Stamane, dopo molto tempo, sono riuscito a ricordare un sogno. Ogniqualvolta mi sia dato di serbare qualcosa delle mie esperienze oniriche tendo ad annotarlo con un approccio didascalico e distaccato, ma ritengo che quest’episodio sia stato eccezionale.
Per molti anni ho avuto un sogno ricorrente piuttosto diffuso, ossia quello che mi vedeva sempre all’interno di un volo di linea che immancabilmente precipitava, ma, almeno per quanto m’è dato rimembrare, prima della scorsa notte non avevo mai sognato di assistere dall’esterno allo schianto di un aereo. Questa variante sul tema mi ha indotto a ritenere che il mio inconscio abbia superato delle preoccupazioni latenti a cui in passato il mio stato ordinario di coscienza ha raramente concesso asilo. Il sogno era ambientato nei dintorni della mia abitazione, l’aereo aveva la livrea blu e bianca, e io mi trovavo a circa un chilometro dal luogo dell’incidente: al momento dell’impatto l’aereo era inclinato di circa ottanta gradi.
Il mio stato vigile e il mio inconscio viaggiano a velocità diverse, di questo sono certo, ma sono comunque in stretta relazione e mi chiedo quindi quali ripercussioni avrà la consapevolezza che ho tratto da quest’ultimo passaggio del testimone tra l’uno e l’altro. In me si è sedimentata da molto tempo l’accettazione di certe dinamiche e di alcuni limiti, perciò non escludo che tutto ciò non ne rappresenti altro che la fioritura.
Sognare di vedere un aereo che precipita
Pubblicato martedì 28 Gennaio 2020 alle 21:41 da FrancescoUn nuovo virus ha fatto la sua comparsa nel consesso biologico, tuttavia a causa della sua pericolosità è stato discriminato ed escluso dai sistemi di accoglienza. Dalla Cina provengono molte contraffazioni, perciò mi chiedo se anche una potenziale pandemia non sia destinata a durare quanto certe cianfrusaglie che albergano negli squallidi capannoni delle zone artigianali, ciarpame dal prezzo modico verso cui è sempre bene nutrire aspettative altrettanto basse. Ci sono cose che non hanno prezzo perché a volte non valgono proprio nulla.
In prima serata si prospettano alternative all’estinzione, ma nessuna di esse è una prima visione. Aleggia nell’aria il grande clamore per le beghe di politica interna, gli animi si scaldano benché l’inverno sia mite e gli anni di piombo provano a ripresentarsi con la faccia di bronzo. Secondo me in merito alla storia si è pronunciato bene Karl Marx, difatti egli sosteneva che essa si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.
I cambiamenti della mia mente e del mio corpo hanno un ritmo decisamente inferiore rispetto ai grandi avvicendamenti del mondo in cui vivo, perciò mi ritrovo sempre al cospetto di due diverse velocità che devo stare attento a non confondere. Quando mi soffermo sulla mia vita interiore sono tenuto a operare come se mi trovassi in una sala sterilizzata e non posso prestare orecchio ai modi della realtà esterna, di cui comunque sono parte e complice. Certe ovvietà non sono poi così ovvie, ma alcune difficoltà sono davvero semplici, almeno nelle loro caratteristiche intrinseche. Davanti ad alcuni eventi per me è importante mantenere una distanza di sicurezza che mi consenta una giusta visione d’insieme, ma per guardare in questo modo devo guardarmi dalla tentazione di avvicinare troppo ciò che devo vagliare.
Chi cerca qualcuno in realtà cerca se stesso
Pubblicato mercoledì 15 Gennaio 2020 alle 20:40 da FrancescoOggi ho incontrato inaspettatamente un vecchio amico e mi sono fermato a parlarci per circa una ventina di minuti. L’ho trovato più imbolsito di come lo avevo lasciato, proprio lui che è stato un buon atleta per diversi anni. Mi ha raccontato delle sue traversie sentimentali, ma nelle sue parole e nel suo sguardo ho intravisto anche una voglia di rivalsa che spero davvero egli riesca ad assecondare.
Io gli ho parlato onestamente e gli ho ricordato come ognuno di noi sia solo a questo mondo. Non amo le frasi di circostanza e vi ricorro solo in quei rari casi in cui risultino l’unica alternativa possibile a un silenzio tombale, tanto meno mi piacciono quelle parole di consolazione a cui non corrisponda un fondamento reale.
È incredibile la quantità di vittime che miete il desiderio di amare ed essere amati. Quante energie sprecate, quanti anni vanamente spesi, quante risorse sottratte all’amor proprio e alla propria evoluzione. Mi chiedo che senso abbia soffrire inutilmente per riempire dei vuoti a cui secondo me vanno offerte le più dolorose esplorazioni. Dal mio modesto punto di vista credo che un grande ostacolo dei rapporti umani sia costituito dalle aspettative ipertrofiche a cui taluni non sanno rinunciare. Mi è rimasta impressa una frase di cui non rammento né il contesto né l’autore: “Chi cerca qualcuno in realtà cerca se stesso”. Se avessi appreso e compreso quest’ultima verità fin da ragazzino, forse anche la mia adolescenza e la mia prima età adulta sarebbero risultate immuni da certe fisime, ma sono comunque contento di come oggi non abbiano presa su di me, almeno per adesso.
I festeggiamenti per il nuovo anno si sono protratti fino agli ultimi botti in Iraq. L’uccisione del generale iraniano Quassem Soleimani (il quale figurava già nelle liste dei terroristi, compresa quella europea) ha aperto nuovi scenari in Medio Oriente per la gioia dei catastrofisti, ma nei media ha eclissato le provocazioni iraniane che l’hanno determinata: la faziosità s’imbelletta all’uopo. Mi chiedo quali colori andrebbero per la maggiore e detterebbero nuove tendenze se l’emisfero boreale vivesse un’estate termonucleare.
Mi divertono sempre le sperticate manifestazioni d’odio verso gli Stati Uniti poiché di norma prorompono da personaggi che io reputo risibili. Mi considero filoamericano e per me Donald Trump è il migliore presidente che gli USA abbiano mai avuto dai tempi di Roosevelt e Truman, un giudizio che almeno in parte è suffragato dai dati macroeconomici e dal sostegno della classe media. Il vizio di alcuni occidentali è l’autolesionismo e quindi si mettono sempre dalla parte di chi può accelerarne le conseguenze più nefaste. Non c’è terzietà verso il Terzo Mondo (né verso i suoi immediati dintorni) e qualche gaglioffo pretende che i paesi egemoni sviluppino un ingiustificato senso di colpa. La storia esige sempre vinti e vincitori, tale è il destino degli uomini fino a quando non si evolveranno in qualcosa di meglio, perciò i vari equilibri geopolitici vanno al di là del bene e del male. In ultima istanza poco importa chi abbia il coltello dalla parte del manico, ma io, in ragione della mia soggettività, preferisco che quest’ultimo sia stretto da una presa simile alla mia.
Per celebrare il Sol Invictus ho donato a me stesso qualche album di cui ho agognato per molto tempo una copia originale.
La priorità l’ho data a "Perpetual Burn" di Jason Becker, uno dei miei dischi strumentali preferiti, e alla fine sono riuscito a rimediarne a prezzo scontato il vinile rosa che è uscito nel 2018 in occasione del trentesimo anniversario.
Ho trovato poi il digipack di "The Great Cold Distance" dei Katatonia, album che considero un classico benché sia relativamente recente. Sempre nel progressive metal, o almeno in uno dei tanti modi d’intenderlo, ho preso per meno di dieci euro una copia di "Still Life" degli Opeth, altra pietra miliare; con meno di venti invece ho rimediato la discografia rimasterizzata (bene) dei Police. Last but not least, la collaborazione di Steve Hackett e Djabe in un doppio album dal vivo che ho scoperto per caso: un grandissimo live!
Il grande gioco di Peter Hopkirk
Pubblicato mercoledì 25 Dicembre 2019 alle 15:21 da FrancescoPer me l’ultima lettura dell’anno è stata quella de “Il grande gioco”, un saggio storico di Peter Hopkirk sulle cui pagine ho approfondito la rivalità tra la Russia zarista e l’impero britannico nello scenario centroasiatico che ne è stato lo scacchiere dal diciannovesimo secolo fino agli albori del secolo breve.
Ho trovato il pregio di questa trattazione nel taglio quasi romanzesco di certi passaggi, ma d’altro canto, anche e soprattutto in forza della loro natura avvincente ed epica, non credo che certi eventi fossero passibili di un’esposizione molto diversa. Oltre alle nozioni storiche ho colto i profili caratteriali dei grandi e talora sventurati protagonisti di entrambe le parti, a riprova di come l’ambizione, la temerarietà, la codardia, l’idealismo, l’astuzia, l’arroganza, la paura, il freddo calcolo e molto altro innervino l’animo umano oggi come ieri.
Da letture simili e pregresse ho maturato la convinzione che la vera uguaglianza dei popoli si annidi nella reciproca tendenza alla sopraffazione sebbene l’ultima fase dell’età contemporanea, quantomeno a certe latitudini, ne abbia attenuato l’intensità e mutato la forme.
Ho ritrovato ne “Il grande gioco” alcuni luoghi dei quali Hopkirk già mi aveva reso edotto con maestria nelle stupende pagine di “Diavoli stranieri sulla Via della Seta”, primo fra tutti il deserto del Karakorum. È un peccato che questi angoli del mondo siano un po’ pericolosi per gli occidentali, paradossalmente più oggi che ai tempi in cui persino i cartografi ne sapevano poco, e spesso in ragione di cause analoghe a quelle descritte nel libro.
Piccoli e spietati sovrani di qualche khanato, burocrati, ufficiali eroici, propaganda russofoba e anglofoba, dissidi interni alla stessa fazione come nel caso della politica estera britannica con le sue oscillazioni tra laburisti e conservatori: insomma, una sequela di dinamiche e soggetti archetipici che la storia porta in seno da prima che diventasse tale con l’invenzione della scrittura.
Un’ultima nota la riservo all’attacco proditorio che i giapponesi sferrarono nel 1904 a Port Arthur e con cui diedero avvio alla guerra contro la Russia da cui poi uscirono vincitori. Quest’episodio è esposto nelle pagine finali dello scritto e quando l’ho appreso mi è venuto subito in mente lo stesso modus operandi dei nipponici a Pearl Harbor: un precedente che depone a sfavore di chi, vittima del complottismo e di un sentimento antiamericano, ha sempre creduto che gli Stati Uniti fossero a conoscenza del piano giapponese.
Maratona Gran Premio di Vallelunga 2019
Pubblicato domenica 22 Dicembre 2019 alle 19:06 da FrancescoStamani, sotto un cielo plumbeo, mi sono recato all’autodromo di Vallelunga e ho preso parte alla mia trentunesima maratona.
Per quasi quaranta chilometri (circa nove giri e mezzo della pista) sono stato insieme a un ottimo atleta, Alessio, e in questo modo ci siamo aiutati a vicenda.
A duemila metri dalla fine ho allungato il passo e così ho ottenuto la mia prima, molto modesta, ma comunque gratificante vittoria sulla distanza regina in 2 ore e 49 minuti.
Alla lunga il percorso si è rivelato più muscolare di quanto mi aspettassi, inoltre il forte vento (alcune folate sono state davvero intense) ha frenato un po’ tutti, ma ho gradito la pioggia intermittente perché mi ha permesso di non assumere liquidi. Oltre a non bere niente non ho mangiato nulla.
Attorno al venticinquesimo chilometro ho pensato al ritiro poiché ho cominciato ad avvertire qualche noia intestinale, ma una volta superata la soglia psicologica del trentesimo invece di stringere i denti ho stretto le chiappe e alla fine è andata bene.
È stata un’esperienza particolare!
Mancavano solo le "ombrelline" maggiorate come quelle che si vedono in MotoGP.
Questa gara la dedico a tutti coloro con cui ho condiviso un’uscita alle andature più disparate, ai tanti compagni di strada con i quali spesso improvviso allenamenti altrettanto estemporanei, e poi all’Atletica Costa d’Argento con cui sono tornato a correre dalla maratona di Latina: c’eravamo lasciati bene e ci siamo ritrovati meglio.
In questo periodo non ho molto da mettere nero su bianco, non mi sento neanche particolarmente ispirato, ma avverto comunque il bisogno di comunicare con me stesso e sono certo che prima o poi tornerò con maggiore costanza alla scrittura: sono fasi.
Ho cominciato per diletto a registrare dei filmati in cui illustro brevemente i miei dischi preferiti e tra molti anni spero di rivedermene qualcuno senza l’ausilio della nostalgia. Mi piacciono i soliloqui perché sono scevri di qualsivoglia incombenza dialogica e questo è un bello sgravio.
Oggi ho reificato il mio ripensamento e sono tornato a gareggiare in Italia. Questa scelta mi ha procurato un’esposizione debitoria nei confronti della mia coerenza che cercherò di ripagare a tempo debito. Se le indovinassi tutte mi trasferirei a tempo pieno da Gerry Scotti invece di vivere.
Mi sono iscritto alla maratona di Latina per correrla come allenamento e questa mattina mi sono presentato alla partenza con 87 chilometri sulle gambe corsi tra il 24 e il 29 novembre, quindi con la gara odierna ho chiuso la settimana a 129 chilometri.
Il mio obiettivo era quello di stare sotto le 2 ore e 50 minuti, e ci sono riuscito perché ho chiuso in 2 ore 47 minuti e 50 secondi (real time).
Al ventunesimo chilometro ho raggiunto l’immenso Giorgio Calcaterra, l’atleta italiano che stimo di più, e insieme abbiamo corso una decina di chilometri controvento scambiando battute e aneddoti, poi lui è riuscito ad aumentare l’andatura e ci siamo rivisti all’arrivo: lui quinto, io sesto. Per me già solo questa condivisione della fatica è valsa la trasferta! Ottima l’organizzazione. Oltre al forte vento ho accusato un po’ il caldo, ma alla fine è andato tutto bene.
Qui la traccia Strava: https://www.strava.com/activities/2904688772
Qui la classifica: https://tds.sport/it/race/10700
Tra black metal e progressive rock italiano
Pubblicato mercoledì 27 Novembre 2019 alle 16:12 da FrancescoAmo molto gli Immortal, sono tra i miei preferiti nel black metal, ma alla luce dell’ultima brutta figura dal vivo di Abbath con il suo progetto solista, e mi riferisco al demenziale “concerto” in Argentina, sono contento che Demonaz abbia preso le redini del gruppo, inoltre di quest’ultimo apprezzo molto anche l’album a suo nome che possiedo in vinile, ossia March Of The Norse.
Non so scegliere il mio disco preferito, ma il pezzo che amo di più è In My Kingdom Cold contenuto in Sons Of The Northern Darkness. Nell’immagine non compare poiché mi sono dimenticato di posizionarlo insieme agli altri, ma possiedo anche l’ottimo All Shall Fall in digipack e quindi ho a mia disposizione tutta la discografia originale del gruppo in CD.
Ieri ho preso in edicola il cinquantasettesimo numero della collana Prog Rock Italiano della De Agostini, una bella raccolta di vinili che sto per completare, ma aspettavo con particolare gioia quest’uscita poiché mi ha permesso di concludere il trittico dantesco in vinile dei Metamorfosi, difatti Paradiso era stato pubblicato soltanto in CD nel 2004 e risultava ancora inedita la versione in trentatré giri. Circa quattro anni fa ho anche avuto la fortuna di vedere la band dal vivo, poco prima che facesse uscire Purgatorio.
Per me Inferno del 1973 resta uno dei migliori dischi di progressive italiano e quella di Jimmy Spitaleri è una delle mie voci preferite nel genere, infatti mi è piaciuta molto anche su Uomo Irregolare che a suo tempo egli pubblicò come Davide Spitaleri.