Non sono in grado di prevedere cosa comporterà il graduale ripristino di certe attività nei primi giorni di maggio, tuttavia non mi aspetto nulla di buono. A mio parere un congruo numero di italiani non conosce mezze misure e non sa comportarsi bene a meno che non sia costretto a farlo sotto la costante minaccia di un forte deterrente, perciò non mi sorprenderei se vi fosse un’improvvisa marcia indietro: mi auguro di no.
Mi attendo uno sfogo violento delle frustrazioni che molti minus habentes hanno di certo coltivato con cura nel corso della quarantena, ma spero che in quest’anomala primavera l’idiozia non sbocci più del dovuto.
Sono passati oltre quaranta giorni dal mio ultimo allenamento su strada, ma non mi manca l’attività fisica all’esterno e se dipendesse da me la proibirei quasi del tutto per un altro po’ di tempo. Detesto le dipendenze d’ogni genere, infatti in più occasioni, sotto il profilo psicologico, non ho riscontrato differenze sostanziali tra certi sportivi e alcuni tossici di mia conoscenza, almeno nella misura di quanto mi sia dato cogliere e soppesare.
Mi alleno in casa come posso per mantenere un minimo di forma: mi disgusta l’eccessivo sovrappeso quando dipenda dall’indolenza e non sia invece espressione di un disturbo serio.
Per fortuna ho molti interessi su cui già prima dirottavo una parte di quegli investimenti di tempo che sottraevo proprio alla corsa. Nell’arco della mia giovane esistenza ho fatto bene a trascurare la vita sociale per concentrarmi su me stesso: il tempo mi ha dato ragione.
A me dispiace soltanto che debba condividere una parte della mia sorte con quella di alcuni subumani. È la democrazia, bellezza!
Se certe dinamiche non influissero sulla mia esistenza non me ne interesserei affatto e riserverei loro la stessa noncuranza che già riservo alle logomachie calcistiche, ai simposi delle comari e alle diffamazioni da bar, o forse ne leggerei qualcosa solo per affrontare meglio la bicromia di un cruciverba.
In parte apprezzo le misure restrittive perché hanno conferito un minimo d’ordine a questo cesso di repubblica e so già che quando verranno meno un po’ mi mancheranno, ma confido nell’idiozia e nell’egoismo di certuni affinché il governo si veda costretto a ripristinarle.
Verso la riapertura delle gabbie: avanti, bestie!
Pubblicato domenica 19 Aprile 2020 alle 10:02 da FrancescoIl signore degli anelli di J. R. R. Tolkien in inglese
Pubblicato giovedì 16 Aprile 2020 alle 01:38 da FrancescoFinalmente, dopo vari mesi, ho concluso la lettura de Il signore degli anelli in inglese e così ho affinato ulteriormente la mia familiarità con la lingua della vecchia Albione, ma è stato un altro lo scopo principale che mi ha indotto a un simile investimento di tempo.
Non amo il fantasy né i romanzi, tuttavia in molteplici occasioni e in vari contesti mi sono trovato di fronte a citazioni più o meno dirette dell’opera di Tolkien, perciò avvertivo da tempo la necessità di colmare tale lacuna. Le oltre mille pagine di questo librone sono pervase da archetipi con la foggia di un preciso retaggio culturale e folcloristico, quindi veicolano un immaginario che affonda le sue radici nell’inconscio collettivo e ciò mi ha reso più gradevole l’esperienza. Sono contento che io mi sia avvicinato tardi a un testo del genere, difatti se vi avessi posato prima gli occhi ne avrei trascurato il ricco simbolismo e avrei rischiato di ridurne la portata a una semplice forma d’intrattenimento letterario.
Per me il dualismo de Il signore degli anelli non è dicotomico né manicheo, ma molto sfumato e ambiguo, perlomeno fino a quando i postumi del finale non fanno virare la narrazione verso un esito quasi idilliaco, intaccato soltanto da un lieve struggimento dei suoi protagonisti per l’allontanamento di uno di essi.
Ho incontrato delle difficoltà a tradurre certi passaggi a causa di arcaismi o di espressioni peculiari, quindi ho sovrapposto le faticose peripezie dei personaggi ai miei sforzi cognitivi e questa circostanza, in un modo piuttosto bizzarro, mi ha fatto immergere viepiù nella storia.
Purtroppo nel corso degli anni ho sviluppato una forte insofferenza verso la narrativa e quindi non ho intenzione di cimentarmi di nuovo in una lettura analoga, perlomeno non a breve, e difatti ho già compiuto un celere ritorno alla saggistica. Non leggo soltanto ciò che mi attrae e per questa ragione, talora, mi sciroppo cose di cui farei a meno, ma esse alla fine si rivelano utili e propedeutiche per allargare il raggio dei miei interessi: un male necessario, un atto dovuto, il tedio delle trivellazioni per la ricerca del petrolio o dell’acqua, insomma, qualcosa del genere.
Reminiscenze dal ponte Regina Margherita
Pubblicato mercoledì 15 Aprile 2020 alle 05:36 da FrancescoLa notte è finita, ma io devo ancora dormire e allora improvviso come se non potessi più farlo, come se le circostanze avessero lanciato un ultimatum alla mia immaginazione. Attorno a me il silenzio rasenta la perfezione mentre al mio interno vige una certa serenità. Mi sento allineato con il presente e contemplo le sue incertezze come stupende decorazioni.
Un paio d’ore fa sono stato sul punto d’inviare un messaggio a una ragazza, ma poi ho chiesto udienza a cinquanta centesimi e il verdetto mi ha sconsigliato di procedere: alla fine ho seguito il suggerimento della moneta e ho tenuto per me qualcosa che invece volevo condividere. Non so se io abbia sbagliato a non lottare contro il fato o se invece, proprio attenendomici, l’abbia sfidato. Le combinazioni possibili sono molte, compresa quella che non subisce modifiche.
Il pensiero è un atto di creazione e lascia tracce, ma come esse si misurino e quali forme assumano, non mi è dato saperlo. A volte la mente rinnega la sua natura nomade e si ritrova stanziale in qualche angolo di un passato remoto o recente, ma il viaggio continua e passa anche attraverso banalità come quest’ultima. Forse non ho granché da dire e di certo ho poco da condividere. Lascio molto spazio al fatalismo mentre mi occupo di me stesso. Non vado in cerca di qualcosa da cui posso essere soltanto trovato: il gioco dei ruoli è questo, piaccia o meno. Sicuro nella mia latitanza, tutt’altro che ascoso, per adesso mi congedo.
L’altra sera mi sono goduto Un giorno di ordinaria follia, un film del 1993 di Joel Schumacher. Ne ricordavo solo una scena, vista forse tanti anni fa, probabilmente di notte, ma ho deciso di guardarlo perché tempo fa un tizio me l’ha citato mentre parlavamo di tutt’altro. Per me questa pellicola racconta la rapida escalation di un uomo medio verso il baratro, ma lo fa con un’ironia amara, a tratti grottesca, e quindi molto gradita al sottoscritto.
Michael Douglas veste i panni di un padre al culmine della frustrazione che cerca di andare a casa dell’ex moglie per rivedere la figlia, ma il suo tragitto si trasforma presto in una sorta di catabasi, ovvero una discesa nell’oltretomba che nel suo caso è costituito dalle ingiustizie, dalle prepotenze e dalle discriminazioni di cui è vittima e carnefice. Alcune scene sono violente e divertenti, ma secondo me mettono sempre in luce le contraddizioni della società di riferimento e questo particolare, a mio avviso, fa oscillare continuamente il protagonista tra il bene e il male. Un poliziotto prossimo alla pensione è il primo tra i personaggi minori, ma nello svolgimento dei fatti diventa quasi un deuteragonista e alla fine tutta la faccenda influenza una sua scelta che pareva definitiva.
Per me la storia ha un ottimo ritmo, è incalzante e non c’è neanche un passaggio che mi annoi. Molto poetico il finale, almeno per i miei gusti, ma non ne scrivo per evitare che io lo sveli all’improbabile lettura di qualcuno. Questo film ha un unico problema: il rischio d’emulazione! La tentazione è forte…
Al di là delle sempiterne polemiche politiche mi pare che il governo italiano sia in grave ritardo sull’emergenza economica. L’Europa è un concetto astratto da cui nessuno può aspettarsi un aiuto concreto, ma molti dei suoi stolti sostenitori la difendono a spada tratta per partito preso, dimostrando così l’aspetto autolesionista della disonestà intellettuale e un’accettazione acritica dello status quo.
Il primo ministro italiano mi imbarazza oltremodo e per il bene della nazione mi auguro soltanto che dietro di lui vi sia qualche figura competente. In Italia manca quella liquidità a fondo perduto a cui in altre nazioni invece è già stato dato libero corso, ma al momento le uniche misure di una certa importanza prevedono per le imprese dei prestiti da restituire nell’arco di sei anni, ovvero un ulteriore indebitamento per quell’esigua platea che riesca ad accedervi.
Nelle prime settimane dell’emergenza ho voluto concedere il beneficio del dubbio ai dilettanti che siedono nelle stanze dei bottoni, ma il tempo ha confermato i miei timori nei loro riguardi e adesso onestamente non ho idea di come possa finire tutta questa vicenda.
La democrazia non facilita la gestione di eventi simili e il cosiddetto stato di diritto ci mette sopra il peso da novanta. Dal mio punto di vista l’intera nazione doveva essere militarizzata con misure draconiane appena è stata dichiarata zona rossa, invece per gli innumerevoli trasgressori della quarantena non sono state previste punizioni esemplari, deterrenti efficaci, ma soltanto multe e denunce penali di scarso impatto. Mi aspetto un’evoluzione esiziale di quest’emergenza e un disastro economico che farà da orrendo sfondo alla macelleria sociale. La classe media rischia di essere spazzata via dall’indolenza governativa così come un’intera generazione di anziani è già stata decimata dalla virulenza pandemica.
A me pare assurdo e preoccupante che dopo tutto questo tempo dall’inizio del contagio l’Italia non sia ancora riuscita a trovare contromisure decise, capaci di dare un contorno a qualche vaga speranza. Il meccanismo del MES per la spesa sanitaria, vincolato al 2% del PIL, è ambiguo, difatti chi lo ha caldeggiato sostiene che servirà a quei paesi che ne faranno richiesta e al contempo ha negato che l’Italia sarà tra questi, ma Sassoli, attualmente presidente del parlamento europeo, ha invece asserito che l’Italia non deve escludere la possibilità di ricorrere a quella linea di credito poiché potrebbe rivelarsi utile: io a chi devo credere? È tutto così aleatorio, incerto, precario, contraddittorio e confuso. Sento odore di Grecia, ma con tragedie che per intensità e diffusione supereranno di gran lunga le penne di Euripide e Sofocle.
Un sincero augurio per una festa comandata
Pubblicato sabato 11 Aprile 2020 alle 02:05 da FrancescoUn sincero e precoce augurio di buona Pasqua a chiunque abbia ancora la scarsa creanza di attardarsi su quest’ecumene.
Chissà come fu quella cambogiana di quarantacinque anni fa, quando quei simpaticoni dei khmer rossi assursero al potere e ricorsero a qualche milione di (s)comparse per un genocidio che tuttavia non ebbe grande successo al botteghino. il talent delle fosse comuni, format ormai rodato dalla sciagurata storia umana. I morti evidentemente non sono tutti uguali, ma sono tutti uguali tra loro coloro che lo negano.
Secondo me il grande spettacolo della fine non si concluderà con la chiusura del sipario, ma sarà direttamente il cielo a crollare. Qualcuno dovrebbe recarsi nella fascia di Kuiper per lapidare questo pianeta da laggiù.
Forse oggi i tempi sono cambiati e se le educande mie coeve dovessero scatenare una guerra civile sono certo che prima farebbero a testa o croce per palla o campo di sterminio.
Tra un po’ le gastriti potrebbero essere curate con cariche alla baionetta: se così fosse potrebbero dimostrarsi più efficaci dell’omeopatia. Ai posteri l’ardua emorragia.
Tutti fratelli, tutte sorelle, praticamente un incesto. Ho la vaga impressione che l’essenza dell’essere umano aderisca poco alle sue fantasie più edificanti, anch’esse strumento di difesa nella sua lotta contro il proprio aspetto ombra di junghiana memoria: ovunque v’è belligeranza e l’applicazione di ogni idea, in maniera più o meno surrettizia, richiede un grado variabile di coercizione. Di spontaneo v’è solo lo stato inorganico. Requiescat in pace, o a troie.
Mi chiedo quale autocertificazione serva per intraprendere viaggi astrali nel corso di una quarantena. Non mi sento prigioniero tra le pareti di casa, tacite e cementizie testimoni di silenzi proficui, ma provo una sorta di claustrofobia cosmica perché la mia specie non è ancora riuscita a stabilire una linea diretta tra la Terra e Proxima Centauri.
Contagio il presente con la mia estrema lucidità e così intravedo il suo lento transito verso una dimenticanza che, prima o poi, sarà definitiva, ma quest’inesorabile processo di sparizione non mi rattrista né m’inquieta come invece soleva fare in tempi ostili, quando erano frequenti e cruente le schermaglie tra le gli circostanze e la mia mente.
Di me non resterà nulla, tuttavia è proprio dal nascente senso della perdita che posso riscattare ciò che ho impegnato finora per garantirmi un’esistenza ordinaria, ossia le intuizioni dell’infanzia. È destinata a crollare la sala delle memorie, nelle cui colonne sono intagliati i più intimi affetti, dove nicchie levigate dal passato custodiscono i ricordi capitali della vita vigile. A tempo debito non potrò più ignorare il richiamo che giunge da strade ignote e lontane, dove forse si attardano quelle verità ultime alle quali ancora non so conferire né ruoli né sembianze. Mi mancherà ciò che non mi manca e di cui comunque ora mi è preclusa una mancanza autentica.
Queste sono prove tecniche di assenza e smarrimento. Ogni singolo istante può fagocitare i suoi analoghi pregressi e qualunque senso apparente che lo abbia preceduto per mesi, anni, decadi, ovvero variazioni impercettibili nei ritmi del cosmo, ma proprio a un tale culmine può dimostrarsi rivelatrice la spada di Damocle, quando smetta di pendere minacciosamente e si abbatta in un colpo inspiegabile, a volte mortale.
La quarantena mi ha dato modo di collaborare nuovamente con un polistrumentista della mia zona. Circa due anni fa abbiamo registrato il nostro primo pezzo, L’orizzonte degli eventi, con il nome Padri del Deserto, ma poi non abbiamo fatto altro.
Negli ultimi giorni invece ci siamo messi al lavoro su una nuova traccia che è nata rapidamente e in cui ho avvertito sin dalla prima bozza ottime influenze black metal, precisamente una commistione tra i Dissection di Storm Of The Light’s Bane e gli Emperor di Prometheus.
Ho impiegato poco tempo a scrivere il testo e a registrare le voci per questo brano al quale sto riservando un ascolto continuo, l’unica riprova di cui abbia bisogno per misurarne la caratura.
Se dovessi mai suicidarmi vorrei che questa perla venisse considerata il mio testamento spirituale.
La realtà domina
L’anima resta anonima
La carne la contamina
La morte la nomina
L’impero e la sua lenta caduta
La nota dolente e quella perduta
La luce avanza e lo spazio si estende
Crea e distrugge una danza perenne
L’assenza di una prova
Non è prova di un’assenza
Il ritorno alla prima infanzia
È funzionale all’esperienza
L’ultimo profeta decanta i suoi brani
Esodo di energie dai corpi umani
I cadaveri stanno tra i loro pari
Scosse telluriche e nuovi divari
S’inverte il rapporto dei vecchi contrari
Avvoltoi sono i soli vicari
Una volta vivi ora avvolti in sudari
Respiri proibiti nei plessi solari
L’impensabile
Nell’invisibile
Celate dalle scelte degli avi
Porte celesti prive di chiavi
Evado da celle fatte di cellule
Vado dove lo spirito eccelle
Avverto sentori di forze ulteriori
Nell’universo come al di fuori
Torno agli albori, ai veri primordi
Quando tra i vivi non v’erano i morti
Rivado all’inizio dove tutto tacque
Quando dal nulla tutto nacque
Prospettive di espatrio o sindrome di Cassandra
Pubblicato domenica 29 Marzo 2020 alle 10:02 da FrancescoSe fossi degno di esigenze più alte e rarefatte mi limiterei a pregustare l’idea di un eremo nell’Hindu Kush in seno a una vita ancora più morigerata dell’attuale, ma i miei limiti interiori mi confinano in quella condizione che un certo linguaggio indica come propria del cosiddetto "uomo numero quattro".
Non amo l’umidità, ma posso imparare a conviverci più di quanto già non faccia. Ho alzato il mio personale livello di guardia a DEFCON 3.
Sto riflettendo seriamente sulla possibilità di espatriare a titolo definitivo in qualche angolo del sud-est asiatico o laddove le democrazie siano incompiute e malferme, quindi più efficienti di quella in cui risiedo e meno esose economicamente.
Devo valutare l’evoluzione di questo casino nell’arco dei prossimi diciotto mesi: mi concedo questa finestra di tempo per giungere a una decisione e scongiurare il pericolo che diventi tardiva.
Non ho alcuna fiducia nella capacità dell’Italia di farsi valere nella cloaca europea, perciò mi aspetto il peggiore degli scenari e le misure più nefaste, ma al contempo mi auguro che i fatti mi costringano a fare un bagno d’umiltà a ridosso dell’estate.
Non m’interessano i massimi sistemi, non gioco a fare il leguleio o lo statista perché non ne ho le competenze e non amo l’identificazione; m’interessa la mia situazione personale, ma quest’ultima sotto molti aspetti è legata a doppio filo al contesto in cui vivo.
L’abbandono dell’euro si prospetta rovinoso quanto il suo mantenimento in base alle pretese tedesche: come se ne esce? A me sembra che stia per partire il colpo di grazia sulla classe media. Un tempo diatribe del genere si risolvevano con gli sforzi bellici, ma il progresso ha escogitato metodi più raffinati per generare gli stessi carnai di Verdun.
Non sono un esterofilo e mi piace il posto in cui vivo, infatti vorrei trascorrerci una vita longeva, però non mi alletta l’idea di restarci ai limiti dell’indigenza.
Può darsi che alla fine le mie cogitazioni si dimostrino infondate, figlie irrequiete della sindrome di Cassandra, ma nel frattempo cerco di farmi una cultura sulle leggi e la pressione fiscale di alcuni paesi: primo tra questi sarà il Myanmar, già Birmania.
In parte mi entusiasma una prospettiva del genere perché mi fa tornare in mente un passaggio di "Nomadi" di Juri Camisasca che ho ascoltato spesso durante i miei viaggi solitari in Oriente: "Come uno straniero non sento legami di sentimento e me ne andrò dalle città, nell’attesa del risveglio".
Professione: reporter di Michelangelo Antonioni
Pubblicato venerdì 27 Marzo 2020 alle 07:45 da FrancescoIeri pomeriggio ho visto per la prima volta Professione: reporter di Michelangelo Antonioni e l’ho apprezzato molto. All’inizio, per circa venticinque minuti, non vi sono veri e propri dialoghi, ma solo stupende inquadrature e il carisma di un giovane Jack Nicholson che interpreta un giornalista stufo della propria esistenza. L’altro personaggio è un trafficante d’armi con cui Nicholson, ovvero David Locke, interagisce durante un soggiorno in Africa e della cui identità si appropria quand’egli muore improvvisamente. In questa cornice pirandelliana David Locke diventa David Robertson e quando rimpatria sotto tali mentite spoglie si assume in toto la vita del suo “predecessore”: a questo punto, secondo me, il film assume i contorni di una spy story perché il vecchio Locke si trova a viaggiare per i loschi affari del vecchio Robertson.
In questo girovagare, dove la regia restiutisce ambienti e atmosfere meravigliosi, irrompe sulla scena una donna che Nicholson incontra a Barcellona in un palazzo di Gaudì e con la quale comincia una liaison. Nel frattempo la tensione del film è mantenuta viva dalla vecchia vita di Locke che insegue il nuovo Robertson, infatti la moglie e un ex collega del primo cercando il secondo poiché è stato l’ultimo a vedere… Locke! È una pellicola stupenda.