L’altro ieri mi sono riguardato un bel film della fine degli anni ottanta, ossia Talk Radio. Ne ricordavo i dialoghi caustici e il ritmo incalzante che a distanza di tempo mi hanno intrattenuto come la prima volta. Mi piace molto Oliver Stone come regista e anche in questa pellicola secondo me non smentisce la propria bravura. Nella storia trovo un po’ di tutto: le ipocrisie e le perversioni degli ascoltatori, il cinismo e la violenza verbale, la crescente misantropia di Barry, il conduttore radiofonico, ossia il protagonista interpretato da Eric Bogosian che a mio avviso sfoggia una prestazione magistrale, davvero coinvolgente. Inquadrature stupende e c’è persino lo spazio per un po’ di tensione.
Il momento che mi diverte di più è quello in cui Barry fa entrare nello studio un suo ascoltatore, Kent, uno sciroccato dall’aspetto glam rock con cui dà vita a un siparietto grottesco. Mi piace molto l’atmosfera raccolta del film, quasi intimista, e in certi passaggi mi sembra di ascoltare davvero un programma radiofonico. Al di là delle risate, trovo che vi sia qualcosa su cui riflettere negli amari discorsi di Barry e nelle sue conversazioni con chi lo chiama, non ultimo proprio il concetto di dialogo.
Ieri, per trascorrere il primo pomeriggio, ho riguardato Salvador di Oliver Stone, un film di cui serbavo un bel ricordo. Si tratta di una pellicola cruda, in cui mi pare chiara l’accusa verso quelle che al tempo erano le molteplici ingerenze statunitensi nel Sudamerica in virtù della cosiddetta Operazione Condor. Correva l’anno 1986, una vita fa.
Mi piace il protagonista interpretato da James Woods, un giornalista debosciato che ha degli ideali e il cui edonismo si trova a fare i conti con la miseria altrui, ma apprezzo anche il personaggio di completamento da cui è accompagnato, anch’esso un viveur del cui ruolo si occupa James Belushi. Mi pare che le scene violente non siano fini a loro stesse e ricorrano nel giusto numero per conferire un ritmo adeguato al messaggio di denuncia, ma al contempo il film non si esaurisce in quest’ultimo e secondo me gode di un’estetica straordinaria in cui l’impronta di Stone è riconoscibile già dalle prime inquadrature. Perfetto.
Unico qua frammenti che ho redatto altrove per compendiarne l’ordine cronologico e averne la disponibilità in un unico scritto.
L’attuale parodia del Kali Yuga mi offre la possibilità di riscoprire piaceri antichi come le partite serali a Quake.
Alleno i riflessi con la prospettiva di perdere i sensi. Non ho l’atarassia a portata di spirito, ma solo un fatalismo tascabile. La zona rossa mi ricorda l’occhio di Sauron. Il modo migliore per lavarsi le mani lo insegnò Ponzio Pilato a suo tempo.
Beati gli anacoreti, gli eremiti, i padri del deserto e chiunque rinneghi se stesso.
Mi trovo a mio agio nelle immediate vicinanze della finitezza, ma devo ancora svilupparne una piena accettazione.
Quest’incipit non ha mai riscosso grande successo tra le poche disgraziate con cui ho interloquito, ma di fronte a quei rari casi positivi ho poi avuto cura di trovare altre ragioni di discordia: Eris è sempre presente.
Nel corso degli anni ho setacciato la filosofia e la metafisica limitrofa per necessità. Per me c’è qualcosa di plausibile nell’onesta e spietata ricerca delle cause prime, molto più di quanto percepisca dalla vita etica descritta da Kirkegaard che taluni abbracciano o tentano di perseguire a loro insaputa.
Se il logos contasse poco o nulla allora la mia specie non sarebbe condizionata dai propri pensieri, vivrebbe nell’inconsapevolezza di "quando ancora non si distingueva l’aurora dal tramonto", per citare Battiato.
Heidegger ha messo i sottotitoli alla possibilità più autentica dell’Esserci e gli stoici hanno dato l’esempio del massimo atto di libertà: il resto è volume antropomorfo negli interstizi del Quaternario.
Prosegue il reality darwiniano mentre i più indifesi ne escono a piedi avanti. Trovo che al pericolo donino i colori dell’irreversibilità perché vanno bene per ogni stagione, inoltre sono i soli con cui esso appaia davvero convincente. Mi chiedo come se la passino i tossici d’ogni ordine e grado, i maggiorenni minorati e tutto l’altro mangime della Luna.
Povere bestie da somatizzazioni, che il Ser.T. vi sia lieve.
Per la teodicea di Leibniz questo è il migliore dei mondi possibili, per me invece è un semplice epifenomeno cosmico.
Un po’ di tempo fa la Voyager 2 ha superato l’eliosfera e adesso si trova alla deriva nello spazio interstellare: ecco, per me quella è l’unica distanza di sicurezza che sia davvero valida.
Le nubi più tetre si addensano su un cielo che pare in procinto di crollare. Le incertezze sfilano con gli abiti che ricevono dalle paure umane e si lasciano ammirare con terrore nella piena paralisi del loro pubblico. Uomini e donne pietrificati come statue minori nella stagnazione economica: il sole tramonta a Occidente. I discorsi, le dichiarazioni e qualunque altra ciarla sono soltanto atti di vandalismo contro un silenzio che alla fine prevarrà. Taluni seguono gli accadimenti con il fiato sospeso e mi chiedo se siano disposti a prolungarne l’arresto, difatti per evitare il contagio possono provare a trattenere il respiro per sempre.
Per prime uccido le speranze. Mi aspetto il più nefasto degli esiti, l’annichilimento totale di ogni certezza pregressa, un vanesio autoritratto della distruzione e qualche maceria di consolazione. Tutto si risolve con l’ecpirosi. Tutto. Chissà come verranno chiamate e ripartite quelle terre che ancora si raccolgono sotto il nome di Italia.
In momenti del genere la democrazia mostra i suoi volgari limiti e la vera natura degli inetti che la sostengono. Arrivi pure la fine e si trattenga per sempre. L’atmosfera è quella di un bunker berlinese nella primavera del Quarantacinque. Mi chiedo quale grave atto cosmico io abbia commesso per cadere in forma umana su questo pianeta e in quest’epoca. Non ho l’atarassia a portata di spirito, ma solo un fatalismo tascabile. La zona rossa mi ricorda l’occhio di Sauron. Il modo migliore per lavarsi le mani lo insegnò Ponzio Pilato a suo tempo. Beati gli anacoreti, gli eremiti, i padri del deserto e chiunque rinneghi se stesso.
Nell’agevole posizione del disinteresse
Pubblicato venerdì 6 Marzo 2020 alle 21:59 da FrancescoSu quale canale verrà trasmessa la fine del mondo? Servirà un abbonamento per vedere in chiaro il più oscuro dei tempi? Il mio fatalismo splende di luce propria. Non so cosa abbia in serbo il futuro per la mia specie né se davvero abbia ancora senso il concetto di avvenire.
Le spinte migratorie, il debito pubblico, l’emergenza sanitaria: i conti non potrebbero tornare neanche se conoscessero la strada di casa, la misura è colma e l’inizio della fine pare che stia prendendo l’abbrivo. La lenta caduta delle certezze si propaga con la tipica inerzia che anticipa e segue i grandi disastri, inesorabile e maestosa nella sua austera epifania.
Di quali proporzioni è la differenza tra la realtà e l’idea in cui ognuno la sigilla con il proprio riduzionismo? Quanto è imprecisa l’opera di ricalco tra i fatti e la loro descrizione mentale da parte di chi vesta i carnali panni del caduco spettatore? Assisto con svogliata attenzione ai concitati moti di chiunque si trovi a fronteggiare l’orizzonte della sua finitezza senza che ne abbia mai tastato prima l’accidentato terreno. Si muore così come si vive: a suo tempo il professor Heidegger spiegò l’essenza di quel “si”, pronome (im)personale e illusorio.
La paura può essere un campanello d’allarme o quello sul citofono dell’idiozia, ma quest’ultima non è mai in casa perché alberga ovunque e vanta una certa ubiquità. Non so dire cosa gli altri debbano fare perché non ho uno strumento col quale misurare la giustezza delle mie affermazioni, ma se mi capitasse tra le mani un dispositivo del genere lo userei prima di tutto per il mio bene e solo in un secondo tempo ne estenderei l’uso verso terzi. Mi chiedo come mai si possa nascere senza una prescrizione medica o metafisica: quali referenze ha la transeunte esperienza terrestre per risultare così appetibile? La fine e le sue sorelle mi ricordano le Parche: il destino è sempre una questione di famiglia.
Da alcuni giorni nell’etere e nei miei dintorni aleggia un clima da sagra dell’Apocalisse, ma io continuo a non capire dove si faccia la fila per l’estinzione di massa. L’irrazionalità umana si staglia sulle paure archetipiche della mia specie e costringe taluni ad assumere comportamenti inconsulti. Credo che l’individuo e la collettività siano speculari sotto certi aspetti, quindi l’analisi dell’uno può svelare qualcosa dell’altra e viceversa. La soggettività non gode di un esclusivismo assoluto, ma solo di uno relativo e fuorviante.
Il senso dell’esistenza terrestre non ha qualcuno o qualcosa a cui rendere conto nel resto dell’universo, perciò è autoreferenziale in maniera subdola e si appunta surrettiziamente presupposti teleologici che non hanno altro riconoscimento al di fuori del proprio. Se mi ponessi troppi dubbi finirei per pormi quello del loro numero. In queste ultime righe ho divagato dal tema principale, ossia quello che possiede il patrocinio del panico e della stupidità, però la mia assenza temporanea può contare sulla giustificazione scritta dalle scempiaggini altrui. Qualcosa di veramente virale è diventato virale: molteplici accezioni, nessuna eccezione, praticamente un en plein. I momenti peggiori forse sono i più veritieri, ma poiché al peggio non c’è mai fine immagino che la verità non mostri mai di sé una nudità integrale. Forse nel vaso di Pandora c’è una razione K per l’introspezione, ma non è detto che tutti la possano digerire. Una pandemia può rivelare o ricordare molto degli esseri umani agli… esseri umani; quanto ciò sia utile non sono in grado di affermarlo poiché la storia si ripete con pervicace insistenza.
Ultime dai campi: San Valentino e White Marble Marathon
Pubblicato domenica 23 Febbraio 2020 alle 22:35 da FrancescoWhite Marble Marathon 2020 – 23/02/2020
Continua a divertirmi oltremodo questo clima da sagra dell’Apocalisse, ma non ho capito dove si faccia la fila per l’estinzione di massa. Ogni tanto mi ascolto in repeat un vecchio singolo dei R.E.M., "It’s the end of the world as we know it", ma a breve conto anche di giocare il remake di Resident Evil 2.
Stamani invece, a sette giorni dalla maratona di San Valentino, ho corso in quel di Carrara la quarta edizione della White Marble Marathon e l’ho conclusa in 2h49’46": quinto uomo e sesto assoluto. L’ennesima sotto le due e cinquanta. È stata la mia trentaquattresima maratona e la quarantunesima gara di lunga distanza (comprese sette ultramaratone). In questi anni ho maturato un po’ di esperienza, ma di tanto in tanto faccio ancora degli errori madornali, vere e proprie minchiate sesquipedali.
Due anni or sono impiegai otto minuti di meno sul vecchio percorso (che era più lento), ma non importa: al momento non posso fare molto di più.
In quest’occasione ho cambiato un po’ il mio assetto, infatti ho indossato la maglia che ho trovato nel pacco gara e ho messo ai piedi un paio di A2, precisamente le Freedom ISO 2 della Saucony.
Forse le scarpe più ammortizzate hanno scongiurato l’insorgenza di quei disturbi intestinali che in alcune recenti occasioni mi hanno arrecato nocumento. D’altro canto con la mia attuale velocità non sono più in grado di sfruttare le A1, ma a tempo debito le calzerò di nuovo.
All’inizio ho provato a impostare il passo attorno ai 3’52" al chilometro e più o meno l’ho tenuto fino alla mezza, ma poi ho avuto un bel calo. Tutto sommato è andata bene lo stesso perché devo abituarmi nuovamente alle A2. Just a matter of time.
Al di là di tutte ‘ste stronzate ringrazio di cuore le persone con le quali ho passato il fine settimana: gente squisita con cui mi sono divertito molto!
E un altro ringraziamento lo rivolgo a quel ragazzo che in uno degli ultimi ristori mi ha inseguito a corsa per darmi un bicchiere d’acqua che non era riuscito ad allungarmi poco prima! Quel gesto mi ha rinfrescato più di quanto abbia fatto l’acqua stessa. Namasté.
Qui la classifica: https://www.endu.net/en/events/white-marble-marathon/results
Qui la traccia Strava: https://www.strava.com/activities/3126410961
–
Maratona di San Valentino 2020 – 16/02/2020
Se ne avessi la facoltà intitolerei una via o una piazza all’inventore dei bagni chimici: che Krishna l’abbia in gloria!
Stamane a Terni ho corso la maratona di San Valentino e per concluderla ho impiegato tredici minuti in più rispetto allo scorso anno: 2 ore, 56 minuti e 45 secondi. Diciassettesimo assoluto e primo di categoria.
Poco prima del ventesimo chilometro ho cominciato ad avvertire qualche disturbo intestinale e ho valutato subito il ritiro, ma poi ho cercato di resistere e mi sono posto dei traguardi intermedi.
Al ventiseiesimo chilometro ho trovato un bagno chimico che si è rivelato salvifico.
Appena ho ripreso a correre ho notato che avevo ancora buone possibilità di finire la gara sotto le tre ore, il mio minimo sindacale, e allora mi sono prestato al piccolo calvario dei restanti sedicimila metri
Non riesco a ritrovare la forma pregressa e questi incidenti di percorso non mi aiutano, ma prima o poi ce la farò.
Qui la classifica: https://www.icron.it/newgo/#/classifica/20190684
Qui la traccia Strava: https://www.strava.com/activities/3105698724
Stanotte ho vissuto un sogno molto intenso. Mi ritrovo in una stanza simile alla mia, ma sono ospite di una famiglia meridionale. Vicino a me siede una ragazza dai capelli corvini che identifico subito con una vecchia conoscenza: oltre a noi due vi sono anche sua sorella e suo fratello.
La ragazza è ostile nei miei confronti, insofferente, e assume comportamenti bizzarri, come se fosse posseduta. D’un tratto parlo di questa situazione a sua sorella e poi a suo fratello che invece si dimostrano pacati e ragionevoli, mentre lei nel frattempo si fa sempre più aggressiva.
A un certo punto il sogno cambia e si susseguono delle immagini che mostrano la ragazza nel pieno di vari amplessi, ma in quelle scene pornografiche percepisco la stessa forma di disprezzo nei miei confronti che già avevo avvertito all’inizio. Alla fine la sequenza lasciva cessa e io mi ritrovo all’esterno, ma non riesco a capire se sia sera o se siano imminenti le prime luci del giorno: questo è l’ultimo particolare che ricordo.
–
La spiegazione di questo sogno può essere ricondotta ancora una volta a quelle istanze che respingo dalla vita vigile, ma di cui quella inconscia non può sbarazzarsi. Si tratta della perpetua mancanza nella mia esistenza di relazioni sentimentali e di una profonda reciprocità con un altro essere umano, perciò ciclicamente tale condizione riaffiora nottetempo per chiedere udienza.
Questo movimento onirico mi ricorda quelli sistolici e diastolici, paragone che si presta anche a una metafora melensa, perciò non ci trovo niente di preoccupante. È normale amministrazione, il consueto via vai di pulsioni naturali e razionalità.
Non ho ragioni apparenti per cercarne di sostanziali e dunque mi oriento al di là di certe premesse che si legano alle loro naturali conseguenze. Attorno a me percepisco la vacuità di ogni linguaggio e la profonda incomunicabilità che caratterizza ogni tentativo dialogico.
Le parole non riescono a sostenere il peso di ciò che rappresentano e non di rado le reciproche incomprensioni risultano la massima espressione di una velleitaria autenticità. Secondo me i silenzi sono gli unici depositari delle domande e delle risposte a cui ognuno può accedere soltanto dentro di sé. Scrivo per me stesso e a me stesso parlo poiché le mie frasi non potrebbero raggiungere nessun altro neanche se fossero diffuse a reti unificate. Riconosco ovunque il dominio del soliloquio, anche quando presto attenzione ai miei interlocutori e sulla base di quest’ultima fornisco poi uno spontaneo contributo alla conversazione, ma ai miei occhi e alle mie orecchie la questione si risolve quasi sempre in un gioco di ruolo. Non mi disturbano simili dinamiche, anzi, talora sono contento di prendervi parte per mero diletto, come una serata in un luna park, però cerco di soppesarle per quello che sono, ovvero poca cosa, e quindi non mi aspetto nulla di quanto possono millantare.
Trovo che le speranze siano piuttosto ingombranti e, per mia somma fortuna, non so neanche se me ne sia rimasta qualcuna incastrata nel recente passato. Cerco di vivere con la maggiore leggerezza possibile, a volte come in uno stato di abbandono sull’orizzonte del fatalismo: in questo modo riesco a regalarmi molti momenti di quiete. Non m’interessa granché la vita altrui in quanto mi bastano i difetti del mio egocentrismo e non intendo farne una collezione. Sono autoreferenziale da molto tempo, ma forse certe cose sarebbe andate meglio se avessi cominciato da quand’ero in fasce. Talora l’esperienza è una insegnante tardiva e la sua supplente, l’intuizione, non si dimostra sempre pronta a subentrarle.
Sabato a Sabaudia: fine dell’allitterazione. Domenica nell’Agro Pontino ho preso parte alla prima edizione della Maratona della Maga Circe e l’ho chiusa al secondo posto in 2 ore, 47 minuti e 40 secondi. Quinto podio sulla distanza, ventiduesima maratona sotto le 2 ore e 50 minuti, trentaduesima su trentadue sotto le tre ore.
Il mio obiettivo era quello tornare a correre almeno sotto le 2 ore e 45 minuti, ma il percorso si è rivelato più muscolare di quanto mi aspettassi. Per fortuna Circe non ha invitato Eolo e difatti il vento è stato un assente ampiamente giustificato. Ho cercato di fare una gara in progressione e ho raggiunto il terzo attorno al ventesimo chilometro. Da lontano vedevo l’immenso Giorgio Calcaterra e fino al trentaduesimo chilometro ho provato ad avvicinarlo, ma poi lui ha fatto un cambio di passo magistrale e si è trasformato in una figura sempre più indefinita e lontana: alla fine gli ho detto che anch’io facevo il tifo per lui!
Al trentacinquesimo chilometro ho iniziato a rallentare, il trentottesimo l’ho corso addirittura in 4’31” e a un certo punto mi sono quasi rassegnato all’idea di finire fuori dal podio, ma dietro di me il terzo era ancora lontano e non sapevo dove fosse il quarto, perciò in quel momento avevo ancora un buon vantaggio da gestire. A un certo punto mi sono detto: “Rifiato fino al quarantesimo e cerco di spingere gli ultimi due chilometri”. E così negli ultimi duemila metri ho sofferto come un cane e ho provato a dare tutto quel poco che mi rimaneva.
Una volta giunto al traguardo ho fatto qualche altro passo in avanti per non ingombrare l’arrivo e poi mi sono disteso sull’asfalto per almeno cinque minuti. Avevo i quadricipiti che chiedevano pietà. Poche altre volte sono stato al contempo così esausto e contento.
Non è stata la mia gara migliore, ho gestito malino le energie, in certi punti ho osato troppo e non sono riuscito a spingere nel finale, però ci ho messo davvero tanto cuore e devo confessare che alla fine un moto di commozione l’ho avuto anche se me lo sono tenuto dentro.
Condividere il podio con il mio idolo, il mio punto di riferimento, è già uno dei ricordi più belli che mi accompagnerà fino alla fine dei miei giorni: di ciò sono certo.