Sabato mi sono recato nella ridente Follonica per l'undicesima fiera del disco. Invero non c'erano molti espositori, ma per fortuna ciò che mancava in quantità v'era in qualità!
Non avevo a disposizione un grande budget e di conseguenza non ho potuto comprare certe primizie, ma ho trovato dei buoni vinili a poco e ho scoperto qualche nuovo disco che di sicuro mi procurerò in futuro. Tra i miei acquisti migliori segnalo i vinili di "Fugazi" dei Marillion e la colonna sonora di "Momenti di gloria" di Vangelis a cinque euro cadauno! Certo, dischi usati, ma ancora in buone condizioni. Il mio venditore di fiducia mi ha fatto scoprire un gruppo staordinario dello Zimbabwe, gli Assagai; di costoro ho acquistato l'omonimo album di debuto del 1971, un misto di jazz, progressive rock e musica etnica: devo ancora approfondirne le sonorità ma ammetto che mi aveva preso moltissimo già mentre ne valutavo l'acquisto con un ascolto in streaming. Tempo addietro i dischi si ascoltavano nei negozi in cuffia oppure da un amico, ma per fortuna oggi le connessioni mobili e i contenuti su YouTube (che per gli appassionati sono promo e non volgare pirateria) dànno modo alle persone di farsi subito un'idea di quanto non conoscono.
Ho preso anche un disco leggendario come "The Nightfly" che ancor oggi è usato per testare la qualità degli impianti in quanto è un vero punto di riferimento; inoltre ascoltare l'opening track, I.G.Y., in vinile, ha tutto un altro sapore! Sono anche contento per l'acquisto del doppio live dei Camel, una band prog che adoro in modo particolare, specialmente per la chitarra di Latimer.
Senza manco ascoltarlo ho preso sulla fiducia "'O Sanghe" di James Senese e Napoli Centrale; d'altro canto sono pochi altri gli artisti per cui metterei la mano sul fuoco e anche questa volta ho avuto ragione! Rammento ancora lo straordinario concerto di questi musicisti favolosi in quel di Grosseto, lo scorso novembre: il top, davvero il top!
Non mi sono fatto scappare una buona copia a quindici euro di "Six wives of Henry VIII" dello straordinario Rick Wakeman, il mio tastierista preferito (sia da solo che con gli Yes). Che dire poi di una stampa giapponese di "Seventh Sojourn" dei Moody Blues? Potevo lasciarla là? Certo che no! Gli Arti e Mestieri non hanno certo bisogno di presentazioni e "Giro di valzer per domani" è l'unico loro disco che mi mancava, perciò l'ho preso in CD; sullo stesso filone "2" dei nostrani Agorà: che gruppi! Ho trovato a poco anche un album degli Eloy che mi mancava e l'ho preso. Ringrazio ancora il mio venditore di fiducia perché mi ha anche regalato il promo di un giovane gruppo prog italiano che già ha fatto un buon esordio discografico: mi riferisco agli Ingranaggi della Valle. Tra dischi vecchi e nuovi ho quanto basta per aspettare l'autunno e passare un altro inverno in solitudine in attesa della primavera: mi sia concesso di fare il verso a Kim Ki-duk…
Ho sempre apprezzato Yukio Mishima per il coraggio che dimostrò negli ultimi momenti della sua vita, quand'egli divenne quello stesso spirito nipponico che voleva ridestare nella terra del sol levante, ma per lungo tempo non sono riuscito a nutrire la stessa stima per la sua scrittura.
Nelle ultime settimane la mia opinione in merito è mutata. Mi ero ripromesso di non leggere più romanzi, però me ne erano rimasti due proprio di Mishima che avevo acquistato in modo forse avventato e, complice anche l'assenza totale di qualsiasi altra lettura di mio interesse che fosse a portata di mano, mi sono risolto ad affrontare ambo gli scritti.
Il mio primo libro di Mishima fu Neve di primavera, nel quale trovai stucchevoli le descrizioni e un po' melensa tutta la storia; avvertii la pesantezza di una narrazione prolissa, tuttavia arrivai lo stesso in fondo al testo che non mi lasciò niente di memorabile: insomma, non mi piacque.
Quando invece ho preso in mano Musica e Confessioni di una maschera le cose sono andate in modo diverso. Del primo ho apprezzato oltremodo il ritmo della narrazione e la storia in sé, con gli ampi riferimenti alla psicanalisi che denotano una certa conoscenza della medesima; invece del secondo mi è piaciuta molto l'ambientazione nel belligerante Giappone della Seconda guerra mondiale, quando ormai la sconfitta si palesava all'orizzonte; quello stesso orizzonte sul quale continuava a sorgere il sole mentre la gloria dell'impero tramontava inesorabilmente.
Non c'è una vera ragione, o almeno io non la trovo e può darsi che si tratti di un'associazione di idee del tutto personale, ma in alcuni momenti la sensibilità di Mishima mi ha ricordato quella di Pier Paolo Pasolini, specialmente a riguardo della sessualità. È come se la frigidità di Musica e l'impotenza di Neve di primavera fossero vicendevoli controcanti.
Su entrambi i testi non ho attaccato molti post-it, ma ci sono dei passaggi davvero belli che si stagliano su uno stile scorrevole e comunque ricco: ne cito uno per libro.
Da Musica, a pagina 166: "In effetti, la pura sacralità e la totale oscenità si somigliano molto, in quanto entrambe sono impalpabili; i lettori, più tardi, vedranno come l'imparagonabile senso di umiliazione che Reiko provò quella notte si sia poi trasformato in un ricordo sacro".
Da Confessioni di una maschera, a pagina 94: "Quando un ragazzo di quattordici o quindici anni si scopre più portato all'introspezione e all'autocoscienza d'altri suoi coetanei, cade facilmente nell'errore di ascriverne il motivo al fatto che è più maturo di loro. Nel mio caso fu indubbiamente uno sbaglio. Il motivo semmai stava qui, che gli altri ragazzi non provavano quel bisogno di comprendere sé stessi che in me era così impellente: potevano esplicare la loro personalità con la massima naturalezza mentre a me incombeva recitare una parte, e questo doveva richiedere un acume e uno studio considerevoli. E quindi non era la mia maturità, ma il mio senso di malessere, la mia insicurezza, che mi forzavano ad acquistare il controllo della mia coscienza; giacché una coscienza del genere era semplicemente un trampolino di lancio verso l'aberrazione e tutti i miei pensamenti di allora, nient'altro che congetture incerte e campate in aria".
La scorsa settimana ho ripreso in mano un libricino di cui avevo già lambito i contenuti in molteplici occasioni: mi riferisco a quella summa di insegnamenti ermetici che risponde al nome de Il kybalion. La lettura di questo scritto mi ha ricordato una sibilla di cui ho perso le tracce nell'etere un anno fa: malgrado tutto di costei serbo un ricordo platonico assai piacevole.
Come al solito il mio approccio è strettamente personale e dunque nelle righe seguenti riporto solo i passaggi che hanno catturato la mia attenzione, quei frammenti che per una ragione più o meno conscia mi hanno spinto a vedervi più della giustapposizione di parole delle mia lingua madre; io credo che l'arbitrarietà degli appunti sia essa stessa un indizio per qualsiasi indagine introspettiva. Le analisi critiche, l'ermeneutica, l'esegesi e gli assoluti non mi competono.
orecchie di coloro che sono pronti a riceverne l'insegnamento.
Mi ha colpito questo assunto perché è fornito a corredo della tesi secondo la quale Il kybalion attiri l'attenzione di coloro che siano pronti a riceverne gli insegnamenti; considero tutto questo piuttosto suggestivo, però la parte scettica di me si domanda se non si tratti di un espediente atto a lusingare il lettore, così da infondere in quest'ultimo la vaga idea di una sua unicità che non sia soltanto quella propria (paradossalmente) di… ogni individuo.
Sul tema della trasmutazione mentale non riesco ad avanzare dubbio alcuno e quindi neanche sulla definizione dell'universo come un tutto mentale: in questo concetto v'è in nuce quanto poi sarà "scoperto" (o meglio, quanto sarà allungato di quel brodo primordiale) da chi verrà dopo. Qualora il Tutto (con la ti volutamente maiuscola) sia mentale, allora «non può essere materia, dato che nulla può apparire nell'effetto che non sia nella causa». Non trovo appigli per negare una simile concezione e non riesco proprio a immaginare quali bordate le si possano infliggere.
Il celebre principio della corrispondenza, quello che campeggia sulla tavola di smeraldo, è forse l'insegnamento che più d'ogni altro ho provato ad assimilare nel corso degli anni: «com'è al di sopra, così è al di sotto; com'è al di sotto, così è al di sopra». Esso dà la chiave per comprendere i paradossi che sono immanenti alla natura, ma al di là delle parvenze di comprensione trovo che sia davvero arduo per me applicare un tale monito con la dovuta perizia e una piena regolarità, di conseguenza mi contento di quei brevi istanti in cui ogni cosa mi sembra al suo posto, come in fulminee estasi dietro cui non v'è merito alcuno. A tale proposito, forse un po' forzatamente, mi vengono in mente delle parole che scrisse Manlio Sgalambro: «Io, contemporaneo della fine del mondo non vedo il bagliore, né il buio che segue, né lo schianto, né il piagnisteo ma la verità da miliardi di anni farsi lampo».
Nel principio della polarità ho trovato la sintesi perfetta delle apparenze dualistiche che si celano e si palesano in ogni dove, esemplificate come una differenza di grado: tale principio è antesignano di quello taoista, quantomeno nella più grezza delle sue enunciazioni.
In tutti gli inviti (compreso quello delfico) a conoscere sé stessi, in tutti gli sproni che gli eventi, altri individui, le voci interiori o chissà quali altre entità forniscono ai più, ebbene in tutto questo io vedo l'inseguimento della capacità di cambiare la propria polarità: è tale prassi che considero quale vera padronanza di sé in quanto supera quest'ultimo e lo pone in accordo con ciò di cui fa parte. Il ricorso alla legge della neutralizzazione consente di elevarsi e lasciare sotto di sé certe oscillazioni benché queste continuino a operare: qui è chiamato in causa (e a questo punto direi anche come effetto…) il principio del ritmo.
C'è un avvertimento ne Il kybalion a cui attribuisco un'importanza pari agli insegnamenti ivi presenti e concerne il possesso delle verità, il quale «a meno che non abbia corrispondenza nel campo dell'azione è come l'accumulare metalli preziosi: cosa vana e sciocca». Più volte io stesso ho lamentato quanto un eccessivo nozionismo (e non necessariamente la verità) possa risultare nocivo qualora diventi autoreferenziale e non trovi sbocchi concreti, perciò mi chiedo se un tale monito non abbia il suo posticino negli archetipi di un inconscio sì collettivo, ma tra le fila di più "recente formazione", ovvero quelle che fanno capo alla civilizzazione poiché non vedo come si potrebbe adattare a quegli ominidi che "non distinguevano l'aurora dal tramonto".
È dunque scontato come ai miei occhi sia sublime la legge dell'uso la quale intima di utilizzare la conoscenza, altrimenti «chi la vìola, soffre, poiché si mette in conflitto con le forze naturali».
La mia è un'estate un po' sottotono perché nei suoi ardenti giorni ho visto naufragare le flebili speranze che sono maturate in altre stagioni, però non lascio che il corso degli eventi influenzi il mio stato d'animo e quindi faccio appello a tutta la mia volontà. Assisto meditabondo all'ignavia dei governi europei, ascolto spari e detonazioni per interposti organi di senso grazie ai ponti radio, ai collegamenti satellitari, alle fibre ottiche e alle dissociazioni mentali dei terroristi, però di fronte a cotanto stragismo io non mi sento meno legittimato a compiere dei voli radenti su me stesso. Se un'autorità suprema m'investisse di poteri assoluti cercherei di risolvere le questioni di quest'epoca con misure draconiane, ma in realtà non posso che ambire al controllo sulla mia esistenza, comunque parziale e al netto di ciò che è chiamato impropriamente "casualità".
Sono ancora estraneo a qualsiasi affinità elettiva, però riempio il mio tempo libero con interessi che lo rendono davvero tale, ovvero libero da tutto quanto può arrestarne lo scorrimento nella sfera microcosmica. Dopo un certo numero di anni ho ancora delle buone abitudini che io spero durino quanto la mia vita. Non conosco migliore prassi di quella che giustifichi se stessa dinanzi all'amor proprio, ma non escludo affatto che ce ne siano di migliori e non mi sorprenderei se un domani mi ci trovassi a fare i conti. Per ora continuo a leggere quanto è stato scritto da uomini che sono morti da un pezzo, però non ritengo un valore aggiunto la distanza progressiva che intercorre tra il decesso dei suddetti e i sudditi del presente.
Di tanto in tanto vorrei vederci lontano come Hubble: questo desiderio sorge e tramonta in me come il più breve dei giorni allorché un'idea d'infinito mi trafigge il cuore. Non mi resta altro che scherzare con tutto, specialmente con ciò che taluni reputano sacro, ma allo stesso tempo mi è concesso fare anche l'esatto opposto per produrre silenzi d'incommensurabile valore, quelli che non furono mai scritti e mai lo saranno. Le due facce della stessa medaglia o le facce di Giano; del dualismo non so granché, tanto meno il suo grado di aderenza alla realtà. Divago per svago e me ne compiaccio con me medesimo: non v'è altra sfera d'influenza che sia alla mia portata.
Pensavo che i colpi di stato fossero dei fenomeni pressoché scomparsi, ormai appannaggio di qualche stato subsahariano, perciò il tentativo di golpe in Turchia mi ha sorpreso più dell'ennesimo attentato di matrice islamica. Da quanto ho letto mi è parso di capire che il putsch sia fallito perché i golpisti non sono riusciti ad avere l'appoggio della popolazione che avrebbe dovuto moltiplicare la potenza del loro esiguo numero, inoltre gli alti papaveri sono stati lasciati liberi di fuggire e lo stesso Erdogan ha avuto tempo per diramare un messaggio alla nazione che è risultato fondamentale affinché le strade turche si riempissero di gente su cui gli insorti, alla fine, non hanno avuto il coraggio di aprire il fuoco.
Non mi lancio in improbabili di disquisizioni geopolitiche, ma constato un certo compiacimento nel mio essere coevo di eventi che, in qualche misura, entreranno nella storia dell'umanità (da consumare preferibilmente entro…) e ravviso in tutto questo una sorta di schadenfreude per la quale nutro comunque degli scrupoli. Immagino che il meccanismo dietro a quanto ho sovraesposto sia simile a quello che innesca il voyeurismo dinanzi a incidenti di vario genere, stradali in particolare.
Non ricordo dove né quando, ma tempo addietro lessi qualcosa che mi fece intendere come talvolta il piacere di assistere a delle sciagure non provenga dalla suddetta schadenfreude, bensì dall'estraneità ai fatti e si manifesti dunque come una specie di sollievo. Da quest'ultima prospettiva mi vengono in mente le parole di un epicureo, Lucrezio, che nel suo De rerum natura scrive:
e la cupa vastità delle acque si turba,
guardare da terra il naufragio lontano.
Non ti rallegra lo spettacolo dell'altrui rovina
ma la distanza da una simile sorte.
Considero questa citazione talmente esplicita da vedere in ogni altro tentativo di aggiungervi qualcosa solo il pericolo d'inficiarne la portata, perciò mi astengo da ogni ulteriore commento.
Freud riteneva la pulsione di morte un'ipotesi irrefutabile e il proprio pessimismo un risultato, a differenza dell'ottimismo dei suoi avversari che invece egli considerava una premessa.
Il principio di piacere è volto alla gratificazione immediata e al mantenimento di un basso livello dell'eccitamento, ma talora gli subentra il principio di realtà che dilaziona la gratificazione e si fa carico di una temporanea tolleranza al dispiacere per questioni di adattamento alle circostanze.
La pulsione di morte pare che sia la tendenza al ritorno allo stato inorganico, ovvero a quella fase primeva dell'evoluzione in cui la vita si instillò in una sostanza inanimata; una concezione del genere mette in discussione quella visione della vita che verte sulla ricerca dell'evoluzione, come nel perseguimento del superuomo di nietzschiana memoria, tuttavia è lo stesso Freud a sottolineare subito quanto possa risultare dolorosa la rinuncia a una credenza così consolidata. Fatico ad accettare in toto un tale postulato, ma escludo che la mia ritrosia sia d'ordine emotivo e la ritengo invece propria di un sano atteggiamento dubitativo. Invero dalla mia prospettiva atea non sarebbe per me gravoso accogliere l'idea di riassumere la vita nello scopo di morire, ma forse non ci riuscirei lo stesso in quanto mi sembrerebbe troppo bella perché fosse vera.
Alle luce di cotanta foschia il richiamo alla filosofia di Schopenhauer è un moto spontaneo a cui anche Freud fa cenno in un passo del suo scritto, precisamente quand'egli riporta le parole del filosofo tedesco sulla morte quale "vero e proprio risultato, e, come tale, scopo della vita".
Mi domando se Thanatos, la pulsione di morte, sia davvero latente in ognuno di noi, ovvero in ciò che Jung chiama inconscio collettivo; mi chiedo inoltre se i capitoli più neri della storia della civiltà, non ultimo quello odierno del fanatismo islamico, siano da attribuire alla manifestazione di questo principio che, in determinate circostanze e presso certi gruppi, non trova gli ostacoli del principio opposto, cioè di Eros, la pulsione di vita. Ecco dunque che dietro ogni massacro può essere scorto il tentativo di riportare tutta l'umanità a ciò che fu in principio poiché "gli esseri privi di vita sono esistiti prima di quelli viventi".
Sono un uomo, mi ritengo empatico in un giusto grado e mi limito al mero esercizio speculativo di considerare la violenza senza fine come una mera coazione a ripetere, ma non faccio mia una tale veduta poiché non ne avverto l'autenticità; d'altro canto penso che sia importante lo sforzo di sospendere talvolta ogni tipo di emotività, blanda o parossistica che sia, affinché la lucidità possa operare nelle migliori condizioni possibili come un chirurgo in un ambiente asettico.
Pubblicazione di Nuovo nichilismo solidale
Pubblicato venerdì 1 Luglio 2016 alle 23:59 da FrancescoA quattro anni dalla sua stesura ho deciso di rendere disponibile il mio ultimo libro in formato cartaceo e digitale. Non penso che nello spazio profondo o sul globo terracqueo qualcuno sia davvero interessato a ciò che scrivo, però ai miei occhi la mancanza di un qualsiasi seguito non toglie nulla al valore proprio della cosa: si tratta di aseità.
Mi preme ricordare come Nuovo nichilismo solidale fu scelto da una platea di cinquemila testi per concorrere in un talent letterario di dubbio gusto che andò in ondà su Rai Tre nell’anno di grazia duemilatredici; io stesso mi recai a Torino per prendere parte alla trasmissione e nonostante il consenso unanime dei tre giudici fui eliminato. Contro di me vinse una concorrente che manco poteva partecipare al concorso poiché aveva già all’attivo una pubblicazione e tale circostanza era espressamente vietata dal regolamento; regolamento al quale, come sovente capita nelle terre italiche, fu data scarsa importanza, tanto da sembrare quasi facoltativo.
Comunque poco male: pochi giorni dopo le registrazioni del programma partecipai alla cento chilometri delle Alpi e arrivai sesto, stabilendo il record personale di nove ore spaccate che non ho ancora battuto. Ah già, il mio cazzo di libro. Se qualcuno volesse azzardarsi a prenderne una copia a spese degli alberi può trovarlo qui; invece chi preferisse il formato digitale può trovare l’e-book su Amazon.
A differenze di molti altri io non sono un economista e non ho idea di cosa comporti realmente l'uscita della Gran Bretagna dall'Europa, ma sono contento che la vecchia Albione abbia votato in tal senso. Provo un moto di gioia e commozione ogni volta che un popolo ritrova l'amor patrio. Non so quali saranno le ripercussioni economiche sull'Italia, ma è nell'ordine delle cose che la storia condanni gli inetti e dunque mi preparo al peggio. Sulla stampa subodoro una faziosità che mi repelle anche quando sostiene idee simili alle mie, difatti sia in un senso che nell'esatto opposto mi annoia la pochezza con cui viene meno al suo compito precipuo, ovvero informare, ma può darsi che io veda del marcio dove invece c'è soltanto merda: non è cosa da escludere.
Il lento fluire degli eventi non lascia niente immutato e dubito che i confini attuali rimarranno gli stessi per sempre. Chissà tra alcuni secoli come cambieranno le carte geografiche e gli sguardi che i posteri vi poseranno sopra. La profonda incertezza del presente è essa stessa fondante d'ogni divenire che sia a portata d'uomo, ma è troppo breve l'esistenza media della mia specie affinché un singolo individuo possa apprezzare gli effetti sensibili di cambiamenti epocali; forse l'eccezione a quest'ipotetica regola può trovarsi in chi nasca e viva in una congiuntura talmente favorevole da permettergli di rendere una testimonianza diretta dei fatti suddetti.
La scorsa notte ho sognato di entrare in una specie di arena che aveva una pavimentazione a scacchi e là ero atteso da un leone. Il felino mi ha detto qualcosa che non ricordo e subito dopo ci siamo scontrati; io ho avuto la meglio, ma appena l'ho ucciso ho provato un senso di pietà.
Il leone rappresenta emozioni e sentimenti latenti che non trovano spazio nella mia realtà e di conseguenza ho ragione di credere che il mio scontro con l'animale in realtà sia uno scontro tra l'Io e l'inconscio. V'è un fil rouge che lega questo sogno ai precedenti, ovvero la solita solfa che mi vede inadempiente verso le istanze dei miei recessi più reconditi.
In altre parole l'inconscio tuona contro la mia pressoché totale assenza di affetti e io non nego quanto ciò sia vero, però allo stesso tempo non posso farci nulla e cerco quindi di condurre al meglio la mia esistenza. Suppongo che sogni del genere siano destinati ad accompagnarmi per lungo tempo, come uno di quei film natalizi che compaiono puntualmente in televisione.
A ritroso nella vita quotidiana (com’erano…)
Pubblicato domenica 19 Giugno 2016 alle 16:08 da FrancescoUna sera durante una ricerca su YouTube mi sono imbattuto nel filmato di una festa degli anni ottanta e ne ho persino guardato una buona parte con curiosità. Quelle immagini così remote mi hanno riportato ai tempi dell'infanzia, difatti raccontavano una quotidianità perduta.
Non sono un alfiere della nostalgia e provo una repulsione naturale verso chiunque idealizzi il passato senza addurre delle ragioni incontrovertibili a una simile canonizzazione, tuttavia devo ammettere che trovo interessanti le riprese amatoriali dei tempi che furono e vi ravviso un certo voyeurismo passatistico il quale, nel mio caso, è forse rafforzato dal desiderio di osservare con maggiore chiarezza un periodo di cui le mie percezioni, allora ancora acerbe, furono coeve.
Testimonianze del genere, custodite per lungo tempo in qualche VHS a sua volta custodita dalla polvere, sono preziose finestre su di un passato che sembra più lontano di quanto in effetti sia. Probabilmente un domani qualcuno guarderà con la mia stessa curiosità le innumerevoli riprese di cui oggi ogni smarthphone è prodigo, ma io credo che sussista una differenza sostanziale tra i filmati moderni e quelli delle scorse decadi, ovvero un carattere più peculiare dei secondi in ragione del minore ricorso che al tempo ne veniva fatto per i momenti di leggerezza.
Appena mi sono reso conto di ciò che potevo estrarre dagli archivi di YouTube, ho circoscritto le mie ricerche agli anni ottanta e in particolare alla seconda metà di questi. Ho visionato molteplici filmati e mi sono chiesto come poi si siano svolte le vite di alcune persone che vi comparivano. Davanti agli occhi mi sono ritrovato gli spaccati di un'Italia che sotto certi aspetti era diversa da oggi, in cui l'aggregazione pareva maggiore e il televisore ricopriva ancora un ruolo sacrale nel focolare domestico, ma per altri versi alcune cose sono rimase pressoché immutate.
L'assenza di mezzi per isolarsi forzava quell'interazione che ovviamente ancora sussiste, ma di cui oggi suppongo che ci sia una (a mio avviso salutare) maggiore frammentazione grazie alla tanto vituperata tecnologia contro cui talora sono mosse critiche da luddisti.
Mutatis mutandis, le impressioni che ho raccolto con la visione di un simile materiale mi hanno fatto pensare a un celebre lavoro documentaristico di Pier Paolo Passolini, cioè Comizi d'amore.
Per trovare i filmati di cui sopra sono ricorso a semplici chiavi di ricerca su YouTube, digitando un anno in cifre e poi una parola come "compleanno", "capodanno", "vacanza", "estate", "natale", “cenone” e così via; un esempio chiaro è "capodanno 1987".