferente agli accadimenti del mondo e cerco di perorare la mia guerra santa affinché lo spazio vitale a mia disposizione non si riduca troppo, ma si tratta anche di un atto conoscitivo in continuo divenire di cui una vocina interiore, ab illo tempore, è stato l’innesco, il casus belli. Nutro l’autostima in maniera autonoma e non cerco all’infuori di me altre fonti di approvvigionamento in quanto risultano troppo impegnative, ma non ne ho manco bisogno perché talora la mia attività ne genera persino un surplus. Non sono in debito con nessuno e nessuno lo è con me, non bramo accordi né nuove linee di produzione e non ho bisogno di prendere scorciatoie per giungere laddove il tempo mi tradurrà inesorabilmente.
Dal nuovo anno non mi attendo nulla di diverso da quanto è già accaduto negli ultimi millenni della sciagurata civiltà umana, ovvero la tendenza alla sopraffazione e un puntuale esercizio dell’ingiustizia a qualsiasi livello dello scibile. La nostalgia per lo stato di natura non passa mai di moda, perciò sarebbe opportuno che scritte al neon di “homo homini lupus” campeggiassero nell’àere durante ogni fashion week.
In media i maschi italiani vivono ottant’anni; io attualmente ne ho trentasei e il tempo che mi resta a disposizione, consti esso di mezz’ora o sessantaquattro primavere, non voglio dedicarlo alla coltivazione di vane speranze: proprio per scongiurare quest’ultimo male, a guisa di vaccino, dedicherò un’esigua parte di detto tempo alla rilettura dello Hobbes.


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28
Dic

Senza tetto né legge

   

Pubblicato lunedì 28 Dicembre 2020 alle 21:08 da Francesco

Qualche settimana fa, nottetempo, ho visto con interesse Senza tetto né legge, un film francese del 1985. Non mi è risultato chiaro l’intento della regista, Agnès Varda, e ne ho ricavato delle impressioni contrastanti. All’inizio v’è il ritrovamento di un corpo, quello della protagonista, Mona Bergeron, e da qui la narrazione si avvale dell’analessi per ripercorrere i momenti che hanno portato la ragazza a morire assiderata in mezzo a un’anonima campagna d’oltralpe.
Prima di scegliere il vagabondaggio, Mona era una segretaria e pare che conducesse una vita borghese. Donna giovane e ancora piacente benché appaia già provata dall’esperienza in strada, costei finisce per interagire con persone piuttosto diverse tra loro per estrazione sociale e culturale, ma a me pare che lei si trovi sempre equidistante da tutti. Buona parte del film si vota alla descrizione di queste relazioni sociali, come se passasse in rassegna un’umanità in antitesi con Mona e tutto ciò avviene sullo sfondo d’un grigiore bucolico.
Questa Bergeron non mi piace perché mi pare fine a se stessa, indolente, apatica, edonista all’uopo e opportunista; priva di una tensione spirituale e manchevole di moti introspettivi: secondo me si tratta di una protagonista anonima come il luogo in cui ella muore e non so se tutto ciò sia voluto o meno. A mio avviso è come se la sceneggiatura di questa pellicola fosse un racconto di Kerouac scritto male e finito peggio, ma forse io non riesco a coglierne il messaggio. Non so se il film vada inteso come una contestazione alla vita ordinaria e alle sue alienanti implicazioni, ma qualora fosse questo lo scopo, non trovo nelle avventure di Mona una ricerca di libertà ed esse mi paiono il semplice prosieguo della suddetta ordinarietà per vie traverse. Può anche darsi che l’opera sia più esistenzialista di quanto io percepisca e quindi prescinde da una profonda caratterizzazione della protagonista proprio perché vuole mettere in luce quel cul de sac che è il percorso d’ogni essere umano. Sospendo il giudizio su questo lungometraggio perché mi rendo conto dei miei limiti interpretativi e non insisto oltre, ma sono contento che adesso risieda nel mio bagaglio di spettatore.

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25
Dic

L’umidità e tutto il resto

   

Pubblicato venerdì 25 Dicembre 2020 alle 01:19 da Francesco

A dicembre ho ritrovato una buona continuità nei miei allenamenti, difatti negli ultimi diciotto giorni non mi sono mai fatto mancare un’uscita e così, dall’inizio del mese, tra frazioni lente e veloci ho incamerato poco più di quattrocento chilometri a un’andatura media di 4’24″/km.
Nella mia zona vige un’atmosfera spettrale e il giovane inverno ne rende le sembianze più desolate di quanto già non siano, tuttavia io mi trovo a mio agio in codesta cornice e ne apprezzo i silenzi d’avello. Coltivo con giocosità e piacere il modesto proposito di migliorare le mie prestazioni atletiche, ma non ne sono ossessionato e così riesco a godermi le meraviglie in cui transito. Non cerco di arricchire la mia esistenza con grandi imprese, bensì faccio il possibile affinché essa mi risulti gradevole e finora, malgrado qualche inciampo, ci sono sempre riuscito. Non mi aspetto niente da nessuno, anzi, metto in conto futuri e inesorabili peggioramenti sotto molteplici aspetti, ma tale ineluttabilità non m’inquieta. I miei desideri sono latenti, non latitanti, quindi ne conosco gli spostamenti e non mi curo del pericolo di fuga né dei loro sbalzi di temperatura: infondo non mi fanno né caldo né freddo. Certe idee in me sono regioni autonome che non possono avanzare pretesa alcuna, ma ne rispetto l’indipendenza e le lascio stare.
La mia abitudine a stare per i fatti miei può dare l’impressione che in me alberghi un altezzoso sprezzo per gli altri, ma in realtà non è così e difatti riesco a rapportarmi bene con quanti si ritrovino a interagire con me. Non cerco la considerazione altrui perché la sua genesi dev’essere spontanea, tuttavia spesso mi mancano delle cose in comune per dare corpo e ispessire il trait d’union: anche per questa ragione prediligo dinamiche e attività in cui non siano d’obbligo il mutuo sostegno né la reciproca partecipazione.
Non sono geloso della mia indipendenza emotiva poiché, a questo stadio della mia esistenza, io credo che sia inviolabile, ma proprio in virtù di questa sua natura adamantina non posso né voglio renderla sussidiaria a frasette di circostanza. Mi considero il portatore sano di un vuoto altrettanto salubre e me ne compiaccio, però apprezzo con sincerità le persone con le quali dialogo più di “frequente” e auguro loro il meglio di cui possano godere su questo pianeta.

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