Scrivo mentre il nuovo anno emette i primi e roboanti vagiti. Vicino a me non c’è nessuno, ma in lontananza odo il battesimo del fuoco. Per me gli ultimi dodici mesi sono stati come la faccia di un dio etrusco, Giano bifronte, infatti i primi sei si sono rivolti al passato e gli altri invece hanno mirato il futuro. Sotto la guida di una potente solitudine ho ampliato le mie conoscenze, ho allargato i miei orizzonti, ho conseguito soddisfazioni vivificanti e ho fatto anche qualche buco nell’acqua, ma d’altro canto gli incidenti di percorso fanno parte del percorso stesso.
Anch’io per ragioni di comodità seguo il calendario gregoriano, ma questa volta approfitto delle sue ripartizioni per affacciarmi sul futuro prossimo con uno spirito ulteriormente rinnovato. Invero non mi aspetto molto dall’avvenire e non confido in sue inaspettate prebende: forse questo mio atteggiamento è dovuto alla capacità di farmi bastare ciò che ho già e dalla furbizia di non sprecare energie verso quanto per me risulti inarrivabile. Mi sento un equilibrista e qualche volta temo di mettere il piede male perché non di rado vedo tanti che cadono da una fune identica alla mia, tuttavia tali inquietudini riescono a serpeggiare in me allorquando la stanchezza apra loro la via regia ai recessi della mia mente: evanescenti e infondate, esse poi svaniscono, come tutto del resto, anzi, come tutto il resto.
Ho in me stimoli che si rinnovano come in un processo pluricellulare, ho la mia quota di tempo da vivere e voglio modellarla nel migliore dei modi. Non vi sono alleanze atlantiche o paesane di cui mi possa avvalere, ma già da solo costituisco una legione. Scrivo per leggermi e mi leggo per pensarmi: è così che riproduco i miei giorni senza che ne derivi troppo materiale di risulta.
Le feste natalizie prestano il fianco a una malinconia che invero non ha presa su di me, però non mi meraviglia la sua presenza sugli occhi di taluni. Io celebro il Sol Invictus perché io stesso non mi sento vinto, perciò quest’esordio invernale mi dà ragioni di solitaria esaltazione.
Non sono mai stato in forma come in questo periodo e la mia mente veleggia senza soste verso mete sempre nuove. Dalla coffa la vedetta mi comunica che non vi sono navi attorno alla mia, però le acque sono calme e io procedo col piglio di chi è già stato il pioniere del proprio, nuovo mondo. Per adesso sono lieto di non avere obblighi che mi espongano a florilegi di frasi di circostanza, al ridondante tedio di formalità che rasentino il parossismo, ma soprattutto all’opulenza e alla sedentarietà di convivi esagerati. Nell’accogliente tepore della mia stanza rossa celebro il Sol Invictus in compagnia degli Area, dei Brand X e dei Fates Warning.
7 maratone in 91 giorni: da 2h47’22” a 2h39’53”
Pubblicato martedì 19 Dicembre 2017 alle 12:54 da FrancescoPisa Marathon: 2h39’53”. Per la quarta volta in tre mesi ho migliorato il mio record personale sulla maratona, ma non ho ancora assistito a quegli eccidi che di norma precedono il sovvertimento d’ogni ordine costituito. Pazienza.
Non sono ripetitivo, bensì sono gli eventi che si ripetono: è l’eterno ritorno d’ogni cosa, l’uroboro che morde la propria coda.
A Pisa, malgrado un fastidio al piede sinistro, ho osato fin dalla partenza con un passo di 3’42” al chilometro. Sono passato ai diecimila metri in 37’02”, alla mezza maratona in 1h19’10” e al trentesimo chilometro in 1h52’39”.
V’è stata anche una nota di colore, difatti alla partenza la mia hachimaki ha attirato la curiosità di un forte atleta giapponese col quale ho scambiato poche parole nella sua lingua. Costui ha corso buona parte della gara in quarta posizione, con degli intertempi mostruosi, ma nel finale ha avuto un crollo verticale e sono riuscito a precederlo all’arrivo per poco più di un minuto: io diciannovesimo, lui ventesimo. Gambatte!
Iniziato bene in quel di Cesenatico poco prima dell’equinozio autunnale, ho concluso questo ciclo di tre mesi nel migliore dei modi, oltre ogni più rosea aspettativa, sconfessando i pareri contrari di certuni e ottenendo una soddisfazione che non m’è dato ricavare altrove.
Come atleta sento di avere ancora un ampio margine di miglioramento, ma devo capire se io sia all’altezza di esprimerlo in quanto allenatore di me stesso: la vera sfida è quest’ultima.
Mi trovo ancora una volta a scrivere due righe sulla mia attività agonistica e invero la cosa non mi dispiace, ma conto quanto prima di appuntare anche qualcos’altro su queste pagine virtuali.
A una settimana dalla maratona di Firenze ho stabilito il mio nuovo record personale in quella di Latina, un tempo Littoria: 2h40’22". Mi sono classificato 7° su 509 arrivati e ho vinto il titolo nazionale UISP di categoria, ma quest’ultimo non conta nulla ed è soltanto una cosa pro forma, un po’ come quella grandissima stronzata che risponde al nome di democrazia.
Ho corso da solo per quasi tutta la gara e tale circostanza non mi ha pesato affatto perché sono un alfiere del solipsismo, inoltre durante la seconda parte ho guadagnato tre posizioni.
Negli ultimi settantasette giorni ho corso sei maratone, in media una ogni tredici giorni; la più lenta è stata la prima di questo ciclo, a Cesenatico, conclusa in 2h47’22", la più veloce quella summenzionata.
Nel corso di quest’esperienza ho ricevuto molteplici avvertenze, invero puttanate anch’esse come l’anzidetta forma di governo, ma io non ho prestato ascolto a nessuno e la strada mi ha dato ragione.
Forse se avessi scelto di mettermi nelle mani di un allenatore avrei potuto fare qualcosa di meglio sotto il profilo cronometrico, ma immagino che se mi fossi attenuto alle sue disposizioni avrei gareggiato di meno e soprattutto non avrei provato la stessa soddisfazione.
Domenica a Firenze ho preso parte alla mia quattordicesima maratona, la quinta in settanta giorni, conclusa anch’essa ampiamente sotto le due ore e cinquanta.
La furia degli elementi s’è scatenata poco dopo la partenza e s’è chetata appena sono arrivato al traguardo, tuttavia ho comunque stabilito il mio secondo miglior tempo di sempre, ossia 2h43’56" (real time): mi sono classificato 47° su circa 8400 arrivati.
A onor del vero il vento e la pioggia non hanno pregiudicato molto la mia prestazione, perlomeno non nella misura in cui il concetto di socialismo reale urta il mio sistema nervoso.
Sono contento per la costanza dei miei tempi, di sicuro più di quanto lo sia per i tempi moderni, infatti ho mantenuto una certa qualità (per le mie capacità, s’intende) da settembre a ora con una media di una maratona ogni due settimane. Conto di fare altre gare durante il mese di dicembre, ma rimando all’anno nuovo nuove ambizioni cronometriche.
A novembre ho registrato un paio di record personali, ovvero la settimana e il mese in cui ho corso il maggior numero di chilometri, ovvero 208,5 in cinque giorni e 617 dal primo al trenta.
Sono pienamente soddisfatto dei miei miglioramenti e non devo ringraziare altri che me stesso perché le mie buone prestazioni confermano la giustezza delle mie idee di allenamento, quindi ne consegue un mio ulteriore appagamento in quanto allenatore di me stesso.
Alla lettura de "Il codice cosmico” di Heinz R. Pagels ho fatto seguire poco più di un mese fa quella de “L’esplorazione dell’universo”, un saggio retrospettivo sulle conquiste spaziali di cui si è resa protagonista la mia specie.
Ho trovato ottima l’opera divulgativa di Priyamvada Natarajan, difatti rientra tra quei testi che risultano fruibili anche da chi non abbia un solido retroterra scientifico. Sono molteplici le note che ho vergato a mano su un mio sacro quaderno di appunti, più di quelle che qui accenno a malapena: il riconoscimento di Copernico quale primo studioso che abbia tentato di dare una spiegazione fisica ai moti dei pianeti, la predilezione di Einstein per un universo statico e la sua ritrosia verso la teoria dell’espansione di Hubble, il balzo dalla gravità newtoniana alla teoria della relatività generale quale raro esempio di ragionamento scientifico induttivo, le prime ipotesi (bistrattate) sulla materia oscura e il tentativo di chiamare in causa quest’ultima per spiegare la curvatura della luce negli ammassi galattici; la scoperta della radiazione cosmica di fondo e i tre scenari possibili per descrivere la fine dell’universo, quindi anche l’idea di costante cosmologica quale forza repulsiva che bilancia l’attrazione gravitazionale; l’impiego di supernove come candele standard in luogo delle Cefeidi e l’idea filosofica del principio antropico.
Sono simili resoconti che mi rammentano come allo stato dell’arte la tecnologia umana risulti piuttosto primitiva e quanto resti ancora da scoprire nel perenne superamento di cui la realtà si rende indefessa artefice nei confronti della fantasia.
Ieri la città di Ravenna, un tempo in Emilia-Romagna e ormai stabilmente in Cirenaica, ha ospitato la diciannovesima edizione della propria maratona nonché il mio nuovo record personale sulla distanza: 2h42’21”. Mi sono classificato 7° su 1190, quarto italiano all’arrivo.
Sabato pomeriggio ho fatto un salto al mausoleo di Teodorico e ho pensato a come oggi le invasioni barbariche avvengano senza colpo ferire, ma d’altro canto ogni epoca ha l’efferatezza che merita. Ho anche visitato la modesta tomba di Dante perché nei mesi venturi conto di rileggere la Divina Commedia con un approccio del tutto diverso da quello scolastico.
La partenza non è stata delle migliori, troppo stretta e penalizzante, infatti mi sono occorsi più di quattro cazzo di minuti per coprire i primi mille metri: la mancanza di una vera griglia di merito mi ha costretto a effettuare numerosi e azzardati sorpassi con improvvise variazioni di ritmo, cosicché solo dopo un paio di chilometri ho potuto disattivare le bestemmie e inserire il pilota automatico con cui impostare la velocità di crociera. Ho preso a scalare varie posizioni fino a quando ho raggiunto il gruppo della prima donna e sono rimasto con lei fino al ventinovesimo chilometro: una caduca liaison.
A tredicimila metri dalla fine mi è riuscito ancora una volta un bel cambio di passo e così sono andato in fuga per i fatti miei. La progressione solitaria mi ha permesso di guadagnare sette posizioni e ho fatto registrare l’ultimo chilometro quale più veloce di tutta la mia prestazione: 3’34”. V’era un clima ideale per una maratona e io non ho assunto né solidi né liquidi per l’intera gara: in pratica ho corso come se i ristori non ci fossero. A onor del vero avrei potuto fare persino qualcosa in più se avessi avuto l’opportunità di partire almeno accanto ai palloncini delle tre ore, giusto per evitare l’imbottigliamento iniziale.
Nell’arco di due mesi ho preso parte a quattro maratone, ho ritoccato tre volte il mio record personale e sono riuscito a finire sempre nella top ten, compresi due terzi posti; inoltre ho rimediato un tempo valido da presentare per l’iscrizione da semi-elite alla maratona di Tokyo del 2019, ammesso che per quella data io sia vivo e il Giappone esista ancora.
Non ho obiettivi a breve termine e non sposo le aspettative altrui, quindi posso affrontare le gare future con una tranquillità mentale ancor più grande del solito.
Mi trovo in perfetto equilibrio al cospetto del divenire e ricevo conferme di tale circostanza dagli insindacabili responsi della realtà. Non sono mai stato così presente a me stesso, ma anche il mio corpo non ha mai conosciuto prima un analogo livello di benessere.
Sono a capo di una monarchia desolata e la solitudine è l’incantevole regina che mi accompagna nei deserti di mia proprietà. Nell’arco di cinque mesi ho riconquistato ed esteso gli ampi confini del mio solipsismo, perciò adesso mi sento come se camminassi a mezzo metro da terra e forse ci riuscirei davvero se la forza di gravità non si opponesse così tanto. Ho eseguito una spietata vendetta contro gli ingiustificati scoramenti di qualche tempo fa e sono contento che essi siano caduti nell’impari battaglia contro di me.
Pongo da solo la corona di alloro sulla mia testa e da solo innalzo le insegne che mi rendono onore. Al di fuori del mio regno scorre un fiume senza nome le cui acque portano via cadaveri, fantasmi e remoti trascorsi che l’evanescenza del tempo consegna alla dimenticanza, ma io non indugio con gli occhi su quel corso lontano e mi limito a prendere atto della sua inesorabilità.
Dopo ogni tempesta arriva una calma autentica che porta con sé qualcosa di cui questo mondo non conosce l’origine, tuttavia ho ragione di credere che una simile grazia sia appannaggio di chi sopravviva agli eventi e soprattutto a se stesso. Per quanto mi riguarda io festeggio con libagioni analcoliche e prive di calorie, brindo con la mia ombra quando una luce soffusa ne permette la convocazione e mi addormento come se fossi sospeso nel vuoto, in un serafico silenzio di cui mi piace immaginare l’affinità con quello che precedette ogni origine.
Ieri, a distanza di una settimana dalla maratona di Parma, ho partecipato a quella di Lucca dove sono arrivato sesto assoluto e terzo italiano in 2h45’26”, il mio secondo miglior tempo di sempre.
Non avrei mai corso due maratone in sette giorni se avessi dato rilievo alle opinabili e infondate convinzioni di taluni, ma grazie al cielo la mia mente è una no fly zone per i voli pindarici degli altri.
Ho trovato il percorso nient’affatto veloce, difatti presentava numerosi cambi di direzione, vari strappi e un fondo stradale dissestato in più punti; le condizioni climatiche sono risultate avverse, con folate di vento e acqua piovana raccolta in ogni avvallamento lasciato all’uopo dall’incuria manutentiva, inoltre ho corso con un fastidio alla gola di cui, a onor del vero, in gara non ho risentito poi tanto.
Anche questa volta sono riuscito a fare negative split e con la mia progressione ho ripreso verso la fine diversi atleti da cui ero stato superato nella prima parte di gara.
Ho lasciato il mio premio a una sgarbata tizia dell’organizzazione, nella viva speranza che potesse giovare alla sua secchezza vaginale, e subito dopo non ho fatto mistero né a lei né agli altri presenti della mia ferma intenzione di non tornare mai più a alla Lucca Marathon: poi mi sono levato dal cazzo. Adieu!
Il mio prossimo obiettivo è quello di fare un’altra maratona sotto le 2h45’ su un percorso che valga come qualificazione di semi-elite (non alla francese con l’accento acuto) per Tokyo 2019, ma non pretendo di centrarlo d’emblée.
È opportuno un breve resoconto. Da maggio a ottobre ho corso quattordici gare sulle distanze più disparate e sono sempre riuscito ad arrivare tra i primi nove: cinque terzi posti, di cui due sulla distanza regina nell’arco di un mese, e, per quanto modesta, anche una vittoria.
Ormai sono giunto a un punto in cui ulteriori ed eventuali progressi richiedono delle modifiche al mio allenamento, tuttavia non intendo sottoporre quest’ultimo a una rivoluzione copernicana.
Per me una mezza utopia a lungo termine è quella di scendere sotto il muro delle 2h40’, ma anche solo per provarci sono costretto a mettere in conto dei tempi sulle distanze più brevi che non rientrano ancora nelle mie corde. Chissà come andrà a finire. Boh.
Non considero la corsa quale sorgente di un’illusoria identità, ma come mezzo di annullamento di cui i vari dati e aneddoti servono ad ammazzare il tempo mentre esso uccide me.
Sabato mi sono recato a Parma, in provincia di Lagos, dove ancora risiede una piccola comunità italiana che organizza la maratona cittadina. In gara mi sono classificato terzo assoluto su novecentoventotto arrivati e ho migliorato di nuovo il mio record personale: 2h44’22", ovvero un passo di 3’53" al chilometro.
Alla partenza sono stato accolto da un clima ideale che ha corroborato le mie già buone sensazioni.
All’inizio mi sono imposto un ritmo prudente che ho dovuto correggere più volte e così ho raggiunto il passaggio della mezza maratona in 1h23’39", quindi a una velocità media di 3’57" al chilometro, proprio come mi ero ripromesso.
Ai ventiduemila metri ero dodicesimo assoluto e ho deciso di attendere ancora un po’ prima di cambiare passo.
Per un tratto di gara ho corso accanto a uno staffettista che era seguito da un signore in bicicletta e quest’ultimo mi ha preso in simpatia appena il primo ha terminato la sua frazione, perciò ha continuato a spronarmi fino al quarantunesimo chilometro, descrivendomi il percorso in dialetto e bestemmiando: anch’io per educazione ho bestemmiato più volte e gli ho dimostrato con molteplici espressioni la mia gratitudine per il suo incitamento.
Al venticinquesimo chilometro ho ritenuto che fosse giunto il momento di cominciare la mia progressione e così ho iniziato a scalare la classifica. Nell’arco di dodici chilometri ho recuperato otto posizioni mantenendo una certa brillantezza muscolare di cui sono state testimoni l’ampiezza della falcata e la cattiveria in corpo.
Non ho assunto solidi né gel e ad alcuni ristori non sono riuscito neanche a prendere l’acqua perché c’era troppa calca, in particolare al quarantesimo chilometro, ma questa circostanza non ha fatto altro che incattivirmi ancora di più.
Ho guadagnato il terzo posto a meno di duemila metri dalla fine, coronando una rimonta epica che mi è valsa il gradino più basso del podio, inoltre i miei chilometri più veloci sono stati proprio gli ultimi due, entrambi corsi a 3’42".
Sono soddisfatto di me come atleta ma ancora una volta anche come tecnico di me stesso.
Non potrei mai allenare qualcun altro (troncamento e non elisione), però neanche ci tengo: mi piace studiare, provare ed eventualmente ripetere le mie teorie fino a quando non ne fuoriesca la quadratura del cerchio.
In un mese ho migliorato il mio personale sulla distanza regina di tre minuti esatti benché su percorsi diversi. La maratona di Parma è stata la gara migliore della mia carriera e il suo negative split ne è la sintesi perfetta.
Non ho fatto alcun periodo di scarico e questo lo sanno più persone per esperienza diretta.