La prossima traccia Strava che appunterò sul mio profilo Facebook sarà quella di una gara, invece spero che il prossimo sorriso me lo strappi l’affermazione del sovranismo in tutta Europa.
Oggi ho avuto una buona conferma delle mie attuali possibilità da una mezza maratona che ho corso per i fatti miei in un’ora e venti, ossia a 3’48" di media, con l’ultimo chilometro sparato a 3’32".
Non mi ha entusiasmato tanto l’andatura, comunque buona, quanto la capacità di mantenerla costante a fronte degli allenamenti degli ultimi cinque giorni: maratona, poi 10km controvento a 3’51" più 6 lenti di recupero e ieri altri 20 molto lenti.
Adesso ho il minimo sindacale per sacrificare la mia coerenza sull’altare del pragmatismo, sulla falsariga di quanto fece Arnaud Amaury contro i catari quando i suoi soldati gli chiesero come avrebbero fatto a riconoscere gli innocenti: "Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi!".
Mi ero ripromesso di non gareggiare più in Italia, ma non sono stato all’altezza della mia sfida: quello dell’asfalto è un giudizio insindacabile.
Oggi pomeriggio ho fatto anche il certificato medico, documento del tutto inutile, vera e propria estorsione di Stato: per finire la Via Crucis mi manca soltanto la Runcard.
Spero che questo mio ripensamento prima o poi mi porti delle belle esperienze con cui giustificarlo.
Una mezza maratona per i fatti miei in 1h20′
Pubblicato giovedì 21 Novembre 2019 alle 21:58 da FrancescoUn’altra maratona in solitudine: 2h54’25”
Pubblicato sabato 16 Novembre 2019 alle 20:19 da FrancescoOggi ho corso da solo una maratona sotto la pioggia: 42 chilometri e 380 metri in 2 ore, 54 minuti e 25 secondi, ossia un’andatura media di 4’07” come si evince dalla traccia Strava.
Ho avuto la pista ciclabile tutta per me, comprese le pozzanghere e la risibile perplessità di certuni. You can’t feel me, douchebags.
Invero questo pomeriggio avrei dovuto giocare una partita di calcetto che è stata annullata all’ultimo momento per maltempo, ma appena l’ho saputo ho guardato l’ozio felino del gatto Lord Chamberlain e ho deciso d’emblée di non sprecare l’allerta meteo.
Durante la sessione non ho assunto solidi né liquidi perché dall’inizio alla fine ho ricevuto un continuo ristoro d’acqua dai piani superiori, però mi sarei esaltato di più se nel corso dell’ultima parte avessi visto il cielo squarciato da qualche batteria di razzi Katjuša.
Avevo davvero bisogno di un allenamento simile sotto l’aspetto mentale e fisico, ergo ne sono molto soddisfatto, anche perché l’altro ieri ho corso in compagnia di un bravo atleta una mezza maratona di allenamento in 1 ora e 25 minuti, cioè a una media di 4’02”.
Sono lontano dalla forma apicale di quest’estate e probabilmente non ho ancora i mezzi per tentare una nuova aggressione al mio primato, ma nel frattempo continuo a mettere il fieno in cascina mentre il mondo crolla su se stesso.
Devo lavorare sul peso e sulla parete addominale, miei punti deboli da sempre. Mi mancano i lavori medi attorno a un’andatura di 3’50” al chilometro mentre ho già ricominciato a dare del tu alle ripetute lunghe sotto i 3’30”, ma sono convinto che mi occorra un chilometraggio elevato a passo gara per potermi presentare in griglia con qualche chance.
Forse prima di puntare al mio nuovo record personale dovrei correre qualche maratona ufficiale senza provare a tirarla al massimo delle mie possibilità benché una relativa cautela non escluda l’evenienza di saltare in aria come gli amici di Al Nusra: su questo punto conferirò con il gatto Heidegger.
È da troppo tempo che in diversi ambiti le cose non vanno secondo i miei piani, perciò ho deciso di retrocedere qualsiasi idea e progetto al ruolo sussidiario di un’eventualità estemporanea. L’improvvisazione offre un approccio più dinamico al cospetto di quelle circostanze che non lasciano trapelare nulla di sé prima della loro diretta epifania.
Talora i ragionamenti, le riflessioni e analoghi sforzi intellettuali non portano a nulla, diventano autoreferenziali nella peggiore accezione del termine e prosciugano riserve d’energie a cui può essere riservato un impiego più produttivo o che almeno non sia altrettanto esiziale. Anche a parità di fallimento una scelta simile riduce il dispendio interiore. A tempo debito, ammesso che esso arrivi e si presenti davvero come tale, cambierò di nuovo le mie regole d’ingaggio, ma per adesso non scorgo valide alternative alla mia risoluzione aleatoria.
La realtà non è fatta a compartimenti stagni sebbene a volte è proprio così che si presenta, perciò l’impulso ad agire deve accordarsi al modo del periodo nel quale vuole interferire, ma cotali banalità risultano meno scontate al momento della loro attuazione e quindi ne scrivo per esercitarmi a ripetermene il monito. Sono deluso sotto molti aspetti e non ne faccio segreto a me stesso, tuttavia dal rammarico non nasce nulla di buono e non mi spreco a coltivarlo poiché i cattivi frutti si possono trovare ovunque piuttosto facilmente.
Credo che sia un inguaribile ottimista chiunque veda soltanto due pesi e due misure negli ambiti più disparati delle società umane: a mio modesto avviso il doppiopesismo dev’essere elevato a potenza affinché sia possibile stimarne la diffusione con minore margine di errore.
L’onestà intellettuale serve all’evoluzione dell’individuo e secondo me risulta imprescindibile per chi ne riconosca il ruolo fondamentale nell’improba impresa di dare un vago senso all’esistenza, ha scarsa utilità nel consesso civile. Per quanto mi è possibile cerco di non tirare l’acqua al mio mulino laddove quest’ultima travalichi i bassi argini di esternazioni vanesie e finisca per minacciare con uno tsunami il cosiddetto principio di realtà. Ravviso molta faziosità nelle idee che si contrappongono, comprese quelle a cui la mia visione del mondo risulta più vicina, perciò non mi fido molto neanche di chi “la pensa come me”, espressione quest’ultima alla quale riservo virgolette di sicurezza.
Le schermaglie storiche, le logomachie, le battaglie ideologiche, sono offensive verso quel pragmatismo che io vedo come un faro nella notte, ma anche quest’ultimo rischia di scivolare in ciò a cui io lo oppongo perché d’altro canto il linguaggio è infìdo, subdolo, malevolo: più in generale questi sono gli sporchi rischi del logos in senso lato. Cotanta fanghiglia non è appannaggio dei massimi sistemi, ma in scala può essere trovata anche in un tête-à-tête, nella compravendita di chincaglierie, nell’improvviso e sciagurato scambio di opinioni all’ombra di una lunga e altrettanto sciagurata fila all’ospedale, alle poste, al patibolo. Anche il rapporto con sé stessi può essere avvelenato da simili dinamiche e forse è proprio quello il primo passo per il contagio nonché il personale contributo alla pandemia. Io sono pacificato con il sottoscritto, perciò mi tiro fuori da tutto ciò e spero che nessuna parte di me mi ci spinga proditoriamente.
Per molto tempo ho cercato di scoprire se in me si nascondesse un talento particolare, se ci fosse qualcosa che mi riuscisse davvero bene, un ambito a cui votarmi con tutto me stesso, ma dopo anni di ricerche e tentativi non ho trovato nulla di simile.
Me la cavo in campi diversi, però a torto o a ragione mi considero appena sopra la media e non riesco a sviluppare le mie capacità fino all’eccellenza. Compenso l’assenza di un’inclinazione naturale con la costanza, ma non cado nella banale tentazione di vedere in quest’ultima quel talento che reputo convintamente di non possedere e verso il quale non nutro l’illusione di un improvviso affioramento.
Forse il quadro sarebbe stato peggiore se avessi avuto grandi capacità e mi fosse mancata la costanza per coltivarle, difatti se ciò fosse accaduto avrei dovuto riconoscermi un talento, certo, ma aggettivato nel peggiore dei modi: sprecato.
Mi sento giunto alla fine di un percorso perché d’ora in poi non dovrò più indagare o investire energie in questo senso, tuttavia la ricerca ha avuto un significato in se stessa e non nella sua inarrivabile meta, un po’ come l’idea di fondo che non di rado sottende il concetto di viaggio e ne costituisce l’essenza ultima. Non mi farò mancare gli stimoli per il tempo che mi resta da vivere, però non cercherò in loro più di quanto mi consentano le mie possibilità: la retorica sul superamento dei propri limiti è, appunto, mera retorica. Posso migliorarmi, non eccellere e questa differenza per me non è banale come può apparire a qualcun altro.
Ieri sera ho scoperto un sito simpatico, SpaceSpeak.com, dal quale chiunque può inviare un messaggio nello spazio tramite onde radio i cui fotoni sono destinati a viaggiare per millenni e millenni. Non so se le mie poche righe in inglese un domani verranno raccolte e comprese da entità aliene, ma io ho vissuto in piccolo qualcosa del genere perché ho ritrovato sul guestbook di un sito dedicato a Jack Kerouac un messaggio che ho pubblicato quasi vent’anni or sono: quando l’ho riletto ho provato una certa emozione. Dov’è andato tutto quel tempo?
Mi muovo con una certa pesantezza in queste giornate autunnali che ogni tanto si mascherano da torrida estate. Sono spaesato, mi sento un po’ perso, in sospeso, privo di una direzione o di una vaga idea su cosa fare di preciso, inoltre non ricordo quale sia il numero verde (o nero) per l’assistenza all’esistenzialismo.
Dovrei denunciare la mia scomparsa e partecipare alle ricerche. Dovrei fare un appello per il mio ritrovamento o quello in una classe vuota per confermare la mia assenza. Dovrei addolcire le mie risate amare e condividerle con un diabetico. Non so cosa passi per la testa agli altri, ma immagino che a volte siano pensieri e altre pallottole di piccolo calibro. Non vedo il futuro perché il segnale è disturbato o forse l’antenna non è orientata bene, perciò mi accontento delle repliche in VHS o di uno schermo nero a cui devo riconoscere un grande proprietà di sintesi.
Se avessi qualcosa da dire disegnerei due orecchie su una parete. Mi viene da ridere perché mi piace rileggermi. Oltre a me stesso ho anche perso il filo del discorso, ma più che un oggetto smarrito lo considero tempo perso. Se mi trovassi nella stanza dei bottoni penso che la cospargerei di croccantini e poi aprirei la finestra per invitare tutti i gatti del circondario a zampettarci.
Insomma, non mi è chiara l’oscurità iniziale e mi risulta oscura la chiarezza di questo parte, ma non voglio farmi troppe domande perché tengo più alla linea che ai punti interrogativi. Non so davvero come finirà, ma di certo finirà. C’è un po’ di confusione tutt’attorno e dentro me, o forse sono io che non riesco a cogliere un’altra forma d’ordine, come quando mi volgo verso lo zenit e colgo stormi di uccelli che si librano in formazioni asimmetriche.
A volte mi sembra di essere giunto a un punto morto e non c’entra nulla l’imminenza del due novembre, però quest’impressione non desta mai al mio interno uno sconforto profondo e anzi, talora porta in dote un’edificante rassegnazione. Comunque non spetta a me riconoscere l’arrivo in un vicolo cieco e, tutt’al più, posso sfruttare la possibilità di ipotizzarlo per sbaglio in ragione dell’erroneità a cui il libero arbitrio è aduso.
Non intravedo certezze su cui poggiare o da cui spiccare un grande salto: tutt’attorno ogni cosa e ogni concetto mi paiono precari e pericolanti: se dipendesse da me transennerei res extensa e res cogitans.
Ogni epoca ha punti di contatto con le sue omologhe pregresse, come se fossero sorelle, perciò l’apparenza di unicità è del tutto illusoria e fa leva sul carattere attuale di quella che, di volta in volta, risulti la prescelta del presente, passeggera concubina di un harem cronologico. Non c’è nulla di cui debba temere e la realtà si produce nella mia testa in una quantizzazione che i limiti della mia specie m’impediscono di cogliere, ma a parte quest’ovvietà non ho grandi spunti con cui giustificare al momento la piattezza dei miei orizzonti. L’esistenza procede con il suo passo e non le si può addossare la colpa di chi non la segua a tempo o ne rifiuti proprio il ritmo: io non ho mai avuto passione né predisposizione per il ballo.
Prima o poi qualcosa accadrà a differenti livelli, compreso quello in cui mi trovo, ma non posso davvero prevedere la natura degli eventi futuri ed è anche per questo motivo (oltre al fatto di non berlo) che non mi presto alla lettura dei fondi di caffè.
Un po’ di tempo fa ho saputo che un hacker di mia conoscenza ha lasciato il corpo e così ho deciso di dedicargli ogni futuro ascolto di questi due grandi album di cui anch’egli era un estimatore.
Immagino che anche lui abbia avuto le sue contraddizioni, i suoi alti e bassi, come tutti, ma io lo ricordo solo come una figura di forte ispirazione nella mia adolescenza, una di quelle da cui ho intuito quanto la curiosità verso tutto lo scibile celi talora mondi interiori dalle profondità insondabili.
Per me la morte è solo un salto quantico, un passaggio di stato nella pletora dei multiversi, perciò auguro al grande P. un buon attraversamento del Bardo e una felice metempsicosi; e chissà non ci si ritrovi al prossimo giro di giostra nell’aion o nel kronos.
A un certo punto su “The Light Dies Down On Broadway” (quart’ultima traccia di “The Lamb Lies Down On Broadway”) Peter Gabriel canta:
”Is this the way out from this endless scene?
Or just an entrance to another dream?”.
C’è solo una minoranza al mondo per cui simpatizzo ed è quella curda. Si tratta di un popolo fiero, senza terra, che combatte da sempre contro tutti. Di tanto in tanto vado a riguardarmi il filmato in calce a queste righe nel quale una bella ragazza cerca obiettivi con il suo Dragunov e sorride alla pallottola che la manca di poco. I curdi hanno combattuto sul campo quelle merde di Daesh e anche le donne dell’YPJ hanno ucciso tanti sgherri di al-Baghdadi, perciò l’Occidente ha un grosso debito nei loro confronti. Trump non è un interventista, di conseguenza la sua decisione di ritirare le truppe dalla Siria è coerente con quanto ha sempre dichiarato prima e dopo la sua elezione, nondimeno a me dispiace che gli Stati Uniti abbiano tradito i curdi poiché così essi sono stati lasciati soli da tutti in una lotta ìmpari contro turchi e jihadisti, perciò spero che sia proprio una donna curda a ficcare un proiettile nel cranio di Erdogan.
Una parte dell’Occidente tende la mano a gente che vuole prendersi tutto il braccio, spesso ingrata e violenta, mentre limita a frasi di circostanze il suo aiuto verso chi ha contenuto l’avanzata degli estremisti islamici. Ci sono migliaia di individui che millantano di fuggire da presunti conflitti e sono accolti da perfetti imbecilli ai quali, per interesse economico o mera idiozia, non preme la verità, però non ravviso la medesima partecipazione verso chi una guerra la combatte davvero e in parte lo fa anche al posto di altri. Per me il popolo curdo è un esempio di coraggio e abnegazione.