10
Lug

La percezione divisoria del vuoto

Pubblicato venerdì 10 Luglio 2020 alle 01:56 da Francesco

Mi aggiro nottetempo tra le miriadi di possibilità che ognuno annovera nelle ore di cui dispone, ma non ne trovo neanche una che sia alla mia reale portata, come i beni di lusso per chi conferisca loro un ulteriore valore oltre a quello di mercato. Talora una prolungata indecisione costituisce il più grande dei privilegi, ma sovente non si dimostra tale finché le circostanze non ne rivelino la sua preziosa irripetibilità sulla fredda linea del tempo.
Non so a quale inseguimento votarmi, verso cosa proiettare la mia coscienza, ma soprattutto non ho idea se sia opportuno che qualcosa del genere avvenga. Davanti a me si staglia un vuoto sconfinato del quale non riesco ad ammirare i contorni invisibili, ma di cui percepisco l’avvolgente presenza: perché mi pongo il problema di provare a riempirlo quando invece, per buona creanza, non dovrei gravarlo nemmeno con lo sguardo? Eppure sono combattuto tra la volontà dell’affermazione e il gusto superiore della rinuncia: questo vuoto c’è e i sensi ordinari me ne restituiscono una minima parte, non contiene nulla e soltanto un mio capriccio vuole oberarlo con qualcosa di cui neanche dispongo; non mi chiede niente e io invece cerco di estorcergli dei vaticini.
Forse il dualismo autoreferenziale nel quale verso costituisce uno scoglio imprescindibile che ostacola quanto dev’essere ostacolato affinché sia sì di difficile ottenimento, ma gravido di conseguenze e di un senso apparente qualora venga raggiunto, come se la sua stessa essenza dipendesse dal tragitto sull’impervia via in cui alberga. Tali considerazioni sono di una banalità sconcertante, ma non le discrimino per questa ragione e riservo loro l’angusto spazio che meritano, inoltre sono adeguate alla miseria con cui mi dibatto nel conflitto anzidetto tra un’istanza creatrice e una contemplativa, laddove invero la seconda può svolgere su un altro livello anche le funzioni della prima ma non viceversa.

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5
Lug

Chi s’inginocchia e chi si piega

Pubblicato domenica 5 Luglio 2020 alle 22:00 da Francesco

Assisto senza troppo entusiasmo agli attuali sconquassamenti delle società occidentali, difatti essi seguono la classica circolarità che caratterizza i ricorsi storici e dunque non presentano nulla di nuovo sotto questo Sole, al cospetto del quale, immagino, per taluni sia bello pedalare. Guardo distrattamente le accese proteste di questo periodo così come, con la medesima superficialità, talora seguo l’ennesima replica di un vecchio film.
Da qualche parte è sorto l’obbligo morale d’inginocchiarsi e come al solito l’ipocrisia fa in modo che i più pavidi tra gli indifferenti ottemperino a tale diktat. In alcune etnie e culture vi è una tendenza al vittimismo che anche nelle sue istanze più autentiche viene mortificato dai secondi fini con cui qualcuno cerca di cavalcarlo per i propri scopi o per giustificare azioni sbagliate come quelle contro cui asserisce di protestare. A mio modesto parere nella quasi totalità delle società multietniche le tensioni sono destinate ad aumentare sempre di più, fino a quando non sfoceranno in un conflitto aperto, in una costante oscillazione tra la guerriglia urbana e l’orlo della guerra civile. Io non m’inginocchio per nessuno e provo un totale disprezzo per l’iconoclastia a prescindere da chi la ponga in essere. Se tutto dipendesse da me autorizzerei chi di dovere a sparare ad altezza d’uomo per difendere le statue e non già per queste in quanto tali, bensì come prova di forza e monito del potere ai suoi sottoposti. Le società umane sono intrinsecamente violente e dunque solo la grave minaccia di una punizione irreversibile può mantenerle in una relativa quiete, ma tutto ciò non sarebbe necessario se a monte prevalesse nei più una forte morale che invero è peculiarità di pochissimi popoli.
Auguro alle generazioni future pace e prosperità, ma se dovessi scommettere cinque euro sull’avvenire allora metterei il denaro su un esito nefasto, oscuro, efferato e crudele, una Babele con differenze e conflitti insanabili dove una parte della cosiddetta “intellighenzia” continuerà a negare l’evidenza in nome delle sue bieche utopie e dei suoi sordidi interessi. Detesto tutto ciò che è politicamente corretto e non mi diverte quanto gli si oppone per partito preso: le due facce della stessa medaglia.

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28
Giu

Un sabato italiano

Pubblicato domenica 28 Giugno 2020 alle 22:50 da Francesco

Ieri mi sono recato nella culla del Rinascimento per fare un giro nella mia amata Toscana e così ho portato un bacione a Firenze, però l’ho lasciata con un paio di vinili che ho acquistato in un negozio di dischi a cui mi sono affezionato e dal quale in quest’occasione sono uscito con Lord of the rings di Bo Hansson del 1970 e una compilation dei Casiopea (una band nipponica di fusion) intitolata The soundgraphy, uscita nel 1984. Il primo è un album di progressive rock che ruota molto attorno alle atmosfere e scorre lentamente sull’immaginario della più celebre opera di Tolkien, della quale per altro sono di fresca lettura in inglese, il secondo invece l’ho acquistato nonostante io non ami le raccolte perché di rado m’imbatto in dischi di fusion giapponese e quindi ho deciso di accaparrarmelo anche a fronte del prezzo esiguo.
All’imbrunire invece di rincasare mi sono recato a Prato per cenare con un vecchio amico e altra gente simpatica in una bettola cinese dall’igiene discutibile, ma dove ho mangiato bene e in cui ho anche avuto un’ampia scelta di piatti vegetariani. È stata una giornata davvero piacevole e nel viaggio di ritorno ho ascoltato un paio di repliche di Totem, un programma radiofonico un po’ datato e molto interessante, tra il visibile e l’invisibile, per usare un’espressione cara alla trasmissione, la cui conduzione era affidata a Giorgio Medail e che per svariati anni è andata in onda sulle frequenze di RTL 102.5. Talora guidare di notte mi rilassa molto, specialmente l’estate e ogni tanto mi piace mettermi al volante senza una meta precisa in testa, ma preferirei farlo con un’auto elettrica se ne avessi la possibilità.

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24
Giu

Divertirsi da soli

Pubblicato mercoledì 24 Giugno 2020 alle 22:51 da Francesco

Nella parvente normalità dell’esordio estivo io continuo ad alimentare i miei interessi e le mie passioni in una campana di vetro che circonda la realtà di cui sono interprete. Sono riuscito a minare e minimizzare l’importanza del futuro, perciò me ne preoccupo sempre di meno, ma non conto di estinguerne l’idea e dunque soppeso tale astrazione nella misura in cui basti a non rendere troppo precario il mio presente.
Non cerco di espandere le mie conoscenze per uno scopo preciso, ma la raccolta di nozioni mi allieta e mi fa stare bene in compagnia di me stesso. Privilegio da molti anni tutte quelle attività per il cui svolgimento non sia indispensabile il concorso di altri individui e questa mia preferenza non è dovuta alla misantropia, la quale tra l’altro manco mi appartiene, bensì scaturisce dall’esigenza pratica di avere la costante possibilità di trovare diletto e appagamento senza che io debba dipendere da terzi: ecco perché in me hanno preminenza le occupazioni solitarie. Forse se i passatempi collettivi fossero facili da approntare come le controparti individuali riserverei più spazio alla socialità nella mia esistenza, ma sono perfettamente consapevole di quanto sia difficile mettere d’accordo molteplici teste, spesso in conflitto con loro stesse ancor prima che con le loro omologhe, insomma si tratta di un’impresa davvero improba, a meno che esse non siano disciplinate come quelle degli orchestrali sul posto di lavoro.
E quali sono dunque questi diletti che tanto arricchiscono il mio tempo libero: più o meno sempre i soliti, ovvero la corsa, la lettura, la scrittura, la musica, ma più in generale qualunque cosa concorra a fare del bene al mio stato psicofisico. Seguo ancora una linea a cui ho aderito molto tempo fa senza che me ne rendessi conto e non me ne sono mai pentito. Non credo che si possa avere tutto nella vita, anche perché certe cose ne escludono forzatamente delle altre, ma io sono contento del mio punto di arrivo e tengo sempre a mente come quest’ultimo possa rivelarsi all’improvviso un nuovo punto di partenza.

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22
Giu

Archeologia della mente di Jaak Panksepp e Lucy Biven

Pubblicato lunedì 22 Giugno 2020 alle 22:53 da Francesco

Il ritorno alla saggistica l’ho compiuto con un corposo scritto di Jaak Panksepp e Lucy Biven intitolato Archeologia della mente: origini neuroevolutive delle emozioni umane. In me alberga da tempo immemore il naturale e vano bisogno di capire cosa muova gli esseri umani, quali siano le cause prime di sua maestà la coscienza e del cosiddetto libero arbitrio, perciò a intervalli più o meno regolari investo del tempo su letture che indaghino tali questioni dalle prospettive dei rispettivi campi. La visione di Panksepp poggia anzitutto sulla suddivisione delle regioni sottocorticali in sette sistemi affettivi: ricerca, paura, collera, desiderio sessuale, cura, panico e sofferenza (accomunati), gioco. In ragione di questa ripartizione l’accento è posto sui processi primari, ossia quelli della cui espressione dà conto l’attività neuronale di base che sorge dalle strutture cerebrali più antiche e profonde; i processi secondari invece ruotano attorno all’apprendimento e quindi alle interazioni del soggetto con l’ambiente. I processi terziari sono i più sofisticati della triade e secondo l’approccio del testo occupano una posizione di eccessivo rilievo nella comunità scientifica, quantomeno per ciò che concerne l’esatta localizzazione dei sentimenti emotivi. A sostegno delle proprie posizioni Panksepp espone una mappatura dei sistemi suddetti e ricorda al lettore che la coscienza affettiva è indipendente dal linguaggio come dimostrano pazienti afasici o colpiti da ictus, ma fa anche notare quanto si dimostrino emotivi quegli esseri umani e quegli animali ai quali manchi o venga rimossa la neocorteccia. Sono molteplici e doverose le digressioni sui ruoli dei vari neurotrasmettitori, anche e soprattutto per chi come me ha bisogno di un costante ripasso poiché non è un addetto ai lavori. Lungo queste cinquecento pagine ho scoperto con un po’ di sorpresa l’importanza del grigio periacqueduttale per quelle funzioni che io invece attribuivo primariamente all’amigdala e infatti in merito a quest’ultima il testo ne chiarisce l’esatta posizione gerarchica.L’esposizione di Panksepp non è risolutiva poiché nessuna trattazione di questo genere può esserlo, ma risulta molto interessante anche per un profano quale io sono ed è arricchita da alcuni drammatici aneddoti dello stesso Panksepp (la prematura morte della figlia in un incidente stradale e la sua neoplasia) che egli riesce a impiegare a favore della propria indagine. Nonostante ne fossi già edotto, ho riletto con piacere la spiegazione degli oppiacei endogeni poiché con l’attività fisica ne faccio esperienza da molti anni e ancor oggi non mi capacito della stoltezza con cui taluni ricerchino quegli stessi effetti tramite mezzi venefici. Altri due punti che ho apprezzato molto sono le cosiddette omologie sulla scorta di cui anche agli altri animali (in particolare al resto dei mammiferi) viene riconosciuta una vita affettiva, ma oltre a ciò pure la possibilità di rendere malleabili i ricordi a scopi terapeutici tramite quel processo che risponde al nome di riconsolidamento, e quest’ultimo punto a dispetto delle pregresse convinzioni che in passato andavano per la maggiore in tale ambito.

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15
Giu

Tornare in forma

Pubblicato lunedì 15 Giugno 2020 alle 16:25 da Francesco

Sto cominciando a ritornare in forma. Non mi alleno tutti i giorni per consentire al corpo di recuperare in modo adeguato tra uno sforzo e l’altro. Ieri sono riuscito a mantenere un passo di 4’52” al chilometro per quindicimila metri con qualche salita dura: è già qualcosa. Sono ancora giovane per le gare di fondo, ma in Italia in generale si viene ritenuti tali fino all’andropausa.
Ho ancora una decade a mia disposizione per migliorare i miei tempi su tutte le distanze, ma invero ho bisogno della corsa per dettare il ritmo a un’esistenza che non voglio oberare di cose inutili e deleterie. Non so quando sarà di nuovo possibile gareggiare, ma spero di essere comunque pronto per l’autunno. La sedentarietà della quarantena ha aumentato i miei fastidi a livello inguinale, perciò sto ponendo più enfasi sull’allenamento in salita e sugli esercizi di allungamento per adduttori e psoas.
Non so neanche se tra sei mesi sarò ancora in Italia (in parte spero di no), ma a meno che non accada qualcosa d’imprevedibile (circostanza tutt’altro che improbabile) sarò più veloce di adesso.
Malgrado le tante gare, lunghe, intense e ravvicinate, la mia storia atletica non è mai stata costellata da infortuni veri e propri, perciò faccio affidamento su questa mia dote naturale per alimentare un’indispensabile costanza, l’unica chiave di accesso e di eventuale successo, specialmente nel mondo del podismo.
A prescindere dalle implicazioni statistiche e agonistiche, la corsa si dimostra ancora una volta la mia più fida alleata nel contrasto alle avversità, uno strumento potente con cui posso farmi strada sulla fredda linea del tempo fino alla mia fine biologica: il resto passa in secondo piano, come tutto d’altro canto.

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9
Giu

Il 1984 nel terzo millennio

Pubblicato martedì 9 Giugno 2020 alle 21:59 da Francesco

Nelle ultime settimane è tornata di moda l’iconoclastia e certe immagini mi fanno pensare banalmente ad alcuni passaggi di 1984. Il celebre romanzo di George Orwell è evocato a ogni piè sospinto e talora in maniera esagerata finanche per degli usi iperbolici. A me sembra che il conio di una neolingua stia avvenendo per mano e bocca di chi teme le parole, ovvero individui ai quali è caro soltanto quanto possa dirsi politicamente corretto. La storia comincia a perdere la propria vocazione e viene forzata a svolgere funzioni edificanti, così qualcuno vuole mutarne l’insegnamento e qualcun altro ne abbatte tutti quei simboli che contrastano con la loro visione del mondo.
Taluni in nome della libertà di culto attentano a certe culture, spesso quella da cui provengono, in nome dell’uguaglianza tendono a discriminare chi non la pensi come loro, in nome di un’equa ripartizione delle risorse puntano a espropriare chi si è costruito qualcosa con le proprie forze, poiché per costoro l’individualismo è ammesso solo quando sia incarnato in determinati tratti razziali e sociali. Non contesto queste prospettive, anzi, non me ne fotte proprio un cazzo, e neanche scomodo termini inflazionati come ipocrisia o incoerenza per descriverne la sostanza, bensì mi limito a prenderne atto. Il mondo va come deve andare e i suoi impazzimenti sono l’espressione di una ciclicità che prescinde da chiunque s’illuda di esserne il primo artefice. D’altro canto vi è chi deve trovare un’ancora di salvezza nella vita o almeno uno scopo in cui identificarsi per sopportare il resto della propria esistenza, quindi immagino che taluni sposino certe cause non perché vi credano fortemente, ma per un’esigenza esistenziale di cui secondo me neanche si accorgono. Le fluttuazioni della morale umana sono poca cosa nell’ordine dei secoli, ma possono sembrare imponenti davanti alla durata media della vita umana. Al netto di tutto a me l’epoca attuale fa schifo e non ne salvo le eccezioni poiché esse lo fanno già da sole.

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6
Giu

Trentasei per dodici

Pubblicato sabato 6 Giugno 2020 alle 14:43 da Francesco

Oggi concludo il mio trentaseiesimo giro intorno al Sole. Ne sono passati di sversamenti petroliferi negli oceani. Cosa è cambiato in questi anni? Forse tutto, forse niente. Cosa mi aspetto dall’avvenire? Nulla. Nel mio mondo è vietato l’ingresso alle speranze minori di quattro miliardi d’anni. Sono un po’ più vicino alla morte fisica, ma non ho fretta di lasciare il corpo. Guardo ai rimasugli di vita come se costituissero i tempi supplementari di una partita dall’esito trascurabile. Mi trovo in villeggiatura sulla Terra: ho un contratto a tempo determinato come cavia del ciclo di Krebs.
Non ho mai festeggiato il mio genetliaco, ma spesso in simili occasioni mi sono fatto dei regali tardivi e anche questa volta devo ancora scegliere cosa donarmi: forse il cadeau principale risiede proprio in tale indecisione, secondo una meccanica che ben inquadrò Sigmund Freud nelle paginette di “Al di là del principio di piacere”.
Non mi creo aspettative poiché di Godot non ho mai visto neanche l’ombra, ma posso farmi precedere da qualche proposito che mi auguro di raggiungere a tempo debito. Vorrei ispessire il mio centro di gravità permanente per renderlo davvero tale. Mi piacerebbe acquisire una maggiore padronanza delle tecniche di respirazione. Mi sentirei oltremodo realizzato se riuscissi guidare i pensieri più di quanto essi guidino me. Cose del genere.

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2
Giu

Le metropoli bruciano

Pubblicato martedì 2 Giugno 2020 alle 22:23 da Francesco

Riesco a toccare le fiamme che vedo nel monitor perché non scottano e sento vicine le sirene della polizia benché le volanti statunitensi siano lontanissime. La guerriglia urbana ha qualcosa di orgiastico e dionisiaco, ma va a detrimento di chiunque cerchi di sbarcare il lunario in modo onesto e laborioso. Non sono bravo in matematica, ma dubito che quando alle ingiustizie se ne addizionino delle altre il risultato possa differire da un casino crescente. Per me la legge del taglione è perfetta e mi domando come mai la giurisprudenza non si limiti a celebrarne l’efficacia, ma nelle sommosse americane di questi giorni vedo soltanto l’appropriazione indebita di una protesta per il lucro e le frustrazioni personali di codardi razziatori. A me piacciono le insurrezioni, ma soltanto quando portino al crollo dell’ordine di costituito e all’illusione che ogni moto rivoluzionario non sia destinato a esaurirsi nella restaurazione delle sue cause prime.
Qualsiasi scusa è buona per abrogare tutte le altre. Lo ripeterò fino allo sfinimento: secondo me gli esseri umani possono ambire a una certa armonia collettiva solo quando vivano in società piccole, omogenee e distanti tra loro. Mi piacciono le culture nelle loro diversità talora insanabili, ma ho in sommo orrore il multiculturalismo in quanto lo considero una forzatura nociva e pericolosa. Ogni tanto mi chiedo quale aspetto della mia specie la spunterà alla fine: la capacità di adattamento o la reciproca insofferenza delle sue comunità? Sono questioni che esulano dalla durata di una vita media e quindi non me ne frega nulla, ma probabilmente me non me ne curerei manco se la cosa mi riguardasse direttamente.
Ognuno sposa le cause che preferisce e ne appronta con la stessa libertà i relativi divorzi al cospetto del tempo, tuttavia anche sotto questo aspetto risulto celibe e quindi mi mantengo a distanza dagli entusiasmi altrui. Un mondo più equo? Fate vobis. Un mondo più “green”? A me vanno bene anche i colori accesi dei funghi atomici.

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1
Giu

La prima corsa dopo la quarantena

Pubblicato lunedì 1 Giugno 2020 alle 21:48 da Francesco

Io, a differenza di certi figuri, nel periodo dell’emergenza mi sono attenuto alle disposizioni governative, perciò sono uscito di casa soltanto per fare la spesa, buttare la spazzatura e, in un paio di occasioni, per recarmi alle poste. La mia ultima corsa all’aperto risaliva alla sera del tredici marzo. In questi mesi ho provato a tenermi un po’ in forma su un vecchio tapis roulant, ma nelle ultime settimane l’ho lasciato perdere del tutto. Quest’oggi mi sono detto: “Mese nuovo, vita nuova!”. E così qualche ora fa ho provato a muovere un po’ le gambe come solevo fare prima di codesto casino. Mi sono reso immediatamente conto di come nel frattempo la mia meccanica di corsa sia andata a puttane e ho avvertito con altrettanta rapidità dei dolori all’altezza dell’inguine, ma sono consapevole di come sia tutto nell’ordine delle cose.
Il mio corpo deve riabituarsi a certi movimenti continui e agli sforzi prolungati di cui comunque conserva la memoria muscolare, perciò conto di ritrovare una forma dignitosa nell’arco di uno o due mesi. Alle fine, in questa prima ed estenuante seduta, ho rotto il ghiaccio (che con il caldo odierno si sarebbe sciolto anche se non fossi intervenuto) con venti chilometri a un ritmo imbarazzante di 6’43” al chilometro. Per me la perdita di velocità e resistenza non è frustrante poiché ci sono già passato e conosco tanto i tempi quanto i modi per il loro ripristino. La mia priorità non è agonistica, anche perché non ci saranno gare per molto tempo ancora, e comunque sotto quell’aspetto mi sento già appagato, bensì punto prima di tutto a ristabilire una buona sensazione psicofisica nei miei sforzi, conditio sine qua non per il resto.

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