Pubblicato mercoledì 12 Luglio 2017 alle 01:15 da
Francesco
In quest’afoso luglio, per il cui prosieguo mi attendo un po’ di clemenza dal maestrale, ho preso parte a due gare della Tuscia. Anzitutto il primo luglio sono tornato a Bolsena per la decima edizione della locale maratonina, una gara di nove chilometri che si snoda prima in pianura, poi presenta una salita e infine una discesa: il fondo è prevalentemente di asfalto e soltanto certi punti sono sterrati. Sono arrivato settimo su 225 atleti e ho sfiorato la vittoria di categoria, ma non sono riuscito a tenere il cambio di passo di colui che alla fine mi ha dato cinque secondi.
Mi sono divertito e ho respirato una bella atmosfera come già mi accadde la prima volta, però il mio GPS mi ha dato una distanza complessiva di 9,05km, oltre mezzo chilometro in meno della distanza dichiarata dall’organizzazione.
L’otto luglio sono tornato nella Tuscia per partecipare alla prima edizione della Corri Orte.
Il percorso di questa gara era stato pubblicizzato come interamente pianeggiante e non so se a rigor di misurazione lo sia davvero, almeno sulla carta, però la partenza è stata in lieve discesa, poi ci sono stati un po’ di pianura e di falsopiano sino a una piccola salita su sterrato alla cui fine è comparsa una discesa di asfalto; infine il traguardo in pianura è stato preceduto da un breve strappo: questo giro è stato ripetuto due volte per una distanza finale di nove chilometri.
Credo che una descrizione meno formale e più efficace di un percorso simile si riassuma con l’aggettivo “ondulato”.
Altimetria a parte, mi sono divertito e mi sarei iscritto comunque a questa prima edizione anche se avessi avuto una più fedele descrizione del tracciato. Ho tagliato il traguardo come nono assoluto su 275 partecipanti, ma non sono riuscito a vincere la categoria e difatti in quest’ultima mi sono classificato secondo. Alla manifestazione ha preso parte anche il leggendario Giorgio Calcaterra con il quale ho avuto modo di scambiare qualche parola.
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Pubblicato domenica 9 Luglio 2017 alle 00:31 da
Francesco
Sto vivendo una piacevole estate e in parte ne sono sorpreso poiché qualche mese fa, in primavera, per me non si profilava una stagione particolarmente rosea. Adesso mi sento equidistante da tutto e talvolta mi pare che io abbia trovato l’orbita ideale attorno a un pianeta desolato.
Riconosco dentro me una forma di serena accettazione per l’impossibilità di certe dinamiche, come se avessi firmato una resa e non mi fossi neanche tenuto la penna per dispetto, ma in realtà tutto ciò è avvenuto in maniera spontanea e d’altro canto dubito che avrebbe sortito gli stessi effetti se fosse successo in maniera diversa. Il tempo ha una grande pazienza ed è per questa ragione che risolve tutte le questioni umane, ma la sua efficacia richiede se stesso: ergo, tempo al tempo.
Mi chiedo quali turbolenze mi aspettino in avvenire, quali campi gravitazionali rischino di modificare il mio moto attuale e quanto acume mi sia dato di stipare negli interstizi sinaptici, ma non temo il futuro e conto d'affrontarlo coi simpatici presenti di cui l’esperienza mi ha fatto dono. Alla mia età Cristo fu messo in croce e Alessandro Magno morì a Babilonia dopo una spedizione nella valle dell’Indo, tuttavia io non sono chiamato a grandi imprese e non rischio di finire sui libri di storia. Talora sono pervaso dalla sensazione che la mia percezione del tempo sia rallentata, come se fossi in grado di apprezzare o anche solo di assistere più attentamente alla successione degli istanti, però tale impressione non mi è inedita e già in passato ho vissuto periodi di analoga lucidità.
C’è un vuoto al mio interno, ma io lo considero alla stregua di un buco nero che si trovi al centro di una galassia e quindi non vivo male la sua presenza: esso è parte del mio microcosmo. Ogni tanto mi chiedo come siano certe sensazioni e in particolare quelle che derivino da un’intima complicità, ma al contempo io detengo il sapere di una solitudine positiva che forse ad altri è del tutto ignota. Mi ritengo fortunato, mi sento forte e attualmente anche in piena forma, perciò non v’è nulla di cui mi possa lamentare per quanto concerne la mia esistenza sotto l’aspetto individuale; se invece dovessi esprimermi sugli eventi che mi circondano allora sarei prodigo d’immancabili strali.
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Pubblicato venerdì 30 Giugno 2017 alle 00:51 da
Francesco
Dopo la lettura de Il Kybalion mi ero ripromesso di andare a ritroso nella letteratura ermetica, perciò ho scelto di recuperare il Corpus hermeticum di Ermete Trismegisto, o meglio, dei vari autori che in tempi diversi hanno partecipato a questa silloge.
Non è stata una lettura sorprendente poiché dei molteplici concetti ivi presenti avevo già recepito gli echi negli scritti di Jung e in altre opere dal tenore vagamente esoterico.
Di questo testo sapienzale ho vergato a mano solo uno sparuto numero di appunti sul mio pregiato quaderno, perciò ne allego qui ancor meno e di più sintetici a mio uso e consumo.
Primo: l’uomo terreno è un dio mortale, il dio celeste è un uomo immortale. Il possesso del Logos può consentire a certi uomini di subire il destino in modo diverso rispetto ad altri: su questo punto, con un salto d’oltre mille anni, mi vengono in mente delle analogie con l’amor fati di Nietzsche. Nei vari trattati v’è poi la presenza a più riprese di una cosmologia emanatistica che rimanda al neoplatonismo (o viceversa? Misteri della datazione).
“La verità rivelata non può essere divulgata senza che venga automaticamente screditata e calunniata”: non ricordo se abbia sintetizzato questo concetto o se sia proprio un virgolettato, ma si tratta di un monito ricorrente e spesso sotteso a più insegnamenti.
Infine: la preminenza del Nous nel contatto divino e quindi la superiorità dell’intelletto sull’anima la quale, invece, svolge un ruolo di intermediaria ed è suscettibile alle passioni poiché si ritrova circondata dal corpo.
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Il libro di Orna Donath è un saggio di sociologia su un tabù che forse è più sentito nella società israeliana (sulla quale è imperniato l’approccio) che in quella italiana, ossia il pentimento di alcune donne per le loro maternità.
Non si tratta di un’analisi viziata da un femminismo fuori tempo massimo benché a mio parere un po’ ve ne sia (cum grano salis).
Il rimpianto materno non si traduce necessariamente in un desiderio infanticida e anzi, a volte presta il fianco al paradosso per cui certe madri amano i propri figli ma al contempo vorrebbero che essi non fossero mai venuti al mondo. Mi sembra del tutto demenziale l’idea che ogni donna sia più o meno predisposta al ruolo di madre e abbia addirittura in sé questa vocazione, perciò non mi sorprende che vada per la maggiore in certe tradizioni millenarie.
Cosa non si fa per la specie.
Indagare le ragioni prime di alcuni concepimenti è un po’ come mettere il dito nella piaga mentre l’altra mano scoperchia il vaso di Pandora, ma d’altro canto l’ammissione di un errore tanto grave è difficile.
Le madri che si sono prestate allo studio (sotto una falsa identità) appartengono a fasce d’età e contesti diversi, a riprova di come talora la ritrosia (quando non la repulsione) per tale figura non sia una questione squisitamente economica, lavorativa o affettiva.
Tra le molteplici testimonianze ve ne sono alcune piuttosto caustiche che mi hanno persino fatto ridere di gusto.
Io stesso ho chiesto conto alla mia genitrice di un suo eventuale pentimento per la mia procreazione e lei ha risposto negativamente, ma chissà se altrettanto sinceramente.
Non avrei appreso a malincuore il possibile rimpianto di mia madre per la mia nascita, difatti sono un cultore dell’aseità e credo che il vero banco di prova dei rapporti umani si svolga nel regno dei legami non consanguinei (o laddove la consanguineità risulti ignota), ma questo è un altro discorso.
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Pubblicato giovedì 22 Giugno 2017 alle 01:18 da
Francesco
Lo scorso sabato in quel di San Casciano Dei Bagni ho vinto in 1h09’22” la prima edizione di un piccolo e incantevole trail da 15,5 chilometri, ovvero il Trail2Valli. Alla partenza ho cercato qualcuno che mi aiutasse a dettare il ritmo, ma ho valutato le andature altrui troppo caute e così mi sono portato subito alla testa della gara con un passo piuttosto forte per le mie possibilità.
Non avevo il GPS e ho impostato l’andatura in base alle mie sensazioni, ma d’altro canto su gare del genere il ritmo viene continuamente spezzato dai frequenti saliscendi e almeno per me in tali contesti l’orologio può essere più un freno psicologico che un aiuto. Ho voltato più volte la testa per controllare eventuali inseguitori, il classico errore di Orfeo con Euridice.
Fino a cinquecento metri dal traguardo ho pensato che avessi maturato un vantaggio considerevole, ma poco dopo ho visto spuntare dietro di me il secondo e ho interpretato la sua apparizione alla stregua di un attacco, perciò ho accennato la volata finale per stare tranquillo e il cambio di passo mi è riuscito piuttosto bene.
Tra i cinquantaquattro presenti mancavano i top runner, ma per ogni gara vale sempre la solita regola: chi c’è, c’è. Non mi è piaciuto l’inedito ruolo di battistrada, troppo stressante, ma di sicuro mi ha aiutato a spingere al massimo e infatti ho avvertito gli effetti dell’acido lattico per due giorni di seguito come non mi accadeva da tempo.
Ho partecipato a questo trail per fare un test con cui valutare il mio stato di forma, difatti sulla scorta di nuove convinzioni ho cambiato il mio allenamento negli ultimi quarantacinque giorni e ho privilegiato maggiormente il fondo lento. Oltre a quest’ultimo test agonistico ne avevo fatto un altro su uno dei miei percorsi di riferimento e già là mi ero reso conto dei progressi.
Non conosco l’autore della foto.
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Pubblicato domenica 11 Giugno 2017 alle 02:05 da
Francesco
In quarantuno giorni ho macinato all’incirca 530 chilometri e nell’ultima settimana ho cominciato a raccogliere i frutti dei miei sforzi. Venerdì ho ottenuto un record personale in allenamento riuscendo a completare il giro della laguna di levante (18,6 chilometri) con una velocità media di 3’49” al chilometro: ho tolto un minuto e sedici secondi al mio primato precedente che risaliva a ottobre dello scorso anno. Mi sento in grande forma e aspetto l’autunno per mettermi alla prova sulla distanza regina, ma ho anche intenzione di partecipare a qualche gara breve durante l’estate. Quest’inverno non ho corso molto nonostante sia riuscito comunque a chiudere la maratona di Ferrara sotto le tre ore: la voglia era poca e ero disturbato da forze contrarie di cui ho già dato conto su queste mie pagine virtuali. Adesso le carte in tavola sono cambiate.
In me si è riacceso un fuoco sacro e voglio custodirne le fiamme come se fossero mie figlie, perciò intendo proseguire sulla (lunga) strada che ho fatto finora. Ho ritrovato dentro di me qualcosa che avevo perso di vista col terzo occhio. Può darsi che in futuro io incorra in nuove incertezze, ma sono anche consapevole di come ogni volta la durata della loro efficacia si riduca sempre di più.
Insguirò certi obiettivi agonistici, tuttavia anche se non dovessi riuscire nelle mie imprese potrò comunque considerarmi soddisfatto. In quanto dilettante sono contento dei risultati che ho raccolto fino a oggi e quindi posso instillare nelle mie ambizioni una certa tranquillità mentale: non c’è circostanza migliore per me! Mentirei se negassi come all’inizio della mia avventura agonistica io avvertissi la necessità di dimostrare a me stesso la capacità di realizzare certi tempi, ma ora che questi sono già miei la spinta verso nuovi orizzonti non può che provenire da un’altra fonte e io sito questa nella mia voglia di divertirmi sull’asfalto.
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Pubblicato martedì 6 Giugno 2017 alle 23:45 da
Francesco
Adesso ho l’età di Cristo quando fu messo in croce, ma io non ambisco a riscattare l’uomo dai suoi peccati, infatti mi basta seguir virtute e canoscenza.
Ho festeggiato il mio compleanno con un intenso allenamento di diciannove chilometri e per cena mi sono preparato dei maccheroni di kamut con pomodoro e pezzi di branzino, inoltre ho invitato Jon Anderson a cantare tramite il mio giradischi tutto il suo “In The City Of Angels”.
Vivo in un’epoca di cambiamenti, come d’altro canto lo sono tutte e la condanna del presente è di essere sempre un’era premoderna rispetto a quella che verrà. Non me ne frega niente della mia età anagrafica e ammetto come il trascorrere del tempo mi faccia sentire sempre meno il peso di certe dinamiche, però con altrettanta sincerità non nascondo come talora il futuro sia per me fonte di piccoli timori a cui forse concedo più importanza di quanta in effetti abbiano.
Alla mia età Alessandro Magno concluse la sua esistenza in quel di Babilonia e consegnò alla storia le sue grandi imprese, io invece non ho raggiunto dei traguardi che siano degni di nota e dunque mi accontento di respingere le molteplici istanze di cui l’impero dei sensi si fa latore.
Assisto in differita allo scontro di civiltà che a giorni alterni avviene con assalti all’arma bianca o per mezzo di ordigni rudimentali, tuttavia il vero interesse che io nutro verso questi fatti è nell’implicito monito sulla precarietà dell’esistenza di cui sono indefessi diffusori.
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Pubblicato giovedì 1 Giugno 2017 alle 02:58 da
Francesco
Nel mese di maggio ho corso 429 chilometri e ieri pomeriggio ho macinato gli ultimi venticinque, di cui dodici e mezzo in salita e altrettanti in discesa. Mi sento in forma e oltre a un’ottima condizione fisica verso anche in un ottimo stato mentale. È come se con la corsa mi fossi messo alle spalle per l’ennesima volta certi tumulti interiori, ma credo che anche la definitiva rottura di sciocche attese abbia favorito il mio affrancamento da una stasi inconcludente e ingiustificata.
Non ho tempo di aspettare qualcuno e anche se l’avessi non lo farei. Ognuno procede al proprio passo e si dirige dove vuole o laddove le circostanze abbiano deciso di trascinarlo, però nei deserti non ci sono soltanto carovane e talora le dune diventano le sabbiose testimoni di viaggiatori solitari. Per me è fondamentale l’accettazione del vuoto di cui la mia realtà è permeata e non devo mai darla per scontata, sennò rischio che qualche spiacevole monito me la rammenti con dei grossi dispendi di energie e tempo. Mi sento davvero me stesso allorquando il mio corpo e la mia mente mi trasmettano segnali di una ritrovata centratura nell’esistenza di cui sono artefice: quello attuale è uno di quei momenti. È incredibile di quali ribaltamenti sia capace la macchina umana, sia in un senso che in quello diametralmente opposto. Ammiro chiunque abbia contezza del proprio potenziale e sia in grado di asservirlo alla causa suprema, ossia la sua. Non pretendo una piena indipendenza dagli eventi, ma voglio arginare sempre di più l’influenza che esercitano su di me.
Mi dedico le parole più sentite e spontanee di cui anche questa notte si fa corvina suggeritrice: non mi serve altro per il momento. Ci sono spazi interiori che mi sono ignoti, paradisi inesplorati che mi porto dentro e di cui forse non sospetto manco l’esistenza, ma non mi limito a ipotizzarne la realtà come in un accesso di vacuo ottimismo e devo invece votarmi alla loro ricerca senza subire troppe distrazioni dalle innumerevoli inezie di cui ogni giornata è prodiga.
Sono di nuovo in una situazione tanto vantaggiosa quanto inaspettata per proseguire su certe linee evolutive, perciò non devo perdere quest’occasione. Nelle circostanze avverse temo sempre che mi occorra più tempo del necessario per superarle, ma tale sopravvalutazione è dettata spesso da un mio eccesso di prudenza.
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Pubblicato mercoledì 31 Maggio 2017 alle 03:39 da
Francesco
In questa notte di fine maggio mi fa compagnia la voce di David Byron su un grande disco degli Uriah Heep, ma io nelle tenebre non mi rivolgo né a demoni né a maghi.
Il silenzio cittadino è pressoché assoluto e in un tale stato di cose la coscienza dispone di un’ottima acustica per eseguire le proprie orchestrazioni. Non so dove mi stia portando il tempo e non vedo individui affidabili a cui chiedere indicazioni. Davanti a me scorgo soltanto orizzonti distratti che non si presentano come tali e alle mie spalle posso osservare dei lontani fantasmi che gesticolano in una maniera del tutto incomprensibile. Non capisco a cosa serva la mia lingua madre e mi chiedo se la Torre di Babele sia davvero servita a creare confusione tra i popoli o se invece sia stato un favore celeste per accontentare qualche palazzinaro. Non mi aspetto nulla dal futuro perché in passato ho fatto lo stesso e il presente che ne è seguito mi ha confermato la bontà del mio atteggiamento.
In ossequio alla verità devo ammettere che ogni tanto qualche speranza mi è caduta su terreni del tutto aridi, ma ovviamente non ne è nato nulla e così mi sono risparmiato la fatica di raccogliere ciò che avevo seminato, ossia una casuale vacuità di aneliti umani.
Mi piace l’insindacabilità di cui godono i verdetti del tempo: j’adore! Talora prendo posizione su certe faccende perché non voglio illudermi che l’indifferenza basti per fruire di una piena esenzione da tutto quello che mi succede attorno: preferisco un punto di vista a un miraggio.
Sono occupato a vivere quando non penso a ciò che vivere significhi e oggi come in passato mi va di trarre il meglio dal mio tempo, ma a volte ci sono dei momenti in cui desisto da questo proposito perché anche il disfattismo deve avere una sua piccola valvola di sfogo. Non condivido niente con nessuno, però sono atteso da tanti bei momenti che affondano le proprie radici in altrettante perle del passato, ancora rilucenti e candide nella stessa solipsistica essenza di sempre, da sempre.
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Pubblicato venerdì 26 Maggio 2017 alle 20:48 da
Francesco
Tra il furore della guerra asimmetrica, le prospettive di una tassazione sempre più vessatoria e qualche altra spada di Damocle, a me non resta che aggiungere ulteriori piani alla mia torre d’avorio: gradirei oltremodo anche una campana di vetro (antiproiettile), fossati, muri con il filo spinato, cecchini, cani molecolari, uno scudo antimissile e un satellite spia.
Domenica sono andato a Roma per la fiera del disco e ho passato mezza giornata a cercare dei capolavori (o quasi) da portarmi a casa per un prezzo equo: insomma, il cosiddetto diggin’.
Per me il vinile non è un capriccio vintage né un semplice feticcio, bensì fa parte di un preciso rito di ascolto che ripeto quasi quotidianamente. Non sono un purista. Fruisco di musica liquida dalla fine dello scorso millennio, infatti ho vissuto tutti i due anni di Napster e il resto del peer-to-peer.
Ho avuto il mio primo lettore mp3 nel 2004, tredici anni fa, e per riempirlo mi sembrava che ogni volta dovessi dichiarare quali dischi mi sarei portato su un’isola deserta, infatti aveva 256 Megabyte di memoria (invero un po’ meno perché una parte era appannaggio del filesystem).
Ho imparato parecchio da certi personaggi delle fiere e alcune cose sono felice di averle apprese da loro invece che dalle mie pur numerose quanto asettiche ricerche su Internet.
Non di rado per trovare dei dischi di mio gradimento me ne devo sorbire parecchi che mi fanno cagare a spruzzo, però ogni volta che ne scopro uno buono il mio investimento di tempo è ampiamente ripagato. Queste le fonti a cui mi abbevero: le web radio, i continui salti di video in video con l’algoritmo dei suggerimenti di YouTube, il lurking di certi forum, qualche rivista e i consigli dei decani di cui sopra. Nei mercatini e alle fiere non cerco per forza tesori nascosti, ma talora mi piace prendere qualche classico che mi manca in trentatré giri.
In questa tornata sono incorso in una sorta di svendita, quindi ho avuto modo di rimediare ben sette vinili a poco più di sette euro l’uno.
L’occhio cade dove Miroslav Vitous non duole. Ho vari CD dei Weather Report e il mio preferito è “Black Market”, però di loro bramavo almeno un vinile e ho scelto “I Sing The Body Electric” poiché lo avevo soltanto in mp3.
Il primo degli It’s A Beautiful Day contiene “Bombay Calling”, un pezzo che sentii per la prima volta alle Hawaii mentre guidavo alle pendici del Mauna Kea: all’inizio pensai che fosse “Child In Time”, poi scoprii che i Deep Purple si erano “ispirati” a quella traccia per la loro hit.
Adorando i Renaissance e possedendo già l’unico album dei Sandrose, lamentavo la mancanza di un’altra band prog con una voce femminile, perciò era una questione di tempo prima che rimediassi il debutto omonimo dei Goliath.
Rory Gallagher mi piace più da solo che con i Taste, ma riesco ad apprezzarlo solo fruendone cum grano salis: “Blueprint” è un album che costituisce un’eccezione a questa posologia.
”John Barleycorn Must Die” è il mio album preferito dei Traffic e quindi non c’è da aggiungere molto: se avessi trovato anche una stampa economica di “Mr. Fantasy” l’avrei presa di sicuro.
”Cultösaurus Erectus” è un classico album alla Blue Öyster Cult, forse un po’ sottovalutato, ma per me godibilissimo dall’inizio alla fine.
Mi si sono illuminati gli occhi d’immenso quando tra i dischi a sette euro ne ho visti due di Kitaro e in particolare “From The Fullmoon Story”: in equilibrio tra ambient e new age è un album di una delicatezza straordinaria; “The Light Of The Spirit” si mantiene sulle stesse sonorità, ma è più solenne, più epico, meno intimista e per me si completa a vicenda con l’altro.
”Lady Lake” degli Gnidrolog, è un album prog del 1972 e mi è stato consigliato da un tizio che con me non ha mai sbagliato un suggerimento, infatti gli sarò eternamente grato: ho per costui il rispetto che Carlos Castaneda aveva per gli sciamani. Il disco è un viaggio assurdo!
Lo stesso vale per “Mountains” degli Steamhammer, pubblicato nel 1971: prog dalle forti tinte blues e con diversi ricami psichedelici.
”Every Inch A Man” degli Zior è un platter che a tratti mi ricorda molto i migliori Led Zeppelin e anch’esso mi è stato suggerito dal suddetto medicine man: l’anno è il 1972.
“Hold The Line” dei Toto la conosce chiunque non sia nato sordo, dall’ultimo dei paninari al primo dei truzzi: questo classico l’ho preso perché dovevo trovare un settimo album per usufruire dell’offerta di sette euro a disco e quindi ho fatto di necessità virtù! Magari nella vita fossero tutte così le scelte obbligate.
Non sono un passatista, infatti seguo e supporto diversi gruppi emergenti, ma devo ammettere che la maggior parte dei miei dischi preferiti sono stati concepiti in quell’età dell’oro che io sito tra la fine degli anni sessanta e la fine dei settanta.
Trovo del buono persino nella trap italiana (lo stile di Tedua, le produzioni di Charlie Charles), vengo da varie plusvalenze con le prime stampe di dischi hip hop (su tutte quella del vinile de “L’attesa” di Kaos One che anni fa vendetti a cinquecento euro quando io lo avevo pagato ventuno), mi piace anche la vocal trance e conosco quasi a menadito i sottogeneri del metal, ma ho trovato la mia dimensione ideale nella golden age del prog.
In quella decade meravigliosa c’è stata un’abbondanza straordinaria ed è per questo motivo che alcuni dischi di allora hanno trovato soltanto di recente un riscontro, una seconda vita, il tardivo riconoscimento che non potevano ottenere a loro tempo per via di un’opulenza luculliana.
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Pubblicato martedì 23 Maggio 2017 alle 23:03 da
Francesco
Non credo all’esistenza di un Islam moderato, difatti nessuno mi toglie dalla testa (ed è invece possibile che qualcuno possa recidermi quest’ultima) quanto una parte dei musulmani approvi gli attentati terroristici benché non lo affermi esplicitamente.
Alcuni governi vogliono la sicurezza e l’integrazione di certe etnie, ma tale pretesa è identica a quella di colui che esige la botte piena e la moglie ubriaca. È normale che faccia più rumore una strage compiuta rispetto a tutte quelle che sono state sventate, ma d’altro l’intelligence non può tenere sempre sotto controllo tutti i soggetti attenzionati. L’Europa è condannata a vivere con una spada di Damocle sul capo e questa minaccia perenne si annida tra coloro che sono stati accolti dagli stati occidentali. Persino in Svezia l’integrazione ha fallito e questo buco nell’acqua ne ha creati a sua volta molti in zone urbane dove de facto vige già la Sharia.
A mio modesto avviso occorrono misure draconiane, finanche la sospensione della democrazia e la promulgazione di leggi speciali che permettano alle forze dell’ordine una più ampia manovra. Purtroppo il sonno della ragione produce mostri e le sinistre europee sono in preda a una sorta di sindrome di Stoccolma, difatti simpatizzano umanamente per i loro potenziali carnefici.
È normale che taluni reagiscano al di fuori della legge quando non considerino più quest’ultima in grado di tutelare la loro esistenza. Le moschee incendiate, i pestaggi su base etnica e altre sortite di questo genere sono un chiaro richiamo agli archetipi dell’essere umano che trova un nuovo spazio laddove si fa assordante il silenzio della giustizia ordinaria.
La religione è un veleno di cui il fanatismo e il dogmatismo sono gli effetti peggiori, però questi tratti sono particolarmente accentuati tra le fila dei sunniti. Sono sempre stato un anticlericale e non ho mai lesinato invettive contro il cristianesimo, tuttavia vorrei che oggi al soglio pontificio ci fosse qualcuno come Papa Innocenzo III: il nemico del mio nemico è mio amico.
Mi domando quante volte ancora gli europei dovranno rimettere insieme i pezzi dei propri figli prima che una forte volontà popolare legittimi una politica di tolleranza zero. Lo ripeto: io non credo a quei musulmani che fingono di condannare gli estremisti islamici e difatti quest’ultima espressione è per me un semplice pleonasmo.
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