18
Lug

Del cirro negletto

Pubblicato martedì 18 Luglio 2023 alle 02:51 da Francesco

L’inflazione è un problema, però anche lo scirocco ha le sue ripercussioni sui miei lunghi capelli. Presi a sviluppare il cirro negletto durante la panzana della pandemia giacché non accettai la più famosa delle inoculazioni. Grazie al governo Draghi mi posi una domanda capitale, a riprova di come certi automatismi si rivelino tali solo quando sussista l’impossibilità di assecondarne la meccanicità: “Perché cazzo vado dal barbiere?”. La mia risposta fu: “La forza dell’abitudine”. In ragione di tutto ciò non raccolsi l’invito a farmi una pera di Stato, bensì la palla al balzo e dissi a me stesso: “Non me ne fotte niente dei capelli, lascio che si allunghino fino a quando non intervenga un’eventuale calvizie o un trattamento chemioterapico”. E fu così che vissi capellone, o meglio, lo ridivenni. Forse mi reincarnerò in un phon o nella phoné.
Detesto la peluria, urta il mio senso estetico e in particolare la barba mi dà proprio fastidio, ma sono insofferente anche verso i barbari. Non potrei mai amare una donna barbuta, questo mi sento di affermarlo senza tema di smentita, ma non potrei bere manco del Bourbon poiché ho in orrore tutti gli alcolici. Altre assonanze? Sostanze, mai, tranne quelle che si sanno secernere in autonomia con le dovute tecniche e l’occorrente dedizione. Com’è tarda la notte dalla quale mi affaccio. A ognuno i suoi tempi, le vane attese, le inaspettate manifestazioni dell’universo e ogni cosa. Sì, è tarda la notte che mi ospita, però mi piace assai questo suo arieggiato silenzio e me ne sento parte o forse provo soltanto a imbucarmi in un buco nero: mi piacerebbe sbirciare oltre l’orizzonte degli eventi. Sì, ma in concreto, cosa ho scritto finora? C’è un fil rouge, un gomitolo, un filo di Arianna o bisogna portarsi l’occorrente da casa? Il significato al sacco. L’esigenza è quella di parlarmi addosso, di farmi da vecchio conoscente, ruolo che mi riesce bene: tutto il resto è altro da me com’è inevitabile che sia.

Categorie: Parole |

13
Lug

Il mondo va avanti

Pubblicato giovedì 13 Luglio 2023 alle 12:06 da Francesco

Nell’immagine in calce v’è una mia lettura degli ultimi tempi e l’ostensione del santo.
Non intendo cambiare sport giacché amo troppo la corsa, ma salto lo stesso di palo in frasca per scrivere d’altro rispetto a quanto suggerisca l’incipit. Ne Il sorpasso di Dino Risi v’è una scena in cui Gassman dice a Trintignant: «Lo sai qual è l’età più bella? Te lo dico io qual è. È quella che uno c’ha giorno per giorno. Fino a quando schiatta… si capisce». Non posso che sottoscrivere.
Quali grandi nostalgie dovrei nutrire e allevare a detrimento dell’avvenire, ma soprattutto del presente? Amo il passato nella misura in cui sappia echeggiare al di fuori del tempo, quando non si faccia tenaglia né prigione, bensì rifulga come paradigma da superare, eguagliare da cui trarre ispirazione. A me tutto ciò pare banale, però lo scrivo ugualmente.
Mi torna in mente la storia di un monaco buddhista che una volta si recò da un dottore. Il medico disse al monaco che aveva un cancro e il monaco chiese: “Cos’è il cancro?”. Allora il dottore rispose: “Significa che morirai”. Il monaco si mise a ridere e se ne andò in ragione delle sue riflessioni sulla cosiddetta “impermanenza”. Secondo me questo aneddoto spiega come la propria visione della realtà, quella maturata dentro e fuori di sé, plasmi la realtà stessa laddove l’individuo ha possibilità di manovra, ossia nel modo di reagire agli eventi. Come si lega tutto questo con eventuali nostalgie? Pari pari come la risata del monaco alla diagnosi infausta.
 

Categorie: Parole |

1
Lug

E anche luglio ricominciò

Pubblicato sabato 1 Luglio 2023 alle 23:57 da Francesco

Mi trovo ancora sotto i cieli ordinati a eternità e non cerco di venire a capo delle ragioni per le quali altri il capo lo perdono. Mantengo la debita distanza dai debiti di riconoscenza ed evito di maturare crediti della stessa risma. Nelle terre galliche le città s’illuminano con gli intensi fuochi di proteste pretestuose; a nord del Mar Nero invece delle stessa pece sono le notti urbane dovute ai blackout e ai lutti. La cosiddetta civiltà non può affrancarsi dalla sua pulsione di morte, tutt’al più le è dato di ammansirla in periodi di tregua che talora sono chiamati impropriamente periodi di pace. Di sicuro le parole hanno un peso, ma credo che gli esplosivi facciano più male.
Una parte del mondo combatte per un certo uso dei pronomi, altrove invece il problema non sussiste giacché restano da chiamare soltanto i fantasmi in mezzo alle macerie. I problemi del primo mondo sembrano al primo posto e spesso per secondo non c’è nulla: chissà, può darsi che il carrello un po’ vuoto sia colpa dell’inflazione o della spinta incarnata da Thanatos (in senso greco, non a mo’ di creatura della Marvel).
Nei paesi avanzati, dove gli avanzi abbondano e invece dell’inedia la vexata quaestio è quella di normalizzare l’obesità, ormai è tutto burocratizzato, a misura delle forzature di chi vuole imporre nuovi paradigmi in ragione dei suoi complessi d’inferiorità: persino l’amore e l’odio devono esibire le rispettive marche da bollo. Pare (invero in meccanica è accertato) che a ogni azione corrisponda una reazione uguale o contraria, perciò mi chiedo se il gioco manuale dello specchio riflesso non sia il migliore modus operandi per dirimere qualunque controversia.
Assisto all’incedere degli eventi e desisto da una mia attiva partecipazione agli stessi, almeno per quanto mi è possibile: credo che tutto vada come deve andare e di certo non ricade su di me l’onere di dimostrare il contrario. Io mi trovo sempre al solito posto, ai margini delle righe e tra le pause di uno spartito che non eseguo: buona la prima e tutte le altre.

Categorie: Parole |

20
Giu

Come se il tempo esistesse e passasse per un saluto

Pubblicato martedì 20 Giugno 2023 alle 23:32 da Francesco

Secondo me l’esistenza più alta alla quale un essere umano può ambire è quella dell’anacoreta contemplativo, ossia una vita ritmata dai moti del Sole che sia votata alla meditazione e alla sussistenza, destinata a concludersi con l’inedia: qualcosa del genere è fuori della mia portata, perciò cerco di fare quanto rientri nelle mie corde senza correr l’alea d’impigliarmici.
A proposito di corsa, negli ultimi nove giorni ho macinato centosessantuno chilometri giacché la mia idea è quella di mettere volume nelle gambe per tonare alla migliore condizione di sempre e superarla: il giudizio di Krónos è inappellabile perché nell’atletica leggera i numeri non mentono e difatti non ho mai visto una cifra con il naso lungo (tutt’al più qualche quattro scritto male).
Mi diverto tanto a giocare con i tempi mentre altri ne scorrono in clessidre invisibili delle quali non mi curo e le cui durate mi trovano al di fuori dei loro effetti, ma può darsi che con l’avvento dei primi caldi io mi risolva a fare qualche bagno in un fiume eracliteo. Oltre del puer che è in me, sempre sia benedetto, sono contento anche per me in quanto allenatore di me stesso, una sorta di senex in comodato d’uso, però non posso chiedere a me medesimo di non essere autoreferenziale o forse posso farlo per confermare vieppiù questa mia natura; si tratta di un cul de sac, il quale per assonanza mi fa domandare se esista un culo che mi piaccia un sacco: v’è da rifletterci e non escludo di farlo quando il cielo stellato sopra di me mi ricordi come dentro di me non alberghi tanto uno chef a cinque stelle quanto un astemio e vegetariano avventore degno di un’osteria, ma soprattutto delle bestemmie ivi echeggianti.
Per continuare queste righe estemporanee devo prima assicurarmi che abbia finito di scrivere stronzate: a me care, per carità, ma pur sempre stronzate. Il mio sesto libro si trova ancora a metà della stesura e mi sento un po’ in colpa nei confronti delle pareti che lo stanno aspettando immobili: devo darmi una mossa o prepararne una che giustifichi il mio ritardo al cospetto di quello già maturato da Godot. Ho qualcosa da fare, piccole mete da raggiungere, ma sono epifenomeni e io mi sento uno privo di nome come Clint Eastwood in certi film western o come Tiziano Terzani quando fu a ridosso della sua ultima incarnazione conosciuta (il domicilio biologico). La mancanza di prospettive e di orizzonti mi permette di avere altri tipi delle prime e dei secondi. Non so cosa significhi crescere, fatta eccezione per l’accorciamento dei telomeri.

Categorie: Parole |

16
Giu

Il sé viene alla mente di Antonio Damasio

Pubblicato venerdì 16 Giugno 2023 alle 00:18 da Francesco

Qualche settimana fa ho terminato la gradevole lettura de Il sé viene alla mente, un saggio neuroscientifico in cui Antonio Damasio si avventura in una speculazione volta a rintracciare le fondamenta fisiologiche della coscienza. È un lavoro articolato, certosino, in cui ho trovato una buona esposizione con uno stile potabile, perciò fruibile anche da chi non sia un addetto ai lavori. I miei pochi e sparuti appunti non rendono giustizia al testo.
Nello scritto il sé è presentato come un processo diadico diviso in sé-oggetto e sé-soggetto, laddove il secondo deriva dal primo benché il sé-oggetto abbia una portata più limitata: tra i due vi è continuità e progressione, nessuna opposizione. I concetti di proto-sé (sentimenti primordiali), sé nucleare (relazione tra organismo e oggetto) e sé autobiografico (“pulsazioni” del sé nucleare) sono gli stadi che rappresentano l’ascesa del sé alla mente e quindi la nascita della coscienza.
In merito alla soggettività Damasio nega a quest’ultima un ruolo alla base degli stati mentali, bensì lo attribuisce alla consapevolezza della medesima: per quanto sottile, a me pare una differenza evidente. Le cosiddette percezioni sono indicate come effetti derivanti dalla capacità del cervello di creare mappe (le quali sono tripartite in enterocettive, propriocettive ed esterocettive): tali mappe pare che si originino in strutture subcorticali che risiedono nel tronco encefalico. A corredo di tutto riporto quanto mi ha fatto ridere di gusto per ragioni sulle quali evito di soffermarmi, ovvero l’affermazione inconfutabile secondo cui l’intenzione di sopravvivere che si trova nella cellula eucariotica è identica a quella implicita nella coscienza umana.

Categorie: Immagini, Letture, Parole |

12
Giu

Un respiro profondo (a narici alternate)

Pubblicato lunedì 12 Giugno 2023 alle 17:43 da Francesco

Ogni tanto il mio spirito d’osservazione mi ricorda quanto sia importante il controllo del respiro e come il giusto ricorso a quest’ultimo sappia scardinare le tante e possibili situazioni della vita quotidiana, però non lo definisco un segreto di Pulcinella giacché la maschera partenopea non si presta bene a una corretta pratica del pranayama.
Non amo molto quanti si prendano troppo sul serio, forse perché dubito che ami se stesso chi indulga in un’esasperata considerazione di sé e considero l’amor proprio una conditio sine qua per un principio di simpatia: alla fine dei conti nulla di ciò è affar mio e quindi posso gettare parole al vento senza pretenderne la restituzione completa o parziale. Non sono mai stato in dolce attesa, neanche quando da ragazzino avevo qualche chilo di troppo, perciò non ho aspettative e posso godere dei giorni che si avvicendano come se non avessero differenze. Mantengo la direzione verso una rotta ignota e navigo a vista soltanto quando ho gli occhi aperti, ma certe volte le intuizioni più profonde le colgo negli abissi onirici e purtroppo non riesco sempre a riportarle sopra la soglia della coscienza. Sarei ancora troppo legato a una dimensione carnale e fisica se usassi il Jolly Roger come bandiera per il mio vascello, perciò devo pensare a qualche altro simbolo col quale presentarmi al cospetto del nulla.
Non so quante avventure solitarie mi restino ancora da vivere, ma in me perdura qualcosa di primigenio, come se con l’età non avessi perduto l’antica innocenza di chi torna a vivere su questo pianeta. Non mi tuffo di testa nella metafisica d’accatto, nell’esoterismo spicciolo (dove la moneta serve come gettone per comunicare con un al di là interurbano), nelle frasette motivazionali o nei sincretismi pasticciati che hanno come scopo precipuo l’evasione da una realtà prosaica: la mia è una ricerca personale, inconcludente e simpatica, senza pretese né protesi egoiche. Intanto vado, poi vediamo.

Categorie: Parole |

1
Giu

All’atto pratico

Pubblicato giovedì 1 Giugno 2023 alle 02:22 da Francesco

Passa il tempo nel computo degli anni e gli effetti della gravità si mostrano con maggior rilievo su quanti non le si oppongano con lo spirito, il corpo e talora persino con creme anti aging nella misura delle proprie possibilità. Non riesco a ritenere le rivoluzioni quali scopi ultimi nonostante, devo riconoscerlo, siano forme d’intrattenimento che si rapportano alla storia come i luna park alla loro vocazione itinerante: si tratta di entità e di dinamiche di passaggio, di qua e di là, alla stregua di tutto il resto, compresi i saldi di fine stagione e l’ultimo turno dei tardigradi.
Cosa devo prendere sul serio? Le cellule? Ma una a una o in qualità di aggregati in perenne mutazione giacché le une non sono mai le altre e l’apoptosi assomiglia più a una conquista sindacale che a un processo evolutivo? Chi siamo, dove andiamo, per quanti prenotiamo nei cieli superni? Io preferirei una singola con vista sull’eternità, ma per il momento mi andrebbe bene anche una torre eburnea. Viene ricercato il possesso nelle mendaci forme della dolcezza, la nozione come arma in luogo della conoscenza, il modo d’essere al posto dell’essere senza modo e così via, fino a certa estinzione e dimenticanza. Nelle scatola dei regoli (forse simile a quella delle regole) non so dove mettere (a sedere o su un piedistallo?) il bene e il male, perciò si accomodino le antitesi e, sebbene orfane, facciano come se fossero nella casa del Padre.
Non amo tatuaggi né piercing perciò se avessi un credo, uno qualunque, dovrei tenermi al labbro il suo amo: ecco, questo per me sarebbe davvero insopportabile. Talvolta mi chiedo se abbia fatto bene a non seguire mai uno sguardo, forse anch’esso simile a una professione di fede. Le domande si possono lasciare in sospeso perché prima o poi, in ragione dell’anzidetta gravità, cadranno da sole e si faranno polvere come ogni altra cosa. Nottetempo mi accomodo tra le mie piccole arguzie, o almeno io concedo loro questo nome, mi cullo nelle mie cose che in realtà mie non sono, ma tanto vale scrivere così.

Categorie: Parole |

30
Mag

Nazarìn di Luis Buñuel

Pubblicato martedì 30 Maggio 2023 alle 22:12 da Francesco

Sulla base del mio trascurabile parere Nazarìn è un film dai contorni mistici e grotteschi, dove registri differenti si uniscono in un connubio di cui, secondo me, Luis Buñuel è indiscutibile maestro per come rende e armonizza elementi all’apparenza contrastanti e contraddittori. 
In questa storia il protagonista è un sacerdote che si sforza di osservare i princìpi della propria vocazione, ma la sua coerenza, la sua empatia e la sua solidarietà gli cagionano i torti più disparati, fino a quand’egli, dopo un atto di carità, viene tradito dalla meretrice alla quale aveva prestato aiuto e si vede strappare l’abito talare dai propri superiori. Attorno a Nazarìn gravita una corte dei miracoli tramite la quale, per me, Buñuel rappresenta quelle che allora erano le fasce più deboli della società messicana e a mio avviso quest’affresco di umanità (nient’affatto inedito nella sua produzione) gli riesce magistralmente come sempre.
Nella mia personale lettura del film vedo la fede come abbandono quale tema portante, difatti Nazarìn non tentenna mai, neanche quando sostiene di avere difficoltà a perdonare un uomo da cui è stato picchiato pochi istanti prima, però a mio avviso quelle sue parole d’incertezza vengono sconfessate subito dall’espressione, dal tono e dalla gestualità che le accompagnano. In quest’opera colgo una fede adamantina che, in una mia personale e spontanea associazione d’idee, reputo speculare per converso a quella di Luci d’inverno di Bergman, fatica quest’ultima più tarda di qualche anno rispetto a quella di Buñuel e nella quale il protagonista, un pastore protestante, assiste alla crisi della propria fede dopo la morte della moglie, con angoscia ed esistenzialismo in luogo della ricerca mistica.
Per me la scena più iconica di Nazarìn, nella duplice accezione del termine, ossia iconica in quanto rappresentativa dell’opera ma anche perché concerne un’icona sacra, è quella in cui la prostituta, in preda alle allucinazioni, crede che un ritratto di Cristo rida di lei, come se il figlio di Dio la prendesse in giro.

Categorie: Cinema, Immagini, Parole |

27
Mag

Terzo concerto del Balletto di Bronzo

Pubblicato sabato 27 Maggio 2023 alle 16:42 da Francesco

Ieri sera, appena imboccata la Prenestina, ho visto volare un oggetto non identificato: apparteneva a una meretrice che lo aveva appena lanciato contro un’auto di grossa cilindrata.
Soltanto la presentazione di Lemures del Balletto di Bronzo (trio di cui avevo già visto due concerti) poteva convincermi a rimettere piede nella Caracas italiana: ne è valsa la pena perché alla fine ho rimediato anche una delle bacchette.
Ys uscì nel 1972, album occulto e di culto, imprescindibile e avanti di almeno cinquant’anni, perciò era nell’ordine delle cose che il suo seguito, Lemures, fosse pubblicato mezzo secolo più tardi. Dal vivo Gianni Leone e i suoi accoliti formano sempre un unicuum, qualcosa di alienante nelle molteplici accezioni del termine: paragoni non possono essere fatti, livello massimo, l’oltre-prog, “cosa altra” come si dice in certi ambienti.

Il concerto di ieri è avvenuto in una dimensione raccolta, quella del Traffic Club di Roma, circostanza a me congeniale per apprezzare le esibizioni dal vivo, ma credo che il Balletto di Bronzo meriti cornici più importanti come non di rado trova all’estero: nemo propheta in patria. Tra Ys e Lemures colgo una continuità eccezionale che forse non poteva avere altro tempismo, in pieno rispetto del cosiddetto kairos, ma non voglio scadere in una stucchevole idolatria e preferisco che siano i dischi a parlare in una lingua sconosciuta ai più.

Categorie: Immagini, Musica, Parole |

20
Mag

Stratificazioni terrestri e metafisiche

Pubblicato sabato 20 Maggio 2023 alle 02:52 da Francesco

Le catastrofi costringono certi soloni a un fatale bagno d’umiltà, a ulteriore riprova di quanto gli elementi siano imprevedibili. Per me le forze che si scatenano all’esterno sono speculari ai moti interiori, in un reciproco rapporto di rappresentazione. Può accadere ciò che non può essere neppure immaginato e dunque il margine di controllo è ridotto all’osso, spesso a quello del collo di chi possiede illusioni egemoniche sulla natura o su se stesso.
L’altrui sofferenza fa eco a quella potenziale di chi accoglie la prima nella propria empatia e negli immediati dintorni d’ogni simile afflato, ma non può che risuonare come i sussurri del vento nella proverbiale notte in cui tutte le vacche sono nere. Non è sempre facile dosare le parole e forse il più delle volte sarebbe meglio se non fossero mai esistite, però la natura discorsiva della coscienza non può farne a meno giacché in principio, si dice (appunto), era il Verbo.
Resto ai margini dell’esistenza, sugli argini del fiume eracliteo, consapevole di come anch’esso, prima o poi, sia destinato a esondare. Quanto profondità devo ancora sondare benché siano affiorate con la nascita. Attorno a me il silenzio va in frantumi e si ricompone in un costante compromesso tra l’ambiente circostante e le possibilità delle coclee. Non ho idea di quale ardua sentenza spetti ai posteri, ma anche loro ricorreranno ai cinque sensi (più uno in omaggio) per le loro deliberazioni. Tutti hanno il proprio posto a sedere e a defungere nella cronologia degli eventi, ammesso che il tempo esista e passi senza salutare. Io me ne resto in disparte giacché l’ubiquità non mi è propria.

Categorie: Parole |