Quest’oggi ho letto un’opinione interessante su un fatto di cronaca. Nel casertano un uomo ha scoperto dei ladri nella camera dei figli e ne ha ucciso con un fucile da caccia per poi gettarne il cadavere in un fiume. Ammesso che la dinamica dei fatti sia stata questa, per me quell’uomo ha fatto benissimo e meriterebbe un encomio. Tra i commentatori della notizia un lettore ha scritto che in Italia vigono due culture, quella cattolica e quella marxista, per le quali il ladro è migliore del derubato e la colpa è della società: non avrei saputo trovare parole migliori per descrivere l’eccesso di garantismo e di buonismo che pervade la mia nazione.
In Italia c’è la corsa a difendere il delinquente e vi partecipano due categorie: una è quella che lo fa per interessi personali e si cela dietro delle espressioni altisonanti come “lo stato di diritto” o la “democrazia”, l’altra invece è composta dagli idealisti che si fanno le seghe sulla pelle altrui, sempre pronti a dare una seconda, terza o ennesima possibilità a qualcuno che non permette ad altri di averne manco una. La legge non è necessariamente giusta e io sono dalla parte di chiunque si difenda, anche nel caso in cui debba scavalcare lo Stato.
Quel padre di famiglia probabilmente subirà un processo e avrà dei problemi per essersi difeso. Gli italiani sono migliori dei politici, anche di quelli che millantano di battersi per i diritti civili, e infatti sono molti i commenti a favore dell’uomo. Anch’io avrei fatto fuoco in una situazione del genere senza alcuna esitazione e poi avrei fatto a pezzi il corpo per scioglierne i pezzi dentro soluzioni adatte allo scopo. Se poi le autorità mi avessero scoperto allora non avrei potuto che meditare una vendetta trasversale contro la famiglia del ladro. Forse sono esagerato, ma certe situazioni sono kafkiane ed è intollerabile che lo Stato nonché i suoi cazzo di rappresentanti siano talmente lontani dal sentire comune. Se in Italia venisse proposto un referendum per la reintroduzione della pena di morte io credo che passerebbe con una larga maggioranza, ma si sa che certuni, anche coloro che si ritengono più “illuminati”, ascoltano la vox populi soltanto quand’essa è all’unisono con le loro ideologie, ovvero le versioni volgari delle idee pragmatiche.
Non voglio puntare il dito verso qualcuno per sentirmi migliore e mi basterebbe poterlo spostare un po’ per guardare la Luna. Il sonno latita, ma non è ricercato. Qualche volta resto sveglio per ventiquattro ore di seguito e lascio proliferare in me la sensazione di gabbare il tempo.
Sono riposato perché non devo spostare troppe aspettative nel futuro: io non ho intenzione né modo di traslocare dal presente. Sono una persona limitata, ma cosciente di questa condizione. Intendo aumentare la quantità di cose che mi faccio scivolare addosso, ma voglio riuscirci senza dovermi ungere. Non ho quasi nulla in cui identificarmi né comportamenti da interpretare, perciò potrebbe giovarmi una traduzione in galera o una gita di piacere in un commissariato. In queste righe c’è qualcos’altro oltre ai giochi di parole? Io me lo domando per fare volume, però non me ne frega nulla d’ottenere una risposta da me medesimo. Mi prendo in giro perché mi amo, perciò sono mio complice. Dovrei davvero smetterla di sdoppiarmi e sarebbe opportuno che mi trovassi una ragazza: Pirandello non mi è mai piaciuto e un bacio non l’ho mai dato. Forza, che il tempo si faccia avanti, alacre terrore della vanità e della sopravvivenza. Di cosa dovrei discorrere e con chi? Se potessi nuoterei con le balene per illudermi di poterne imparare il linguaggio. Chissà se anche gli ultrasuoni si prestano al cazzeggio.
Qualche volta mi avventuro nell’incauta ricerca di un senso per agghindare la mia esistenza, ma torno sempre a mani vuote davanti allo specchio. Ospito in cuor mio un circolo di mancanze da cui però non mi faccio traviare: si ricreino da sole. Ne è passato di tempo, ammesso che questo sia mai cominciato. Sulla mia strada non ho mai fatto brutti incontri e qualche volta mi sembra di non averne proprio avuti, però sopravvaluterei me stesso se mi ritenessi un padre del deserto. Non so cosa significhi donarsi, tuttavia, qualora servisse, oltre al consenso per l’espianto degli organi non avrei problemi a concedere anche quello per il prelievo del curaro.
Mi barcameno nella mia epoca senza mettere all’ingrasso le aspettative per il futuro, ma non ho le credenziali per lamentarmi di qualcosa. Se volessi un po’ di più dovrei fare di più, però lo stesso sforzo mi sarebbe richiesto se io ambissi a diventare qualcosa di meno. Ho dei pregi che non splendono di luce propria perché ottenebrati dai miei limiti, di conseguenza sono neutrale e anonimo come una banca elvetica. Non ho nulla da ricucire né da strappare, ma sia chiaro che non è mia intenzione offendere l’operato della Penelope omerica.
Di tanto in tanto noto con divertimento l’impegno che qualcuno dei miei coetanei profonde per firmare il proprio J’accuse contro i ragazzi più giovani. Ogni cazzo di generazione rivolge a quella successiva gli stessi biasimi che riceve in dote da quella a lei precedente.
Per me certi ragazzi muovono solamente critiche pretestuose verso i ragazzini perché di fatto ne invidiano l’età: sognano un ritorno alla spensieratezza che la nostalgia rende più aulica di quanto sia stata e coltivano le frustrazioni per l’impossibilità di compiere al contrario la rotta del cammino biologico. “Ai miei tempi…”, “i ragazzini di oggi…”, “quand’eravamo bambini noi…” sono alcuni esempi dell’incipit standard che qualche persona insoddisfatta si sbrodola addosso a ogni buona occasione. A me discorsi del genere hanno sempre fatto schifo e non ho mai rispettato un adulto in quanto tale: cos’è, la naja? Si fotta l’anzianità. Ci sono ragazzini più intelligenti e talentuosi di tante merdacce che all’anagrafe potrebbero essere i loro padri. L’età non conta un cazzo, ma qualcuno attacca la gerontocrazia soltanto quando gli fa comodo. Io sono cresciuto tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta: questo mi qualifica come una persona migliore rispetto a qualcuno che è nato quand’io già mettevo “Madonna” e “troia” nella stessa frase? Ciò che accomuna ogni generazione sono le accuse che tutte rivolgono a quella che ha la colpa di venire dopo. Massa di stronzi ultratrentenni o aspiranti tali, il mondo è dei giovani e voi forse non lo siete se ragionate come quei rotti in culo a cui tanto rinfacciate l’anzianità: stupidi due volte, perché oltre a proferire minchiate non vi rendete conto di avere tutta la vita innanzi a voi. Non sono un giovanilista proprio perché ritengo che l’età abbia meno importanza di quanta ne riceva e, per quanto mi riguarda, un’ottima persona può essersi appena lasciata la pubertà alle spalle o può aver superato l’ottuagenario traguardo, tuttavia mi fa incazzare chiunque creda di saperla più lunga di qualcuno più giovane di lui solo perché ha avuto più tempo per illudersi sui libri, sul lavoro, sulle scopate o su qualche porco di dio.
Corro, nuoto in acque cristalline e mi cucino pasti abbondanti. La sera mi piacerebbe mettermi a sedere su un asteroide per scrutare in lontananza qualche esplosione stellare, ma per adesso devo accontentarmi di girare col finestrino abbassato lungo vie in cui, tutt’al più, può collassare qualche debosciato in prossimità del coma etilico.
Non bevo alcolici e di conseguenza non alzo il gomito, ma sollevo la mano per salutare i giorni venturi. Guardo con divertimento e con scanzonata partecipazione le isterie di massa che fanno leva sul campanilismo, ma non ho un inno da cantare né una scommessa piazzata che mi faccia rodere il fegato per il tifo, quello sportivo, ovviamente. Baratto occhiate fugaci con mercantesse di cui ignoro l’identità e le intenzioni, però tutto inizia e finisce nelle collisioni degli sguardi: a me comunque non interessano le constatazioni amichevoli perché non rimborsano il tempo perduto. Avrei molto da sussurrare, d’altronde non ho mai fatto voto di silenzio e non sono tagliato per diventare un monaco cistercense: devo farmene una ragione. Ogni cosa a suo tempo, comprese quelle che un tempo non l’avranno mai. Adoro oltremodo questi periodi di serenità ed evito che distrazioni secondarie mi strappino a quelle primarie, paradisiache: mie proprie. Ateo e felice, io.
Non potrei mai fare un figlio perché dovrei dirgli di non credere a nessuno, manco a suo padre. Questo pianeta non riceverà uno schiavo né una schiava dallo sperma del sottoscritto. Dietro le gravidanze spesso si celano egoismi, retaggi primitivi e cattive intenzioni, ovvero gli enzimi del progresso umano. Amo vivere, ma non me la sento d’imporre quest’esperienza a qualcun altro. Stimo coloro che adottano i bambini invece di sfornarne dei nuovi.
Se tutti ragionassero come me probabilmente l’umanità scomparirebbe nell’arco di un secolo o poco più, tuttavia a me non dispiace l’idea di un’estinzione ordinata e tranquilla. Nel corso della storia miliardi e miliardi di individui hanno subìto sofferenze indicibili: molti altri sono attesi dalla stessa sorte. Tanto dolore è un prezzo accettabile da pagare per lo spettacolo dell’evoluzione? Non ne ho idea, ma non tributerò un’altra quota oltre a quella d’iscrizione già versata ventotto anni fa. Qualcuno si coccola lo stato di diritto e crede di vivere in una democrazia, ma io ritengo che a parte le libertà di consumare e di consumarsi non sussistano grandi differenze coi paesi in cui vigono dei regimi totalitari. Il potere e la ricchezza sanciscono ancora dei divari insanabili e sono falliti tutti quei sistemi che si ripromettevano di livellare le disparità. Qualche volta non è sufficiente manco dare il meglio di sé stessi per sopravvivere.
In Somalia cosa c’è ad attendere un bambino fuori dalla fica della madre? Un’estrema povertà a cui si accompagna immancabilmente la violenza: benvenuto all’inferno, baby. Certo, ogni tanto nasce qualche grande uomo che fa ricordare Spartaco, tuttavia per uno che riesce a prendere l’ascensore sociale quanti restano appiedati nel vuoto di un’esistenza grama? Che concepire un figlio sia un po’ come portare un cavallo all’ippodromo per farlo gareggiare?
Lo sciopero demografico è un ottimo strumento per mettere in crisi ogni sistema di potere, però dovrebbe essere coordinato e protratto fino a quell’estinzione pacifica che ho già tratteggiato. Non ce la faccio a felicitarmi per la nascita di un bambino ed esprimo le più sentite condoglianze davanti ai fiocchi azzurri e rosa. Non sono cinico, ma compassionevole. Comunque io, per ovvi motivi, non ho mai corso il rischio di mettere al mondo nessuno e di nessuno attendo il grazie.
The enemy ain’t Saudi, the enemy around me
Nei mesi scorsi ho pensato che il mio umore seguisse un po’ l’andamento dei mercati, ma ormai le mie azioni sono migliori di quanto potessi prevedere e poco importa che non ci sia nessuno a quotarmele. Forse una moneta verrà abbandonata e le vite prenderanno a gravitare attorno ad un altro conio, ma io mi sento nuovo di zecca e non ho nulla che mi pungoli il cuore.
Ho cominciato a fare le cosiddette ripetute sui mille metri e il mio corpo ne ha subito beneficiato. In altre parole per alcune sessioni d’allenamento accorcio il mio percorso fino a undici chilometri. Sul primo chilometro e mezzo tengo il passo che di solito ho sulla mezza maratona o sui diciotto chilometri, poi mi fermo per una trentina di secondi e cerco di affrontare il chilometro successivo al massimo delle mie capacità aerobiche e, una volta coperti i mille metri, respiro profondamente per un paio di minuti come se dovessi partorire: infine riparto con la stessa intensità e ripeto la procedura per un totale di sette chilometri. L’ultimo chilometro e mezzo invece lo corro con un passo lento e così concludo la sessione.
L’altro ieri ho già potuto notare dei miglioramenti, infatti ho registrato dei tempi tra i tre minuti e venticinque secondi (3’25”) e i tre minuti e quarantasei secondi (3’46”). Ovviamente non sono in grado di mantenere velocità del genere sulle lunghe distanze, ma queste fottute ripetute, che io non ho mai voluto fare, sono indispensabili per migliorare il passo. Comunque il mio interesse non è tanto volto all’incremento delle prestazioni per ridurre i tempi di percorrenza quanto agli scompensi metabolici. Mi sono accorto che il mio fisico s’è abituato da tempo allo sforzo a cui lo sottopongo di solito, perciò è quest’ultimo che dovevo mutare e un cambio d’intensità per me si è rivelato il migliore elemento di differenziazione.
Quando corro al massimo delle mie possibilità io provo esaltazione, soffocamento e avverto le risposte parossistiche dell’organismo. Non adopero manco un cardiofrequenzimetro, perciò non ho proprio idea se il mio cuoricino subisca degli sforzi che potrebbero risultare pericolosi. Spesso mi sento bene, talvolta esausto, tuttavia se un giorno dovessi essere colto da morte improvvisa non potrei che prendermela con me stesso: anzi, a quel punto non potrei più.
Ogni tanto i pensieri fanno orario continuato: stacanovisti improvvisati. A che punto siamo della storia? Quella umana, ovviamente. Già adesso mi domando se le prime risposte di un cervello artificiale saranno timide come lo sono stati i primi tentativi di costruirne uno. Dove s’annida la coscienza? Le risposte organicistiche sono acerbe e quelle metafisiche altrettanto inaffidabili, al punto di sforare il senso del ridicolo.
Per me le domande esistenziali non compongono un ritornello da intonare all’uopo, bensì una melodia su cui talvolta stono per non impazzire. Amata lucidità, più che stretta a me, conficcata! Ogni giorno qualcuno parte in avanscoperta col grado di suicida. Sarebbe bello e talora ingiusto se i sonni quieti potessero devolvere parte di loro stessi per formare la lama che taglia la corda, l’inceppamento che blocca la meccanica dell’arma, il balzo impossibile dell’ultimo treno o il rewind dell’ennesimo salto nel vuoto. Credo che ognuno abbia il diritto di uccidersi, tuttavia considero il tuffo nell’ignoto una disciplina olimpica e per un’esecuzione magistrale ritengo imprescindibile la consapevolezza del gesto: un atto impulsivo non mi farà sollevare la paletta col dieci cerchiato. Salto dalle incognite della vita al pensiero della morte, ma rincaso sempre lungo una scorciatoia d’amor proprio, all’incrocio con i giorni migliori di cui sprono sovente l’avvicendamento.
Dai grandi rincoglioniti di questo pianeta ho imparato a non ragionare con l’ausilio del cazzo né con l’anima, la cui dotazione per altro è ancora oggetto di discussione nelle memorie di qualche ergastolano e di incensurati assai peggiori. Bestemmiare è poco; io voglio tuonare di ritorno.
Velleità e ricordi di un emerodromo senza talento
Pubblicato sabato 23 Giugno 2012 alle 04:00 da FrancescoLe giornate estive m’inducono a correre più di quanto dovrei, ma non riesco a trattenermi e non mi preoccupo di bruciare un po’ di massa muscolare. Il mio percorso attuale si snoda per diciotto chilometri e mezzo: nell’ultima settimana, in due occasioni, sono riuscito a mantenere su questa distanza una media di quattro minuti e sedici secondi al chilometro. In più occasioni ho sognato di correre sotto la soglia psicologica dei quattro minuti sul percorso succitato o su quello della mezza maratona, ma ci sono riuscito soltanto sui diecimila metri.
Qualche giorno fa ho corso e parlato per un po’ di chilometri con un podista della zona che ha trent’anni più di me, un atleta che rispetto moltissimo, e mi ha invitato di nuovo ad allenarmi per gareggiare sebbene nel migliore dei casi io possa puntare a qualche buon piazzamento anche a fronte di miglioramenti sensibili. Queste parole riappaiono ciclicamente e ogni volta ripeto che mi manca il fuoco sacro dell’agonista.
Ho iniziato a correre spontaneamente, come atto di disperazione. Sei o sette anni fa, talvolta di notte, uscivo di casa e cercavo di coprire nel minor tempo possibile un percorso di appena tre chilometri. A ripensarci mi faccio tenerezza e sono costretto a carezzarmi il volto un po’ scavato. Non ho mai combinato granché nella vita, sono sempre stato una persona mediocre, però non incolpo le istituzioni né quel che resta della mia famiglia, infatti immagino che avrei compiuto le stesse scelte anche se fossi stato allevato sotto una campana di vetro.
Ho corso tra gioie e delusioni, sotto il sole, la pioggia e rare volte financo a testa bassa sotto delle grandinate improvvise; quest’anno pure sulla neve. Ho anche pisciato sangue misto ad urina, con lo spavento, invero un po’ ingenuo, di dovermi mettere nelle mani di un nefrologo. Malgrado tutto, io penso che le cose mi siano andate bene finora. Sono più fortunato di quanto delle impressioni estranee possano riferire. Non ho nulla di cui lamentarmi perché mi accetto per quello che sono. Più il tempo passa e più mi sento giovane: da vecchio sarò un feto adorabile.
Qualche giorno fa mi sono trovato a mangiare un tiramisù al cocco in un posto che frequento di rado. Il giorno successivo degli uccellini mi hanno riferito che una cameriera aveva chiesto delle informazioni su di me; se la Cortina di Ferro non fosse calata da oltre vent’anni io avrei pensato subito ad una manovra dei sovietici.
Ammetto che per un momento il mio narcisismo è stato gratificato, ma la festa è stata davvero breve. Mi è bastato poco per inquadrare colei che si era interessata a me e ho impiegato ancor meno nanosecondi a capire che non avrei mai cavalcato il suo entusiasmo. Credo che molti altri al mio posto avrebbero approfittato dell’occasione per svuotarsi le palle nel corpo della ragazza suddetta ma, come ripetuto fino allo sfinimento, se quello fosse il mio scopo mi recherei a troie. Questa signorina ha degli occhi graziosi, non è snella né grassa, però è una fumatrice e mi sono ripromesso di non dare il mio primo bacio al retrogusto del tabacco: puah!
In realtà non mi sono sentito minimamente attratto da quella ragazza, perciò non ho provato neanche a capire se i nostri caratteri fossero compatibili: per me la fisicità e la personalità sono sullo stesso piano, proprio come nella Grecia classica.
Se fossi un po’ cattivo potrei pensare che costei mi abbia notato perché sono l’unico che non se l’è ancora sbattuta, tuttavia non m’è dato sapere se ciò corrisponda a verità e di conseguenza mi limito ad ipotizzarlo per non sopravvalutare la mia persona. Non credo ai colpi di fulmine e non mi faccio accecare dalle tempeste ormonali, ma ne attendo qualcuna dal Sole: vai Helios!
Per me una conoscenza può iniziare da un’affinità platonica o fisica, ma alla fine entrambi i piani devono combaciare ed è forse per questa ragione che alla veneranda età di ventotto anni sono ancora un bigamo vergine: infatti condivido il letto con un cuscino e mi scopo la mano sinistra. Mi piacerebbe conoscere una ragazza adatta a me e condividere con lei il tempo che mi rimane da vivere, ma non ho proprio intenzione di raccattare la prima che, forse complici delusioni e un po’ di genuina leggerezza, vede in me qualcosa che io comunque non vedo in lei.
L’estate è cominciata da un giorno e per me sarà lunga, solitaria, rovente e salmastra, ovvero come tutti gli anni.