Se cercassi d’emulare la voce fuori campo di un filmato dell’Istituto Luce probabilmente esordirei così in queste prime righe: “Intrepide e consce dell’arduo compito a cui sono state chiamate, le copie del mio terzo libro sono decollate alla volta delle case editrici. Pronte all’estremo sacrificio, esse non si mostreranno pavide dinanzi ai crolli verticali nei cestini qualora non dovessero riuscire a conquistare un contratto editoriale”. In effetti da ogni stampa si possono ricavare ottantacinque aeroplanini di carta a cui imprimere l’esuberanza che contraddistinse D’Annunzio sopra Trieste. Forse, più realisticamente, le copie del mio terzo libro sono partite per fare un buco nell’acqua come alcuni kamikaze che durante il conflitto nel Pacifico partivano dal suolo nipponico e finivano per mancare le portaerei del generale MacArthur. Comunque l’editoria sta affondando da sé, perciò non occorre che io colpisca chicchessia.
D’amore, d’indifferenza, di vendetta e quant’altro
Pubblicato sabato 26 Novembre 2011 alle 05:35 da FrancescoNon ho una famiglia e mia madre è l’unica persona che ho al mondo. Alcuni dei miei parenti (che io considero soltanto apparenti) vorrebbero tornare in contatto con me. Forse mi sono scordato di comunicare a questi figuri che hanno perso tutti i gradi di parentela da molto tempo, difatti ho strappato i galloni dalle loro spalle e ho spaccato in due le sciabole d’ordinanza: condannati con disonore per alto tradimento.
Non firmo i trattati di Westfalia e sono poco incline al perdono. Non rovisto nel dimenticatoio né ho la necessità di raccattare pezzi di passato. Non riconosco valore alcuno ai legami di sangue. Sono in grado di amare profondamente benché io non l’abbia ancora fatto e in egual misura ho capacità sufficienti per coltivare l’indifferenza dovuta lungo tutto il tempo che mi resta da vivere. L’amicizia per me è un fattore trascurabile, una piacevole eventualità che tuttavia non presenta nulla d’insostituibile o indispensabile. Ognuno fa scelte di cui poi volente o nolente si assume gli oneri. Spero che taluni si dimentichino di me e non cerchino ulteriori contatti poiché io non voglio accollarmi certe rotture di coglioni. Nella sciagurata ipotesi in cui qualcuno mi recasse fastidio, ebbene, proprio in quel momento io comincerei ad attendere la prima occasione buona per fargliela pagare con tutti gli interessi. D’altronde, come torno a ripetere, sono davvero capace di amare senza riserve, ma riesco pure a fare progetti di lungo termine per vendette esemplari. Finora soltanto due volte sono giunto al punto di dovermi rifare su qualcuno e in entrambi i casi è trascorso molto tempo prima che potessi rivalermi, difatti chi poi è stato destinatario di questi atti ha faticato un po’ a spiegarsi l’accaduto poiché il tempo aveva insabbiato le cause, tuttavia ne era valsa la pena. Per ora non ho vendette in cantiere e non vorrei allestirne di nuove, ma preferirei di gran lunga profondere tutti i miei sforzi verso sentimenti positivi. Non sono più un adolescente inquieto e per me la negatività è soltanto una delle tante sfaccettature con le quali la realtà cogente talvolta mi costringe a confrontarmi: io ne farei volentieri a meno.
Giorni lieti con orli ricamati a lungimiranza
Pubblicato martedì 15 Novembre 2011 alle 23:33 da FrancescoAlle mie spalle alti cipressi indicano il cielo; lo sguardo mio verticalizza meno, però supera i tetti spioventi e non ha motivo d’abbassarsi. In un’immagine in bianco e nero raccolgo i frutti del mio narcisismo ch’io soltanto ho modo di coltivare.
Stretti nelle convinzioni e nei discorsi banali, non invidio coloro che hanno rinunciato a sé stessi per piegarsi alla paura del tempo. Non ho intesa alcuna con chicchessia e nulla mi ostacola nella visione d’un orizzonte immutabile al quale non conferisco valore alcuno.
Sono troppo romantico per fare presa su un cuore femmineo anche se dalla grottesca fierezza del mio portamento, a metà tra boria e calma, angolo con l’indifferenza, pare scaturire tutt’altro.
Qualcuno ruba con gli occhi da queste pagine: nient’altro che curiosità voyeuristica degna dello spettatore medio di un reality show. Qualcun altro forse attende di trovare vocaboli difficili per annotarseli oppure dei giochi di parole da replicare all’uopo.
Soltanto chi capiti qua per caso è innocente a patto che poi non ritorni più. Col verbo io faccio elemosina. Non m’interesso ad altri, ma altri s’interessano a me. D’altronde quando muovo un passo che m’è stato sollecitato io vengo redarguito dalla schizofrenia di chi lo ha chiesto e ciò si verifica perché certuni temono di assistere all’esaudimento dei loro desideri; v’è comunque un modo per uscirne e non escludo che un giorno riesca a trovare la quadratura del cerchio.
Là, sui monti con Annette, dove i talebani sparano sempre verso sud. Sabato mi sono recato in un centro commerciale alle porte di Roma per fare alcune compere. Ho acquistato diverse cose a basso prezzo e ho fatto anche un salto all’IKEA per farmene un’opinione. Non m’ha mai ispirato quest’azienda svedese e finalmente mi sono levato ogni dubbio: i prodotti che offre non fanno per me. Avevo bisogno di una scansia per fornire più spazio ai miei libri e così ne ho trovata una da montare per pochi talleri.
Quando sono tornato a casa ho provato ad assemblare la struttura lignea e ci sono riuscito, ma verso la fine dell’opera qualcosa è andato storto: due tavole non s’incastravano come invece avrebbero dovuto. Non mi sono perso d’animo, infatti sono andato nella mia stanza con passo svelto e due dei miei gatti al mio primo transito si sono messi subito in allerta, pronti a fuggire dai rispettivi scranni. Una volta all’interno della mia camera ho messo i Cannibal Corpse a palla e sono tornato con il martello in mano davanti all’opera incompiuta. Ho fatto un lungo sospiro e poi ho cominciato a demolire tutto con colpi violenti, emettendo rumori gutturali che ogni tanto riuscivano a sovrastare il volume del disco brutal death metal, inoltre ho avuto cura di rivolgere dei simpatici epiteti alla Vergine Maria: “Puttana la Madonna! Troia!”. Già alle prime martellate i due gatti che erano in casa (Eisenhower e Cadorna) si sono dati alla macchia, ognuno per sé e il porco di dio per tutti, impauriti quanto due ebrei nella Bassa Sassonia attorno al quarantadue. Alla fine ho provato sommo sollievo e ho cominciato a ridere come un invasato, tanto che tra me e me ho pensato che se qualcuno m’avesse visto forse avrei potuto partecipare all’estrazione per un trattamento sanitario obbligatorio.
Tutto questo cosa mi ha insegnato? Anzitutto che non sarò mai il testimonial ideale per l’IKEA. La lezione maggiore invece è stata un’altra. Quando si seguono le istruzioni (in questo caso si può leggere anche “istituzioni”) e le cose non vanno come devono, allora si può optare per la distruzione dell’ordine costituito. Questo vale in quell’agglomerato precario di leggi, regolamenti vari e paletti che è la società così come per i mobili da montare. Se un domani dovessi avere un figlio, e qualora i servizi sociali non fossero abbastanza accorti da sottrarmelo, ebbene io come cameretta gli darei un ripostiglio da arredare con la fantasia, però non gli imporrei mai nessuna regola con un’educazione punitiva perché nella migliore delle ipotesi non servirebbe a nulla e nella peggiore produrrebbe un politico.
Non ho proprietà calamitiche né camaleontiche, difatti non esercito attrazione alcuna né cambio d’umore in base alle fasi lunari. Ravviso in me una certa linearità che forse reputerei noiosa se la osservassi in qualcun altro. Talvolta ho considerato pregevoli certi tratti della mia personalità che in seguito ho riscontrato con disappunto in altri individui e in casi del genere ho sempre trovato comica una tale divergenza d’opinioni sui medesimi elementi, ma ho anche provveduto puntualmente a correggere simili incongruenze tramite l’introspezione.
La follia e la brutalità che imperano su questo pianeta non mi contagiano, tuttavia non posso ignorarle altrimenti finirei per chiudermi in un mondo tutto mio e non ho la minima intenzione di acquisire l’eleganza del riccio. Mi ritaglio angoli di paradiso senza pretendere che siano siti al di là della materia con vista eternità; perenne monolocale il mio, ma vasto come l’impero macedone. Le contraddizioni, gli ossimori e tutto ciò che si oppone a qualcos’altro danza facilmente presso la fantasia. Quanto ricorre in me il tema delle labbra mancanti! Quattro dovrebbero essere, due superiori e due inferiori su un piano soggetto a inclinazioni, ma in questi frangenti autunnali mi compiaccio di non averne mai esperito l’obliquità. Lieta e stramba è la disposizione d’animo che mi caratterizza mentre l’anno volge al termine: contemplo contingenze che spero non accadano presto e non so spiegarmi bene per quale ragione.
Le interpretazioni si moltiplicano facilmente, però non voglio farne incetta. Per ora non mi pongo domande e sorpasso i giorni senza curarmi dell’immobilismo a cui sembrano soggetti. Credo che ci sia un tempo per ogni cosa, ma non ho certezza alcuna che ogni tempo debba avere il suo momento, il suo principio, la sua genesi… Alcune dinamiche restano potenzialità per intere vite.
Sono molte le domande che potrebbero vorticare in questi giorni, ma io non intendo dare asilo a nessuna di loro né agli assilli che ne costituiscono gli arti prensili. Talvolta, per orientarmi, i punti cardinali mi sembrano del tutto inutili, però io non pretendo di conoscere sempre la direzione giusta. Mi perdo nel vuoto, ma quest’ultimo è il mio eremo d’oro; un rifugio desertico, il piano da inclinare per osservarne altri, l’oasi ove accendere fuochi fatui dei quali non restano mai tracce neppure nelle notti che si avvicendano senza posa, ignare l’una dell’altra.
Non ho meriti particolari e l’unico degno di nota consiste nella facoltà di sottolinearne l’assenza con calma olimpica. A differenza di chi ne fa vanto o croce, io non posseggo ferite lacerocontuse sul cuore, ma solo un po’ di polvere che m’auguro non venga spazzata via da un soffio cardiaco. Ai bivi non bivacco e saluto chiunque s’affretti a imboccare una via mentre parte del sé muore di inedia. Assecondo la mia buona stella benché io non creda affatto nell’astrologia e la consideri adatta come oggetto di scherno. Cos’altro ha da offrirmi il tempo che non presenti quelle forme di cui nessuna malattia neurodegenerativa ha ancora privato la mia memoria? Foss’anche una continua ripetizione, io accolgo a braccia aperte l’esperienza di quest’esistenza e mi rammarico un po’ se non riesco a sfuggire alla retorica per declamare la mia disponibilità a fruire della vita.
In questi giorni i venti spirano con forza e anche dei poveri disgraziati fanno altrettanto. Vivo in accordo con me stesso, però vorrei che un po’ della mia serenità fosse in grado di contaminare i mercati finanziari. Non ho nulla di cui temere e sono pronto ad andarmene dall’Italia qualora la situazione socioeconomica dovesse collassare definitivamente, tuttavia non scommetterei sulla possibilità che uno scenario del genere si verifichi e la mia inclinazione a ritenerlo inverosimile è del tutto avulsa da qualsivoglia ottimismo.
I miei giorni sono scanditi da buone abitudini. Adoro l’autunno, come le altre stagioni d’altronde. Mi auguro di restare solo per i prossimi mesi e non ho ragione di temere che qualcuno s’insidi o s’insedi nella mia esistenza: è buffo come due verbi così simili profilino situazioni tanto diverse. Se mi leggessi con gli occhi di un estraneo potrebbe sembrarmi anomalo il desiderio di restare ancora solo e forse io valuterei le mie parole come quelle della volpe che non riesce ad arrivare all’uva, ma ci sono dei momenti nei quali mi sento davvero fortunato a non aver mai avuto dei legami carnali o sentimentali. In quest’epoca mesta mi premuro d’amarmi senza nuocere al mio prossimo, perlomeno direttamente, e continuo indefesso su questa strada forse priva d’inizio e d’una fine, o quantomeno di un fine.
Tra il collasso del mondo e la calma interiore
Pubblicato martedì 1 Novembre 2011 alle 17:40 da FrancescoNon mi sorprende il declino dell’Occidente e purtroppo devo riconoscere che alcuni dei passaggi di Storia e utopia di Cioran sono stati profetici. Anche Céline in un suo romanzo aveva paventato la caduta europea. Credo che una parte del genere umano rischi di essere divorata dal mostro finanziario che ha creato, ma se quest’eventualità dovesse verificarsi io la considererei soltanto come la resa dei conti al cospetto di quelle che oggi sono chiamate economie emergenti. Tutto è ciclico e nulla mi pare mai definitivo. Giocando d’anticipo con la fantasia si può già dipingere un tempo in cui l’Europa e gli Stati Uniti torneranno gli egemoni del pianeta. Nel frattempo la teoria di Malthus sulla sovrappopolazione trova appigli inquietanti ed è per questa ragione che io non invidio affatto le generazioni future. D’ora in poi quandunque mi trovassi a proferir parola con uno stuolo di bambinetti non potrei esimermi dal pronunciar quanto segue: “Ebbene signori, voi siete proprio nella merda! I mie rispetti”.
I campanelli d’allarme suonano una marcia funebre prim’ancora che la catastrofe si sia compiuta e suscitano inquietudini presso le personalità più suggestionabili. Il bombardamento mediatico ha anche un costo emotivo che grava tutto sulle spalle di coloro che non ne hanno altre su cui piangere. Non considero questo mondo come la massima espressione delle capacità umane e lo reputo ancora primitivo benché testimoni un progresso inconfutabile. Penso che la realtà superi la fantasia e credo che la tecnica (nell’accezione che tale termine può avere in ambito filosofico) porrà limiti nuovi dopo averne abbattuti alcuni apparentemente inamovibili. Io levito su quanto accade al mondo perché in un modo o nell’altro me la caverò. Non ho persone a cui pensare, ma se avessi questo tipo di responsabilità non mi tirerei indietro. Qualora dovessi restare solo per sempre incontrerei poche difficoltà a vivere poiché dovrei pensare a me stesso, se invece io mi trovassi a passare la vita con qualcuno allora potrei trarre la forza emotiva dal rapporto al fine di superare le difficoltà eventualmente accresciute. È una partita truccata perché in ogni caso io vincerò, ma non è questo che importa poiché tale vittoria è solo la conseguenza trascurabile di una ricerca della felicità che ha forza nella ricerca stessa e nient’affatto nel suo conseguimento.
Provo una stanchezza salutare e intendo passare a letto una buona parte dei prossimi giorni per lasciare scorrere ogni cosa sotto il ponte festivo. In momenti del genere sono assai felice di potermi avvalere della calma e del silenzio col beneplacito della solitudine. Talora non intravedo elisir migliore di un sonno profondo. Dormirei per settimane se ne fossi capace, ma il letargo è riservato ad altri animali e la natura non mi ha fornito neanche una lieve forma di narcolessia. Riposo bene, ma da alcuni mesi fatico a ricordare le esperienze oniriche. C’è un sogno ricorrente le cui immagini riaffiorano in me di tanto in tanto, ma lo considero un telegramma dell’inconscio a causa del suo contenuto. C’è sempre una figura femminile che non ha nome né volto, come se fosse un’ombra slanciata o una sagoma diafana. Questa entità muliebre scuote il capo a mo’ di rimprovero, ma io mi limito a guardarla senza compiere movimento alcuno.
L’inconscio mi chiede chiaramente di colmare le mancanze affettive, un po’ come l’Europa chiede all’Italia di adottare determinate misure per la crescita: rischio di essere insolvente nei confronti di me stesso. Capisco perfettamente le richieste che si trovano sotto la soglia della coscienza (e come potrei non comprenderle dato che mi sono intrinseche?), ma per estinguere il debito verso una parte di me dovrei prima contrarne uno d’ossigeno alla vista d’una controparte. Chissà, un giorno potrebbe succedere, ma per adesso chiedo una proroga e mi ristoro senza inquietudini.
Chiarimenti non strettamente necessari
Pubblicato giovedì 27 Ottobre 2011 alle 22:09 da FrancescoL’epoca corrente mi costringe spesso a chiudere i rubinetti dell’empatia. Se mi lasciassi distrarre dalle disgrazie del mondo finirei per farne parte senza risolvere alcunché, ma seguo le tragedie da lontano perché se le ignorassi ne provocherei una a me stesso attraverso un uso improprio dell’indifferenza. Mi sforzo di conciliare il distacco emotivo con l’impegno di non perdere la mia umanità, ma talvolta mi sento un acrobata morale e lascio dietro di me contraddizioni apparenti che in realtà confermano la buona riuscita degli intenti suddetti.
La brutalità per me è un liquame cancerogeno che vìola le leggi fisiche oltre a quelle d’una certa etica, difatti cola e si arrampica lungo le pareti della piramide sociale. Io non credo affatto che le ingiustizie cadano esclusivamente dall’alto come manna avvelenata, bensì le noto a diversi livelli mentre saltano e rimbalzano: le imposizioni burocratiche che non di rado si fanno vessazioni, le pretese economiche che viaggiano ad una velocità diversa da quella della realtà, le paure di chi non possiede i mezzi intellettuali per scacciarle e finisce nelle spire delle circonvenzioni, coloro che sono rei d’essere nati ad una latitudine fatale in cui la speranza di vita è la prima a morire, i cuori ingenui devastati dal gusto del potere narcisistico di coloro a cui si sono votati e tant’altro ch’è difficile scrivere senza scadere in una retorica assordante e stucchevole, ovvero la complice peggiore della sofferenza inutile che inquina la razza umana. Il cinismo di cui mi avvalgo non è il vezzo di uno stronzo, ma lo strumento per tollerare la follia democratica che partorisce despoti e regni invisibili, altresì il narcisismo che si trova in me non scaturisce dalla voglia di prevaricare né dal desiderio di differenziarmi, bensì è anch’esso un mezzo tramite cui riesco a tollerare una mancanza d’amore che guadagna tempo di giorno in giorno e il cui giogo riesco a contenere con la sublimazione. Se mi vedessi da fuori, senza conoscermi, forse mi considererei un reprobo, ma se conoscendomi io mi ritenessi tale allora finirei per guardare il dito invece della luna.