6
Ott

Una vittoria inaspettata in quel di Pescara

   

Pubblicato giovedì 6 Ottobre 2022 alle 13:50 da Francesco

In questo brevissimo filmato riassumo quanto è accaduto alla Maratona di Pescara (la mia quarantesima gara sulla distanza regina) che ho corso e vinto il due ottobre.

È stata una bella esperienza e una grande soddisfazione, inoltre ho avuto modo di visitare una cittadina costiera nella quale non avevo mai messo piede e di cui ho raccolto piacevoli impressioni. Il sabato mi sono recato a nord della linea Gustav, appunto in quel di Pescara, laddove l’indomani ho preso parte alla ventiduesima edizione della cosiddetta D’Annunziana, ma durante il viaggio in auto non ho avvistato panzergrenadier.
L’intenzione precipua era quella di sfruttare l’evento per correre un allenamento lungo di qualità sotto le 2 ore e 50 minuti, poi per l’eterogenesi dei fini c’è scappata la vittoria in un modestissimo (in termini assoluti) ma per me soddisfacente 2 ore 45 minuti 39 secondi (3’56″/km), complice anche un errore di percorso toccato in sorte a chi è stato in testa fino al ventitreesimo chilometro. Conosco il feeling.
Ho cercato il cambio di passo dopo trentottomila metri e mi è andata bene. Giacché la gara è conosciuta come D’Annunziana, sul podio ho avuto la tentazione d’intonare un “eja eja alalà” che il vate riportò in auge dal mondo classico, ma per amor di patria ho lasciato perdere!
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4
Ott

La quiete prima della tempesta o viceversa

   

Pubblicato martedì 4 Ottobre 2022 alle 22:04 da Francesco

Lascio il disincanto a briglie sciolte in modo che serpeggi ovunque e non faccio credito ad alcuna speranza. Prediligo la bicromia agli stolidi pastelli degli utopisti impenitenti. Ogni parola porta in dote i nascosti propositi del fraintendimento e deflagra insieme alle sue omologhe in discorsi che si esauriscono nei propri boati, in quel rumore di fondo a cui taluni attribuiscono i crismi del dialogo. Cosa c’è mai da ricordare che non valga la pena di lasciare in balìa della dimenticanza, inesorabile esito d’ogni cosa? Quale urgente domanda v’è da formulare che non sia destinata a rimanere orfana di risposta? Il logos si qualifica come pour parler e ogni cosmogonia è il riassuntino dell’eterno ritorno. In quanto essere umano sono chiamato a rapportarmi con le buone e le cattive maniere della specie, tuttavia posso provare ad affrancarmene nella misura in cui tale arbitrio sia permesso dalla mia volontà e questa, a sua volta, riesca a scavalcare un po’ se stessa. Il resto si presta perlopiù a frasi di circostanza e a circostanze sulle quali talvolta grava l’assenza di qualsiasi parola.
Per quanto paragoni e confronti siano possibili o accettabili, dal mio trascurabile punto di vista la fantasia è inferiore e subalterna rispetto alla realtà, difatti un adagio vuole che la seconda superi sempre la prima, ma le riconosco comunque un’utilità come strumento di (ri)creazione nell’effimera ora dell’esistenza. Ribadire simili ovvietà mi rasserena e mi fa apprezzare il sollievo per ciò che vado negandomi o al quale non conferisco il peso comune dell’altrui metro. Si rischia di scivolare e cadere su certe scale di valori, ma ne esistono anche di mobili sulle quali tutte le cose restano statiche fino ai rispettivi e inevitabili deperimenti.

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27
Set

Votare è un po’ morire

   

Pubblicato martedì 27 Settembre 2022 alle 21:46 da Francesco

Le recenti elezioni mi hanno divertito oltremodo in quanto hanno reso intolleranti certi individui verso quegli stessi meccanismi democratici dei quali costoro non mancano mai di dichiararsi indefessi guardiani e paladini. Io ho preferito tenere pulita l’anima e quindi ho disertato il seggio giacché reputo il voto un rito pro forma, una superstizione novecentesca, un concorso a premi senza jackpot; inoltre il completamento dei timbri sulla scheda elettorale non dà diritto manco a una radiosveglia né a un qualunque altro gadget da collezione. Cui prodest?
Capisco gli ingenui entusiasmi di quanti si spendano nell’agone politico, mossi dalla parodia del civismo e da un particolare impegno, tipico di chiunque sappia ancora illudere e illudersi, perciò è nell’ordine delle cose che simili persone credano e si battano per innalzare il proprio castello di carta o per minare le fondamenta di quello rivale. Al contempo comprendo perfettamente il feroce disincanto di coloro che osteggiano le elezioni e le denigrano a ogni piè sospinto, ma dal mio punto di vista il modo migliore per non farcisi il sangue amaro consiste nel considerarle un divertissement e niente di più. Può darsi che la democrazia allo (e nello) stato attuale sia davvero il minore dei mali, ma allora non oso chiedermi quale si configuri effettivamente come quello peggiore. Nell’ultima imbarcata di candidati, partiti e circhi vari, la libertà di scelta mi è sembrata assente proprio come nelle precedenti occasioni, ma almeno è rimasto l’imbarazzo della scelta nel senso che ogni possibile scelta poteva avere come unica conseguenza quella dell’imbarazzo. Perché mai sporcarsi le mani e, come già scritto, l’anima? Per me prevenire è meglio che curare e astenersi è meglio che incollerirsi.
Non so se esista davvero una parte giusta, il bene assoluto, ma tendo a credere che spesso tale espressione sia utilizzata in modo improprio per indicare una convenienza materiale, ideologica, identitaria, affettiva, insomma la mendace traduzione di istanze egoiche nelle svianti pretese di un falso altruismo: la solita merda da umanoidi.

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22
Set

Le comiche e le atomiche

   

Pubblicato giovedì 22 Settembre 2022 alle 22:10 da Francesco

Nonostante il livello del mare s’innalzi qualcuno non sa quali pesci pigliare e dubito che tale inazione dipenda da una coscienza vegetariana. Ormai per apparecchiare l’ultima cena nessuno può escludere di mettere sul tavolo l’opzione nucleare, difatti chiunque osasse prodursi in una simile omissione verrebbe meno al bon ton del suicidio di massa: prima il dovere e le buone maniere, poi i (dis)piaceri delle loro conseguenze più nefaste.
Nel libero mercato, il quale è un mercato nero di cui le cronache del medesimo colore forniscono quotidiani ed efferati racconti, la vita ha scarso valore e può essere scambiata con ogni cosa laddove la violenza si faccia puntuale intermediaria. Dall’ultima e squallida rissa tra ubriachi fino ai missili balistici, tutto testimonia contro l’umanità affinché essa stessa si… deponga.
Se le parole non fossero per uso personale, se esse non avessero altra funzione oltre a quella di articolare i propri pensieri e sapessero assolvere un compito dialogico, allora la diplomazia avrebbe un altro nome e ogni suo impiego non potrebbe che produrre accordi perfetti, ma la realtà è scandita dalle dissonanze e sulle lingue babeliche, le quali incidono tutt’al più sulla forma, gli istinti e le pulsioni hanno la meglio e talora si servono delle prime per giustificare ciò che quegli ammassi di suoni e segni non sanno né possono affrontare sul piano sostanziale.
Mi viene da pensare che le atomiche siano come le ciliegie: una tira l’altra. Quale forma verrà data alle macerie e cosa dovranno rappresentare alle totali assenze che ne saranno uniche e possibili spettatrici? Forse una guerra nucleare più che come un problema può configurarsi quale soluzione finale. La violenza chiama violenza perché il genere umano le fa eco e d’altro canto come si può escluderla quando è stata, è ed destinata a rimanere la forza trainante delle grandi disuguaglianze tra simili che definiscono la realtà antropica?
Non so chi abbia doti taumaturgiche né conosco il distributore italiano di bacchette magiche, perciò mi limito a un approccio descrittivo e non anelo nulla di diverso da ciò che dev’essere. Per una volta saranno i funghi (atomici) ad anticipare le piogge (radioattive).

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21
Set

Il quieto vivere nell’irrequieto esistere

   

Pubblicato mercoledì 21 Settembre 2022 alle 23:08 da Francesco

Mi chiedo come mai i ciechi temano di restare al buio per la crisi energetica. Il buonsenso è schiavo delle libere elezioni, prigioniero nel più democratico dei sequestri. L’avvenire è un mosaico di incertezze su cui le crepe tendono ad allargarsi con pervicacia. In questo transito terreno viaggio per i fatti miei con qualche illustre gatto al seguito e diffido di chiunque mi si pari davanti. Per me il beneficio del dubbio costituisce già un’alta onorificenza che conferisco di rado. Appartengo alla cultura del sospetto e non credo a nulla, nemmeno alla verità, però riesco a ritagliarmi tanti bei momenti che celebrano la mia caduca esistenza. Non sono portato alla condivisione e non sono in grado di spendermi per nessun altro. Di rado può capitare che un volto muliebre evochi in me un vago desiderio di reciprocità e l’anelito di sensazioni tutt’oggi inedite, ma con sempre minore frequenza rispetto al passato e in ogni caso, quando ciò accade, lascio queste idee bislacche al loro puntuale deterioramento.
Credo che l’esistenza sia molto più semplice quando non si abbiano responsabilità verso terzi, al contempo può rivelarsi anche più arida e povera ma soltanto se l’individuo non abbia coltivato se stesso: sono scelte anche quando tali non paiono. Al netto della mia autostima, della quale certo non difetto, mi chiedo cosa mai una ragazza possa vedere in me che non sia un derivato delle sue arbitrarie proiezioni, un carico di aspettative per le quali io non posso garantire nemmeno l’imballo e difatti mi tengo alla larga da ogni equivoco, da ogni fraintendimento, da qualunque ambiguità di gesti e parole.
Masturbazione (per le pulsioni organiche) e sublimazione (per la componente affettiva ed emotiva) sono ancor oggi le vie regie, le strade maestre che seguo in nome di una proficua autonomia e so per certo come queste non siano percorribili da chiunque.
Ho una posizione di vantaggio rispetto a quanti siano ingabbiati in nuclei opprimenti od opprimano sé stessi giacché, non avendone ancora uno proprio, ne patiscono la mancanza. Preferisco essere prigioniero di me stesso piuttosto che ritrovarmi carcerato per l’altrui impegno. Mi conservo bene e spero che la mia sia una natura a lunga scadenza, non ho ambizioni di sorta e mi diletto nella quotidianità con quello di cui dispongo, perciò lasciò che vada da sé il mio rapporto con gli eventi, così com’è stato finora e come probabilmente continuerà a essere. Su tutto il resto discutano e decidano pure coloro che per me non esistono: a ognuno il suo.

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15
Set

Riverbero d’autunno prossimo venturo

   

Pubblicato giovedì 15 Settembre 2022 alle 18:21 da Francesco

Sin dall’infanzia venti e nembi suscitano dentro di me un senso di profonda appartenenza alla tempesta di cui essi sono temibili latori. Le forze meno rassicuranti della natura evocano qualcosa d’ancestrale che s’insinua nel mio individualismo e lo esalta, laddove tutto confluisce e assume sembianze soggettive a tempo determinato. Nelle bufere e nelle piogge la dissoluzione parla di sé e del suo avvento, ma questa prospettiva non può suonare funerea né nefasta a chi sappia accordarle il suo inesorabile ruolo. Mi domando cosa pensassero quanti nacquero e morirono nudi nelle terre preadamitiche, quali fossero le loro percezioni e come si rapportassero alla propria finitudine.
Non so di preciso in quale punto della mia parabola io mi trovi e non conosco cartografi che possano dirmelo, tuttavia mi sento al di là del presente e dunque riesco a districarmi nelle sue espressioni più precarie e meno concilianti. Il continuo dialogo interiore mi aggiorna sulla equidistanza dalla maggior parte delle cose e in questa maniera mi risulta semplice calcolare la traiettoria più agevole con cui seguire la linea del tempo. Lo ripeto a me stesso affinché mi sia chiaro: non so quanto manchi al termine del viaggio. Serafico e conflittuale il divenire si dispiega a prescindere da quanti vi partecipino per inerzia con la maschera del libero arbitrio. Non credo molto ad altro scambio di parole all’infuori di quello che sia endogeno, ma forse qualunque discorso, anche quello tra sé e sé, in un’ultima analisi è un ronzio di fondo da cui niente promana davvero. Oggi avevo voglia di astrazioni e le ho somministrate a queste pagine virtuali su cui ancora insisto e mi attardo a dir di me: nulla v’è d’aggiungere.

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11
Set

Le primavere mancate

   

Pubblicato domenica 11 Settembre 2022 alle 23:03 da Francesco

In questi ultimi tempi ho pensato a una persona che di recente ha lasciato il corpo. Era ancora giovane e io non avevo mai avuto particolari legami con lei, però la ricordo ancor oggi come una simpatica compagna di classe all’interno di aule che ho sempre frequentato poco. Per me sotto certi aspetti la morte non significa nulla, tanto meno la considero una fine, così come non ritengo la nascita un inizio, tuttavia queste mie intime convinzioni non hanno carattere consolatorio giacché la prospettiva di non poter non essere (non vi è alcun refuso) risulta ontologicamente inquietante e dà molto da pensare.
Talora quando una giovane vita viene spezzata anzitempo ho la sensazione che essa dietro di sé si lasci qualcosa d’incompiuto, però non so se poi sia realmente così. A volte l’entità di una grande sofferenza dipende soltanto da un tempismo cinico e crudele, laddove tali termini acquisiscono la loro esiziale portata in ragione dell’emotività umana, perciò vorrei che vi fosse una forma di sollievo per quanti si trovino a fare i conti con le insostenibili assenze delle persone a cui erano legati. In alcuni casi avverto un fastidioso senso d’impotenza davanti al dolore altrui, come se l’impossibilità di sistemare le cose a proprio piacimento ci tenesse a rammentarmi quanto i poteri della mia specie siano lontani da quelli di un demiurgo.
Fatta eccezione per mia madre io non ho mai avuto affetti e quindi non conosco l’attaccamento né la perdita, non so cosa significhino davvero se non per interposto lutto e indiretta testimonianza. Alla fine ho sempre rivolto gli investimenti emotivi verso di me e questo mi ha messo al riparo dai problemi dell’identificazione, quindi non posso permettermi di scrivere o di dire a qualcuno che “lo capisco”, nondimeno gli auguro ogni bene.

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1
Set

Il cambio della guardia

   

Pubblicato giovedì 1 Settembre 2022 alle 23:58 da Francesco

L’inizio di settembre e la concomitanza delle prime, convincenti e intense piogge anticipano ai miei sensi l’autunno che verrà. Non so in quale stagione della vita io mi trovi e magari mi sarà dato comprenderlo solo un domani, forse alla vigilia della fine biologica, quando la distanza dal presente mi consentirà davvero di guardarmi indietro per ricollegare le varie parti della mia esistenza e i loro punti di contatto.
L’aumento delle materie prime coincide con quello dei secondi fini e tutto finisce per essere a carico di terzi. Nell’aria aleggiano malcontento, frustrazione e ansia, perciò evito di entrare in contatto con chi ne sia portatore e mi tengo a debita distanza anche da quanti, per converso, ostentino un ottuso ottimismo. Nulla mi appartiene né a nulla io appartengo, sono di passaggio e non faccio progetti a lungo termine. Molti sono gli indizi presaghi di sventura e forse è solamente una mera questione di tempo prima che si uniscano in una prova inconfutabile, in un’evidenza lacerante, nella slavina definitiva, tuttavia non me ne preoccupo.
Se avessi dei figli forse sarei la pallida imitazione di me stesso e qualche dubbio sull’avvenire mi consumerebbe da dentro, lentamente, giorno dopo giorno, ma per fortuna l’idea della paternità non mi si è mai presentata neanche nell’anticamera del cervello e non mi stancherò mai d’incensare cotale dono della mia indole. Al mio interno ho troppe ragioni autoreferenziali per giustificare la mia presenza e per celebrarla al cospetto del piano della realtà sul quale ancora mi attardo, ergo dovrei trovarne di migliori o di inedite per allargare me stesso oltre i comodi confini del solipsismo e invero non riesco neppure a figurarmi che possano esistere. Non riesco a mettermi nei panni altrui perché trovo che non sia una pratica igienica, ma al contempo io stesso non pretendo un’analoga immedesimazione nei miei: secondo me ognuno sta dove deve stare, anche quando le prime impressioni facciano intendere il contrario.

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21
Ago

Ordet di Carl Theodor Dreyer

   

Pubblicato domenica 21 Agosto 2022 alle 21:37 da Francesco

Qualche sera fa ho guardato per la prima volta questo vecchio film danese e l’ho apprezzato in sommo grado. La storia è basata su un’opera teatrale e secondo il mio modesto parere la regia ne tradisce l’origine già dalle prime sequenze piuttosto statiche, ma credo che tale caratteristica giovi alla trasposizione stessa. La pervasiva religiosità del racconto si esprime con profondità diverse a seconda dei personaggi, perciò la gamma della fede è illustrata da un capo all’altro della convinzione, ossia da chi ne è rapito a chi invece l’ha smarrita e perlopiù ciò avviene entro i definiti confini di una famiglia che è la protagonista corale della narrazione.
Su tutte a me è piaciuta il la figura estraniata, estatica e quasi profetica di Johannes Borgen, giacché per suo tramite la parola (questa è la traduzione di ordet dal danese) rivela il senso ultimo dell’opera, ma tale epifania segue una parabola all’inizio della quale Johannes appare come un folle, un alienato, una persona malata e la scena più bella secondo me consiste proprio in un suo discorso alla nipote (la figlia di suo fratello e della morente Inger) mentre la macchina esegue un lento e splendido movimento semicircolare. In una spontanea associazione d’idee Johannes mi ha fatto venire in mente una vaga rassomiglianza con Rasputin per la sua aurea di misticismo e per le fattezze dell’attore che lo ha impersonato.
In seno alla vicenda principale del racconto va a inserirsi e a risolversene un’altra, più prosaica, che riguarda l’amore tra l’ultimogenito di Morten Borgen (il pater familias) e la figlia di un uomo che intende la fede in maniera diversa rispetto ai Borgen. Quando ho visto il film non sapevo di cosa trattasse, ma l’impronta teologica mi è parsa evidente sin dall’inizio e tuttavia non ha inficiato la mia fruizione dello stesso. Pellicola eccelsa.

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17
Ago

In giacenza presso il presente

   

Pubblicato mercoledì 17 Agosto 2022 alle 23:30 da Francesco

È un caldo afoso quello che avvolge la sera dalla quale scrivo e nulla sembra poterne ridurre l’impatto in tempo utile per gridare al miracolo climatico. Già che mi trovo al mondo ne approfitto per scrivere qualcosa sebbene io stesso non abbia un’idea precisa da mettere nero su bianco. Se mai avessi avuto delle vere aspettative adesso mi ritroverei nell’età giusta per cominciare ad ammirarne il tramonto, ma non ho nulla né nessuno da utilizzare come feticcio per una nostalgia transitoria. La vita passa e manco la saluto, tuttavia spero che la mia disattenzione non venga intesa come uno sgarbo. Non ho in sospeso debiti di riconoscenza e nessuno né ha nei miei confronti. Le cose da fare potrebbero essere molteplici se solo fossi disposto a raggiungere un livello di stress sufficiente che finisse per farmele disprezzare. Evito per quanto mi sia possibile ogni genere d’impegno che implichi il confronto con la volontà altrui: mi basto per abitudine, per cause di forza maggiore, per comodità e per pigrizia.
Non mi è nota l’ora della mia morte, o perlomeno non mi è stata comunicata né per posta né in sogno, di conseguenza non so quanto mi resti da vivere e non me la sento di azzardare calcoli, inoltre non tiro a indovinare né sotto l’incrocio dei pali, bensì campo per i fatti miei e mi vedo autoreferenziale fino al termine delle trasmissioni sinaptiche. Manca sempre qualcosa anche quando tale impressione risulti assente dalle percezioni, ma poco importa e nulla cambia: per me è fondamentale che io riesca ad accordarmi con il luogo e le circostanze di mia pertinenza. Tutto il resto va da sé, al di là che qualcuno se ne avveda o meno, oltre la testimonianza di ogni coscienza: è così da miliardi di anni e lo sarà per le scomparse venture nei silenzi dei mondi.

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