Apprezzo molto i Behemoth e la mia stima nei confronti della band polacca è cresciuta ulteriormente dopo il Tuska Open Air Metal Festival. Per un paio di anni mi sono allontanato sia dal death metal che dal balck metal e questo periodo di rottura ha combaciato con l’ascesa di alcuni gruppi che tutt’ora non mi piacciono. Per quanto riguarda il death metal mi ricordo l’esplosione melodica che diede un po’ di successo agli In Flames (che non apprezzo) e ai loro cloni grazie a dei pionieri come gli At The Gates (che adoro). Più o meno nello stesso periodo emerse un black metal molto edulcorato nelle sonorità e mi riferisco a certe uscite dei Cradle of Filth e dei Dimmu Borgir che ebbero un riscontro molto positivo anche in una fetta di pubblico poco avvezza al genere. Adoro i Behemoth perché offrono pezzi tecnici e privi di compromessi. Non sono un batterista, tuttavia mi chiedo se Inferno si appresti a dettare un nuovo standard nel suo genere e mi domando per quanti anni riuscirà a sostenere i ritmi a cui suona. Dave Lombardo ha tredici anni più del suo collega polacco e mi pare che non abbia ancora iniziato a perdere colpi, perciò nutro parecchie speranze per la longevità di alcuni rappresentanti del metal estremo. Voglio appuntare un’ultima cosa. Mi piace il black metal sinfonico e adoro i suoi padri, ma non gradisco le degenerazioni melodiche che sono venute in seguito per adattare certi dischi alle esigenze di mercato. Credo che talvolta per me sia indispensabile sottolineare qualcosa che non mi piace per delineare in modo più netto ciò che preferisco, ma affinché questo atteggiamento critico sia costruttivo ritengo che debba essere estraneo a qualsiasi forma di fanatismo. A mio avviso la musica non deve essere trasformata nell’ennesimo luna park dell’Ego ed è per questo motivo che snobbo le discussioni che tendono a un’oggettività fallace. Per me vige una regola fondamentale: ognuno ascolti ciò che vuole e apprezzi ciò che più lo aggrada.
Ho finito di montare il video che ho girato durante il mio viaggio in Finlandia e l’ho caricato sul web per appuntarlo sopra queste pagine. Ho camminato a lungo dentro Helsinki e nei suoi dintorni. Questo filmato provoca un effetto a catena sulla mia mente perché ogni immagine mi induce a rievocarne molte altre. Ho trascorso delle giornate meravigliose e sono stato in luoghi fantastici. I momenti che ho passato in quella terra del nord non possono essere trafugati, tuttavia ne sono ugualmente geloso. Chissà cosa penserò quando riguarderò questo video tra qualche anno.
Il mio zaino è pronto e non ho bisogno di altri bagagli. La sinusite mi ha quasi abbandonato, perciò sono sicuro di partire. Questo viaggio non ha le premesse spettacolari delle mie capatine in Estremo Oriente e, tranne Parigi, le città europee non hanno mai esercitato un grande fascino su di me, tuttavia suppongo che Helsinki possa risultarmi un po’ sui generis. Il Giappone e la Finlandia hanno dei punti in comune: il benessere economico e il tasso di suicidi. Il Tuska Open Air Metal Festival non è il motivo principale per cui mi avvicinerò al circolo polare artico, ma è soltanto una scusa piacevole con la quale assecondare un capriccio della mia curiosità. Il viaggio per me è un gioco e impedisco alla ragione di parteciparvi. In queste circostanze adoro la lontananza, la solitudine rumorosa e l’estemporaneità delle mie decisioni, ovvero tre elementi indispensabili per una forma di libertà particolare che a mio avviso si trova tra l’alienazione e la beatitudine. Spesso sembra che la felicità si aggiri altrove, invece io credo che essa risieda a pochi passi dal presente in uno dei suoi innumerevoli aspetti. Mi piace sentire il dinamismo di una ricerca che non punti a trovare qualcosa e grazie a tale potenza dispongo di alcune finestre di tempo in cui riesco ad andare più veloce della caduta degli orpelli pregiudiziali che si depongono regolarmente sulla mia percezione della realtà. Penso che questa breve riflessione possa sposarsi bene con una conclusione musicale. Il video che si trova al di sotto delle mie parole mostra un’esibizione dal vivo di Kim Kyung Ho. Costui è una cantante sudcoreano che si dedica da parecchio tempo all’hard rock e all’heavy metal, tuttavia il pezzo in questione ha forti influenze pop. Forse sono un po’ avventato nell’opinione che sto per esprimere, ma ritengo che la voce di Kim Kyung Ho sia una delle più belle che io abbia mai sentito e sono molto contento di averla scoperta durante il mio soggiorno a Seoul.
Ieri sera ho guardato la débâcle italiana e ho esultato per la vittoria dell’Olanda. Dopo la partita ho deciso di fare un giro in auto, ma prima di mettermi alla guida ho incontrato un povero cristo che ogni tanto mi fa visita e l’ho portato con me. Sono arrivato a Grosseto attorno a mezzanotte e ho parcheggiato davanti alla stazione ferroviaria. La città era deserta e la sua illuminazione sembrava superflua. Io e il mio compaesano ci siamo incamminati verso il centro e vicino a un sottopassaggio abbiamo scorto qualche writer alle prime armi, ma non ci siamo intrattenuti dinanzi alla loro arte dozzinale. Lungo la strada abbiamo incontrato un ragazzo straniero e quest’ultimo ci ha chiesto in un italiano stentato dove potesse comprare qualcosa da mangiare, ma ho saputo soltanto suggerirgli di recarsi ai distributori automatici della stazione mentre il mio compare non ha proferito parola. Ho iniziato a imbastire qualche discorso in inglese con il forestiero e poco dopo ci siamo spostati vicino a una sala giochi che in più occasioni ha ospitato le mie assenze scolastiche. Nelle due ore successive il mio interlocutore mi ha raccontato qualcosa di sé e mentre dialogavo con lui mi sono ripromesso di annotare su queste pagine virtuali ciò che sarei riuscito a ricordare in seguito. Costui si chiama Marius, è lituano, ha ventisette anni ed è originario di Klaip?da. È stato per sei mesi nell’esercito a causa della leva militare e ha avuto la fortuna di sparare con un AK-47, ma è riuscito a ottenere il congedo grazie a una presunta allergia. Ha un cattivo rapporto con il fratello maggiore perché quest’ultimo lo ha accusato di provare qualcosa per la sua consorte. Una volta si è recato in Russia per comprare delle piccole tartarughe da rivendere in Lituania e pare che abbia compiuto altri piccoli atti di contrabbando. È un estimatore del metal, ma mi ero già accorto di questo particolare dalla t-shirt logora di “…And Justice For All” che aveva addosso. Ci sono altri aneddoti divertenti che ho raccolto ieri sera, ma penso che questo resoconto mi possa bastare per rammentare in futuro l’incontro surreale della scorsa notte. Ho provato una profonda ammirazione per Marius e nonostante le sue finanze fossero ristrette egli ha elargito alcune patatine e qualche sigaretta al mio compaesano silenzioso mentre io mi sono limitato a ringraziarlo per l’offerta. Ogni volta che mi imbatto in personaggi del calibro del succitato lituano penso ironicamente a un libro di Gurdjieff: “Incontri Con Uomini Straordinari”. In conclusione credo che Marius non sia uno dei tanti pezzenti che alimentano il lavoro della Caritas, ma trovo che sia un dritto e ritengo che sappia il fatto suo, perciò non lo reputo un vagabondo in balia degli eventi e lo considero un grande cinico (nell’accezione filosofica del termine). Ho salutato Marius con una stretta di mano e alla fine gli ho detto: “I wish you the best luck and I hope you can have great times from here to eternity”. Il video che si trova a piè di pagina è un pezzo dei Manowar che a mio avviso si adatta bene al tenore di questo scritto: “Brothers of Metal”.
And we will die for metal, metal heals, my son”
Qualche giorno fa ho trascritto le mie impressioni sul memorabile concerto fusion di John McLaughlin al quale ho avuto la fortuna di assistere recentemente e dopodomani appunterò su queste pagine le ragioni musicali che alla fine di giugno mi porteranno in Finlanda. Stasera ho deciso di annotare una scoperta piacevole che ho fatto alcune ore fa. La scorsa notte ero alla ricerca di un nuovo album da sviscerare con le orecchie e sono incappato per caso in due gemme della scena hip hop francese che erano sfuggite alla mia attenzione. I lavori in questione appartengono a L’Algerino, un rapper francese che ha fatto uscire due dischi eccezionali negli ultimi tre anni. Il video che si trova a piè di pagina è tratto dalla traccia di apertura dell’album “Mentalité Pirate”. Mi sono espresso molte volte a favore della scena hip hop francese e attualmente la reputo superiore a quella statunitense. Non oso paragonare le produzioni transalpine con quelle italiane dato che trovo le ultime piuttosto imbarazzanti sebbene per il mio udito esistano alcune piacevoli eccezioni a questa regola soggettiva. Appena ho ascoltato “L’envie De Vaincre” ne ho apprezzato subito il beat e L’Algerino mi ha esaltato altrettanto rapidamente con il suo flow eclettico; rovo che anche il disco precedente sia di ottima fattura e anch’esso contiene delle basi che combaciano perfettamente con le atmosfere che cerco quando ho voglia di ascoltare un album hip hop. Gli anni passano inesorabilmente, ma in questo ambito musicale lo strato maghrebino della Francia mi dà sempre soddisfazioni e rinnova continuamente la sua impronta inconfondibile in un genere che spesso sembra appannaggio degli afroamericani.
John McLaughlin & The 4th Dimension a Ciampino
Pubblicato mercoledì 14 Maggio 2008 alle 14:00 da FrancescoIeri sera ho sono andato a Ciampino con la mia auto per assistere a un concerto dell’ultimo progetto di John McLaughlin. Il suddetto è un chitarrista eccezionale e ho avuto il piacere di scoprirlo molto tempo fa su un album leggendario di Miles Davis, ovvero “Bitches Brew”, ma in seguito mi sono appassionato anche al suo lavoro con la Mahavishnu Orchestra di cui ho già accennato qualcosa su queste pagine e non ho ignorato neanche la sua produzione solistica sebbene io non sia stato in grado di apprezzare completamente le sonorità di Shakti. Il live è stato impressionante e ogni comprimario di McLaughlin si è esibito in virtuosismi stupefacenti. Il resto del quartetto era composto da Gary Husband alle tastiere e alla seconda batteria, Dominique di Piazza al basso (che per questa tournée ha rimpiazzato il suo giovane amico Hadrien Feraud) e Mark Mondesir alla batteria. Purtroppo McLaughlin ha chiesto di non fare filmati né altre registrazioni e di conseguenza non ho usato la videocamera che avevo portato con me per immortalare l’intero live, ma alla fine del concerto ho scattato una fotografia che custodirò a lungo come una reliquia digitale. Prima che il gruppo salisse sul palco uno dei gestori del locale ha chiesto l’aiuto del pubblico per prevenire una reazione simile a quella di Keith Jarret: fortunatamente non ci sono stato cattive conseguenze sebbene qualcuno non abbia trattenuto la propria smania multimediale.
Tra i colleghi di McLaughlin sono rimasto molto impressionato dallo stile schizofrenico di Gary Husband: quest’ultimo passava continuamente dalle tastiere a una seconda batteria per duettare con Mark Mondesir in passaggi strabilianti. Anche se non sono un musicista né un audiofilo non ho potuto fare a meno di esaltarmi di fronte ai tecnicismi a cui ho assistito e qualcosa di analogo mi era già accaduto in occasione del concerto di Allan Holdsworth che ho visto oltre un anno fa. Il live di John McLaughlin & The 4th Dimension si è tenuto a Stazione Birra e penso che sia doveroso ringraziare i gestori di questo grande locale che si prodigano per offrire musica di qualità. Un’ultima nota di merito credo che vada elargita al pubblico. I presenti hanno omaggiato il quartetto a più riprese e io con loro, ma già prima che il live incominciasse ho respirato un’aria piacevole e mi sono sentito in un Eden jazzistico. Ho speso trentacinque euro per il biglietto, ho guidato per trecentoventi chilometri e durante il viaggio di andata temevo il sold out, ma sono tornato a casa con un evento strepitoso nella memoria che probabilmente non potrà essere cancellato neanche dall’Alzheimer. Concludo questo appunto con un video recente di John McLaughlin.
Qualche giorno fa ho visto “A Farewell To Beat”, un documentario nel quale Fernanda Pivano ripercorre una parte importante della sua vita e riassume poeticamente la beat generation. Il film è un po’ amarcord, ma credo che veicoli un messaggio di speranza. Durante la visione mi è venuto in mente uno dei primi libri che ho letto, ovvero “Viaggiatore Solitario” di Jack Kerouac, perciò ho cercato qualcosa sul web che riguardasse quest’ultimo e mi sono imbattuto in una intervista surreale nella quale lo scrittore statunitense appare completamente ubriaco di fronte alle domande di Fernanda Pivano. Credo che Kerouac fosse un personaggio straordinario e su di lui persino l’alcolismo sembrava una virtù. Ho passato molte notti a leggere “Sulla Strada” e anche se adesso ne ho un vago ricordo non sono in grado di dimenticare l’essenza pulsante di quel libro. Nel dedalo di Internet ho scovato un commento che lasciai otto anni fa sul guestbook di un sito dedicato a Jack Kerouac e appena l’ho riletto non ho potuto fare a meno di sorridere teneramente di fronte all’innocenza delle mie righe incerte, perciò ho deciso di appuntarle qua sopra e per l’occasione ho rimosso qualche errore di ortografia: il commento risale al mese di luglio del duemila. “Salve. Mi chiamo Francesco. Ho sedici anni. Ho conosciuto Jack per caso. Alle medie mi dissero di portare un libro e farne una breve descrizione, ne presi uno di mio padre, uno su cui si trovava una breve sintesi sul retro e lo relazionai senza leggerlo. Passano tre anni e riprendo quel libro spinto dalla ricerca di qualcosa che Kerouac ha cercato tutta la vita: la libertà assoluta. Il libro in questione è Viaggiatore Solitario. Tutto ciò mi ha spinto a decidere che tra qualche anno dovrò lasciare la scuola per frequentarne una migliore: la vita. Grazie Jack, ti avrei voluto conoscere. Tanti della mia generazione non sanno nemmeno chi sei, mi dispiace per loro come mi dispiace che non riescano a capire la mia voglia di evadere per iniziare la mia ricerca. Grazie Jack, ogni tanto pensa ai tuoi fratelli dall’alto dei cieli, okay? Ciao fratello“.
Questo video è una parte del concerto dei Labyrinth al quale ho assistito due giorni fa: l’ho registrato personalmente nonostante mi trovassi troppo vicino al palco per ottenere una buona qualità dell’audio. Le altre otto parti del live si trovano sul mio canale di YouTube. Ho già tessuto le lodi della band capitanata da Roberto Tiranti e ho deciso di appuntare su queste pagine virtuali uno dei momenti più alti dell’intera esibizione, ovvero il momento in cui il gruppo ha suonato “Lady Lost In Time”. L’introduzione vocale di Tiranti è eccelsa, virtuosa, epica e mi esalta ogni volta che l’ascolto.
Mi piace scavare nella musica per cercare ogni sonorità che possa aiutarmi a vivere meglio. Se fossi legato solo a un paio di generi musicali probabilmente la mia vita sarebbe piatta, ma grazie a Ronnie James Dio riesco ad abbracciare stili completamente diversi che talvolta sembrano addirittura antitetici. Ho già scritto altre volte che su queste pagine mi limito ad annotare occasionalmente i miei interessi musicali dato che per dissertare compiutamente sull’argomento dovrei aprire un altro blog. Ultimamente ho fatto delle scoperte piacevoli nella scena musicale della Svezia e ho deliziato il mio udito con gli Astral Doors, un gruppo heavy metal che è nato sei anni fa, e con gli Assailant che suonano un thrash metal con influenze melodiche. In campo jazz devo incensare il lavoro di un trio eccezionale, ovvero Frank Gambale, Virgil Donati e Ric Fierabracci che hanno realizzato recentemente un album impeccabile: “Made In Austrialia”. Voglio tessere le lodi di un chitarrista molto eclettico che si chiama Alex Skolnick. Costui si è fatto conoscere prima per la sua militanza nei Testament e poi ha fondato un trio jazz con il quale ha pubblicato tre dischi fantastici. Non voglio inondare queste pagine con titoli, aneddoti e opinioni, perciò mi limito a concludere con il video di “Maze of Torment” dei Morbid Angel. Adoro la band di Trey Azagthoth e credo che quest’ultimo sia il più grande chitarrista death metal di tutti i tempi.
Per qualche outsider l’hip hop è un genere musicale per ragazzini con il quale vengono esaltate le gesta criminali, ma in realtà è molto di più e i nomi di Talib Kweli, Mos Def, Nas e Immortal Technique ne sono una prova. Ho ascoltato parecchio hip hop negli ultimi anni, west coast, east coast e persino qualcosa di crunk anche se non l’ho digerito molto, perciò a seguito di parecchi ascolti sono riuscito a formare il mio gusto personale in questo genere e con queste quattro righe voglio omaggiare un pioniere dell’old school nonché una fonte d’ispirazione per molti dei suoi colleghi: Kool G Rap. Concludo con una citazione celebre di R.A. The Rugged Man su “Lessons”: “I don’t want fans that don’t know who G Rap is”.