Per alcuni anni ho azzerato il consumo di carne, ma un paio di giorni fa l'ho reintrodotta nella mia dieta; non me ne sono astenuto per motivi etici e ho deciso di mangiarla nuovamente per sperimentare le reazioni del mio organismo: tra un mese trarrò le debite conclusioni.
Sono votato alla ricerca personale, perciò non inseguo scoperte che abbiano un valore assoluto ed è in base a tali premesse che compio delle scelte. Noto una crescente sensibilizzazione nei confronti delle tematiche animali, e questo fatto è comprovato dalla comparsa di prodotti per la dieta vegana laddove un tempo questi erano appannaggio di negozi specifici, però dubito che una tale alimentazione sia davvero nelle mie corde e l'ho abbandonata anche per capire se il suo fallimento sulla mia persona sia effettivo o meno. Non escludo, e anzi sono quasi certo, che io abbia sbagliato qualcosa nella ricerca di un'alternativa alle proteine animali, ma quantomeno ci ho provato; il mio tentativo in tal senso è stato dettato da ragioni salutistiche benché ormai sia sotto osservazione anche quello che sulle prime sembrava un'opzione salutare.
In questi anni di rinuncia alla carne (e di un moderato consumo di pesce) ho accusato più volte dei cali proteici che non sono riuscito a sopperire coi legumi né con i derivati della soia, però ciò non significa che una tale privazione non sia possibile per altri e infatti vi sono finanche atleti di alto livello che riescono a sostenerla con enormi benefici.
Forse sono un po' naif, ma suppongo che l'unico modo per mangiare davvero sano passi per la coltivazione in proprio di un terreno di cui si siano accertate le buone condizioni; ovviamente si tratta di una soluzione che per me non è praticabile e tutt'al più potrei avvicinarmici se io riuscissi ad acquistare esclusivamente dei prodotti a chilometro zero. Non sono un fanatico dell'alimentazione, ma cerco il male minore poiché tento di fare la mia parte al netto di quella che è la grande lotteria della genetica.
In questo appunto non ho fatto manco un accenno alla sofferenza animale, ma do per scontato che l'allevamento e la macellazione debbano seguire regole strettissime. Non mi considero così ipocrita da accostare degli aggettivi eufemistici alle pratiche di cui sopra, ma d'altro canto la realtà stessa non si presta a simili aggettivazioni. Mi sono sempre ritenuto onnivoro, anche alla luce del tributo che la filogenesi umana deve alla carne rossa, ma ho provato a compiere una scelta di altro ordine che a un certo punto può avermi creato dei problemi.
Fanatismo sunnita, stragismo domestico e pragmatismo
Pubblicato venerdì 25 Marzo 2016 alle 07:04 da FrancescoQuand'ero bambino sentivo parlare dell'intifada e quel conflitto ìmpari mi sembrava di un altro mondo, ma probabilmente lo percepivo così distante dalla mia realtà in quanto non disponevo degli attuali mezzi d'informazione.
Non in termini spaziali, bensì temporali, mi sembrava altrettanto lontana la stagione degli anni di piombo, con tutte le sue macchie nere e rosse che tra le ombre della strategia della tensione erano comparse in zone grigie e talora per mano di eminenze del medesimo colore.
Ricordo le stragi di Capaci e di Via d'Amelio, il maxiprocesso, le inchieste di Tangentopoli e tutto ciò che ne seguì, ma, forse complice l'età, mi pareva che il mio mondo stesse voltando pagina.
Dopo meno di due lustri dai fatti di cui sopra giunse l'undici settembre: avevo diciassette anni e mi ricordo benissimo l'incredulità con cui seguii gli eventi. Furono in particolare gli attentati alle Torri Gemelle che con la loro spietata spettacolarità mi catturarono profondamente.
Nel corso degli anni il mio stupore è scemato a ogni azione terroristica di cui sono stato coevo e oggi non mi sorprendo più quando qualcuno si fa saltare in aria o apre il fuoco su gente inerme. Non mi considero insensibile e ho speso un po' di tempo a indagare certi meccanismi della mia specie, perciò talora è come se assistessi a uno spettacolo di magia conoscendone già i trucchi.
Non credo alla democrazia, preferisco il pragmatismo agli ideali, mi piacciono i confini, i muri, le frontiere perché garantiscono più libertà e sicurezza di quanto offrano le loro aperture: d'altro canto è evidente l'attuale paradosso alla luce di cui le possibilità di viaggiare si sono ristrette per motivi di sicurezza benché il mondo si sia globalizzato.
Mi fa ridere la retorica terzomondista e credo che su questo pianeta debba esserci sempre una potenza egemone poiché l'egemonia è immanente alla natura umana, perciò sono certo che se gli Stati Uniti non avessero fatto gli sceriffi del mondo forse i sovietici ne sarebbero diventati gli ussari. A questo proposito mi viene in mente anche la Reconquista spagnola e immagino che se le dinastie arabe avessero vinto poi avrebbero tentato un'ulteriore espansione.
Alcuni territori ne hanno sottomessi degli altri perché tale è l'indole umana in termini collettivi e risponde anche alle leggi di natura, dunque trovo che i sensi di colpa siano i figli illegittimi di una vocazione naturale a cui se ne oppone una di tenore contrario, tuttavia anch'essa spontanea e legata a doppio filo alla propria antagonista. Per scomodare Eraclito cito l'enantiodromia come concetto chiave di ogni dinamica a portata d'intelletto.
Non credo ai buoni selvaggi, benché di questa regola io ammetta delle eccezioni tribali, e quindi non mi lascio impietosire dalla favola dell'uomo bianco che supera in crudeltà le minoranze: ecco dove reputo uguali gli esseri umani, ovvero in quelle tendenze di cui Hobbes è stato un acuto interprete. Se certi popoli non ne avessero assoggettati degli altri probabilmente loro stessi sarebbero rimasti sotto un medesimo giogo. Non escludo a priori che l'utopia pacifista un giorno possa prendere le sembianze di un'inconfutabile realtà, ma tale prospettiva è lontanissima dalla storia nonché dai tempi correnti. Scrivo queste cose nell'ovatta del mondo occidentale e so che ne scriverei o quantomeno ne penserei altre diametralmente opposte a queste se provenissi da un contesto del tutto diverso dal mio: a tal punto è volubile quell'obiettività con cui ognuno cerca di ammantare ciò che giace dalla parte della sua barricata.
Già lavate come quelle di Ponzio Pilato sono le mani che si sforzano di portare l'acqua ai propri mulini; e dunque che alla fine ognuno goda delle proprie messi.
The Aristocrats a Roma e Wishbone Ash a Grosseto
Pubblicato martedì 1 Marzo 2016 alle 23:58 da FrancescoFebbraio per me è stato un mese ricco di musica, infatti ho assistito a due concerti fantastici e mi sono preparato il terreno per prendere parte a un festival leggendario di cui, a tempo debito, conto di scrivere impressioni fantastiche.
Il diciotto febbraio mi sono recato a Roma presso il Planet (una volta Alpheus) per rivedere uno dei migliori chitarristi in circolazione, ovvero Guthrie Govan. Questa volta il virtuoso inglese non era solo, bensì col suo trio che risponde al nome di The Aristocrats: gli altri due membri sono Marco Minnemann, uno dei batteristi più rinomati degli ultimi anni, e il bassista Bryan Beller. Questi tre signori spaziano da un genere all'altro con una facilità disarmante anche se io credo che la loro base di partenza sia sempre la fusion: da lì irradiano il proprio sound verso i territori più disparati con cambi repentini che tuttavia suonano sempre naturali, pienamente spontanei.
Lo spettacolo che propongono costoro non è un'asettica esibizione di talento cristallino con un'equa ripartizione del protagonismo solistico, ma è inframmezzato da siparietti comici che coinvolgono il pubblico e da un atteggiamento con cui i tre non si prendono mai troppo sul serio: per me si tratta di un valore aggiunto in una performance che già di per sé è straordinaria a causa dell’altissimo tasso tecnico dei musicisti coinvolti…
Non pensavo che avrei mai assistito a un concerto importante nella mia provincia, o almeno non in un locale dei dintorni, e invece il ventisei febbraio, in quel di Grosseto al FAQ Live Music Club (a cui va il mio grande plauso), ho avuto modo di vedere una parte della storia del rock.
Sul palco suddetto sono saliti nientemeno che i Wishbone Ash! Il quartetto è un po' avanti con gli anni, tuttavia malgrado l'età veneranda vi ho riscontrato una vitalità maggiore rispetto ad altri gruppi che potrebbero essere i loro nipoti (sia in termini anagrafici che stilistici). È stato un concerto fantastico che mi sono goduto in prima fila ed è stato davvero bello vedere i bending di Andy Powell a quaranta centimetri dal mio muso! Nella musica trovo ciò che mi manca altrove.
Intendo soffermarmi su alcuni appunti delle mie letture junghiane. Anzitutto voglio ricordare a me stesso come l'inconscio abbia un concetto del tempo peculiare, diverso da quello della vita vigile: è un elemento chiaro nell'attività onirica e di cui è bene che anch'io tenga conto quando tento d'interpretare quest'ultima. A proposito dei sogni: da quanto ho letto sembra che questi svaniscano dalla memoria ogniqualvolta siano risolti i problemi di cui sono ambasciatori.
Mi ha colpito un'idea che ho trovato nel secondo volume dei seminari sui sogni dei bambini, ovvero quella per cui le emozioni derivano sempre da un mancato adattamento: è lo stesso Jung ad affermarlo e inoltre aggiunge che quelle si annidano dove l'individuo fallisce.
Appena mi ci sono imbattuto mi sono chiesto come andasse intesa una tale dichiarazione in quanto ho avuto subito la sensazione che fosse molto più articolata di quanto apparisse d'acchito, ma, come già mi era successo in casi analoghi, non ho trovato immediatamente degli approfondimenti né dei rimandi bibliografici.
Dopo una breve ricerca sono incorso in un virgolettato di Aion in cui Jung afferma che l'emozione non è un processo attivo dell'individuo, ma è qualcosa che gli accade e anche specchio (come già accennato) di una mancanza di adattamento a una certa situazione.
Queste considerazioni mi consentono d'introdurne un'altra, ovvero quella secondo la quale una persona talvolta ne desidera un'altra solo per possederne le qualità e di conseguenza mi chiedo quale ruolo svolgano le emozioni in simili eventi. Non dubito dell'esistenza di legami autentici e, quantunque io non abbia mai esperito nulla del genere, non posso certo credere che qualsiasi relazione scaturisca dalle dinamiche suesposte, ma allo stesso tempo concedo un giusto peso alle parole di Jung perché sono avallate da fatti ricorrenti che ognuno può constatare da sé.
Ho quasi finito di leggere il primo dei due volumi di Jung dedicati ai sogni dei bambini e in una delle conferenze ivi trascritte sono stato colpito da un concetto nel quale non ero mai incorso prima, ovvero quello che risponde al nome di teratoma; quest'ultimo è un termine medico e designa un tumore benigno che contiene le parti di un gemello: i denti, un orecchio, le dita…
Per Jung il tetaroma indica un'inclusione psichica, e più precisamente un tratto della personalità che è avulso da tutto il resto, ma quand'esso assurge alla coscienza può ingenerare disturbi di notevole entità ed è per tale motivo che questo materiale estraneo dev'essere maneggiato con estrema cautela: in simili circostanze v'è il rischio che la seconda personalità si manifesti senza preavviso alcuno e con tutto ciò che una tale improvvisata può comportare.
Non ho avuto modo di approfondire questo punto della psicologia di Jung poiché egli stesso nel testo in esame non ne fa che un breve accenno e le mie ricerche non hanno aggiunto alcunché a quanto ha destato il mio interesse, perciò anch'io per adesso mi limito a questa breve nota e mi riservo la possibilità di una futura speculazione.
Prima di porre davvero fine a queste poche righe mi permetto solo di appuntare un’associazione d’idee: appena ho letto il paragone di cui sopra ho pensato a certi casi di cronaca nera in cui lo stupore di taluni per un determinato gesto è originato dall’incredulità che sia stato commesso da una persona “insospettabile”, qualcuno da cui “nessuno se lo sarebbe mai aspettato”.
Ho sognato d’investire un cane sulle strisce pedonali mentre la sua padrona lo teneva al guinzaglio: un carlino, per la precisione. Appena mi sono reso conto dell’incidente è subentrato in me un forte senso di colpa. La scena onirica si è poi trasferita in un’abitazione dove un uomo mi ha rimproverato con veemenza: “Non ti voglio più vedere a Roma”; all’affermazione di costui io ho risposto che “a Roma ci lavoro”.
Ipotizzo che il cane rappresenti la mia parte istintiva, ma nel sogno appare come un carlino, ovvero un cane di piccola taglia e dunque ne deduco che si tratti di un’istintività ammansita dalla ragione o può darsi che l’immagine costituisca una prevaricazione di quest’ultima: è come se uccidessi involontariamente la mia parte irrazionale. Il conseguente senso di colpa è la mia intuizione di quanto un atteggiamento così censorio sia sbagliato e l’uomo che mi rimprovera può essere l’inconscio, difatti il mio errore non avviene sotto la giurisdizione dell’Io.
Roma è una città che per me ha molteplici significati, ma in questo caso non ricorro a una sua interpretazione personale. L’uomo (l’inconscio) non vuole più vedermi a Roma dove io “lavoro”, ovvero non vuole che la mia razionalità risulti un ostacolo alla mia vita: almeno così sono portato a credere. Alla luce di queste considerazioni io suppongo che nel sogno Roma in quanto caput mundi rappresenti la totalità dell’esistenza, difatti tutte le strade portano a quest’ultima.
A mio modesto avviso la presenza simbolica della razionalità è avallata ulteriormente dalle strisce pedonali: queste indicano l’unico punto in cui per la legge (la ragione?) al cittadino è permesso di arrivare dall’altra parte di una strada (vivere), tuttavia quest’ultima può essere attraversata in altre zone nonché in altri modi. La mia parte irrazionale reclama se stessa.
In una di quelle letture per tribù israelitiche o per crociati, insomma tra quelle pagine un po' invise ad altre genti semitiche, v'è la narrazione di come un tempo gli uomini parlassero la stessa lingua, prima che questi violassero il piano regolatore dei cieli con la costruzione di una torre verso l'Altissimo, forse per sussurrare qualcosa all'orecchio assoluto dell'inquilino di sopra.
Mi lascia perplesso il modo in cui un individuo può essere atterrito dalle notizie che ode di sera o a pranzo tramite le frequenze radiotelevisive, ma trovo ancora più aberranti gli effetti profondi in cui taluni possono incorrere dopo un'incidentale esposizione a certi comunicati.
Non sono così ottuso e scontato da prendermela con gli organi d'informazione, altrimenti se mi dovessi scagliare contro un parallelismo analogo punterei il dito verso qualche corpo docenti, altrettanto marcescibile, ma sono consapevole di come certe derive siano autoimmuni, ovvero di come sovente scaturiscano dal ricevitore più che dall'emittente.
Scrivo di tali cose perché, di recente, ho assistito alla reazione isterica di una persona che aveva appena assistito a una trasmissione televisiva i cui ospiti avevano discettato della tenuta del sistema bancario, come se le parole di quattro opinionisti più o meno titolati fossero state in grado di spostare una virgola di quella che è comunemente nota come realtà; eppure è così, difatti se le cose stessero diversamente il soggetto suddetto non avrebbe avuto la reazione che invece ha avuto. Ripeto (come una stazione di relais, appunto): l'entropia (concetto preso in prestito dalla termodinamica) immagino che tenda a manifestarsi più spesso in chiunque provi a sostenere l'insostenibile leggerezza dell'etere senza che abbia prima imparato come stare a mezzo metro da terra sulle proprie gambe.
Non mi considero estraneo a questo meccanismo di subdole influenze, e d'altro canto so bene che una larga parte dell'esistenza si svolge sotto la soglia della coscienza (a tal proposito è piuttosto esplicativa l'immagine di un iceberg che rende l'idea di come lo stato vigile sia solo la punta di qualcosa di più grande e quasi del tutto sommerso), dunque non gioco la carta di un'atarassia che non mi appartiene e di cui non posso fregiarmi: ne consegue che, quantunque in altri contesti, riconosco come anch'io sia stato più volte fuorviato da me stesso, ovvero da un'errata codificazione di notizie, parole, elucubrazioni personali o altrui.
Per me la vera confusione non è quella provocata da fonemi di lingue diverse che si inerpicano e si accavallano su una torre incompiuta, chiaro esempio di ecomostro biblico, ma è quella che può nascere in seno a una sola lingua poiché sapere e comprendere non sono veri sinonimi: perciò che posso fare per facilitarmi la vita e rendere più sereno il mio soggiorno terrestre? Non finirò mai di ripetere come io non mi occupi né di terzi né di trini, quindi scrivo a titolo personale e la mia soluzione risiede in un adeguato esercizio dell'attenzione: finora tale modus operandi mi è stato utile. Se il tempo è un fiume eracliteo allora non posso lasciare che le sue acque vengano avvelenate dalle vibrazioni dell'aria o da pezzi giustapposti di alfabeto latino dei quali travio il senso sulle mie retine. I fraintendimenti, queste sono le armi automatiche da proibire, altroché pistole, fucili o quanto rientri nel secondo emendamento della costituzione statunitense.
Mi sta bene che io non mi capisca con un mio simile, ma devo comprendere me stesso e questa circostanza è la conditio sine qua non per gettare un ponte su un altro mondo, foss'anche solo una città fantasma: per quanto cupi e sfuggenti, anche gli spettri hanno qualcosa da dire.
Fallisca il governo, scoppi la guerra, arrivi inopinata la pace, collassi l'universo o il solito balordo che non sa più dove sbattere la testa, giungano ricchezze degno di Creso o piovano tumori da un cielo plumbeo; ci siano famiglie arcobaleno o torni un patriarcato efferato, prevalga un vero laicismo o si faccia strada l'integralismo iconoclasta che sbatte i piedini nella mezzaluna fertile. Io sono di passaggio e voglio capire me stesso: non pretendo di comprendere qualcun altro e allo stesso tempo non escludo che ciò possa comunque accadere.
Grande Torre di Babele, di Pieter Bruegel il Vecchio, 1563
Non mi ci accingo a scrivere qualcosa di memorabile e non è per rivestire di scarsa importanza i miei appunti che io metto le mani avanti, bensì le poggio saldamente a terra per eseguire una verticale che sia degna delle ordinate di un piano cartesiano.
Mi sono reso conto che in me il piacere di determinate asimmetrie convive con la mia inclinazione all'ordine. Ho libri e dischi allineati in modo maniacale; le suppellettili e altri oggetti godono di una sistemazione altrettanto precisa tra le quattro pareti della mia stanza, perciò sono un po' insofferente verso gli ambienti disordinati e verso coloro che ne avallano l'incuria. Il mio modus operandi è lo stesso nel campo dell'informatica ed è raro che io lasci un file fuori posto o aspetti troppo a sistemare un caos passeggero. Non ho la stessa cura per gli interni della mia auto e mi pare che tale discriminazione sussista perché non mi identifico con il mezzo a quattro ruote. Quando vado a fare la spesa, e qualora le circostanze lo permettano, sistemo con una facile logica i miei acquisti sul nastro della cassa, un po' come se giocassi a Tetris, tuttavia in casi del genere mi trovo a stabilire un ordine evanescente che mani sapienti tramutano in caos per un fine superiore. Che ogni dio alla fine non sia altro che un cassiere cosmico? Chissà!
Questo discorso mi fa venire in mente il feng shui (geomanzia taoista) e riconosco l'azzardo di una tale associazione d'idee, tuttavia la riporto così come mi si presenta e la giustifico con un improprio accostamento tra il mio bisogno di crearmi un ambiente che sia in accordo con la mia indole e le presunte influenze della pratica di cui sopra (o meglio, di una delle sue accezioni).
Per me la quadratura del cerchio non è sempre raggiunta in modo regolare e difatti adoro certe asimmetrie nei campi più disparati. In musica per esempio mi piacciono le dissonanze quando si fanno adorare di loro sponte, inoltre mi considero ormai un seguace dei tempi dispari e difatti non faccio mistero del mio amore per il rock progressivo.
In passato se mi fossi soffermato su una tela di Kandinskij forse non avrei sfoggiato altro che della perplessità, ora invece qualcosa riesce a raggiungermi durante la contemplazione di un asimmetrico astrattismo e di sicuro tutto questo non dipende da un’accresciuta competenza in materia (di cui ero e sono sprovvisto). Amo anche l'apparente irregolarità che poi rifluisce nel suo opposto. Mi affascinano gli sviluppi del sistema nervoso centrale che non sono sempre caratterizzati dal sincronismo; la dominanza di una parte del cervello in certe attività cognitive e prodigi dell'evoluzione come la capacità dei delfini di dormire con un emisfero alla volta.
Non so di preciso per quale motivo io mi sia risolto a scrivere di cotale tema, perciò conferisco una forma asimmetrica anche al filo conduttore di queste righe e me ne compiaccio come se me ne importasse davvero qualcosa di pascolare nel senso apparente delle cose.
Appigli metafisici su una parete cerebrale
Pubblicato mercoledì 6 Gennaio 2016 alle 23:09 da FrancescoHo fatto mia una domanda nella quale sono incorso durante una lettura serale: il linguaggio è una prerogativa degli esseri umani? A tale quesito non v'è ancora una risposta unanime, ma v'è una distinzione sostanziale da compiere, ovvero quella tra linguaggio e intelligenza: di fatti il primo non è indispensabile per il pensiero e la sua assenza non esclude la facoltà astrattiva.
Nella disamina dei tipi più comuni di afasia (cioè i disturbi del linguaggio di origine organica) ho letto che in ambito clinico sono ancora utilizzati dei riferimenti ad aree alle quali un tempo erano ascritte precise funzioni, ma la cui localizzazione è stata in seguito ridimensionata dai progressi delle neuroscienze: mi riferisco in particolare all'area di Broca e all'area di Wernicke.
Porto il nome di un santo che parlava con gli animali, una figura per cui oggi un sindaco non faticherebbe troppo a chiedere il trattamento sanitario obbligatorio, tuttavia mi domando se nel folclore e nella costellazione degli archetipi non vi siano già verità di cui la scienza deve tornare in possesso per tradurle nello spirito di questo tempo (ricorro qui a un’espressione di Jung): un po' come l'anamnesi di Platone. Quante cose (o presunte tali, monadi) sfuggono alla ragione o forse è questa che vi si ritrae per il timore che possa esserne sopraffatta.
Le lesioni di determinate aree provocano dei problemi di comprensione, altri tipi di danni invece cagionano difficoltà di espressione e perciò mi chiedo se la più intima essenza di un individuo sia riducibile all'efficienza del suo sistema nervoso centrale. A questo proposito mi torna in mente (e dove altrimenti?) il momento in cui Jung descrive l'incontro con Izdubar (episodio di cui anche pochi giorni fa ho fatto cenno): o meglio, lo scontro tra lo scientismo e la devozione infantile.
Malgrado la profonda solitudine del mio ateismo non riesco a ridurre tutto in termini organici e dunque non ho modo di attingere dalla tracotanza con cui taluni impugnano il rasoio di Occam per recidere ogni altra forma d'esistenza, ogni principio che non faccia sinapsi, ogni filo invisibile che colleghi tutto a un motore immobile.
Talvolta è come se ognuno dei miei orologi biologici iniziasse a segnare un proprio fuso orario e puntualmente (sennò che orologi sarebbero?) questa discrepanza produce delle ripercussioni sui miei ritmi circadiani. Ci sono dei giorni in cui sono costretto a restare sveglio molto più del solito per costringermi ad avvertire i moti del sonno al momento opportuno, però almeno nelle ventiquattrore successive alla tirata pago la forzatura con uno stato di rincoglionimento, tanto per usare un termine tecnico che sappia comunque rendere l'idea di spossatezza.
In un manuale di neuroscienze ho compreso il ruolo che gioca il nucleo soprachiasmatico nei ritmi circadiani e sono rimasto sorpreso dal particolare di un esperimento in laboratorio in cui dei topi ne subivano il trapianto: alla fine essi assumevano i ritmi del donatore…
Ho inoltre appreso che l'uso della melatonina per il miglioramento del sonno non è ancora del tutto chiaro benché sia stato constatato un certo beneficio del suo impiego nei sintomi per il jet lag e per alcuni casi di insonnia negli anziani. Io non ho mai provato ad assumere alcunché di naturale o sintetizzato per favorire l'addormentamento e mi domando in un caso del genere quanto sia importante convincersi di ciò a cui si ricorre affinché s'inneschi l'effetto placebo.
Da quanto ho letto ci sono degli individui (e purtroppo mi annovero tra essi) che sono incapaci di adattare i loro cicli di sonno e veglia ai ritmi giornalieri, perciò si vedono costretti a variare continuamente i cicli delle loro attività rispetto alla luce del giorno. In un moto di sommo rigore mi chiedo quanto la volontà possa contenere i limiti suddetti e nel mio caso credo che abbia un certo margine d'azione. Mi sento nel pieno delle mie forze e creativo al massimo grado quando mi sveglio attorno alle due di notte e vado a letto nel tardo pomeriggio, ma non riesco sempre a mantenere questi orari e so per esperienza personale quanto sia debilitante la privazione di sonno. Ci sono tante variabili da tenere in considerazione a questo riguardo, non ultime quelle ambientali e i tanti stimoli che rendono incerto l'inizio del riposo: ed è proprio in virtù di questa considerazione che mi sono appena interrogato (almeno per quanto mi riguarda) su quale peso abbia il comportamento nella regolazione dei ritmi circadiani.
In un mio soggiorno in mezzo all'Oceano Pacifico mi sono adattato presto e spontaneamente ai ritmi del sole e suppongo che ciò si sia verificato per il cambiamento delle variabili ambientali che a loro volta hanno influito sulla mia condotta. Non so se a livello genetico (a dire il vero non l'ho colto dalle mie letture) vi possa essere un'incapacità addirittura invalidante di adattarsi ai ritmi del giorno, ma di sicuro non è il mio caso e ammesso pure che in me vi sia della predisposizione in tal senso, di sicuro non lo è in una misura che non possa essere corretta dalla disciplina.
Vorrei tanto che fossi in grado di addormentarmi a comando e chissà che un domani la natura della mia specie non si evolva per favorire una funzione del genere.