21
Apr

Senza controindicazioni

Pubblicato domenica 21 Aprile 2024 alle 00:40 da Francesco

Certe volte ho la sensazione che io debba prendere l’iniziativa, ma in simili occasioni preferisco assumere zuccheri sotto forma di dolci o, dovendo optare per altri stati di aggregazione della materia, da bevande analcoliche in lattina. Non ho potere decisionale in certe situazioni e quindi mi limito a prenderne atto, come se dovessi redigerne un verbale ma passassi il compito a un collega remissivo. Io ci tengo alla mia testa, perciò tra i miei passatempi non figura quello di sbatterla ripetutamente contro il muro. L’insistenza non è nelle mie corde e se anche lo fosse si attorciglierebbe intorno alla sua inutilità, ergo sarebbe fine a se stessa anche se s’ispessisse a forza d’intrigarsi. Scrivere non conduce a nulla, tuttavia io non ho idea se ci sia una meta e da quanto ne so non si può parlare al conducente, ammesso che uno ve ne sia davvero.
Credo che su questo pianeta ci si attardi per abitudine, d’alba in alba, di tramonto in tramonto. Non mi aspetto granché dagli eventi né da terzi e immagino che nessuno si aspetti qualcosa da me: questo stato di fatto lo definisco equipollente. Vorrei mettere da parte le parole per tirare dentro dell’altro, ma faccio di necessità virtù e quindi mi arrangio con quello di cui dispongo: è un modus operandi di cui mi avvalgo da tanti anni. Cosa dovrei combinare? La trasmutazione del piombo in oro? La celebrazione delle nozze mistiche? L’accordo dei contrari? La notte è una giurisdizione e ognuno ha la competenza sui pensieri che la frequentano, ma questi non sono mai del tutto inediti e dunque, in ultima analisi, l’unica ragione per stupirsene è nella propria esperienza, soggettiva per definizione ed ennesima nel computo d’ogni tempo.

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17
Apr

Sisifo e broccoli

Pubblicato mercoledì 17 Aprile 2024 alle 21:25 da Francesco

Sono seduto nella mia stanza rossa, ho quasi quarant’anni, è primavera e il vento spira mentre il vespro è ormai superato: per me non è il tempo di fare bilanci e tutt’al più s’appresta l’ora di unire della pasta fresca a dei broccoli altrettanto invitanti. Mi chiedo come desinino su altri pianeti ancorché io ami molto la mia formula. Talora fantastico di mangiare davanti a occhi che sappiano guardarmi, però non posso nascondere quanto io adori consumare il mio unico pasto per i fatti miei, assiso davanti a un monitor e intento ad apprendere notizie di vario tipo con piglio da comare. I giorni si cedono a vicenda il testimone mentre i più tra i testimoni dei giorni, me compreso, raramente si avvedono di come avvenga il passaggio di consegne: tutto accade e non può essere altrimenti. Sisifo spinge la roccia fino alla vetta della montagna solo per vederla rotolare giù e ricominciare la fatica: ricorda qualcuno? A me fa pensare a tutti gli esseri viventi che si sono susseguiti dal brodo primordiale fino ai concepimenti attualmente in corso: era caro al buon Sartre questo motivo, difatti vi ricorse in un suo celebre scritto per sollecitare l’individuo a instillare un senso nel proprio agire ancorché l’universo ne manchi di uno che gli sia proprio.
Cosa cerco tra i pertugi del mio divenire? A cosa voglio andare incontro o cosa vorrei che si dirigesse verso di me? Nell’illusione di darmi un tono preferisco scrivere dei desiderata piuttosto che dei desideri, ma al netto dei latinismi latita l’oggetto degli anzidetti. Quindi? Quindi niente, nulla, l’apparente meta ultima di chi al momento si attarda sull’ecumene. Accetterei di buon grado la mancanza degli accenti, o almeno il mio senso estetico ne verrebbe guastato in misura minore, se questi venissero messi copiosamente sull’affettività, la comprensione e la tolleranza, ma la natura umana è tanto Sisifo quanto la roccia che egli spinge indefesso: adesso l’acqua bolle e devo ultimare la mia cena.

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10
Apr

L’esperienza del bianco

Pubblicato mercoledì 10 Aprile 2024 alle 19:31 da Francesco

Come chiunque altro sono legato alla morte da quando sono stato concepito, ma è solo da una ventina d’anni, o forse poco più, che me ne occupo. Per me la nascita non è un inizio e la morte non è una fine: ne consegue che mi trovo sempre in difetto d’onestà se le circostanze mi chiedano d’esprimere “sincere” condoglianze, tuttavia quando vengo messo alle strette pago questo dazio d’ipocrisia per non risultare inopportuno né offensivo di fronte all’altrui dolore. Io stesso mi sono trovato a gestire avversi moti dell’animo quando taluni hanno lasciato il corpo, ma non nascondo come in alcune di quelle occasioni abbia ripensato con divertimento al finale di Amici miei, caustico film di Monicelli (in origine di Pietro Germi).
In questo periodo mi trovo alle prese con uno scritto di Marie-Louise von Franz, una studiosa d’estrazione junghiana, ma ne darò conto a me stesso su queste pagine una volta terminatane la lettura. Alcuni episodi raccontati nel libro mi hanno rammentato un’esperienza analoga che feci anni e anni fa in sogno, ossia l’incontro con una luce totalizzante accompagnata da una sensazione indescrivibile: in seguito chiamai tutto questo “esperienza del bianco”, giacché fui in grado di tradurne in parole solo un vago dettaglio cromatico.
Alcune persone, senza che fossi io a entrare per primo nel discorso, mi hanno raccontato cose simili a quelle esperite da me nella dimensione onirica, inoltre ho colto forti analogie e talora una perfetta aderenza nelle testimonianze lette in molteplici testi, come se la questione in oggetto attenesse davvero all’inconscio collettivo: di ciò sono molto convinto. Sarebbe forte la tentazione di lasciare il corpo prima del dovuto se ne conseguisse la ripetizione dell’esperienza descritta, ma per crepare c’è sempre tempo e io, almeno per adesso, fretta non ne ho.

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1
Apr

Il divenire delle cose

Pubblicato lunedì 1 Aprile 2024 alle 20:44 da Francesco

In questi giorni pasquali e ventosi mi sono dedicato alle consuete passioni, però mi sono anche reso conto di come nell’ultimo periodo ne abbia trascurate alcune per mia indolenza e non già per la mancanza di tempo. Ho quasi completato la stesura del mio sesto libro, perciò voglio contattare dei mobilifici per trovargli un posto ai piedi di un tavolino traballante: al contempo non escludo di candidarlo come fermaporta.
Non so come si faccia a non essere autoreferenziali, quindi le espressioni della mia creatività si devono misurare soltanto con il mio gusto: l’assenza di velleità artistiche mi fa nuotare in acque diverse dal mare magnum in cui, loro malgrado, si cimentano quanti si propongano a terzi. Nella corsa invece è diverso perché Krónos è un’entità oggettiva e quindi posso avere un confronto con quello stesso tempo che tutto scandisce sebbene non esista: un paradosso a cui io sono legato da vincoli d’entusiasmo. Contemplo l’idea della morte mentre apprezzo in sommo grado la mia vita e mi chiedo se possa chiedere di più alla mia età: sì, potrei, ma se  avanzassi ulteriori richieste peccherei di creanza, buon gusto, tatto e sarei più maleducato di quanto già non sia quando dimentico di tirare lo sciacquone a seguito di una bella cacata. Voglio tanto bene al gatto Heidegger e qualche volta lo penso mentre coltivo i miei passatempi, però non mi rattrista l’idea che il tempo a nostra disposizione sia limitato e non lo considero un cafone quando sia lui a dimenticarsi di far scorrere l’acqua dopo una sua deiezione.

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26
Mar

Archivio onirico: sogno n° 34

Pubblicato martedì 26 Marzo 2024 alle 20:59 da Francesco

Ciò che ricordo di questo sogno può essere diviso in due parti. Nella prima mi trovo a bordo su un volo di cui non conosco la destinazione, ma provo un certo disagio. A un certo punto l’aereo comincia a volare molto basso, entra in una galleria e tocca terra per fermarsi davanti a un passaggio a livello. A questo punto noi passeggeri scendiamo ed entriamo in una sorta di hotel dove ci viene offerto del cibo che io rifiuto: il mio viene mangiato da un cane, forse un alano.
Nella seconda parte mi trovo in un luogo della mia infanzia, ma nel sogno vi è stata eretta una struttura molto pacchiana che impedisce di vedere l’orizzonte. Da una parte ci sono persone a me invise e dall’altra dei turisti: ai primi dico che vado dai secondi per organizzare una partita di calcio, ma nessuno vuole giocare e così finisco ritrovarmi a mangiare un dolce da solo.

Il materiale è molto e temo che ogni mia possibile interpretazione sia destinata a risultare più deficitaria del solito, ma vale comunque la pena tentarne una.
A mio parere è un sogno in cui giocano un ruolo preminente polarità opposte, come l’altezza iniziale dell’aereo (qualcosa di celeste ed elevato) e l’atterraggio impossibile in una sorta di tunnel (qualcosa di terreno), ma in questo senso figurano anche la presenza di due diversi gruppi di individui e la mia volontà d’unire in contrasto con l’altrui indifferenza.
Secondo la mia lettura queste immagini vogliono significare che ogni mio alto proposito debba essere perseguito da solo, difatti l’azione collettiva (fare parte dei passeggeri in un aereo, come se l’aereo fosse il simbolo di una causa comune) mi porta in basso (la galleria) e mi fa disprezzare quello che ne consegue (il cibo a cui dico no). La medesima spiegazione si presta all’altra parte del sogno, in particolare per l’orizzonte obnubilato da un’orrenda costruzione che vivo come un pugno in un occhio. In buona sostanza non c’è nulla d’importante o realmente appagante che io possa fare insieme a terzi. Ammesso che la mia analisi abbia una qualche fondatezza, mi chiedo come mai l’inconscio abbia mostrato simili contenuti giacché mi paiono nient’affatto sommersi.

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21
Mar

In mezzo e per mezzo di altro che è altro da me

Pubblicato giovedì 21 Marzo 2024 alle 00:55 da Francesco

Non so se l’equinozio di primavera me l’abbia voluto portare in dote o se io vi sia incorso a circa cinquecento metri sopra il livello del mare, quota a cui sono assurto quest’oggi correndo, ma colgo nell’aere un certo entusiasmo che sento e faccio mio. Non importa se gli eventi mi arridano o mi siano avversi, ma nell’attuale punto del calendario gregoriano provo sempre un senso di rinascita e rigoglio, come se una forza archetipica, antica quanto il mondo stesso, agisse su di me; come se? Invero io credo che sia proprio così.
Ne consegue che in questo periodo non posso allestire spettacoli endogeni in cui lo spleen sia un convincente protagonista. Mi domando come l’inconscio individuale e collettivo inneschino una simile dinamica, però mi accontento d’intuire il loro ruolo di primo piano e non pretendo di sapere più di quanto sia in grado di comprendere. Cerco di adeguarmi alla forma del tempo corrente e alle sue proprietà transitorie, nella viva speranza che mi riesca sempre meglio fino all’ora della mia morte. Ho educato me stesso al pessimismo, al disincanto, all’ironia caustica, alla decostruzione e al registro grottesco, tuttavia in questa notte di marzo mi sembra che nulla possa andare storto: irreale e quindi magico questo mio sentire.

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11
Mar

Archivio onirico: sogno n° 33

Pubblicato lunedì 11 Marzo 2024 alle 22:24 da Francesco

Non sono in grado di dare una composizione organica ai frammenti onirici che quest’oggi, al risveglio, ho avuto modo di trafugare nello stato vigile, tuttavia ci sono due episodi significativi ai quali attribuisco un fil rouge.
In una prima parte del sogno mi trovo a bordo di un’auto con degli estranei e all’improvviso avviene un incidente che ci coinvolge; in un momento successivo mi trovo all’aperto, vicino a una donna malata attorno alla quale presenziano altre persone oltre a me.
Non mi è facile capire il simbolismo di queste scene giacché  si prestano a letture d’opposta polarità ma egualmente plausibili. A mio parere una possibile spiegazione dai risvolti negativi implica un avvertimento per l’imminenza di eventi nefasti, un tetro monito per fatti che mi soverchieranno e per i quali non potrò fare niente: nel sogno alla guida dell’auto non ci sono io e questo dettaglio a mio avviso indica l’impotenza di fronte a possibili difficoltà; la donna morente, in quest’ottica, può rappresentare una perdita di qualunque genere.
Un’altra lettura, anch’essa esiziale, può esprimere un’ansia latente o un disagio sopito che l’inconscio manifesta in questo modo poiché la tenuta della mia psiche ne impedisce l’ingresso nella vita vigile.
Reputo valida anche l’ipotesi che inquadra il sogno come accettazione e catarsi per qualcosa su cui non ho avuto possibilità d’intervento, perciò durante il sonno l’inconscio può aver sbrigato quei lambiccamenti su cui io non mi sono speso a sufficienza da sveglio: se così fosse, le scene oniriche sarebbero riverbero del passato e non cassandre per l’avvenire. Solo il tempo saprà dir meglio sul sogno in esame e dunque non mi resta che attenderne il verdetto.

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10
Mar

Dischi usati, dischi fortunati

Pubblicato domenica 10 Marzo 2024 alle 21:56 da Francesco

Come ai vecchi tempi, che invero per me sono ancora attuali, ieri pomeriggio mi sono recato presso una piccola fiera del disco e là mi sono perso tra copertine, prezzi, valutazioni, discorsi, acquisti e curiosità. Ormai sono molto selettivo nei miei acquisti musicali, un po’ per questioni di spazio e un po’ per risparmiare, inoltre non sono un collezionista e compro solo ciò di cui poi fruisco davvero. Subisco ancora la fascinazione del vinile, ma ciò non m’impedisce di riconoscere i difetti del formato oltre ai suoi pregi: nei miei gusti prevalgono i secondi. Insomma, quanto segue è ciò che mi sono portato a casa dopo circa un’ora di opportuno e scrupoloso diggin’ tra i banchetti dell’usato:

Gamma 3 dei Gamma, 1982, ottimo album (per me un pelo sotto Gamma 2) per la presenza di Ronnie Montrose alla chitarra: dieci euro.

Between Nothingness And Eternity della Mahavishnu Orchestra, 1973, un eccelso live fusion di John McLaughlin e soci in stato di grazia: cinque euro.

Straphangin’ dei Brecker Brothers, 1981, altro notevole album di fusion, ma tanto quando ci sono di mezzo Michael e Randy Brecker vado sempre sul sicuro: cinque euro.

Tarkus di Emerson, Lake & Palmer, 1971, un pilastro consumato in digitale e CD, ma per un difetto sulla copertina (il disco suona bene) l’ho trovato a un prezzo assurdo e non me la sono sentita di lasciarlo orfano: cinque euro.

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8
Mar

Se…

Pubblicato venerdì 8 Marzo 2024 alle 21:16 da Francesco

Se volessi lasciare un segno mi armerei di bomboletta spray e scriverei lettere in wild style su un un muro perimetrale. Se avessi completato il processo d’individuazione lascerei il corpo di mia sponte senza lasciare biglietti d’addio. Se non facessi esercizi di respirazione l’esistenza mi puzzerebbe, ma se fossi cremato sul Gange non sentirei la puzza di bruciato né il rumore delle acque sacre. Se non fossi qui forse non sarei nemmeno altrove. Se avessi fatto certi vaccini forse avrei anticipato la data della mia morte improvvisa.
Se non ci fossero dubbi ci sarebbero certezze, però si possono produrre le seconde a discapito dei primi e se così dev’essere, così sia: amen. Se in questo momento potessi creare qualcosa dal nulla, allora ex nihilo creerei una pizza napoletana con cottura a legno. Se avessi saputo prima determinate cose oggi non avrei motivo di collocarle in un periodo ipotetico. Se domani non avessi niente da fare ripeterei la giornata d’oggi e ne sarei lieto. Se non esistesse il tempo forse non varrebbe la pena inventarlo. Se volessi bene a qualcuno non sarebbe un problema. Se mia nonna avesse avuto le ruote sarebbe stata una carriola e se quest’ultimo non fosse stato un classico non l’avrei scritto alla fine.

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4
Mar

Si va

Pubblicato lunedì 4 Marzo 2024 alle 15:09 da Francesco

Già sento l’incedere della primavera benché rovesci e forti venti provino a nasconderne i precoci indizi. Non so se la stessa intuizione spetti a quanti vedano i cieli solcati dai missili, ma io dimoro ancora in una relativa pace esteriore che agevola quella endogena. Suppongo che le cose siano più semplici laddove i palazzi restano in piedi e gli ordigni non scoppiano a sorpresa in mezzo alle strade, tuttavia potrei cambiare opinione se mi ritrovassi in mezzo a una guerra e finissi per apprezzarne il clima d’instabilità: d’altro canto l’ipotesi non è così peregrina. 
A volte mi pare di vivere in un mondo parallelo sebbene io non faccia nulla per negare la realtà che mi circonda, però mi adopero affinché quest’ultima non mi accerchi troppo. Non pongo in essere strategie difensive, bensì il più delle volte mi limito a non dare peso a quelle circostanze che possono averne uno solo a condizione che io ci metta la tara. Alcuni problemi s’ingenerano da soli e si riproducono come in una sorta di mitosi, ma altri, forse i più, credo che richiedano l’attiva partecipazione di chi vuole complicarsi la vita: la mia indole non è autodistruttiva.
Cosa fare del tempo che mi rimane sul piano della materia? Chiudere le imposte a certe velleità e pagare quelle dovute, ma al contempo coltivare le passioni e gli interessi con cui veleggio da anni in questa mia parentesi mortale. Finora le acque più belle e cristalline per me sono state quelle solitarie e calme. Buona fortuna ai naviganti.

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