7
Giu

Nato il sei giugno

Pubblicato sabato 7 Giugno 2014 alle 00:49 da Francesco

Ieri ho compiuto trent’anni a settanta esatti dallo sbarco in Normandia e mi sento più giovane di quando ne avevo venti perché oggi sono più forte e più sereno rispetto ad allora.
Non so quanto mi resti da vivere, ma conto di scoprirlo in un biscotto della fortuna la prossima volta che andrò a mangiare in qualche bettola cinese. Se mi guardo indietro non vedo nessuna traccia di nostalgia, nessuna età dell’oro e niente che possa mettere i bastoni tra le ruote del mio presente. Ho corso migliaia di chilometri e mi sono lasciato alle spalle molte cose senza che di nulla abbia mai avvertito una reale vicinanza. Credo che il bello debba ancora venire, tuttavia non so davvero cosa possa riservarmi il futuro. Tra altre tre decadi potrei ritrovarmi a rimandare ancora una volta il momento di tirare le somme, o il prossimo anno potrei essere a tu per tu con una malattia incurabile e allora ne approfitterei per stringere amicizia con le cellule impazzite. Quanta inquietudine e superstizione aleggia ovunque il passaggio del tempo sia recepito come una condanna invece che come un atto di clemenza: le idee non mi spaventano.
Ho ancora il primo bacio da scoccare e spero di farlo in modo autentico, tuttavia lo conserverei volentieri qualora avessi la garanzia di poterlo dare in un’eventuale aldilà ad Afrodite, ad una valchiria oppure ad una ninfa (Calipso su tutte!) in visita di cortesia alle divinità ctonie.
Forse in questi miei primi trent’anni la sublimazione è stato il mio più grande successo perché è da quest’ultima che hanno proliferato le mie parti migliori. Ho tramutato la verginità in una forza virile e non mi sono negato nulla che non valesse la pena d’evitare: certe privazioni mi hanno dato più di quanto avrei potuto trarre dal loro esatto opposto. Alchimia, nient’altro che alchimia. Comunque, chi non abbia mai perso tempo appresso a Jung può vederci quello che vuole, come in una macchia di Rorschach.

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28
Mag

Cento chilometri del Passatore 2014

Pubblicato mercoledì 28 Maggio 2014 alle 08:44 da Francesco

Sabato ho corso la cento chilometri del Passatore per la seconda volta e sono di nuovo riuscito a terminarla benché il mio tempo sia stato più alto di circa cinquantaquattro minuti rispetto a quello dell’anno precedente: nel 2013 impiegai 9 ore, 40 minuti e 54 secondi per raggiungere piazza del Popolo a Faenza, in quest’edizione invece ho fermato il cronometro 10 ore, 34 minuti e 31 secondi dopo lo start che è avvenuto in via dei Calzaiuoli, in quel di Firenze.
Fino al Passo della Colla tutto è filato liscio e infatti, da quanto m’è stato riferito, ero tra i primi novanta benché abbia impiegato quattordici minuti più dello scorso anno per scollinare al 48° chilometro. Fino a Marradi, al 65° chilometro, ho mantenuto un passo che mi proiettava ancora sotto le dieci ore, ma dopo il 70° ho avuto dei crampi ai polpacci e all’addome, dolori così lancinanti per i quali mi sono dovuto stendere sull’erba al lato della strada mentre passavano le auto. Una volta a terra, nel buio della notte e in quello del cuore, ho spinto le gambe contro una recinzione: dopo un po’ è sopraggiunto un altro podista che s’è fermato quasi un minuto per aiutarmi. Quando costui è ripartito io sono rimasto qualche altro secondo disteso e mi sono chiesto se avrei fatto lo stesso qualora i ruoli fossero stati invertiti: ho pensato subito di sì, ma ne sono diventato certo prim’ancora di rialzarmi per ripartire.
Verso Brisighella mi sono dovuto fermare una seconda volta per dei conati di vomito, forse un principio di congestione che mi sono procurato con l’assunzione di troppi liquidi: insomma, mea culpa, ho fatto qualche errore d’integrazione. Qualche chilometro dopo, prima del 95°, si sono ripresentati i crampi: bentornati! Seppur di minore intensità, i dolori alle gambe mi hanno fatto crollare di nuovo a terra e ho impiegato oltre un minuto per riprendermi. All’ultimo ristoro, quello del 95° chilometro, ho bevuto del the caldo e mi è sembrato la panacea di tutti i mali perché mi ha permesso di correre gli ultimi cinquemila metri sotto i sei minuti al chilometro: una velocità stellare per la condizioni in cui ero ridotto e con i quasi cento chilometri che avevo già macinato. Ho riguadagnato diverse posizioni e mi ha davvero sorpreso il cambio di passo che mi sono imposto, però avrei preferito che una tale brillantezza fosse stata spalmata meglio negli ultimi trenta chilometri.
Ora mi domando dove io abbia trovato quel vigore finale. Forse dopo il superamento di un limite s’apre per un po’ una comoda strada che ne introduce di più tortuose. La mia tenuta mentale è stata ottima e ne sono felice perché mi ha dato buone indicazioni su quanto esula dallo sport.  Ho patito molto in questa cento chilometri, è stata la mia gara più lunga in assoluto e penso che mi abbia aiutato ad incrementare la mia soglia di sopportazione del dolore (che fa tanto comodo anche nella vita), ma alla fine sono riuscito a concluderla con un dignitoso 204° posto su 1738 atleti arrivati e su 2198 partiti.
Penso che ormai abbia dato il meglio di me nell’ultramaratona, perciò ho intenzione di dedicarmi a distanze più brevi, almeno per qualche tempo, però è sempre facile ricascarci…
Invero la cosa migliore sarebbe che io cominciassi a scopare.
Ad maiora.

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18
Mag

Tra simili finitezze

Pubblicato domenica 18 Maggio 2014 alle 08:19 da Francesco

Giorni fa mi sono recato in un negozio per fare delle compere e là ho cominciato a parlare con il gestore che non aveva soltanto cose da vendere, ma ne serbava anche di interessanti da dire. La conversazione s’è protratta per circa due ore ed è stata una delle più piacevoli di tutta la mia esistenza. Nessuno ha tentato di convincere l’altro, bensì v’è stato uno scambio di vedute che ci ha portato sulla stessa lunghezza d’onda nonostante tra noi vi fossero trascurabili differenze. Mi ha fatto riflettere una frase che egli mi ha detto e che rischia di suonare un po’ banale fuori dal contesto in cui è stata espressa: “Se la morte può prendermi solo in vita, allora la vita non può che prendermi nella morte”. Questo assunto per qualcuno garantisce la reincarnazione, ma da ateo io non riesco a convincermi di nulla, neanche del ciclo delle rinascite (la metempsicosi, o, nella fattispecie, il samsara).
Ho notato che la mia prima associazione d’idee alle parole suddette è stata con un proverbio indiano abbastanza celebre: “L’uomo dice che il tempo passa, il tempo dice che l’uomo passa”. Ieri invece m’è capitato sotto gli occhi un articolo pressappochistico che descriveva la teoria secondo cui l’universo è destinato a finire; avevo già letto qualcosa in merito sulle pagine di una rivista scientifica e quello scenario (o meglio, la negazione d’ogni altro) non mi aveva disturbato. Mi domando se qualche volta il desiderio di tornare a vivere non sia dettato semplicemente da quello di ritornare ai tempi dell’infanzia. Per quanto io trovi affascinanti certe prospettive, il mio senso critico (che non si limita alla mera ragione, ma anche a delle intuizioni) non mi dà modo di aggrapparmici e invero non me ne dispiaccio affatto. In altre parole io sono solo al cospetto del nulla; addirittura? Cose grosse! Volano paroloni. Prendo tutto (o quasi) alla leggera perché già non peso molto da vivo ed escludo che la morte possa ingrassarmi. Ho perso il filo del discorso e sono venuto meno agli intenti iniziali di questo appunto, ma in verità non volevo ridurre a mo’ di compitino una descrizione che forse non sono in grado di fare: che lavori l’immaginazione!

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15
Mag

Placide transizioni

Pubblicato giovedì 15 Maggio 2014 alle 21:23 da Francesco

Mancano otto giorni all’alba d’una vigilia importante. Ho la mente sgombra, non avverto alcuna forma di tensione e mi sento pronto a sostenere la prova che m’attende. Riesco a mantenere la concentrazione più di quanto sia mai riuscito a fare in passato e ne approfitto nelle mie letture. Continuo a non avere granché da scrivere, ma questa penuria di argomenti è dovuta anche alle giornate intense che mi fagocitano tempo ed energie: mi auguro che l’estate oltre ad alzare le temperature incrementi anche la frequenza dei miei appunti.
Non sono asserragliato in una torre eburnea di abitudini radicate, anche perché una di queste prevede che io mi tenga informato su ciò che accade in patria (dove secondo i latini nessuno è profeta) nonché sulle vicende del resto del globo (invero sempre le stesse).
Ogni tanto ricevo degli elogi immeritati, viziati da idealizzazioni o da fraintendimenti ed erronei come potrebbero esserlo le critiche che per ora non mi pervengono (non in faccia, almeno), ma anche se qualcuna mi fosse rivolta non cambierebbe nulla perché in questi tempi d’austerità non compra più manco chi disprezza; io comunque offro solo il baratto: coscienza per coscienza.

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11
Mag

Ribadire

Pubblicato domenica 11 Maggio 2014 alle 13:43 da Francesco

Alcune delle cose più importanti restano ascose (cioè nascoste) perché talvolta non è possibile dirle in un modo che ne salvaguardi la portata emotiva. Certe parole mi sembrano destinate al deterioramento semantico, perciò trovo che il tempismo del loro impiego sia importante quanto il messaggio di cui si fanno portatrici. Accidenti, quanta prosopopea per descrivere ciò che i greci indicavano con sei lettere appena: kairos.
L’inconscio è un deposito promiscuo e sarebbe bello se certuni potessero visitarlo per cercarci qualcosa di utile come in una discarica a cielo aperto; se ne fosse vietato l’ingresso agli estranei allora non potrebbe entrarci neanche il proprietario, tuttavia immagino che spesso sia già così. Mi pare difficile stabilire contatti che meritino di essere stabiliti e trovo altresì arduo rinsaldarne di pregressi. Mi domando se esista davvero un metodo che aiuti ad affinare sempre più la capacità di trovarsi nel posto giusto al momento giusto: non mi riferisco né alla fortuna né ad alterazioni del suo proverbiale bendaggio. Conosco la legge dell’ottava, però non la prendo in considerazione perché non ho l’indole adatta. Alla soglia dei trent’anni mi sento in un perfetto equilibrio tra due opposte sensazioni. So che una parte di me (forse una delle migliori) non è ancora emersa perché non sa dove rifrangersi, ma allo stesso tempo so che faccio bene a non compiere forzature in tal senso: ogni cosa deve essere naturale oppure non dev’essere affatto. La mia resistenza è tutta in questa consapevolezza, la quale può essere considerata un dono (ancorché meritato) o una condanna a seconda dei punti di vista, qualunque sia il tipo di cecità.

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29
Apr

Altre distanze

Pubblicato martedì 29 Aprile 2014 alle 07:52 da Francesco

Domenica ho debuttato su quella che per me è una distanza breve, ovvero la mezza maratona. Di norma uso i ventuno chilometri (più alcune centinaia di metri) come allenamento di base ed è raro che in una sessione io corra di meno, tuttavia in futuro apporterò delle modifiche a questa abitudinarietà per compiere degli esperimenti: spero che il mio corpo non se ne abbia a male.  Su 389 atleti che hanno tagliato il traguardo (gli iscritti erano oltre quattrocento) sono arrivato decimo col tempo di 1 ora, 21 minuti e 55 secondi. Ho corso a una media di 3’53” e ho gestito la gara in modo egregio. All’inizio ho trainato un gruppetto dal quale mi sono staccato all’altezza dell’undicesimo chilometro. Durante la parte del percorso che si snodava su una strada bianca (nella pineta della Feniglia) non ho forzato il ritmo e ho aspettato di tornare sull’asfalto prima di lanciare l’attacco ad un drappello che mi precedeva. Sono riuscito a correre gli ultimi chilometri in progressione e ho superato altri quattro atleti, ma uno di questi mi ha recuperato a sua volta negli ultimi trecento metri con un allungo eccezionale: costui mi ha dato due secondi, io invece ne ho dati tre all’undicesimo, perciò si è trattato di un arrivo in volata che mi ha esaltato molto.  Sono soddisfatto del risultato e ho anche guadagnato la medaglia d’argento della mia categoria perché la gara in questione valeva come campionato regionale UISP di mezza maratona. 
Oltre a questo decimo posto, due settimane prima ho partecipato ad uno short trail di 17,5km abbastanza impegnativo, specialmente sul piano muscolare, difatti il percorso prevedeva continui cambi di ritmo, con una dura alternanza di salite e discese: alla fine io sono arrivato nono su 148 e ho gradito la mia prestazione. Sono capace di divertirmi anche su distanze più brevi rispetto a quelle in cui vado a ricercare me stesso, ma ho già in programma un’altra ultramaratona, ovvero un altro viaggio introspettivo nonostante ormai abbia una certa conoscenza dei luoghi dentro e fuori di me. Vivo bei giorni e dormo sonni lieti, perciò mi ringrazio…

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27
Apr

Perfezionamenti postumi

Pubblicato domenica 27 Aprile 2014 alle 08:16 da Francesco

Anni fa sono stato contattato da una ragazza con cui ho poi dialogato per un certo periodo. In seguito, senza mai muovere il primo passo, ho interloquito vìs-à-vìs con altre esponenti del gentil sesso (ebbene sì, a tanto mi sono spinto!), però non ho approfondito nessuna di queste brevi e sporadiche conoscenze: non c’è mai stata insistenza né da parte mia né dall’altra, come in un tacito accordo di reciproco disinteresse. D’altronde le mie intuizioni sono amorevoli sorelle che talvolta assumono l’aspetto spaventevole delle Erinni.
Di S. ricordo una spiccata identificazione con il mondo della cultura, una voce adatta alle ottave basse e un volto asimmetrico, tuttavia questi elementi non rendono giustizia alla sua figura e io me ne frego: il tema è un altro e le auguro invece che la sua avvenenza sia rimasta la stessa. Lentamente, ma con costanza, prese a maturare in me un certo interesse nei suoi confronti, ma già all’inizio profetizzai quali sarebbero state le sorti di quelle nostre conversazioni e forse fu anche per questo che infine si realizzarono nei tempi e nei modi di un’irreversibile indifferenza. Con S. ho sperimentato per l’ultima volta una forma embrionale di desiderio. Vedevo in lei quello che era veramente? E lei, di sé, vedeva le stesse cose? Qual era la discrepanza tra l’immagine che io mi ero fatto di lei, che lei aveva di sé e quella reale? Lo stesso ordine di domande dovrei porlo anche per il sottoscritto, però i punti interrogativi in questo caso sono gli unici punti fermi. In un tentativo di rappresentazione grafica delle dinamiche di cui sopra sarebbe forse uscito un triangolo equilatero? Non oso immaginare quante spade di Damocle pendano su quegli angoli acuti e stretti che indicano una coppia, come nelle relazioni morbose, simbiotiche, ed entrambi a grande equidistanza dal vertice, ovvero da tutto ciò che è reale nell’altro e passa inosservato. Con S. ho commesso degli errori di forma che a distanza di tempo mi hanno fatto comprendere alcune leggi. Il mio sbaglio più grande è stato quello di specificare ogni cosa, di anticiparla e di prevederne i possibili sviluppi, come se avessi voluto rompere una tradizione e dei riti in nome della ragione, ma in questo caso è stata la paura a guidare il mio raziocinio: paradossale, direi. È troppo facile gettarsi in quel vuoto, al quale  tante parole ho tributato, con la certezza che il paracadute si apra. Ho rotto la magia che permea i silenzi e che ne precede la rottura, per questo il rito non s’è concluso e l’incanto è svanito prima ancora che potesse mostrarsi in pieno. Posso fingere lungimiranza e introspezione dal momento che effettivamente me ne avvalgo in termini solipsistici, ma è nella subordinazione alla paura che si trova la prova stessa di quanto queste pratiche utili e nobili diventino fandonie nelle questioni di cuore.
Ad esempio, in questo scritto ricorro all’introspezione, ma sono in un ambito autoreferenziale e dunque non sono chiamato ad affrontare le istanze contro cui finora ho dimostrato debolezza. Inoltre ho sbagliato a ritenere che certi comportamenti fossero per forza meccanici: la difficoltà a mio avviso sta nel compiere determinate azioni con la consapevolezza di farlo, così da renderle autentiche, come se l’autore fosse in grado di vedere se stesso invece di agire a testa bassa.  Quando S. mi propose di venirmi a trovare io subito frapposi tra me e quell’allettante iniziativa una moltitudine di parole che di fatto negarono l’incontro, perciò disinnescai ogni possibile esito, fosse anche stato un fuoco fatuo o una semplice condivisione di spazio e tempo.
In termini più specifici devo scendere a patti con l’inconscio collettivo. Non posso imporre il mio modus operandi per agire in piena sicurezza, altrimenti la fine sarà sempre la medesima, come nella più classica delle coazioni a ripetere. Ci sono riti a cui non posso sottrarmi qualora voglia davvero attuare un passaggio da me ad un’altra persona, perciò tutto dipende dal sottoscritto e questa consapevolezza mi solleva dall’onere di cercare al di fuori di me l’errore di fondo: non è un vantaggio di poco conto e chissà, forse già di per sé vale una vita intera.

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20
Apr

Cromie e cronologie

Pubblicato domenica 20 Aprile 2014 alle 07:53 da Francesco

In questa domenica di blande crocefissioni io voglio offrirmi al sole e alla prossimità delle acque marine. Mi accorgo di vivere bene allorché la mia percezione del tempo rallenta sensibilmente e questa circostanza è del tutto opposta a svariate testimonianze che ho raccolto in proposito. Quando ero bambino in effetti mi pareva che il divertimento accelerasse le ore e talvolta invece che terrestri i giorni mi parevano brevi come quelli di Giove, nondimeno il senso di oppressione di quell’epoca mi offre ancor oggi un’altra analogia col gigante gassoso: la sua forza di gravità. Fino all’adolescenza ho sofferto lunghi periodi di noia, tuttavia dalle prime introspezioni in poi è scemata sempre di più e infine si è estinta. Suppongo allora che la percezione del tempo in certi stati emotivi non dipenda in primo luogo da questi, ma dallo sfondo esistenziale su cui pulsano. Quante gradazioni può avere lo stesso sprazzo di felicità? E ognuna di queste dipende soltanto dallo stato generale dell’individuo, e dunque dal suo vissuto, o intervengono altre variabili?
Per fortuna non devo compiere ricerche che accrescano lo scibile umano o che soddisfino le mie ambizioni, e d’altronde non ne sarei neanche in grado, di conseguenza sono io l’unico oggetto delle mie speculazioni. Il rallentamento della mia percezione del tempo in presenza di emozioni piacevoli immagino che sia dovuto ad uno stato generale piuttosto favorevole, una condizione quest’ultima che non s’è mai radicata nel passato di cui sopra: tanto semplice quanto plausibile. In queste considerazioni ravviso un po’ di banalità malcelata, ma è l’utilità schematica che mi dà modo di tollerarne i passaggi più scontati. Al di là d’un linguaggio così freddo, quasi disincantato e autoptico, l’importante non è ciò che scrivo, bensì quello che provo e di cui puntualmente non sono in grado di rendere l’idea. D’altronde, se fossi bravo a spiegarmi, a quest’ora batterei sulla tastiera con più cautela per il timore di svegliare qualcuno: c’est la vie.

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16
Apr

Esercizio di stile

Pubblicato mercoledì 16 Aprile 2014 alle 07:39 da Francesco

Avrei avuto qualche angoscia in meno se, anni or sono, la Pizia di Delfi mi avesse dato contezza della tranquillità con cui oggi procedo verso la mia terza decade.
Credo che un’esatta lettura del passato ridimensioni quelle piccolezze che un tempo parevano attentare alla vita stessa. C’è chi soccombe alla nostalgia, specialmente nelle ore in cui gli occhi dovrebbero chiudersi per sospendere lo stato di coscienza, e così i fantasmi restano ipertrofici. Non posso salvare nessuno da se stesso e, per quanto mi riguarda, un legame profondo non può che ingenerarsi tra i sopravvissuti di Mnemosine: io sono dispensato dal dovere di piacere a tutti i costi perché so che basta un cenno per riconoscersi e il resto non è di mia competenza. Sono in grado di correre cento chilometri, ma non sono capace di fare il primo passo e questa inadempienza seduttiva è spesso fraintesa come anaffettività, superbia, distacco atarassico: è invece tutt’altra cosa e in tanti altri modi ancora si presta alle incomprensioni più fantasiose. Chissà io quante volte ho interpretato male certi atteggiamenti: succede e di fatto nulla cambia. Nell’aria avverto la stramba convinzione che il valore di una vita si misuri con le attenzioni che le sono tributate ed è così che molti microcosmi restano inesplorati, ma anche l’oblio fa parte del tutto e talvolta la dimenticanza non ha né inizio né fine. Non posso confrontarmi con chi non ha dimestichezza col vuoto perché se lo facessi finirei per crearne di minori, di questo sono sicuro. Le parole cadono su loro stesse, le pose si ripetono come in un immobile parossismo, e via con la guerra degli ossimori senza l’accordo dei contrari. Gli autoritratti digitali, ribattezzati con un anglicismo, sono chiamati a convogliare forze d’attrazione, oberati dalle aspettative dell’ipnosi e sottoposti a prospettive precise, ma non ci vedo nulla di male perché ogni epoca ha i suoi vezzi e talvolta io stesso sconfino in campi altrettanto vanesi. Le critiche passano come le mode a cui si rivolgono e io non posso fare altro che passarci attraverso o esserne un convinto autore, ma né in un caso né nell’altro si sposta una virgola della realtà: tutto rimane al grado di fonazione. 

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11
Apr

Bivio

Pubblicato venerdì 11 Aprile 2014 alle 07:21 da Francesco

Quasi per caso, dopo mesi di scarso interesse per la lettura, ho ripreso in mano un libricino del dottor Freud che io considero fondamentale e, invece di qualche petalo ingiallito, ci ho ritrovato la tentazione di scrivere. Voglio aspettare un paio di giorni per capire se si tratti davvero di un ritorno di fiamma o se non sia nient’altro che un fuoco fatuo, forse principiato dalla scintilla di un’identificazione estemporanea.
Le pagine freudiane a cui mi riferisco sono quelle de “Il disagio della civiltà”, diretta emanazione di un altro testo che nemmeno menziono perché non ho lettori né lettrici ai quali rendere conto. Oltre che su queste pagine, la mia scrittura ha subìto un lungo arresto in tutte le forme, perciò d’ora in avanti intendo riprendere con una certa regolarità la stesura di due libri ancora acerbi. Vorrei finire le parole, gli argomenti, anche i pensieri, tuttavia non la vita. Senza l’intervento di una drammatica afasia, non mi dispiacerebbe se qualcosa nient’affatto funesto mi dispensasse dal linguaggio, però non confido mai nei miracoli e ancor meno nella mia capacità di compierne.

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