10
Gen

L’arte d’invecchiare

Pubblicato martedì 10 Gennaio 2017 alle 05:56 da Francesco

Per me è ancora presto per affrontare l’idea d’invecchiare, difatti benché non sia giovanissimo sono ancora giovane, specie in un paese come l’Italia dove, malgrado tutto, l’aspettativa di vita è piuttosto lunga. Qualche volta capita che il mio sguardo noti in lontananza una figura solitaria, fragile, canuta e talora mi sembra che quella visione sia un annuncio del mio futuro.
Ci sono buone probabilità che io passi da solo la mia terza età, proprio come ho trascorso e sto trascorrendo da solo i miei anni migliori, perciò voglio invecchiare bene: anelo a che il mio vivere danzi con il tempo in un armonioso ballo di fine estate. So che posso farcela e mi serve soltanto un altro po’ di tempo per convincermene del tutto. Ovviamente tali parole dànno per scontato che io non muoia prematuramente, ma la realtà quotidiana e qualsiasi tipo di passato ricordano come un simile assunto possa rivelarsi un azzardo. Non demonizzo la società occidentale e vi vedo molto di buono, ma non nego che possa essere più facile affrontare già la sola idea della vecchiaia con un altro retroterra culturale. Nei confini del possibile ed entro i savi paletti della spontaneità, io cerco di trarre dallo scibile umano quanto può facilitarmi l’esistenza nei termini di una sua opportuna interpretazione. Talora non sono le cose in sé a cagionare un peso erculeo ed è invece la loro percezione che può gravare oltremodo l’individuo, perciò tento di non farmi ingannare da questo trucco di cui la mente si rivela al contempo tanto artefice quanto vittima.
Ho visto con i miei occhi e ho percepito con il mio essere, per così dire, persone di una certa età che in ogni movimento, in ogni parola, persino nelle sporadiche distrazioni, dimostravano quella che in certi contesti si chiama “presenza”. Forse per taluni un invecchiamento esemplare è un percorso naturale, mentre altri devono correggersi in corso d’opera per armonizzarsi col reale e, ammesso che tale semplificazione abbia fondamento, non so ancora dire a quale dei due filoni io appartenga: mi auguro soltanto che l’esito sia lo stesso.

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7
Gen

La mia top ten per il 2016

Pubblicato sabato 7 Gennaio 2017 alle 05:51 da Francesco

Nell’anno che è volto al termine ho riempito molti silenzi con della buona musica.
Di seguito riporto la mia volubile top ten.

1) James Senese – ‘O Sanghe – 2016

Ho ascoltato molto questo album di cui possiedo il vinile. Un groove continuo, avvolgente e coinvolgente, con stupendi testi in dialetto. Adoro smodatamente i Napoli Centrale, ma anche la carriera solista di Senese che per questo suo disco si è ritrovato con Franco Del Prete.
"Ch’ Jurnata" è il mio pezzo preferito, anzi, un vero e proprio manifesto.

2) Anderson / Stolt – Invention Of Knowledge – 2016

Due icone del progressive rock internazionale. Certe volte le vie di mezzo sembrano dei mesti compromessi, ma in questo caso ci si trova a metà strada tra gli Yes e The Flower Kings. Disco stupendo, onirico, etereo.  L’intro di "Chase And Harmony" è una delle cose più belle che abbia mai sentito e raggiunge il suo climax quando entra la voce di Anderson: quanta magnificenza.

3) Fates Warning – Theories Of Flight – 2016

Sono un ascoltatore dei Fates Warning dalla tarda adolescenza e ho apprezzato moltissimo il loro ultimo sforzo, una vera certezza nel panorama del progressive metal. La voce di Ray Alder e la chitarra di Jim Matheos mostrano ancora le loro peculiarità. Qui "Seven Stars" è la mia traccia prediletta.

4) Sam Dees – The Show Must Go On – 1975

Ho scoperto per caso questo disco e me ne sono innamorato perdutamente: si tratta di un album di soul, in senso letterale. È piuttosto difficile che un platter del genere riesca a catturarmi e a coinvolgermi emotivamente, ma in questo caso Sam Dees ci riesce già con la sola "Come Back Strong".

5) Bronson – Roma Tiger Punk – 2015

Apprezzo i Bronson dal loro primo album benché il loro genere non sia certo quello che prediligo. Privi di particolari virtuosismi, riescono comunque a creare un bel muro di suono su cui veicolano dei testi d’impegno sociale che riesco ad apprezzare senza imbarazzi. Pezzo preferito: "La Strada".

6) Metamorfosi – Purgatorio – 2016

Dopo quarantatré anni dal celebre "Inferno" i Metamorfosi sono riusciti a concludere la trilogia dantesca. Ebbi modo di ascoltare parte di questo disco prima della sua uscita: ciò avvenne in occasione di un raro concerto del gruppo in quel di Roma. Trovo che “Superbi” sia l’episodio più evocativo dell’album.

7) Fantan Mojah – Soul Rasta – 2016

Non sono un grande fruitore di reggae, ma lo apprezzo nella sua veste roots e il disco di Fantan Mojah mi ha trasmesso molta positività nel corso dell’anno, anzi, in alcuni casi è stato proprio un sostegno. "Rasta Got Soul" è il pezzo che mi prende di più.

8) Spettri – 2973 La Nemica Dei Ricordi – 2015

Un’altra bella freccia nel mai pago arco del progressive italiano. È un album magistrale che si lascia ascoltare senza soluzione di continuità dall’inizio alla fine. È un peccato che simili lavori non godano di una maggiore visibilità.

9) Pagan’s Mind – Enigmatic Calling – 2005

L’ennesimo disco che scopro con colpevole ritardo. "Enigmatic Calling" è un grandioso e riuscitissimo sforzo nel non facile campo del progressive metal. Stupendo.

10) Dark Funeral – Where Shadows Forever Reign – 2016

Malgrado il cambio di formazione i Dark Funeral si confermano una certezza granitica nel black metal e questo album ne è l’inconfutabile, oscura ed estrema prova.

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5
Gen

Intelligenza e solitudine

Pubblicato giovedì 5 Gennaio 2017 alle 11:47 da Francesco

Ho letto un articolo sull’edizione online del Daily Mail che riporta uno studio secondo il quale le persone intelligenti tendono a isolarsi. Tra le ipotesi addotte vi è quella per cui a una maggiore socialità corrisponda un minore appagamento della propria vita, però sembra che questo valga soltanto per quanti presentino un certo grado d’intelligenza e, difatti, lo stesso studio sostiene che la partecipazione sociale invece giovi agli individui con un’intelligenza media. Emerge inoltre come le aree più densamente popolate rivelino minori indici di soddisfazione esistenziale.
Trovo interessante l’idea secondo cui possa esserci un gap tra l’evoluzione del genere umano e l’attuale ritmo della vita, in totale contrasto con la cosiddetta teoria della savana, quella per la quale sono ancor oggi validi i criteri in base a cui i primi esseri umani si sentivano soddisfatti.  Non si tratta di uno studio superficiale, infatti è stato sottoposto a una revisione paritaria e ha ottenuto la pubblicazione sul British Journal of Psychology, ma da perfetto profano mi ha indotto a chiedermi come vada intesa l’intelligenza, inoltre mi sono venute in mente delle associazioni spontanee con certe forme di autismo ad alto funzionamento e con la sindrome di Asperger.
Non so se io rientri nel novero di coloro che hanno una spiccata intelligenza o se invece mi sia stato riservato un posto d’onore nel gotha della cretineria, ma, senza escludere una probabile e mediocre via di mezzo, posso testimoniare come abbia provato più volte dell’insofferenza a seguito di assidue frequentazioni; in casi del genere ho sempre percepito la mia presenza in mezzo agli altri come una perdita di tempo: non mi reputavo migliore ed era semplicemente il contesto che non mi apparteneva.
Una delle molteplici ragioni per le quali non ho mai avuto una ragazza è stata la mia incapacità di usarmi violenza per costringermi a stare in contesti a me alieni, ma ciò mi ha anche permesso di sviluppare una notevole vita interiore e un buon grado di introspezione mentre a taluni apparivo come un disadattato.
Il tempo mi ha dato ragione, però adesso mi occorre dell’altro tempo per capire cosa fare di quest’ultima.

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3
Gen

L’irresistibile attrazione della contrarietà

Pubblicato martedì 3 Gennaio 2017 alle 06:42 da Francesco

Navigo su Internet da due decadi esatte, infatti la mia prima connessione risale al terz’ultimo anno dello scorso secolo, perciò ne ho viste di cotte e di crude. In tutto questo tempo mi sono chiesto più volte come mai certuni avvertano l’irrefrenabile bisogno di perdere il loro tempo per cose verso cui millantano un presunto disprezzo, ma la ragione è banale proprio come la natura di simili soggetti e si annida in quel bisogno di reciprocità che è antico quanto l’uomo.
D’altro canto il disprezzo e l’indifferenza non indicano la stesso concetto benché talora possano trovare dei punti d’incontro, perciò l’accanimento contro qualcosa o qualcuno è il modo più facile in cui la summenzionata reciprocità possa concretizzarsi. Esistere per distruggere o dileggiare in quanto sono ostacolate o non altrettanto soddisfacenti altre forme di affermazione dell’Io come l’affetto, la solidarietà o l’amore, ancorché le une non escludano necessariamente la convivenza con le altre: ecco cosa sono certi individui, megalopoli bipolari, degne miniature microcosmiche di quelle che campeggiano sulle carte geografiche. Ovviamente certe nature non hanno a che fare con la densità di popolazione ed è normale che il prototipo in esame possa sbocciare anche in un paesello sperduto, avvolto dalla stessa indifferenza a cui il soggetto in questione non può ambire in quanto gli risulta fuori portata.
Nel corso del tempo io stesso ho avvertito la necessità di inveire gratuitamente contro certuni o di scagliarmi senza scrupoli verso qualcosa, ma sono sempre riuscito ad arrestare la mia idiozia prima che ne ponessi in essere le nefaste conseguenze. Quando io mi sono ritrovato in preda a una volontà così demenziale ho compreso come questa possa essere coercitiva e non conosca altro ostacolo all’infuori di una mente che, almeno in un certo grado, sia padrona di sé.
L’odio, il disprezzo, la rabbia e quanto di simile vi sia, non costituiscono altro che una forma di trofismo, né più né meno dei loro perfetti contrari, perciò è normale che alcuni aberrazioni (tali a giudizio della soggettività di turno) crescano in proporzione all’interesse avuto, a prescindere da quali sfumature assuma quest’interesse: d’altro canto un famoso adagio suggerisce che sia importante parlarne, non importa poi se bene o male.
Non nego che vi siano delle differenze in base ai giudizi di valore, ma queste si manifestano in un secondo tempo e talora, per certi scopi, si rivelano del tutto trascurabili. È alla luce di tutto questo che filtro i contenuti di cui fruisco, quindi non ho la benché minima scusa per scagliare il sasso e amputarmi la mano così da lanciare anch’essa. Faccio in modo che le puttanate (quelle che io reputo tali) non mi compaiano, perciò mi perdo gli illustri pensieri dei miei contatti virtuali, le dissertazioni di certi giornalisti, i filmati di tendenza su qualche famoso network e così via, ma campo bene e aumento a dismisura la qualità delle mie letture. Le mie precauzioni azzerano del tutto o quasi le interazioni virtuali, forse esse inducono a un solipsismo due punto zero, ma non mi sembra che si tratti di un grande prezzo da pagare, anzi, è equo: il nulla per il nulla.

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1
Gen

Fuori e dentro, dentro e fuori

Pubblicato domenica 1 Gennaio 2017 alle 05:48 da Francesco

Non ripongo troppe speranze nel nuovo anno, bensì preferisco stenderle sull’indeterminato filo di un tempo che non sia calendarizzato. Il discorso del presidente della Repubblica non è giunto alle mie orecchie e così posso concedergli il beneficio del dubbio, come un film che io non abbia visto o un libro al quale non mi sia dedicato con un’attenta lettura. Invece dei buoni propositi di qualcuno, ho appreso via etere quanto si siano confermate rapidamente le cattive intenzioni del terrorismo islamico. Nelle calze di certuni invece del carbone la befana dovrebbe mettere un po’ di amianto, però sono sicuro che altri invece dei dolciumi vorrebbero del plutonio. Ho ragione di credere che in Siria i botti non siano stati vietati benché attualmente viga una fragile tregua e la fine dell’anno non corrisponda alla fine della guerra civile.
Mi chiedo ogni inizio quale conclusione presupponga, tuttavia sono consapevole di come spesso la risposta giunga soltanto in itinere e dunque non mi resta che vivere. Mi sforzo di fare del mio meglio con le possibilità che mi si presentano, ma talora le assenze ingiustificate di qualsivoglia occasione mi costringono a fare di necessità virtù, ovvero a raffinare il nulla con la fantasia.
Cerco in tutti i modi di non sprecare il mio tempo libero ancorché io non sia mai libero dal tempo e mi senta ancora in lizza per un posto al sole. Non devo raggiungere un obiettivo particolare e non ho bisogno di realizzarmi agli occhi altrui, però avverto l’urgenza d’infondere una rinnovata quiete alle mie azioni quotidiane. Sono di nuovo in cerca di una tranquillità perduta che in realtà s’è persa da sé perché non è bastata a se stessa. Io mi voglio bene, dal profondo dell’anima, posto che quest’ultima esista o significhi davvero qualcosa.

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28
Dic

Del morire

Pubblicato mercoledì 28 Dicembre 2016 alle 18:59 da Francesco

Mi sorprendo di fronte a quanti si sorprendano per la sorpresa di una morte sorprendente, ma il mio è un atteggiamento di tenero disincanto. Forse i decessi illustri ricordano più di altri come ognuno di noi sia anzitutto la propria finitezza. Mi domando se per qualcuno sussista davvero la piena illusione che l’opera sua possa garantirgli una vita dopo la morte, come se per i meriti del suo percorso terrestre ambisse poi da salma a chiedere asilo presso gli altrui ricordi.
Salvo rare eccezioni, la quasi totalità degli esseri umani è destinata alla completa dimenticanza in capo a qualche generazione, ma talora ciò avviene già dalla nascita stessa e molti orfani lo potrebbero confermare se solo qualcuno si ricordasse di loro.
Non ho nulla contro qualsiasi tipo di commemorazione dei defunti, ma per me il due novembre è, appunto, il due novembre; semplicemente mi annoiano certe celebrazioni e io stesso mi auguro di non esserne mai oggetto, benché, invero, il rischio nel mio caso sia pressoché nullo.
Preferirei essere apprezzato da vivo piuttosto che da morto, ancorché io preferirei non essere e basta. Nel caso di una mia morte prematura ho lasciato precise disposizioni, tuttavia so già che queste sarebbero prontamente disattese. Se crepassi relativamente presto vorrei tanto che il mio corpo fosse gettato in mezzo a un campo incolto, cosicché i vermi possano banchettarvi in tutta comodità. Dunque per la mia carne non vorrei né sepoltura né cremazione, ma soltanto l’abbandono alla terra: è questa un’immagine che nella mia mente chiude un cerchio e assume tinte di titanismo romantico. Insomma, una volta decaduto, che l’ex impero dei sensi sia scisso tra i suoi atomi d’idrogeno, azoto, ossigeno, carbonio, in una spartizione simile a quella che era in uso tra i figli dei re Franchi. Sono venuto per poco e, nessuno me ne voglia (circostanza di cui non dubito), spero di non tornare troppo presto su questo pianeta.

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20
Dic

Luminarie e terroristi

Pubblicato martedì 20 Dicembre 2016 alle 19:53 da Francesco

Non sono sorpreso da quanto è caduto ieri sera a Berlino e credo che gli attentati stessi siano ormai entrati di diritto (internazionale?) nell’ordine delle cose occidentali. Ho invece percepito un taglio quasi cinematografico nel suggestivo filmato che ha esibito l’uccisione dell’ambasciatore russo ad Ankara, tuttavia non ricordavo che Gravilo Princip fosse così elegante.
Gli inevitabili cambiamenti del mondo, le tensioni mai sopite in Medio Oriente e il pericolosissimo terzomondismo di certi politici europei stanno alimentando un dialogo babelico, difatti oltre alla lotta intestina dell’Islam, che si sovrappone alla guerra civile in Siria, vi sono pure, benché meno cruente, guerre tra poveri in quelle periferie che tanto agognano i migranti con le loro illusioni.
Considero quest’epoca un’ennesima fase di conflitti apparentemente insanabili, ma credo che come di consueto soltanto il tempo abbia la facoltà (ancorché invero gli è inevitabile per sua stessa natura) di dirimere le faccende terrestri; suppongo che storicamente non esistano dei problemi, tutt’al più cronologie, ma umanamente la tragedia è quotidiana.
Non mi meraviglio che déstino più stupore dodici morti in Germania di tutti i civili trucidati senza pietà in quel carnaio di Aleppo, anzi trovo normale una simile veduta e non azzardo una tale affermazione per incasellarla nel bene o nel male. Ogni vita ha lo stesso valore, però v’è anche un altro indice ed è quello che è stabilito dai singoli, o da un intero popolo qualora questo venga inteso come una singola massa: tale valore soggettivo dipende, appunto, dal soggetto. Non è possibile obbligare chiunque a convincersi che la morte di un suo caro, o anche solo di un suo connazionale, debba suscitargli lo stesso sgomento del decesso di un individuo per il quale egli non prova alcuna vicinanza culturale, geografica o d’altro genere: un simile ragionamento non è appannaggio di un parte del mondo, ma , con tutte le sfumature empatiche di cui rendere conto all’ampia gamma dei caratteri umani, appartiene a moltitudini di individui e ho ragione di ritenere che l’uguaglianza più profonda del genere umano si manifesti proprio in ciò.
Per quanto mi riguarda vorrei che i confini fossero definiti e difesi, mi piacerebbe assistere a una stretta sui flussi migratori e gradirei oltremodo che le nazioni sapessero mantenere le proprie identità, ma la storia va da sé e non concede favoritismi a chi non sappia strappargliene.

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18
Dic

Una nuova introversione

Pubblicato domenica 18 Dicembre 2016 alle 19:49 da Francesco

Il calendario gregoriano è sul punto d’indicare un nuovo anno, però è come se il passaggio del tempo non tangesse certe cose. Negli ultimi dodici mesi ho cercato di coltivare un legame che è morto ancor prima di nascere e ho provato ad agevolare delle collaborazioni di cui il nulla si è rivelato la massima espressione. È come se mi fossi votato alla vana ricerca di punti vitali in un tessuto necrotico. Non voglio lasciare intendere che io abbia perso del tempo, anzi, tali tentativi erano necessari proprio perché mi diagnosticassero la totale incapacità di instaurare sinergie di qualsiasi tipo. Vivo in una realtà piuttosto ristretta e non posso pretendere poi molto, però non mi dispiace questa dimensione perché ha molti pregi e di conseguenza lascio ad altri le grandi, molteplici e alienanti possibilità metropolitane: sono scelte.
Per me è giunto il momento di una nuova introversione, ma so che anch’essa prima o poi finirà il suo ciclo. Di fatto sono sempre stato solo, ma ho vissuto i miei momenti migliori ogniqualvolta io mi sia sentito tutt’uno con un isolamento proficuo: tale beata condizione non si può manifestare per me qualora io mi riveli aperto al mondo, fosse anche solo come mera disposizione d’animo. Come tanti, anche a me non è dato sapere quanto mi resti da vivere, perciò voglio utilizzare nel migliore dei modi il tempo che mi rimane da spendere su questo pianeta. Avrei voluto che certe dinamiche si fossero dipanate diversamente, però credo che il bello della vita risieda proprio in questi suoi rigurgiti anarchici. Ho molte cose da imparare, molte altre da esperire sul tappeto della mia stanza e qualcuna da cui farmi sorprendere. Non mi chiudo in me stesso come forma di difesa, e questo è attestato da come io più volte abbia offerto il petto alle lance di turno, difatti non sono un riccio né un malato di Asperger, Ecce Homo tutt’al più, ma la solitudine si dimostra il mio humus ideale. Non oso immaginare quali rimostranze oniriche mi volgerà l’inconscio, perciò mi limiterò a sognarle e, con gli sporadici aiuti della memoria, a scriverne.

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15
Dic

Archivio onirico: sogno n° 28

Pubblicato giovedì 15 Dicembre 2016 alle 14:41 da Francesco

Qualche giorno fa ho sognato di correre una maratona, però finivo sempre per perdermi e non c’era nessuno che m’indicasse la strada da seguire. Provavo una profonda frustrazione e in più ero preoccupato perché sapevo che ogni contrattempo mi rubava dei minuti importanti.

Questo breve sogno è talmente esplicito che forse non abbisogna di alcuna spiegazione, però credo che talora anche alle ovvietà possano spettare delle opportune sottolineature.
La maratona è la vita, e corro l’una così come vivo l’altra, però mi sento perso perché non ho un legame forte e questa assenza è comprovata nel sogno dalla difficoltà che incontro a reperire le informazioni sulla strada da seguire. Non c’è nessuno che sappia indicarmi dove andare, o che pronunci anche solo un suggerimento: parimenti non ho altra voce amica che non sia la mia e se mi trovassi in un quiz televisivo dovrei farmi ubiquo per chiedere l’aiuto da casa.
Ravviso tuttavia un aspetto meno scontato in questo sogno poiché esso non finisce con una resa, inoltre la maratona rappresenta lo sforzo di andare avanti che interpreto come tendenza evolutiva, o, per usare termini junghiani, come il perseguimento del processo di individuazione. Insomma, l’inconscio non mi sta comunicando nulla di nuovo, però ciclicamente si scomoda per bacchettarmi in merito alla mia desertificazione sentimentale. It happens.

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9
Dic

Essere e tempo di Martin Heidegger

Pubblicato venerdì 9 Dicembre 2016 alle 13:23 da Francesco

Mi è occorso circa un mese per leggere e studiare “Essere e tempo” di Martin Heidegger, testo da cui mi ero ritratto qualche anno fa dopo lo sciagurato incontro con l’edizione di Mondadori, tuttavia ho optato per un suo secondo approccio quando, in quel di Torino, mi è capitata fra le mani la nuova edizione di Longanesi che si basa sulla storica traduzione di Pietro Chiodi.
Non che prima l’esistenzialismo o i concetti della filosofia di Heidegger mi fossero estranei, però ne lamentavo una visione d’insieme che fosse più organica. Un testo di questa portata richiede anzitutto una minima padronanza delle espressioni che sono state coniate all’uopo, talora ex novo da Heidegger stesso, nonché di quei termini ai quali egli dà accezioni diverse da quelle che sono invalse: ovviamente tutto ciò con lo scopo di superare i limiti linguistici.
“Gettatezza”, “intratemporalità”, “essere-nel-mondo”, “deizione”, “poter-essere”, “essere-per-la-morte” e il resto del vasto armamentario polisemantico che un’ardua ma efficace traduzione ha comunque reso accessibile anche a chi, come il sottoscritto, non conosce il tedesco. V’è un’intricata rete di rimandi che rende tutt’altro che facile l’assimilazione di quest’impianto filosofico, ma d’altronde non può essere altrimenti ed è come se questa stessa difficoltà ne fosse una parte costituente. Per quanto ostica, la lettura di “Essere e tempo” mi ha mostrato tutta la sua imponenza, però non si presta a quella dissezione aforistica che rende fruibili altri pensatori, ancorché al costo del loro pensiero. Pare che Nietzsche filosofasse con il martello, invece Heidegger, a mio avviso, lo fa con lo stesso trasporto con il quale un anatomopatologo redige un referto, ma proprio le analisi asettiche e lo stile didascalico del secondo mi catturano più delle evocazioni letterarie del primo. È pure vero che l’ontologia ha per sua natura un tratto che non agevola un certo tipo di digressioni, ma anch’essa può avere i suoi momenti di prosa.
Nel concetto di “essere-per-la-morte” ho rinvenuto una vaga affinità con un’idea che da tempo albergava in me, sebbene io vi sia giunto per altre vie e ne abbia raccolto solo una forma grezza. Di primo acchito il postulato della “deiezione” assomiglia a una delle tante critiche che taluni, a torto o a ragione, muovono puntualmente verso il cosiddetto volgo, però non è tale perché si trova su un piano diverso da quello in cui abitualmente scivola l’alterigia in materia di società. Uno dei cardini di “Essere e tempo” risiede nel concetto di Cura e nella sua immediata suddivisione tra prendersi-cura degli enti e l’aver-cura degli altri, anche se a me questa pare che sia una pietra angolare solo perché dev’esserlo per forza di cose: e per cose non intendo semplici-presenze. Ammesso che il punto di partenza sia l’Esserci nelle sue modalità di essere, ovvero autentica o inautentica a seconda che la chiamata della coscienza sia accolta o meno, uno dei punti di arrivo (seguendo l’ordine dell’esposizione) non può che essere la temporalità da cui deriva il concetto ordinario di tempo; è a tal proposito che verso la fine del libro ho letto un passaggio per me fondamentale: “Il prendersi cura quotidiano trova il tempo presso l’ente intramondano che incontra”.
In quanto ho appena scritto si staglia la tirannia del Si impersonale, però è improprio qualsiasi parallelismo con quel vago desiderio di affrancamento da uno stato non meglio precisato che si riscontra altrove, difatti Heidegger si astiene da giudizi di valore, o almeno io non ne ho colti.
Non si possono riassumere cinquecento pagine di una simile portata in poche righe dall’incerta successione, tuttavia ne bastano anche di meno per incensare un testo capitale nella filosofia del novecento e di cui ancor oggi si sente la forte eco. Non m’illudo certo che io abbia fatto del tutto mia quest’opera, per altro incompleta e gravata dal peso dei miei numerosi post-it, ma ne ho ricavato abbastanza per compiere un ulteriore balzo esistenzialistico verso Sartre.

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