Ho smesso di credere al caso quasi un lustro fa e in seguito il susseguirsi di coincidenze più o meno significative mi ha prospettato la sua eventualità come ulteriormente risibile.
Mi sono avvicinato alla corsa anni or sono poiché è uno sport individuale e può essere praticato senza l’ausilio di terzi, ma paradossalmente è in seno al suo agonismo che ho avuto modo di conoscere tanta bella gente. Certo, anche il podismo possiede un’inevitabile quota di teste di cazzo, ma è decisamente minore rispetto ad altri àmbiti e sono convinto che tale peculiarità dipenda dalla sua caratteristica preminente: la fatica.
Tra i tanti individui con cui ho allacciato i rapporti in quest’ambiente figura anche un melomane come me e proprio ieri, dopo che per la terza volta di fila sono arrivato al quarto posto in una gara locale, ho ricevuto in regalo da costui un disco potentissimo del quale valutavo da tempo l’acquisto in vinile! Se non è sincronicità junghiana questa!
Prima di cotanto dono, io dei Dream Theater avevo solo tre album in CD, ossia “Images & Words”, “Awake” e “Metropolis Part 2”, perciò quando ho aperto il regalo e mi sono trovato di fronte il doppio vinile di “A Change Of Seasons” sono stato felice come quando Donald Trump è diventato il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Se per la prima comunione avessi ricevuto un omaggio del genere forse mi sarei risolto a fare la cresima.
Tra l’altro v’è anche un’altra ragione per la quale il disco di cui sopra mi risulta significativo, difatti il suo concept si sposa bene con l’attuale fase della mia esistenza. Ho imparato come l’ottenimento di certa musica incida sulla fruizione della medesima e di sicuro ogni mio ascolto di “A Change Of Seasons” godrà sempre di un valore aggiunto.
Grazie di cuore! Ricambierò appena possibile! È davvero difficile farmi un regalo azzeccato, per tale ragione suggerisco sempre un buono benzina come cadeau, ma questa volta l’impresa è riuscitissima!
Talora mentre corro mi trovo a vivere dei momenti di estrema lucidità. In quei frangenti mi sembra che io riesca davvero a percepire quanto mi circonda, come se ogni cosa non si limitasse a comparire nel mio campo visivo e io a mia volta vi entrassi dentro per ricambiare la visita ricevuta dalla mia vista. Non so da cosa dipendano queste fulminee esperienze né in quale misura scaturiscano dalle reazioni biochimiche di un’attività fisica piuttosto intensa, ma in ogni caso non me la sento d’inquadrarle in una cornice esclusivamente organica. Secondo il mio modesto parere le percezioni di ogni individuo hanno un’ampiezza variabile e credo che alcuni stimoli corporei siano in grado di affinarne il potenziale, mi chiedo tuttavia quanto sia arduo discernere l’autenticità di certi accadimenti dai moti dell’autosuggestione e se l’eventuale partecipazione di quest’ultima debba per forza inficiare la prima, tanto da snaturarla.
V’è una parte della cosiddetta realtà di cui i cinque sensi dell’essere umano intercettano soltanto segnali deboli e confusi, perciò mi domando se certe frequenze un tempo fossero alla portata della mia specie e se la sua evoluzione le abbia via via estromesse dalla sensibilità comune per questioni di adattamento, o se invece l’umanità tutta si stia ancora muovendo verso una maggiore ricettività. Ho sempre la sensazione che qualcosa mi sfugga, come se l’avessi sotto il naso o me lo attraversasse da parte a parte. Mi sono interrogato più volte sulle ragioni di cotali impressioni e sono arrivato persino a chiedermi se io ammetta una realtà più estesa di quella esperibile poiché insoddisfatto da quest’ultima, ma invero non v’è delusione alcuna per quanto rientri nelle mie corde e quindi ho finito per non mettere in discussione la genuinità della mia premessa. Sono curioso di sapere cosa si trovi in certi stati di coscienza, come se volessi arrampicarmi sul tetto di una torre eburnea per godermi il colpo d’occhio.
La scorsa notte ho visto “Risvegli”, un vecchio film con Robin Williams e Robert De Niro che è basato su dei fatti realmente accaduti a Oliver Sacks, un noto neurologo e uno scrittore di successo che ha lasciato il corpo qualche anno fa. Forse la mia scelta cinematografica è stata viziata in parte dalle mie recenti riflessioni su chi è degente in un letto di ospedale e si vede precluse tutte quelle possibilità che io invece do per scontate, dunque non aspetto di ritrovarmi in condizioni critiche per apprezzarle davvero e così scriverne, seppur brevemente, si rivela un modo per celebrarle: un piatto di pasta integrale con un sugo di peperoni e noci, il santo refrigerio dell’acqua salmastra, il soffio del maestrale, la sana stanchezza di una corsa, l’appagamento di una lettura, il rilassamento che segue la masturbazione, un sonno serafico e gli effetti galvanizzanti di un pieno riposo.
Talora mi chiedo come saranno i miei ultimi gironi su questo pianeta, però simili interrogativi non mi incupiscono mai e scaturiscono da una curiosità che secondo me verrà meno quando comincerà a profilarsi una risposta o non ve ne sarà alcuna per l’eventuale immediatezza della dipartita. A causa delle recenti temperature potrei quasi concordare con quanti ritengono che l’inferno sia già sulla Terra, ma certi impianti teologici mi sono indigesti e vi preferisco una dieta mediterranea.
Non so cosa mi resti da fare né tanto meno se io abbia mai iniziato a combinare qualcosa, ma nutro la certezza di fregarmene e così campo bene. Per fortuna non mi sono mai appropriato delle altrui aspettative e la mia astensione da simili furti mi ha permesso di concentrarmi su quanto ancor oggi reputo importante benché tutto ciò non offra margini di condivisione. Raccolgo quello che trovo lungo le distese di giorni sempreverdi e quindi ribadisco il mio gusto per le piccole cose ancorché quest’ultimo non sia loro appannaggio: incenso l’ovvietà con le ovvietà e tanto alla prima quanto alle seconde riconosco un valore maggiore di quello apparente.
In questi giorni torridi riesco a correre molto perché divido in due parti i miei allenamenti. Vado un po’ più veloce il pomeriggio e macino più distanza la sera. Ieri, per esempio, quando il sole era già vòlto all’occaso, sono uscito di casa per fare una bella e rilassante sgambata di quasi diciannove chilometri nel buio. Durante il tragitto mi sono goduto la volta celeste come se fosse stata il maxischermo di un multisala, inoltre avevo il frinire dei grilli in dolby surround: insomma, uno scenario bucolico privo d’inquinamento acustico e luminoso, rivestito dall’oscurità e a mia completa disposizione.
Ultimamente sto leggendo il Fedone di Platone e l’Inferno de La Divina Commedia, perciò durante la corsa alcune delle riflessioni estemporanee di cui mi rendo autore risentono di tali letture e circoscrivono su un piano cartesiano le rotte dei miei voli pindarici. Sebbene al momento vi dedichi un’attenzione meno frequente rispetto alle opere anzidette, tra i libri di cui dispongo v’è anche Fisica quantistica per poeti, un altro saggio sulla fisica quantistica che può essere fruito anche da chi come me non abbia un retroterra scientifico per affrontare trattazioni più tecniche sull’argomento. Mi dilettano e mi arricchiscono oltremodo certi testi, ma penso che nel mio caso il loro denominatore comune scaturisca dalla mia intima esigenza di saperne il più possibile sulla cosiddetta realtà e sulle sue implicazioni.
Alla luce di tutto ciò avverto un certo brio nella mia disposizione d’animo e mi sento pervaso da un’iperattività assai positiva. Non ho una vita sociale e non frequento nessuno, tuttavia ho delle grandi passioni che mi forniscono vigore e buone motivazioni con estrema regolarità. Non ho idea di come ci si apra in modo spontaneo al mondo a meno che non si capiti sotto i ferri di un chirurgo, ma per adesso godo ancora di buona salute e i miei interessi non prestano granché il fianco a nuove conoscenze.
Il ventitré luglio ho avuto la fortuna di vedere per la prima volta i King Crimson dal vivo ed è stata una bellissima esperienza. Mi sono recato nella splendida cavea dell’auditorium che ha progettato Renzo Piano e, da un punto rialzato della struttura, mi sono goduto le meravigliose versioni di “Epitaph” e “Island” con l’attuale formazione della band. Per me il concerto è finito con l’esecuzione della seconda parte di “Larks’ Tongue In Aspic”, infatti non sapevo della lunga pausa tra una scaletta e l’altra, quindi me ne sono andato come un coglione al termine della prima, tuttavia la portata dell’evento è stata intensa e me la sono goduta momento per momento. Inoltre sono stato contento anche per la presenza di Tony Levin in quanto egli ha prestato il suo basso a tanti dischi di mio gradimento. Questo concerto e quello dello scorso anno degli Yes sono diventati per me dei punti fermi, un po’ come il numero di Avogadro e la costante di Planck, perciò farò tesoro di questi bei ricordi che ho coltivato nella mia attuale incarnazione.
Ho alle spalle tanti concerti e spero di vederne ancora molti, ma di solito preferisco ambienti più raccolti, piccoli locali et similia. Riesco a trarre molte energie dalla passione per la musica e le trasferte solitarie non mi costano fatica alcuna, ma rispetto a qualche anno fa sono meno propenso ai lunghi viaggi perché ho già visto parecchi degli artisti per i quali ero disposto a sobbarcarmi più chilometri del solito. Se il tempo avesse concesso più di se stesso alla vita di certi gruppi forse sarei già in procinto di cambiare auto, tuttavia non posso lamentarmi perché ho avuto il privilegio di vedere grandi musicisti, alcuni dei quali hanno già lasciato il corpo da un po’. C’è qualcosa di bello nella transitorietà degli esseri umani e nell’arte altrettanto passeggera di alcuni di essi che sopravvive a loro stessi.
Ho diluito “Buonanotte, signor Lenin” nell’arco di molti mesi perché fin dall’inizio l’ho considerata una lettura a latere, nondimeno l’ho apprezzata quasi quanto gli altri due libri di Tiziano Terzani che già figuravano nella mia biblioteca, ossia “Un altro giro di giostra” e l’intramontabile “Un indovino mi disse”.
La narrazione della perestrojka mi ha riportato indietro ai miei primi anni di vita, quando l’età biologica e i cartoni animati ancora mi schermavano contro le implicazioni di ciò che succedeva al di fuori del mio microcosmo.
M’è sempre risultato gradevole lo stile semplice e coinvolgente di Terzani, perciò anche in quest’occasione la mia attenzione ne è stata rapita e io sono stato trascinato nel viaggio attraverso quei territori che stavano cessando d’essere repubbliche sovietiche.
Ho approfittato del tema anche per farmi un ripasso geografico di certe zone dell’Asia, però mi sono concentrato di più sul crollo del comunismo e su tutte le contraddizioni che quest’ultimo teneva unite. Nelle cronache di quei cambiamenti epocali i nazionalismi non erano visti di cattivo occhio come invece lo sono oggi da certi gaglioffi, ma è anche vero che in seno ad alcuni si erano subito ripresentate cruente dicotomie e al confine di altri avevano ripreso ad ardere antichi screzi, come quello tra Azerbaijan e Armenia per quel cazzo di Nagorno Karabakh. C’è un passaggio interessante a tal proposito tra le pagine dedicate alla Kirghisia: “Avevo sempre pensato che il socialismo con tutta la sua retorica sull’eguaglianza, con tutto il suo rimescolamento di razze, avesse almeno risolto questo problema. Al contrario. Mi pare che il razzismo sia un sentimento diffuso qui come altrove e che i conflitti razziali saranno una delle conseguenze più esplosive dello sfasciarsi dell’impero sovietico”. In un altro punto v’è anche un monito contro la possibilità di derive teocratiche di stampo islamico, come ad anticipare i tempi con una lettura della realtà che contraddistinse in maniera più netta la lungimiranza e la cifra stilistica della Fallaci.
Oltre a riferire le dinamiche di quei giorni, Terzani consegna ancora una volta i ritratti dei molti personaggi con cui interagisce e ne traccia i contorni psicologici; uomini e donne d’ogni risma che che sono mossi dagli scopi più disparati: alcuni pronti come l’acqua ad assumere le forme del nuovo recipiente e altri destinati ad appassire all’ombra di convincimenti anacronistici o in ragione di una certa inettitudine. Ancorché le foto nel testo siano poche e la loro resa pessima sul mio Kindle (il primo modello), bastano le descrizioni dell’architettura sovietica e il continuo ripresentarsi degli alberghi della catena Intourist affinché la fatiscenza di quei luoghi e di quei tempi traspaia in tutte le sue brutture, comprese quelle della propaganda comunista.
Ultime dai campi (non ancora Elisi) di quel passatempo che ho eletto a buona norma di vita, ma rinnovo ancora una volta la speranza che nelle prossime settimane io possa tornare a scrivere su codeste pagine con maggiore assiduità e in merito a molteplici temi: si tratta di un’attività che mi appaga e mi rilassa oltremodo.
Domenica sono andato a Bolsena per correre la gara cittadina che si snoda in pianura, in salita e in discesa: sono riuscito a migliorare un po’ la mia prestazione rispetto all’anno scorso e mi sono classificato al sesto posto sui 283 atleti che hanno tagliato il traguardo.
Il sedici giugno ho partecipato alla mezza maratona di Roma e l’ho corsa davvero male, infatti ho chiuso in 1h21’21", tuttavia mi è piaciuta molto e l’ho trovata organizzata benissimo a differenza di un’altra mezza capitolina nella quale l’anno scorso ebbi sì un migliore riscontro cronometrico, ma un’esperienza negativa.
Non avevo l’orologio, perciò fino al nono chilometro ho preso come riferimento la prima donna, una keniana, probabilmente anche lei non in giornata, quindi l’ho passata e poi non ho tentato di forzare ulteriormente l’andatura.
Sempre a metà gara ho risposto a un signore in scooter che inveiva contro noi atleti e oltre a dargli del pezzo di merda gli ho promesso un cazzotto in testa: dal lato opposto della strada un altro astante si è messo a ridere e mi ha gridato "bravo, hai fatto bene!". Un delirio.
Alla fine ho chiuso 24° su circa 3800 arrivati.
Sabato ventitré giugno invece mi sono recato a Marta, in provincia di Viterbo, per una evento del Corri In Tuscia, il circùito podistico che prediligo per le gare locali.
Ho rinnovato il duello con un bravo corridore della zona e nonostante fossi in forma non sono riuscito a batterlo, infatti lui ha condotto una gara magistrale, praticamente tutta da battistrada mentre io lo tallonavo, quindi ha dimostrato grande tenuta atletica e mentale. Per me questa è stata la più avvincente tra le gare della zona perché mi ha fatto venire in mente le dinamiche della Formula Uno!
Diverse notti fa ho sognato di trovarmi lungo un sentiero di montagna, su una cima andina, ma non sono in grado di spiegare come mai io sia certo di questo particolare geografico: lo so e basta. D’un tratto invece di procedere avanti ho preso a camminare verso il punto di partenza e, sulla via del ritorno, sono inciampato sopra una pietra. La caduta mi ha fatto finire in un precipizio buio e in quel momento ho avuto il privilegio di provare la sensazione che precede la morte, difatti non mi sono svegliato di soprassalto e ho “vissuto” in maniera distinta gli istanti in cui un individuo prende atto dell’imminente ineluttabilità.
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Intuisco la natura profetica di questo sogno, tuttavia soltanto dopo il vaglio del futuro (quand’esso si muterà in un recente passato) o al cospetto dei suoi più convincenti prodromi a me sarà concesso di comprenderne davvero il carattere, infatti non escludo che possa addirittura trattarsi di un buon auspicio. In quest’occasione non riesco neanche ad accennare un’ipotesi e di sicuro non ne azzardo una per il solo scopo di lasciare qualche riga in più a campeggiare intorno al suo senso ultimo.
Domenica in quel di Civitavecchia, complice l’assenza di atleti di prima fascia, mi sono giocato la vittoria in una gara di dodici chilometri che presentava un forte dislivello.
Alla fine della parte in salita io e un altro podista abbiamo maturato un buon vantaggio sul terzo. Poco prima dell’undicesimo chilometro ho provato a fare un cambio di passo per compiere l’allungo finale, ma a un certo punto ho ricevuto un’indicazione ambigua (l’auto apripista non c’era più) e mi sono ritrovato di fronte a un cancello bianco.
Un signore, là per caso, mi ha detto che stavo andando dalla parte sbagliata e quindi ho ripreso la strada giusta, spezzando però il ritmo dopo aver ragionato un attimo: ciò è avvenuto nell’arco di alcuni secondi.
A causa di quest’inconveniente ho vanificato il lieve vantaggio che avevo guadagnato sul secondo, ma quando quest’ultimo mi ha raggiunto mi ha detto di stargli davanti perché aveva assistito a tutto e non gli sembrava giusto che ci giocassimo il finale.
Io ho controbattuto proponendogli di arrivare insieme e così abbiamo fatto, perciò volgo un grande plauso a Simone Marconi, ottimo atleta e grandissima persona (le due cose non vanno necessariamente di pari passo, anzi…).
Questa foto è un gran bel ricordo.
Il Balletto di Bronzo in concerto a Roma
Pubblicato venerdì 1 Giugno 2018 alle 22:53 da FrancescoIeri sera mi sono recato nella città eterna e là ho avuto il privilegio di assistere a uno dei rarissimi concerti de Il Balletto di Bronzo. Pochi eletti, ambiente raccolto: per fortuna avevo prenotato un tavolo per uno. Gianni Leone ha un’identità musicale ben definita e la sua esibizione dal vivo è stata un’esperienza intensa, ma al contempo mi sento di affermare senza tema di smentita che in lui Keith Emerson faccia ancora parte di questo pianeta.
Per me un album come “Ys” è al di fuori di ogni possibile classifica e ci sono delle valide ragioni se dal 1972 a oggi è diventato oggetto di culto in tutto il mondo: il tempo non lo definisce e lo spazio non lo colloca. Comincerò a sentirmi vecchio quando non avrò più voglia di mettermi in viaggio per assistere a eventi del genere. Ancora riesco a stupirmi di come certa musica moderna non senta il peso dei decenni, così come altra (e alta, còlta) non avverte quello dei secoli.