Ho avuto modo di trascorrere un paio di giorni nelle Marche senza sborsare una rupia e ne sono stato felice. Ho compiuto brevi visite a Urbino, Macerata, Osimo, Numana e Sirolo: sono rimasto incantato da quest’ultimo e ho stretto un patto con il Conero per farvi ritorno.
Sono stato anche a Recanati e ho fatto due passi davanti alla casa di quel buontempone che fu Giacomo Leopardi, tuttavia me ne sono sbattuto altamente le palle di visitarla e ho invece avuto la fortuna di accedere ai locali di una vecchia sartoria sita nelle immediate vicinanze. Vesto come il cliente medio degli scafisti, non ho mai indossato una cravatta né una camicia e mi auguro di farne a meno per il resto dei miei giorni, ma sono rimasto affascinato dal lavoro di quell’atelier. La bellezza di Urbino non mi ha sconvolto, però nei suoi dedali ho trovato un vicoletto che mi ha rapito, precisamente un’umida viuzza alla cui fine si trova la sezione periodici della biblioteca umanistica dell’università Carlo Bo. Avrei parecchio di cui scrivere e questo è un buon motivo per non farlo, però non sarebbe sufficiente se non fosse accompagnato dalla mancanza di voglia.
Reiterate impressioni con apocalisse annessa
Pubblicato mercoledì 16 Maggio 2012 alle 12:44 da FrancescoSeguo con interesse la deflagrazione dell’Europa. Ogni tanto penso a quel farmacista che si è sparato in piazza Syntagma ad aprile: sopravvissuto all’occupazione dei nazisti nel quarantuno, è stato ucciso dalla dittatura finanziaria che ne ha legittimati dei nuovi nel parlamento greco. Laddove è nato il pensiero occidentale, oggi per molte persone si prospetta uno stile di vita pari a quello che fu di Diogene di Sinope. La culla della democrazia è intrisa di sangue e tra quelle macchie rapprese forse ritorneranno i tempi efferati di Licurgo. Ho sempre lottato dentro di me per confutare la più celebre espressione di Hobbes, ma ormai non mi resta altro che chiedere l’onore delle armi: homo homini lupus.
Questi anni finiranno nei libri di storia su pagine di caligine. Io non condanno la violenza, bensì mi auguro che esploda in faccia ai governanti inetti: passati, correnti e futuri. Credo che occorra uno shock potentissimo per riportare il male sotto la soglia della sopportazione, a mo’ di cura omeopatica. L’acqua bolle a cento gradi Celsius e il piombo fonde ad oltre trecento: in tutto vi è un punto di rottura. Se in Europa dovessero verificarsi tensioni sociali su vasta scala allora mi adopererei per trovare un’amaca nel sud-est asiatico, ma non punterei il dito contro fiumane di persone incazzate e disposte a tutto. Spero di non essere mai costretto ad abbandonare la mia terra, tuttavia se lo stallo continentale provocasse uno scenario del genere io approverei tutte le reazioni violente e non potrei fare altresì per rimanere onesto con me stesso. Ogni individuo dovrebbe auspicarsi il bene del prossimo in quanto le persone che non hanno nulla da perdere sanno diventare armi fatali: seguo la via di un egoismo illuminato in quanto non ho facoltà di incidere al di fuori della mia esistenza. I politicanti, le istituzioni, i feticisti del garantismo e altra gentaglia del genere esigono l’uso esclusivo di strumenti democratici per cambiare le cose, ma solo perché sanno benissimo quanto sia facile abusarne per proteggere i loro interessi o i loro princìpi, entrambi sottoprodotti del banditismo. I tempi biblici dei meccanismi democratici sono clessidre di morte: ci deve essere una convenienza comune a rispettare le regole e queste non devono valere al di là della vita come un dogma religioso. Purtroppo espongo la mia attenzione a tematiche del genere perché ritengo che il peggio debba ancora arrivare con tante mattanze in dote, perciò cerco di giocare d’anticipo, almeno col pensiero. Non si può buttare in faccia a dei disgraziati agi e privilegi per poi ricordare agli stessi che sono appannaggio di quanti sappiano abusare della res publica. A me non interessano gli ideali, ma le questioni pragmatiche. Non ho una causa da sposare e cerco di pensare a me stesso senza danneggiare il prossimo. Non mi perdo nell’identificazione con qualche corrente di pensiero pur approvandone talune, a torto o a ragione. Non sono un idealista e penso soltanto a me, ma per farlo bene, a differenza di quanto ritengono arraffoni ottusi d’ogni risma, devo confrontarmi onestamente col malessere altrui. Se avessi gli attributi per fare l’anacoreta nel Kalahari probabilmente me ne sbatterei i coglioni, ma d’altronde gli effetti di queste parole sono del tutto identici all’indifferenza di certuni e hanno un po’ di utilità esclusivamente per il sottoscritto, cosicché sia pronto alla peggiore delle evenienze.
Finalmente ho smesso di mangiare carne. Non sono diventato un vegetariano poiché alcuni dei pasti che mi preparo con le manine sante includono ancora il tonno, ma ormai la maggior parte delle mie proteine deriva dal seitan e dalla soia. La mia scelta non è stata etica, bensì un po’ salutistica. Ho scoperto un graduale disgusto per la consumazione delle carni bianche e rosse, perciò la rinuncia non ha costituito un sacrifico, ma solamente un appuntamento al quale sono giunto con largo ritardo. Grazie all’attività fisica potrei permettermi di mangiare qualsiasi cosa in quantità esagerate senza compromettere il mio peso, tuttavia i piaceri della tavola per me non corrispondono necessariamente alle preferenze alimentari che mi sono state imposte durante la crescita con la forza dell’abitudine.
In una sorta d’introspezione nutrizionale sono tornato indietro di parecchi pranzi e d’altrettante cene, quando gli adulti coglievano ogni occasione per mettersi all’ingrasso: matrimoni, funerali, feste comandate o improvvisate, compleanni e stronzate analoghe. L’opulenza di quei banchetti e la voracità dei partecipanti evoca in me ricordi scabrosi: masse di animali che ne mangiavano altri con mimiche quasi predatorie. All’epoca sentivo già questa insofferenza, ma non ero ancora abbastanza consapevole per elaborarla e io stesso ne ero complice poiché proprio come gli altri m’ingozzavo: un classico ricorso al cibo come scudo contro problemi d’ordine superiore.
Per fortuna un giorno ho capito che le persone più anziane non sono più sagge di me, ma solo più vecchie e così ho smesso di ascoltare le loro cialtronerie: per Diana, una rivoluzione epatica! Alla luce di quanto scritto, l’estromissione della carne dalla mia dieta è la conquista di uno degli ultimi baluardi di tutto ciò che mi sono impegnato a disimparare: ecco perché la mia scelta non è etica e solo un po’ salutistica.
Provo una repulsione totale verso quanti trascorrano la mattina a lambiccarsi su cosa preparare a pranzo e, una volta finito quest’ultimo, ricominciare daccapo per la cena. Detesto i pasti che durano troppo e non vi partecipo, tuttavia se un giorno mi ci trovassi per un insolito caso del destino, allora non mi farei problemi ad andarmene a tempo debito con la maleducazione del caso. Non sopporto l’idea di stare ore assiso davanti alle vettovaglie, col culo inchiodato su una sedia a contemplare quanto oltrepassi l’immaginazione di un somalo. Non sono un palato fine, ma penso di essere in grado di discerne tra una sana degustazione e la bulimia che impera tra i mulini bianchi. La mia apparente asocialità talora è un modo per evitare la guerra delle rosette. Oibò, per me né carne né carnalità.
Anzitutto un caro saluto agli amici della DIGOS qualora dovessero capitare su queste paginette. Dinanzi a certe notizie ho delle reazioni spontanee che non censuro, perciò mi vedo costretto a mostrare apprezzamento per la prospettiva di un revival degli anni di piombo.
Lo Stato uccide per interposta imposta e una lotta armata mi pare il minimo che degli estremisti possano fare per veicolare un’insofferenza diffusa. Non vivo in una situazione di disagio né mi sento vicino a gruppi eversivi, ma cerco d’interpretare il malessere e l’impotenza che negano il sonno a molte persone. Una volta saltato il contratto sociale credo che tutto sia permesso: ogni cosa. La legge non è sempre giusta né efficace e talvolta delinea un confine da sorpassare per sopperire alle sue mancanze. Nessuno può pretendere che masse di esseri umani soffrano per delle idee, per quanto nobili siano, senza che vi siano reazioni. La democrazia non funziona? Prego, migliorarla o sovvertirla. Qualcuno stigmatizza la violenza per la paura più o meno conscia di dovercisi confrontare senza avere un’istituzione che lo difenda, insomma tutt’altro che un’onesta e lodevole ripugnanza nei confronti di una delle più antiche compagne del genere umano. Tanti monumenti del cazzo sono costati la morte a persone schiavizzate e oggi colmano il senso artistico dei turisti, però poco importa poiché la distanza temporale rende tollerabili quei sacrifici inutili. La violenza è ovunque e spesso investe persone innocenti, perciò se l’umanità non riesce a disfarsene allora è meglio che la convogli verso la parte di sé più abietta. Se alcuni individui fossero stati uccisi in tempo molti altri non avrebbero dovuto pagarne le decisioni scellerate. Purtroppo uno sterminio lucido e mirato è difficile, difatti, come sottolineo sempre in appunti del genere, l’errore imperdonabile delle Brigate Rosse (e di organizzazioni analoghe) è stato quello di coinvolgere degli innocenti. Chi decide chi deve morire? Chiunque metta in gioco la sua libertà e la sua vita per inseguire un obiettivo apparentemente utopico: la medesima discrezionalità che appartiene a quanti invece sono chiamati a legiferare senza l’ausilio dell’empatia.
Apologia di reato? E sia, ma questo è ciò che penso senza cavalcare alcuna onda emotiva né tanto meno ideali che non mi appartengono. La scuola e associazioni “educative” provano a trasmettere valori di legalità così vaghi che sembrano favole sussurrate, ma credo che la loro opera sarebbe decisamente più meritoria se consistesse nell’insegnamento dello smontaggio e della rimontatura di una pistola. Provocazione? Anche, ma prima voglio udirne il rinculo. Non importa quanto siano deliranti o lucidi certi documenti: per me è importante, superato un certo limite, che nessuno si possa sentire intoccabile, in quanto la tracotanza di alcuni deriva proprio dal senso d’impunità che ne affresca le convinzioni.
Ho quasi terminato la lettura e lo studio de “La scoperta dell’inconscio”, mille paginette divise in due volumi che illustrano la storia della psichiatria dinamica. Avevo davvero bisogno d’affrontare un’opera del genere per approfondire alcune nozioni e per schematizzarle in ordine cronologico. Negli ultimi capitoli mi sono reso conto di quanto abbiano inciso i vissuti personali degli psichiatri nell’elaborazione dei loro sistemi. Se Freud fosse nato e cresciuto in una famiglia come quella di Adler forse egli non avrebbe mai ideato il complesso di Edipo.
Il mio interesse per la psicologia del profondo non è mai stato accompagnato dalla pretesa di trovare una via maestra che potesse risultare valida per ogni individuo. Poiché la psicoanalisi è nata dall’autoanalisi di Freud e la psicologia analitica di Jung ha tratto molto dalla cosiddetta nekyia del suo creatore, anch’io, nel mio piccolo, per scopi introspettivi ottengo parecchio da un attento esame della mia persona, ma attingo pure e a piene mani da alcuni concetti dei luminari succitati oltreché dall’opera di Heinz Kohut: inoltre, benché io non abbia ancora letto nulla della sua bibliografia, ho tratto degli spunti piuttosto interessanti dagli interventi di Eugenio Borgna. Per conoscere me stesso credo che l’introspezione sia fondamentale, tuttavia non la reputo sufficiente ed è per questa ragione che vedo nelle neuroscienze una risorsa importante al fine di oggettivare alcune risultati del processo di autoanalisi. In questo ambito non riesco proprio a separarmi da un concetto esoterico che non ho mai deriso, ovvero quello del ricordo di sé nella dottrina di Gurdjieff, ma l’atto di essere presenti è altra cosa rispetto all’introspezione e forse ha una valenza noetica in senso aristotelico a differenza della seconda che invece è discorsiva. Quest’epoca offre strumenti potenti per la conoscenza di sé stessi, però in taluni casi possono rivelarsi delle armi a doppio taglio. Il simpatico Nietzsche in “Così parlo Zarathustra” fece quel viaggio interiore di cui più tardi si rese protagonista Jung nella suddetta nekyia, tuttavia il primo impazzì poiché non aveva nulla e nessuno al mondo, il secondo invece ne uscì più forte perché grazie alla famiglia e al lavoro fu in grado di mantenere il contatto con la realtà.
La storia mi conferma qualcosa che in passato ho sottolineato più volte sulla base della mia esperienza personale, ovvero la pericolosità di un’introspezione che si arresti in dei punti critici. Forse la superficialità che spesso viene messa all’indice, in alcuni casi è meno deleteria di una introspezione incompleta: quasi una difesa naturale. Oltre un determinato limite, immagino che lo sforzo per conoscere sé stessi sia irreversibile e io penso di averlo già superato da tempo senza però pentirmene.
Il pensiero della morte è un corvo amorfo che si ferma sovente sulla mia spalla destra: io trovo magnifico il suo piumaggio. Privata di ogni escatologia, la fine dell’esistenza assume dei contorni accecanti. È facile ascrivere certe immagini alle spirali depressive, ma quelle che io traggo non rientrano nelle banalità funeree né tanto meno nelle cornici pessimistiche.
Non sono ancora pronto a separarmi dal corpo, dalle nozioni che ho accumulato, dalla capacità di percepire il reale attraverso i sensi e soprattutto dalla personalità che mi sono costruito, ma talvolta un occhio stanco, forse il terzo, mi cade nell’oblio e là si fa investire da una sensazione di leggerezza che drena i significati posticci. Non c’è nulla di metafisico in me: io scrivo per conto di un’intuizione scanzonata. Talora risulto una persona molto pesante poiché mi trascino dietro riflessioni cupe e sconfino spesso in uno humour nero, ma questo bagaglio di tetraggine per me è un gioco d’infanzia. Ogni tanto mi capita di pensare che difficilmente avrò modo di migliorarmi in maniera significativa, come se avessi già fatto il mio massimo (non molto, invero); su questa base, se fossi un satanista dovrei prendere in considerazione l’idea di uccidermi per rimanere coerente con la dottrina dell’autodeterminazione, però io delle Bestia faccio soltanto le corna, mica le veci: tiè! C’è sempre tempo per crepare: il classico compito che si può rimandare fino alla conclusione dell’estate, fino al primo giorno di rientro a scuola…
Non c’è puzza di avello in queste righe: almeno io non la sento! Celebro la vita con azioni e con rinunce attraverso cui mi prendo cura del corpo e della mente, ma allo stesso tempo sorrido alla scomparsa e cerco di gettare quella zavorra culturale che troppo spesso la rende un tabù o un pretesto per orchestrare lo sgomento. Ho ancora molto da disimparare del sistema di valori e di tradizioni che mi ha investito sulle strisce del passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Provo ad immaginare una ragazza serena, assisa vicino ad una finestra e con il mento poggiato sulla palma di una mano; lo sguardo rivolto alla primavera e la mente all’intimo rapporto con la morte, l’inopinata mietitrice che potrebbe avvicinarla nei suoi anni migliori. Di questo quadretto io mi figuro la leggiadria, la grazia, la tacita ironia. Beh, morire in pace dopo una vita serena mi farebbe respingere ogni prospettiva d’eternità: eviterei di essere prolisso.
Di tanto in tanto m’interesso alle questioni nazionali e globali, ma non riesco sempre a capirne il motivo. Probabilmente ho un po’ di senso civico che subisce le stimolazioni dei bombardamenti mediatici, ma ipotizzo che anche un certo grado di empatia concorra a dirigere la mia attenzione verso talune tematiche. Sono ancora giovane, però nel migliore dei casi potrei vivere per altri sessant’anni e dubito che in quest’arco di tempo avrò modo di fare figli, di conseguenza potrei fregarmene completamente delle sorti di questo pianeta; allora cos’è che mi spinge a sentire un certo disagio dinanzi al suo disfacimento? Forse è il senso di colpa per lasciare in disordine un luogo in cui sono stato ospitato: diamine, un po’ di creanza! Ovviamente porre l’interesse su certi argomenti non produce in modo automatico un mutamento nei medesimi, tuttavia la presa di coscienza la reputo già qualcosa, specialmente quand’essa vada a sommarsi a molte altre.
La storia ha bisogno di tempo sia per cambiare il proprio corso che per ripetersi, ma la durata di una vita umana spesso è troppo breve per assistere alla chiusura dei cerchi. Può condurre alla pazzia la ricerca di un senso per le disuguaglianze ed è anche per questa ragione che io metto un freno alla mia empatia. Immagino che nel desiderio di un mondo migliore si annidi anche una speranza di accrescimento personale, come se quest’ultima necessitasse di un mascheramento quasi filantropico per farsi accettare all’interno di certe sensibilità: io mi reputo troppo lucido per imbellettarla e così l’accolgo nella forma di un egoismo illuminato.
A tempo debito voterò per il Movimento Cinque Stelle
Pubblicato giovedì 26 Aprile 2012 alle 23:58 da FrancescoIn questi tempi per gli imbianchini è facile riunire delle persone nelle birrerie, compresi gli astemi come me, ma non credo che Grillo rientri in questa categoria. Io mi considero un astensionista consumato, difatti in tutta la mia vita ho votato soltanto una volta alle elezioni comunali per una lista che doveva perdere, tuttavia sarebbe stato meglio se anche quella vincente fosse stata sconfitta. Nella politica italiana non ho mai trovato una formazione né un singolo candidato in grado d’invogliarmi a raggiungere le urne. Ho sempre vissuto il qualunquismo un po’ come una sconfitta e un po’ come l’unica strada praticabile assieme alle iniziative referendarie.
A livello umano ho provato simpatia per Silvio Berlusconi e difatti mi piacerebbe frequentarlo per ascoltarne gli aneddoti, ma la politica di quest’ultimo dopo il fascismo, la Democrazia Cristiana e Craxi la reputo una delle più grandi disgrazie mai calatesi in Italia. Più volte ho apprezzato delle iniziative dei Radicali Italiani e in due occasioni ho firmato ai loro banchetti sgangherati, tuttavia non sono mai riuscito a condividerne le posizioni sulla giustizia. Per breve tempo ho pensato di votare per l’Italia dei Valori, però ho finito per considerarlo un partito a conduzione familiare che inoltre ha avuto la colpa di dare i natali a personaggi come De Gregorio, Scilipoti e Razzi. L’Unione di Centro per quanto mi riguarda dovrebbe scomparire assieme al Partito Democratico e ai fascistelli redenti. Sulla Lega Nord non c’è manco da spendere troppe parole; l’ho sempre considerata una formazione di ignoranti e xenofobi che ha fatto il suo tempo con una sola cosa sempreverde: la pochezza. Per quanto riguarda Sinistra Ecologia Libertà invece mi limito a due dettagli: la sanità in Puglia e la dialettica stucchevole di Vendola.
Mi sono fatto violenza e ho provato ad ascoltare i politici italiani perché oggi l’astensionismo è la mossa più facile a cui ricorrere, ma probabilmente non è quella più efficace. Fatta eccezione per Grillo e i suoi collaboratori, non ho trovato nessun altro in grado di parlare la lingua della gente. Quel vecchio di Giorgio Napolitano è un po’ come il Papa: le loro cariche sono inutili ed entrambi declamano banalità sconcertanti con un sussiego ridicolo. Mi ha stupito come il Presidente della Repubblica, seppur non esplicitamente, abbia tentato di liquidare Grillo come demagogo.
In realtà il Movimento Cinque Stelle non è incentrato attorno alla figura del comico genovese e questa è soltanto funzionale per l’attenzione mediatica. Le idee di questo movimento sul debito pubblico, sulle questioni energetiche, sui tagli alla spesa pubblica e sulle grandi opere non sono le sparate di un demagogo, non sono le fiammate di un populista, ma appartengono a persone di cui Grillo è soltanto un megafono dal quale esce una comunicazione potabile.
Per una volta ho udito qualcuno della scena politica senza provare imbarazzo per lui, ma ho anche preso atto della coerenza dimostrata dal movimento in merito agli stipendi dei consiglieri regionali e al rifiuto del finanziamento pubblico: per qualcuno sono quisquilie, per me invece sono buone premesse. Io non mi aspetto che i grillini siano la panacea di tutti i mali, anzi, non escludo che possano rivelarsi peggiori di tutti gli altri messi assieme, ma per adesso sono convinto a sostenere le loro iniziative: in altre parole, mi sento pronto a correre il rischio di provare in seguito un retrogusto spiacevole. Mi azzardo a votare e spero che accada in Italia ciò che non è successo in Francia con Coluche.
Purtroppo sono consapevole di come parte delle questioni italiane siano sovranazionali, perciò mi auguro un ritorno al potere dei progressisti in buona parte dell’Europa. Vorrei davvero stare lontano da argomenti simili, ma non riesco proprio a staccarmene in toto.
Sabato mi sono recato in quel di Prato per assistere al concerto più epico della mia vita, ovvero quello dei Domine. Sul palco dell’Exenzia la band fiorentina ha proposto il power metal per cui è nota in tutto il mondo da tempo. Morby è un cantante fuori dal comune e non me l’aspettavo così devastante! Non avevo mai udito tanta potenza nella voce di un essere umano e non ero mai stato investito da acuti così poderosi. Ho avuto modo di vedere da vicino Enrico Paoli sulle sei corde e anche il suo modo di suonare, fedele ai pezzi incisi, mi ha esaltato moltissimo.
Ho registrato vari filmati che ho provveduto a caricare sul mio canale di YouTube. Durante il live sono stati suonati alcuni dei classici della discografia del gruppo, tuttavia mi sono esaltato a livelli stellari quando è partita The Messenger in quanto è uno di quei pezzi che non di rado mi accompagna durante le sessioni di corsa: averla ascoltata con così tanta potenza mi avrebbe rimesso al mondo anche se mi fossi presentato cadavere! Quando è partita Defenders mi sono ritrovato in una disposizione d’animo tale da colonizzare l’universo. Ho cantato ogni volta che Morby ha offerto il microfono al pubblico e sul video succitato si può notare.
Anche durante Another Time, Another Place, Another Space mi sono gasato ad un livello che mai avevo esperito durante un concerto! Ho provato lo stesso grado d’esaltazione quando è partita la classica Thunderstorm. Dovrei citare anche The Ship of the Lost Souls, “Ascending Icarus” e Dragonlord. Una menzione particolare la voglio riservare ad un pezzo al quale sono legato moltissimo, ovvero The Ride of Valkyries, che contiene una chiara citazione di Wagner anche nella parte strumentale.
Alla fine del concerto ero pronto per eseguire un colpo di stato: sprizzavo epicità da tutti i pori. Ho imparato che ai Domine non occorre un servizio d’ordine, dato che a Morby basta fare un acuto per spingere indietro la gente; tra l’altro non escludo un suo possibile impiego nel ramo delle demolizioni!
Per il mio terzo libro ho ricevuto alcuni rifiuti e delle proposte di pubblicazione a cui non intendo manco rispondere. Probabilmente non sono un grande scrittore, ma secondo notizie ancora non confermate l’asse terrestre non dovrebbe risentirne.
Il quarto libro non è ancora partito per farsi conoscere nei migliori distaccamenti della raccolta differenziata, però a tempo debito credo che anch’esso prenderà il largo per finire nel limbo del self-publishing (viva gli anglicismi, viva la regina!): stessa sorte toccherà allo scritto precedente. Qualcuno mi ha affibbiato l’etichetta di intellettuale perché qualcun altro gli ha riferito che mi piace leggere e scrivere: ah, queste arti occulte a cui si viene iniziati durante i pleniluni della prima elementare! Che siano positivi o negativi, non è raro che i giudizi di taluni si fondino sulle apparenze e sulle dicerie. Gli sbagli altrui mi hanno insegnato a non fregiarmi d’una reputazione che non abbia attinenza con la realtà dei fatti. Non mi lascio sedurre dalle lusinghe immotivate come certi bambini che attendono sempre l’incoraggiamento degli adulti, o viceversa.
In egual misura non bado neanche ai giudizi di tutt’altro tenore. Cerco di valutare me stesso nel più obiettivo dei modi proprio per sopperire all’inattendibilità delle opinioni altrui, ma talvolta ne farei volentieri a meno. Conosco persone che non sono mai soddisfatte del loro operato, altre che invece si sopravvalutano perché vivono in un ambiente ovattato, prodigo di complimenti e in cui lo sforzo conta più del risultato. Dal basso dell’ingenuità e della credulità piovono millanterie, condanne in contumacia, aspettative, promozioni e retrocessioni: le nipotine delle superstizioni. Non devo diventare nessuno, non ho ambizioni da rincorrere e scrivo con la stesso tatto che adopero per masturbarmi: schizzo a margine, io! L’esistenza di qualcosa di solito inizia con la sua creazione, mica con la sua fruizione: anzi, quest’ultima è del tutto trascurabile.