1
Ago

King Crimson a Roma

Pubblicato mercoledì 1 Agosto 2018 alle 21:13 da Francesco

Il ventitré luglio ho avuto la fortuna di vedere per la prima volta i King Crimson dal vivo ed è stata una bellissima esperienza. Mi sono recato nella splendida cavea dell’auditorium che ha progettato Renzo Piano e, da un punto rialzato della struttura, mi sono goduto le meravigliose versioni di “Epitaph” e “Island” con l’attuale formazione della band. Per me il concerto è finito con l’esecuzione della seconda parte di “Larks’ Tongue In Aspic”, infatti non sapevo della lunga pausa tra una scaletta e l’altra, quindi me ne sono andato come un coglione al termine della prima, tuttavia la portata dell’evento è stata intensa e me la sono goduta momento per momento. Inoltre sono stato contento anche per la presenza di Tony Levin in quanto egli ha prestato il suo basso a tanti dischi di mio gradimento. Questo concerto e quello dello scorso anno degli Yes sono diventati per me dei punti fermi, un po’ come il numero di Avogadro e la costante di Planck, perciò farò tesoro di questi bei ricordi che ho coltivato nella mia attuale incarnazione.
Ho alle spalle tanti concerti e spero di vederne ancora molti, ma di solito preferisco ambienti più raccolti, piccoli locali et similia. Riesco a trarre molte energie dalla passione per la musica e le trasferte solitarie non mi costano fatica alcuna, ma rispetto a qualche anno fa sono meno propenso ai lunghi viaggi perché ho già visto parecchi degli artisti per i quali ero disposto a sobbarcarmi più chilometri del solito. Se il tempo avesse concesso più di se stesso alla vita di certi gruppi forse sarei già in procinto di cambiare auto, tuttavia non posso lamentarmi perché ho avuto il privilegio di vedere grandi musicisti, alcuni dei quali hanno già lasciato il corpo da un po’. C’è qualcosa di bello nella transitorietà degli esseri umani e nell’arte altrettanto passeggera di alcuni di essi che sopravvive a loro stessi.

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15
Lug

Buonanotte, signor Lenin

Pubblicato domenica 15 Luglio 2018 alle 00:58 da Francesco

Ho diluito “Buonanotte, signor Lenin” nell’arco di molti mesi perché fin dall’inizio l’ho considerata una lettura a latere, nondimeno l’ho apprezzata quasi quanto gli altri due libri di Tiziano Terzani che già figuravano nella mia biblioteca, ossia “Un altro giro di giostra” e l’intramontabile “Un indovino mi disse”.
La narrazione della perestrojka mi ha riportato indietro ai miei primi anni di vita, quando l’età biologica e i cartoni animati ancora mi schermavano contro le implicazioni di ciò che succedeva al di fuori del mio microcosmo.  
M’è sempre risultato gradevole lo stile semplice e coinvolgente di Terzani, perciò anche in quest’occasione la mia attenzione ne è stata rapita e io sono stato  trascinato nel viaggio attraverso quei territori che stavano cessando d’essere repubbliche sovietiche.
Ho approfittato del tema anche per farmi un ripasso geografico di certe zone dell’Asia, però mi sono concentrato di più sul crollo del comunismo e su tutte le contraddizioni che quest’ultimo teneva unite. Nelle cronache di quei cambiamenti epocali i nazionalismi non erano visti di cattivo occhio come invece lo sono oggi da certi gaglioffi, ma è anche vero che in seno ad alcuni si erano subito ripresentate cruente dicotomie e al confine di altri avevano ripreso ad ardere antichi screzi, come quello tra Azerbaijan e Armenia per quel cazzo di Nagorno Karabakh. C’è un passaggio interessante a tal proposito tra le pagine dedicate alla Kirghisia: “Avevo sempre pensato che il socialismo con tutta la sua retorica sull’eguaglianza, con tutto il suo rimescolamento di razze, avesse almeno risolto questo problema. Al contrario. Mi pare che il razzismo sia un sentimento diffuso qui come altrove e che i conflitti razziali saranno una delle conseguenze più esplosive dello sfasciarsi dell’impero sovietico”. In un altro punto v’è anche un monito contro la possibilità di derive teocratiche di stampo islamico, come ad anticipare i tempi con una lettura della realtà che contraddistinse in maniera più netta la lungimiranza e la cifra stilistica della Fallaci.
Oltre a riferire le dinamiche di quei giorni, Terzani consegna ancora una volta i ritratti dei molti personaggi con cui interagisce e ne traccia i contorni psicologici; uomini e donne d’ogni risma che che sono mossi dagli scopi più disparati: alcuni pronti come l’acqua ad assumere le forme del nuovo recipiente e altri destinati ad appassire all’ombra di convincimenti anacronistici o in ragione di una certa inettitudine. Ancorché le foto nel testo siano poche e la loro resa pessima sul mio Kindle (il primo modello), bastano le descrizioni dell’architettura sovietica e il continuo ripresentarsi degli alberghi della catena Intourist affinché la fatiscenza di quei luoghi e di quei tempi traspaia in tutte le sue brutture, comprese quelle della propaganda comunista.

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3
Lug

Le ultime dai campi

Pubblicato martedì 3 Luglio 2018 alle 23:57 da Francesco

Ultime dai campi (non ancora Elisi) di quel passatempo che ho eletto a buona norma di vita, ma rinnovo ancora una volta la speranza che nelle prossime settimane io possa tornare a scrivere su codeste pagine con maggiore assiduità e in merito a molteplici temi: si tratta di un’attività che mi appaga e mi rilassa oltremodo.
Domenica sono andato a Bolsena per correre la gara cittadina che si snoda in pianura, in salita e in discesa: sono riuscito a migliorare un po’ la mia prestazione rispetto all’anno scorso e mi sono classificato al sesto posto sui 283 atleti che hanno tagliato il traguardo.
Il sedici giugno ho partecipato alla mezza maratona di Roma e l’ho corsa davvero male, infatti ho chiuso in 1h21’21", tuttavia mi è piaciuta molto e l’ho trovata organizzata benissimo a differenza di un’altra mezza capitolina nella quale l’anno scorso ebbi sì un migliore riscontro cronometrico, ma un’esperienza negativa.
Non avevo l’orologio, perciò fino al nono chilometro ho preso come riferimento la prima donna, una keniana, probabilmente anche lei non in giornata, quindi l’ho passata e poi non ho tentato di forzare ulteriormente l’andatura.
Sempre a metà gara ho risposto a un signore in scooter che inveiva contro noi atleti e oltre a dargli del pezzo di merda gli ho promesso un cazzotto in testa: dal lato opposto della strada un altro astante si è messo a ridere e mi ha gridato "bravo, hai fatto bene!". Un delirio.
Alla fine ho chiuso 24° su circa 3800 arrivati.
Sabato ventitré giugno invece mi sono recato a Marta, in provincia di Viterbo, per una evento del Corri In Tuscia, il circùito podistico che prediligo per le gare locali.
Ho rinnovato il duello con un bravo corridore della zona e nonostante fossi in forma non sono riuscito a batterlo, infatti lui ha condotto una gara magistrale, praticamente tutta da battistrada mentre io lo tallonavo, quindi ha dimostrato grande tenuta atletica e mentale. Per me questa è stata la più avvincente tra le gare della zona perché mi ha fatto venire in mente le dinamiche della Formula Uno!

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17
Giu

Archivio onirico: sogno n° 30

Pubblicato domenica 17 Giugno 2018 alle 23:17 da Francesco

Diverse notti fa ho sognato di trovarmi lungo un sentiero di montagna, su una cima andina, ma non sono in grado di spiegare come mai io sia certo di questo particolare geografico: lo so e basta. D’un tratto invece di procedere avanti ho preso a camminare verso il punto di partenza e, sulla via del ritorno, sono inciampato sopra una pietra. La caduta mi ha fatto finire in un precipizio buio e in quel momento ho avuto il privilegio di provare la sensazione che precede la morte, difatti non mi sono svegliato di soprassalto e ho “vissuto” in maniera distinta gli istanti in cui un individuo prende atto dell’imminente ineluttabilità.

Intuisco la natura profetica di questo sogno, tuttavia soltanto dopo il vaglio del futuro (quand’esso si muterà in un recente passato) o al cospetto dei suoi più convincenti prodromi a me sarà concesso di comprenderne davvero il carattere, infatti non escludo che possa addirittura trattarsi di un buon auspicio. In quest’occasione non riesco neanche ad accennare un’ipotesi e di sicuro non ne azzardo una per il solo scopo di lasciare qualche riga in più a campeggiare intorno al suo senso ultimo.

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5
Giu

Una bella storia

Pubblicato martedì 5 Giugno 2018 alle 23:06 da Francesco

Domenica in quel di Civitavecchia, complice l’assenza di atleti di prima fascia, mi sono giocato la vittoria in una gara di dodici chilometri che presentava un forte dislivello.
Alla fine della parte in salita io e un altro podista abbiamo maturato un buon vantaggio sul terzo. Poco prima dell’undicesimo chilometro ho provato a fare un cambio di passo per compiere l’allungo finale, ma a un certo punto ho ricevuto un’indicazione ambigua (l’auto apripista non c’era più) e mi sono ritrovato di fronte a un cancello bianco.
Un signore, là per caso, mi ha detto che stavo andando dalla parte sbagliata e quindi ho ripreso la strada giusta, spezzando però il ritmo dopo aver ragionato un attimo: ciò è avvenuto nell’arco di alcuni secondi.
A causa di quest’inconveniente ho vanificato il lieve vantaggio che avevo guadagnato sul secondo, ma quando quest’ultimo mi ha raggiunto mi ha detto di stargli davanti perché aveva assistito a tutto e non gli sembrava giusto che ci giocassimo il finale.
Io ho controbattuto proponendogli di arrivare insieme e così abbiamo fatto, perciò volgo un grande plauso a Simone Marconi, ottimo atleta e grandissima persona (le due cose non vanno necessariamente di pari passo, anzi…).
Questa foto è un gran bel ricordo.

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1
Giu

Il Balletto di Bronzo in concerto a Roma

Pubblicato venerdì 1 Giugno 2018 alle 22:53 da Francesco

Ieri sera mi sono recato nella città eterna e là ho avuto il privilegio di assistere a uno dei rarissimi concerti de Il Balletto di Bronzo. Pochi eletti, ambiente raccolto: per fortuna avevo prenotato un tavolo per uno. Gianni Leone ha un’identità musicale ben definita e la sua esibizione dal vivo è stata un’esperienza intensa, ma al contempo mi sento di affermare senza tema di smentita che in lui Keith Emerson faccia ancora parte di questo pianeta.
Per me un album come “Ys” è al di fuori di ogni possibile classifica e ci sono delle valide ragioni se dal 1972 a oggi è diventato oggetto di culto in tutto il mondo: il tempo non lo definisce e lo spazio non lo colloca. Comincerò a sentirmi vecchio quando non avrò più voglia di mettermi in viaggio per assistere a eventi del genere. Ancora riesco a stupirmi di come certa musica moderna non senta il peso dei decenni, così come altra (e alta, còlta) non avverte quello dei secoli.

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23
Mag

Disinteressata lettura del Faust di Goethe

Pubblicato mercoledì 23 Maggio 2018 alle 16:36 da Francesco

Non ho letto il Faust di Goethe per ricavare un’esperienza avvincente dal mio investimento di tempo, ma solo per ottemperare a quanto solevo ripromettermi da alcuni anni a questa parte, ovvero conoscere meglio l’opera poiché ne avevo già incontrato più volte plurime citazioni nella saggistica di mio gradimento.
Ho faticato un po’ ad arrivare alla fine dello scritto perché non sono riuscito a goderne lo stile, e di certo non ho ricevuto ausilio dalla mia repulsione verso la narrativa, tuttavia ho còlto il valore simbolico del libro collocandolo nel contesto in cui ne è avvenuta la stesura e senza che io sia riuscito a immedesimarmi nel suo spirito del tempo.
Ho la pretesa (e non so se sia giustificata o meno) di ritenere che ormai il dualismo mi sia chiaro a tutto tondo, come nell’apparente immobilità del tao, perciò ho avvertito un moto di noia quando l’ho trovato preminente tra Mefistofele e in ciò che gli è avverso, e poi di nuovo, durante le battute finali, in Faust stesso, con la polarizzazione definitiva degli aneliti di quest’ultimo che hanno una conclusione celeste, opposta alle premesse ctonie e quindi alla loro reificazione nelle dinamiche con i personaggi secondari.   
Una simile lettura su di me non ha suscitato entusiasmo alcuno, non mi ha rapito, non vi ho percepito nessuna tensione spirituale, però l’ho accostata fin dagli esordi a “Il maestro e Margherita” di Michail Bulgakov, e non per la presenza in entrambe le opere di un personaggio femminile con lo stesso nome di battesimo, bensì per la capacità del russo (allora sovietico) di catturare il mio interesse e destare gli archetipi dal sonno della mia ragione, in netta contrapposizione alla noia che invece mi ha cagionato lo scritto del Goethe. 
Per me l’ineluttabilità di certe letture è un male necessario, come se costituisse il tedioso recupero di mezzi indispensabili per condurre ricerche importanti, ma fortunatamente si tratta di circostanze sporadiche, episodiche, del tutto tollerabili nel loro saltuario gravame.
Ho sviluppato una spontanea immunità a parecchi tipi di identificazioni e, a fronte di tanti benefici, ne ho ottenuto anche un effetto collaterale, ossia l’incapacità di fare mio il gioco di temporaneo autoinganno su cui fanno leva alcune opere d’arte o presunte tali: un meccanismo analogo sta alla base di dinamiche ancor più prosaiche di quelle anzidette.

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20
Mag

Fasi latenti di transizione

Pubblicato domenica 20 Maggio 2018 alle 21:47 da Francesco

Da alcuni mesi a questa parte, oltre ai molteplici impegni della vita ordinaria, destino più del solito ampie quote del mio tempo libero a letture plurime, ad allenamenti solitari, alla stesura del mio quinto libro e alla musica, perciò mi ritaglio raramente degli opportuni momenti per riversare qualcosa su queste mie vetuste pagine, tuttavia conto di rimettervi mano al più presto in quanto traggo beneficio e appagamento dalla scrittura di cose che io solo leggo e di cui io solo mi curo.
I miei appunti hanno per me valore dialogico, difatti il loro carattere autoreferenziale e indagatore mi consente di sopperire alla carenza di conversazioni con terzi. La mia mente si muove in un territorio a maggioranza solipsistica, ma preferisco simili frequentazioni (cioè nulle) a quelle in cui “si respira con noia la miseria di rapporti da niente” (citazione di Claudio Rocchi da “L’orizzonte a Milano”).
Sento un lontano richiamo verso fonti di sapere alle quali devo ancora abbeverarmi e sono mosso da uno slancio la cui portata primeva non scema, perciò m’è dato di saltare a piè pari quei bisogni secondari su cui taluni edificano un senso alla vita. Non mi metto in contrapposizione con qualcuno in quanto la questione non è gerarchica e non può essere considerata con una ferrea verticalità, bensì a mio avviso si snoda su un modello curvilineo che non si presta a indebiti paragoni.

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11
Mag

L’orizzonte degli eventi

Pubblicato venerdì 11 Maggio 2018 alle 14:42 da Francesco

Un paio di giorni fa io e un altro tizio abbiamo pubblicato il primo video del nostro progetto melodic death metal: sua la musica, mio il concept.
Da ascoltatore ho sempre cercato dei validi brani in italiano tra gli angusti confini di generi un po’ estremi, ma il più delle volte non ho trovato nulla di mio gradimento e dunque sono doppiamente soddisfatto per l’esito di questa produzione. Non ho bisogno di conferme, il mio metro è sufficiente.
Ho una buona conoscenza dell’inglese poiché lo parlo, lo scrivo e lo leggo quotidianamente, ma in questo caso non volevo fare qualcosa che si perdesse nel mare magnum di una seconda lingua; lo svantaggio, o downside come si suole dire nella vecchia Albione, consiste nell’irraggiungibilità del pubblico nigeriano: I can deal with that.
In parte la scelta linguistica è stata dettata dalla mia passione per il prog italiano, ma anche dall’ascolto del secondo album in spagnolo degli Helker, “Resistir”, di cui ancor oggi preferisco la versione nella loro madrelingua a quella in inglese (uscita in seguito).
L’orizzonte degli eventi è un “celebre” concetto che ho preso in prestito dall’astrofisica e designa quell’allegra zona di un buco nero dove la velocità di fuga (ovvero quella necessaria per sottrarvisi) supera la velocità della luce: i parallelismi possibili si sprecano.

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30
Apr

Detriti temporali

Pubblicato lunedì 30 Aprile 2018 alle 00:44 da Francesco

Mi rincuora la vista di un orizzonte crepuscolare che sfugge a ogni mia maldestra ipotesi e ancora godo del mio soggiorno su questo pianeta. Canti antichi, insistenti e ripetitivi destano in me forze sopite di cui ancora ignoro la vera portata.
Non ho punti di contatto con i miei simili, così come alcuni di essi non ne hanno tra di loro e dunque l’incomprensione rientra nella normalità, nello stato di fatto, qualunque esso sia. Sono un territorio inesplorato di cui io stesso non conosco bene i confini e mi chiedo quanto ancora possa scoprire sul mio conto. Tante metafore mi si parano davanti come se fossero meteore, ma il loro ricorso non lascia segni evidenti oltre a una prima impressione, anch’essa suscettibile d’incuranza. Non so cosa farebbe qualcuno se fosse al mio posto poiché io non sono al suo e anche se fosse possibile invertire i ruoli troverei tutt’altro che igienico un repentino cambio dei panni. A volte mi chiedo se l’esistenza umana sia l’esito di un intervento postoperatorio, poiché se così fosse capirei meglio quanti si fascino la testa prima di rompersela. Non mi stupisco di chi non sappia più stupirsi di nulla, ma io non mi annovero tra costoro perché intuisco la presenza sempiterna di realtà intangibili e conoscenze ineffabili da cui non pretendo l’onere della prova.
Veleggio nell’incostanza di eventi che tradiscono le proprie premesse, però non bado più di tanto alle condizioni variabili e cerco qualche riferimento al di là delle magnitudini apparenti, dove l’occhio si perde col rischio di darne uno in più alle Graie. Accolgo il divenire così com’egli accoglie me, in un gioco di cicli ineludibili in cui gli opposti si annullano in nozze mistiche.

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