15
Giu

Tornare in forma

Pubblicato lunedì 15 Giugno 2020 alle 16:25 da Francesco

Sto cominciando a ritornare in forma. Non mi alleno tutti i giorni per consentire al corpo di recuperare in modo adeguato tra uno sforzo e l’altro. Ieri sono riuscito a mantenere un passo di 4’52” al chilometro per quindicimila metri con qualche salita dura: è già qualcosa. Sono ancora giovane per le gare di fondo, ma in Italia in generale si viene ritenuti tali fino all’andropausa.
Ho ancora una decade a mia disposizione per migliorare i miei tempi su tutte le distanze, ma invero ho bisogno della corsa per dettare il ritmo a un’esistenza che non voglio oberare di cose inutili e deleterie. Non so quando sarà di nuovo possibile gareggiare, ma spero di essere comunque pronto per l’autunno. La sedentarietà della quarantena ha aumentato i miei fastidi a livello inguinale, perciò sto ponendo più enfasi sull’allenamento in salita e sugli esercizi di allungamento per adduttori e psoas.
Non so neanche se tra sei mesi sarò ancora in Italia (in parte spero di no), ma a meno che non accada qualcosa d’imprevedibile (circostanza tutt’altro che improbabile) sarò più veloce di adesso.
Malgrado le tante gare, lunghe, intense e ravvicinate, la mia storia atletica non è mai stata costellata da infortuni veri e propri, perciò faccio affidamento su questa mia dote naturale per alimentare un’indispensabile costanza, l’unica chiave di accesso e di eventuale successo, specialmente nel mondo del podismo.
A prescindere dalle implicazioni statistiche e agonistiche, la corsa si dimostra ancora una volta la mia più fida alleata nel contrasto alle avversità, uno strumento potente con cui posso farmi strada sulla fredda linea del tempo fino alla mia fine biologica: il resto passa in secondo piano, come tutto d’altro canto.

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9
Giu

Il 1984 nel terzo millennio

Pubblicato martedì 9 Giugno 2020 alle 21:59 da Francesco

Nelle ultime settimane è tornata di moda l’iconoclastia e certe immagini mi fanno pensare banalmente ad alcuni passaggi di 1984. Il celebre romanzo di George Orwell è evocato a ogni piè sospinto e talora in maniera esagerata finanche per degli usi iperbolici. A me sembra che il conio di una neolingua stia avvenendo per mano e bocca di chi teme le parole, ovvero individui ai quali è caro soltanto quanto possa dirsi politicamente corretto. La storia comincia a perdere la propria vocazione e viene forzata a svolgere funzioni edificanti, così qualcuno vuole mutarne l’insegnamento e qualcun altro ne abbatte tutti quei simboli che contrastano con la loro visione del mondo.
Taluni in nome della libertà di culto attentano a certe culture, spesso quella da cui provengono, in nome dell’uguaglianza tendono a discriminare chi non la pensi come loro, in nome di un’equa ripartizione delle risorse puntano a espropriare chi si è costruito qualcosa con le proprie forze, poiché per costoro l’individualismo è ammesso solo quando sia incarnato in determinati tratti razziali e sociali. Non contesto queste prospettive, anzi, non me ne fotte proprio un cazzo, e neanche scomodo termini inflazionati come ipocrisia o incoerenza per descriverne la sostanza, bensì mi limito a prenderne atto. Il mondo va come deve andare e i suoi impazzimenti sono l’espressione di una ciclicità che prescinde da chiunque s’illuda di esserne il primo artefice. D’altro canto vi è chi deve trovare un’ancora di salvezza nella vita o almeno uno scopo in cui identificarsi per sopportare il resto della propria esistenza, quindi immagino che taluni sposino certe cause non perché vi credano fortemente, ma per un’esigenza esistenziale di cui secondo me neanche si accorgono. Le fluttuazioni della morale umana sono poca cosa nell’ordine dei secoli, ma possono sembrare imponenti davanti alla durata media della vita umana. Al netto di tutto a me l’epoca attuale fa schifo e non ne salvo le eccezioni poiché esse lo fanno già da sole.

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6
Giu

Trentasei per dodici

Pubblicato sabato 6 Giugno 2020 alle 14:43 da Francesco

Oggi concludo il mio trentaseiesimo giro intorno al Sole. Ne sono passati di sversamenti petroliferi negli oceani. Cosa è cambiato in questi anni? Forse tutto, forse niente. Cosa mi aspetto dall’avvenire? Nulla. Nel mio mondo è vietato l’ingresso alle speranze minori di quattro miliardi d’anni. Sono un po’ più vicino alla morte fisica, ma non ho fretta di lasciare il corpo. Guardo ai rimasugli di vita come se costituissero i tempi supplementari di una partita dall’esito trascurabile. Mi trovo in villeggiatura sulla Terra: ho un contratto a tempo determinato come cavia del ciclo di Krebs.
Non ho mai festeggiato il mio genetliaco, ma spesso in simili occasioni mi sono fatto dei regali tardivi e anche questa volta devo ancora scegliere cosa donarmi: forse il cadeau principale risiede proprio in tale indecisione, secondo una meccanica che ben inquadrò Sigmund Freud nelle paginette di “Al di là del principio di piacere”.
Non mi creo aspettative poiché di Godot non ho mai visto neanche l’ombra, ma posso farmi precedere da qualche proposito che mi auguro di raggiungere a tempo debito. Vorrei ispessire il mio centro di gravità permanente per renderlo davvero tale. Mi piacerebbe acquisire una maggiore padronanza delle tecniche di respirazione. Mi sentirei oltremodo realizzato se riuscissi guidare i pensieri più di quanto essi guidino me. Cose del genere.

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2
Giu

Le metropoli bruciano

Pubblicato martedì 2 Giugno 2020 alle 22:23 da Francesco

Riesco a toccare le fiamme che vedo nel monitor perché non scottano e sento vicine le sirene della polizia benché le volanti statunitensi siano lontanissime. La guerriglia urbana ha qualcosa di orgiastico e dionisiaco, ma va a detrimento di chiunque cerchi di sbarcare il lunario in modo onesto e laborioso. Non sono bravo in matematica, ma dubito che quando alle ingiustizie se ne addizionino delle altre il risultato possa differire da un casino crescente. Per me la legge del taglione è perfetta e mi domando come mai la giurisprudenza non si limiti a celebrarne l’efficacia, ma nelle sommosse americane di questi giorni vedo soltanto l’appropriazione indebita di una protesta per il lucro e le frustrazioni personali di codardi razziatori. A me piacciono le insurrezioni, ma soltanto quando portino al crollo dell’ordine di costituito e all’illusione che ogni moto rivoluzionario non sia destinato a esaurirsi nella restaurazione delle sue cause prime.
Qualsiasi scusa è buona per abrogare tutte le altre. Lo ripeterò fino allo sfinimento: secondo me gli esseri umani possono ambire a una certa armonia collettiva solo quando vivano in società piccole, omogenee e distanti tra loro. Mi piacciono le culture nelle loro diversità talora insanabili, ma ho in sommo orrore il multiculturalismo in quanto lo considero una forzatura nociva e pericolosa. Ogni tanto mi chiedo quale aspetto della mia specie la spunterà alla fine: la capacità di adattamento o la reciproca insofferenza delle sue comunità? Sono questioni che esulano dalla durata di una vita media e quindi non me ne frega nulla, ma probabilmente me non me ne curerei manco se la cosa mi riguardasse direttamente.
Ognuno sposa le cause che preferisce e ne appronta con la stessa libertà i relativi divorzi al cospetto del tempo, tuttavia anche sotto questo aspetto risulto celibe e quindi mi mantengo a distanza dagli entusiasmi altrui. Un mondo più equo? Fate vobis. Un mondo più “green”? A me vanno bene anche i colori accesi dei funghi atomici.

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1
Giu

La prima corsa dopo la quarantena

Pubblicato lunedì 1 Giugno 2020 alle 21:48 da Francesco

Io, a differenza di certi figuri, nel periodo dell’emergenza mi sono attenuto alle disposizioni governative, perciò sono uscito di casa soltanto per fare la spesa, buttare la spazzatura e, in un paio di occasioni, per recarmi alle poste. La mia ultima corsa all’aperto risaliva alla sera del tredici marzo. In questi mesi ho provato a tenermi un po’ in forma su un vecchio tapis roulant, ma nelle ultime settimane l’ho lasciato perdere del tutto. Quest’oggi mi sono detto: “Mese nuovo, vita nuova!”. E così qualche ora fa ho provato a muovere un po’ le gambe come solevo fare prima di codesto casino. Mi sono reso immediatamente conto di come nel frattempo la mia meccanica di corsa sia andata a puttane e ho avvertito con altrettanta rapidità dei dolori all’altezza dell’inguine, ma sono consapevole di come sia tutto nell’ordine delle cose.
Il mio corpo deve riabituarsi a certi movimenti continui e agli sforzi prolungati di cui comunque conserva la memoria muscolare, perciò conto di ritrovare una forma dignitosa nell’arco di uno o due mesi. Alle fine, in questa prima ed estenuante seduta, ho rotto il ghiaccio (che con il caldo odierno si sarebbe sciolto anche se non fossi intervenuto) con venti chilometri a un ritmo imbarazzante di 6’43” al chilometro. Per me la perdita di velocità e resistenza non è frustrante poiché ci sono già passato e conosco tanto i tempi quanto i modi per il loro ripristino. La mia priorità non è agonistica, anche perché non ci saranno gare per molto tempo ancora, e comunque sotto quell’aspetto mi sento già appagato, bensì punto prima di tutto a ristabilire una buona sensazione psicofisica nei miei sforzi, conditio sine qua non per il resto.

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30
Mag

Il rumore dell’inconscio

Pubblicato sabato 30 Maggio 2020 alle 21:34 da Francesco

Con lo pseudonimo di Izdubar (l’errata traslitterazione di Gilgamesh) sto cercando di traslare sul piano sonoro la tecnica dell’immaginazione attiva di Carl Gustav Jung.
Non si tratta di un discorso musicale poiché le regole vengono infrante senza che a monte ve ne sia una piena padronanza, conditio sine qua non per una sperimentazione che non risulti la parodia di se stessa.
Cerco i rumori di fondo dell’inconscio e senza volerlo (cioè, al di fuori della giurisdizione della coscienza) lo faccio con un linguaggio che ricorda certe cose a cavallo del noise e dell’ambient, con qualche inciampo nel post-rock: insomma, un grande casino. La scelta delle immagini segue lo stesso procedimento. Questa cosa di tre minuti si chiama “Italian Poetry”. In tempo per il due giugno.

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26
Mag

Spazi e distanze

Pubblicato martedì 26 Maggio 2020 alle 08:04 da Francesco

L’altra sera ho passato in rassegna le foto dei miei viaggi e ne ho trovata una che ho deciso di mettere in calce a queste righe. L’immagine risale a circa tredici mesi fa, quando sono mi sono recato in Giappone per correre la maratona di Tokyo. Appena l’ho rivista mi è venuto subito in mente il tema del distanziamento sociale, il quale ha preso piede con la quarantena e sempre nella medesima ha iniziato a sfuggire di mano: forse il Leviatano ha un problema ai motoneuroni.
Mi piacciono gli spazi aperti, le superfici estese e vuote, il risalto di cui può godere l’orizzonte e la sensazione della distanza: sono elementi suggestivi che si prestano a meravigliose contemplazioni. Ho visto molti giardini zen nelle mie camminate solitarie in Estremo Oriente e mi piacerebbe frequentarne uno assiduamente o addirittura possederlo se un domani decidessi di trasferirmi per sempre in Asia.

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22
Mag

L’invito a morire

Pubblicato venerdì 22 Maggio 2020 alle 13:01 da Francesco

Si rinnovano nella mia interiorità le esortazioni a lasciare anzitempo il corpo, eppure queste suadenti offerte non mi convincono affatto e con pari pervicacia continuo a rigettarle. La morte è un’allettante prospettiva, anzi, io la considero proprio un’esigenza metafisica, ma al momento trovo che un’adesione volontaria al suo carattere irreversibile non sia affatto in accordo né con la mia età né con la situazione in cui verso. Tali ragionamenti in me non scaturiscono dalla mestizia o da tumulti emotivi che rispondono ad aggettivi analoghi, ma sono i getti piroclastici di una profonda e prolungata ricerca interiore.
L’introspezione ha un certo margine di errore e soprattutto può esporre a rischi elevati chi la pratichi, nondimeno io non potrei prescindervi neanche se volessi in quanto da tempo immemore mi sono sbarazzato di tutte quelle illusioni che consentano di bloccarne i lavori. Paradossalmente questo periodo di pensieri mortiferi è molto fecondo in quanto mi offre angoli di lettura e prospettive che in altri momenti mi sono preclusi o di cui, tutt’al più, posso azzardare una simulazione. Tali riflessioni si agitano come in un mare di Dirac e condizionano i miei ritmi circadiani, così talora mi trovo a dormire pochissimo per vari giorni di seguito fino a quando non recupero forze e lucidità con una dormita da ore in doppia cifra. Il mio mondo onirico risente di simili oscillazioni e mi offre visioni inedite, intense, angoscianti o di difficile interpretazione, ma comunque ricche di informazioni e di indizi sulle regioni più remote della mia personalità. Non devo morire per mia mano, non ancora, la mia indole non è autodistruttiva, ma seguo la sottile linea che divide l’ultima volontà dalla sua volizione. A mo’ di Ulisse mi lego all’albero maestro per udire richiami pericolosi.

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16
Mag

La lettura come meditazione

Pubblicato sabato 16 Maggio 2020 alle 22:10 da Francesco

In passato, a mia totale insaputa, ho cercato per lungo tempo delle forme di raccoglimento e concentrazione, ma solo a un certo punto della mia giovane esistenza mi sono reso conto che svolgevo certe attività per il surrettizio perseguimento di quegli scopi. Ho corso migliaia di chilometri nell’illusione che il podismo fosse per me un passatempo spontaneo, ma in realtà già dai primi passi costituiva un metodo meditativo e uno strumento introspettivo. Solo dopo anni alcune cose hanno cominciato a prendere forma ai miei occhi in maniera progressiva, un pezzo alla volta, fino a quando mi hanno restituito una visione d’insieme che mi è apparsa coerente. Avrei un bel vantaggio sugli eventi se riuscissi a comprenderne la natura primeva sulla scorta delle loro immediate manifestazioni, ma forse i miei limiti cognitivi mi costringono ad attendere una certa latenza: io compirei un’opera meritoria per me stesso se cercassi di capire come ovviare a tale ritardo o se almeno trovassi un modo per ridurne la portata.
In questo quadro di considerazioni la lettura è un’altra delle forme di meditazione a cui ricorro. Leggo sempre ad alta voce e ultimamente lo faccio in piedi con l’ausilio di un vecchio leggìo il quale mi piace pensare che non abiti per caso nella mia magione. La scansione delle parole mi ricorda una giaculatoria o un mantra e l’apprendimento che ne deriva mi offre un appagamento di cui mi piacerebbe monitorare i correlati neurochimici. Con questo procedimento provo un senso di rilassatezza e concentrazione, come se lambissi o esperissi in modo passeggero ciò che in un altro linguaggio è chiamato “centro di gravità permanente”. La postura, l’impostazione della voce, la mia attenzione e il contesto ambientale concorrono a creare quelle circostanze in forza delle quali il mio cerebro secerne sostanze endogene a cui sono riconducibili gli effetti anzidetti.
Ho notato come io avverta un profondo senso di soddisfazione quando mi riesca di leggere molteplici paragrafi senza alcuna esitazione, con la voce ferma e una postura corretta ma al contempo rilassata. Queste sensazioni sono diverse da quelle che mi cagiona l’allenamento fisico, ma hanno un comune denominatore che non sono in grado di specificare e di cui riesco solo ad avvertire il fil rouge. Per allungare il brodo potrei lanciarmi in ipotesi speculative senza capo né coda, le quali potrebbero risultare valide soltanto con la complicità delle coincidenze, ma preferisco che quest’appunto mantenga un carattere descrittivo.

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15
Mag

Tira una brutta aria

Pubblicato venerdì 15 Maggio 2020 alle 22:13 da Francesco

Tira una brutta aria in Italia. Leggo, odo e percepisco la comune insofferenza di persone molto diverse tra loro per estrazione sociale, bagaglio culturale e contesto ambientale. Mi stupisce e al tempo stesso giustifico sotto ogni aspetto l’aggressività di certi individui i quali si sono sempre contraddistinti per la loro pacatezza. Le condizioni economiche stanno precipitando e le esitazioni del governo allungano le ombre sul futuro. La confusione regna sovrana, i termini burocratici ornano la realtà imprenditoriale a mo’ di filo spinato e l’esasperazione procede a piè sospinto con la semina di gesti inconsulti che forse darà i suoi amari frutti in autunno.
Le sperequazioni aumentano a ogni decreto e le disparità di trattamento si allargano come se le acque del Mar Rosso fossero delle porte automatiche. La frustrazione di taluni cresce in maniera esponenziale e se ne può avere il polso con un po’ di zapping da social network.
Mi aspetto tumulti, stragi, gesti singoli e isolati in un mosaico di violente pazzie. Persino io che di rado mi sgomento, apprendo con un certo trasporto come i sacrifici di alcune persone vengano sacrificati per colpe altrui. A quale legge deve obbedire chi vede venire meno lo Stato nel cosiddetto contratto sociale? Per quale ragione un individuo è tenuto a rispettare ciò che intima il codice penale quando si ritrovi senza nulla da perdere? D’altro canto già in tempi normali non vi sono grandi deterrenti contro crimini efferati e spesso la prevenzione dei delitti è delegata quasi in toto all’etica individuale, ma allo stato attuale non mi sorprenderei se si allentassero i freni inibitori di molti individui. Per qualcuno la salute mentale è fortemente a rischio e la portata degli attuali eventi può innescare il debutto di tragedie annunciate.
Secondo me certe storture possono meravigliare soltanto chi creda davvero che la legge sia uguale per tutti. Le persone oneste, o quelle che provano a vivere come tali, sono mortificate ogni giorno e il cosiddetto stato di diritto spesso lo è solo per i criminali. La sfiducia sta per diventare l’unica moneta di scambio e anch’essa presenta un forte rischio di contraffazione. Non ci si può sfidare neanche del proprio disincanto. È una lotta tra persone e in ogni persona tra le sue molteplici personalità: faide intestine in seno a una guerra civile a mo’ di scatola cinese.

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