Il turno dell’estate si approssima alla conclusione e io la sto salutando con gli ultimi bagni nelle acque cristalline della mia zona, ma certi anni, con il permesso delle condizioni atmosferiche, prolungo il refrigerio salmastro fino a novembre.
A parte i congedi stagionali v’è altro di cui intendo scrivere. Mi sto allenando con regolarità dal primo di giugno e sto raccogliendo i frutti della mia costanza. A luglio ho corso 448 chilometri, ad agosto 607 e proprio in quest’ultimo mese ho battuto il mio record personale di uscite consecutive: sono arrivato a farne ventisette. Mi serve ancora un po’ di tempo per riprendere e persino migliorare la velocità di punta, ma sono nella direzione giusta, qualunque essa sia. Guardo con ottimismo alle mie statistiche in ragione di un test che ho svolto da solo un paio di giorni fa, ovvero 18,5 chilometri a una media di 3’50” al chilometro, con seimila metri di strada bianca dovuti al passaggio in pineta.
Mi piace allenarmi e non mi pesa l’assenza della competizione, ma a tempo debito cercherò di capitalizzare in gara i piacevoli sforzi a cui mi sottopongo per i fatti miei. Non ho ancora espresso il mio massimo e conto di farlo negli anni venturi.
Mala tempora currunt sed peiora parantur
Pubblicato mercoledì 2 Settembre 2020 alle 17:24 da FrancescoDi recente mi sono trovato a parlare vis-à-vis con una “giornalista” straniera, ma il risultato non è stato dei più edificanti. Minchia, se costei può fregiarsi di quel titolo io mi sento in grado di assumere la direzione di Le Monde.
È una di quelle subdole creature che dietro le già deprecabili apparenze del mondialismo perora la rivalsa della sua etnia. Il razzismo non è prerogativa dei bianchi, ma è “patrimonio” comune degli esseri umani e la crudele prova di ciò si trova nelle reciproche intolleranze che si possono trovare alle latitudini più disparate, nella storia delle civiltà e in quei conflitti ancora vivi che spesso non interessano molto l’Occidente.
Le ho fatto presente come il multiculturalismo stia fallendo ovunque e vi sia un antisemitismo di ritorno d’impronta islamica, specialmente in Francia, cloaca europea da cui alcuni ebrei transalpini se ne sono andati per trasferirsi in Israele su invito dello stesso governo di Netanyahu, ma a suo parere si tratta dell’effetto di paure infondate. Eh già, davvero inspiegabili alla luce degli attentati dell’ultimo lustro.
Poi le ho ricordato come nella civilissima Svezia i flussi migratori abbiano creato delle zone dove de facto vige la Shar’iah e nelle quali gli autoctoni sono stati abbandonati dal loro governo, con un incremento dell’insicurezza e un picco delle violenze sessuali.
L’ho invitata a controllare le statistiche della criminalità di Londra e ciò che viene fatto ai bianchi in Sudafrica, ove non di rado alcuni buontemponi s’introducono nottetempo nelle fattorie isolate per dare sfogo ai loro istinti più bestiali, ma la frequenza e l’efferatezza di quei casi non attecchisce sulla stampa quanto la morte di qualche criminale a cui viene data la patente di martire in virtù della sua melanina.
Poiché anche lei è stata in Giappone le ho chiesto se il Sol Levante potrebbe conservare il suo grado di sicurezza qualora accettasse grandi flussi migratori e le ho fatto l’esempio di Tokyo, una megalopoli in cui si può girare a qualsiasi ora del giorno e della notte senza temere alcunché.
Alla domanda retorica di cui sopra ne ho fatta seguire un’altra: “Come mai nazioni come la Polonia e l’Ungheria non vogliono arricchirsi culturalmente per mezzo di cotali meraviglie? Sai che non me lo spiego?”.
Le ho esposto le ovvie ragioni per cui la classe media statunitense ha votato per Trump e le ho suggerito quantomeno di dubitare che quel pacifico movimento chiamato BLM (burn, loot and murder) rappresenti l’intera comunità afroamericana; inoltre le ho fatto presente come una delle fondatrici di quella sigla (tale Yusra Khogali) sia altrettanto razzista quanto coloro contro cui dice di combattere poiché ebbe a definire così i bianchi: “White people are recessive genetic defects. This is factual“. L’invito è sempre quello di controllare motu proprio tali affermazioni.
Ah, poi siccome indossavo una maglietta di lode a Rodrigo Duterte le ho ricordato come prima da sindaco di Davao e poi da presidente delle Filippine egli abbia inflitto duri colpi al crimine con mezzi poco ortodossi, ma forse dal suo punto di vista è meglio avere tossici pericolosi e molesti in giro per le strade perché tanto contano solo le apparenze del cosiddetto stato di diritto, con buona pace di chi viene vessato dalla feccia e non ha modo di difendersi. Potrei aggiungere qualche parola sul Myanmar e su come l’Occidente abbia cambiato opinione in merito ad Aung San Suu Kyi, rea di proteggere il suo popolo, ma credo che questo mio trascurabile scritto sia già fin troppo lungo.
Mi sono scordato di invitarla a dare un’occhiata a com’era New York con la tolleranza zero di Rudolph Giuliani e cos’è invece oggi sotto l’inetta guida di Bill de Blasio, ma spero di tornare sull’argomento quando l’esasperazione della maggioranza silenziosa porterà alla nascita del Quarto Reich.
Quest’estate ho visto molte albe e pochi tramonti. Ho condiviso degli allenamenti estemporanei sulle strade lungo le quali sono solito allenarmi e così ho conosciuto varie persone, anch’esse amanti della corsa. Mi sono ripreso lo smalto che avevo perso nel corso della quarantena e ci sono riuscito in tempi brevi, perciò non ho nulla di cui lamentarmi.
Ho diversificato i miei investimenti di tempo e ne ho sottratto ampie quote alla lettura, tuttavia nei prossimi mesi conto di tornare a praticare quest’ultima con maggiore assiduità. Tra le mie intenzioni figura anche quella di scrivere un sesto libro, ma per adesso si tratta di un proposito embrionale al quale solo le circostanze e la mia costanza potranno accordare un serio sviluppo.
Non ho grandi progetti per il mio avvenire così come non ne ho mai avuti e non avverto il bisogno di farne. Se fosse possibile rallenterei sempre di più i ritmi della mia esistenza per finire a condurne una quasi del tutto contemplativa, ma anche quest’idea non costituisce né una priorità né uno scopo: tutto vada come deve andare.
Se qualcuno leggesse queste mie parole con scarso senno potrebbe attribuirle all’indolenza o all’apatia, ma qualora ciò accadesse davvero il problema non sarebbe di mia competenza, sfuggirebbe alla giurisdizione della soggettività di cui sono ambasciatore e troverebbe asilo nelle opinioni sommarie che dànno forma alle incomprensioni ordinarie.
Poco mi alletta dell’altrui quotidianità e cerco di parteciparvi in misura sempre minore, inoltre non escludo che in futuro possa optare per un espatrio definitivo che mi consenta un ulteriore allentamento in questo senso. Non ci tengo proprio a oberare il mio tempo con inezie e orpelli che nascondano il secondo fine di rimandare o celare l’idea della morte. Amo la luce.
Aumentano i contagi mentre l’idiozia resta stazionaria ai suoi massimi picchi. Nell’ubriacatura democratica e nell’entropia dell’informazione gli esperti e i minus habentes ricevono la stessa considerazione. La verità non è importante al cospetto delle convinzione, così come nei tribunali la ragione e il torto hanno un valore subalterno alle loro esposizioni formali: tutto torna nella sottrazione aritmetica che vede la costante diminuzione del già scarso buonsenso.
La coerenza dura al massimo qualche semestre, poi le idee cambiano per fare le troie con le nuove opportunità e tutto si risolve in un bacio saffico che in parte ricorda quello biblico di Giuda Iscariota. Qualcuno forse coltiva le speranze negli armadi, tra gli scheletri, e almeno evita il pericolo dei corvi. Ogni epoca ha i suoi impazzimenti e le proprie catastrofi che ispessiscono sempre di più i libri di storia e il tedio degli studenti.
Io mi trovo ai margini del presente e guardo in lontananza il fiume che porta a valle i cadaveri, ma ogni tanto assisto alle sue esondazioni e alla creatività del dissesto idrogeologico. Non ho idea di quale sia l’idea migliore né m’è dato sapere in quale direzione sarebbe opportuno che girasse quest’umile pianeta, ma credo che i bar, le osterie, gli stadi, le discoteche, le piazze di spaccio, i campi nomadi e le stanze delle questure trabocchino di possibili soluzioni, tutte sigillate ermeticamente in preziose scatole craniche. Non sono alle prese con chi prese il comando e in tutta onestà non vedo quale grande privilegio sia quello d’impartire ordini sulla biosfera: ognuno si diverte come può nei limiti della sua durata biologica. Ed è subito necrosi.
Il mondo occidentale barcolla sull’orlo del precipizio, il futuro è sinonimo di azzardo, sul mio orizzonte non si staglia nulla di nuovo e aleggia nell’aria, già di per sé pesante, la sensazione che il peggio debba ancora venire, ma io cerco di rendermi estraneo a tutto, anche a me stesso, e in una certa misura ci riesco. Conosco i limiti del linguaggio umano e sono consapevole della sua inaffidabilità, perciò cerco di guadare i fiumi laddove l’acqua sia più bassa e non tento di gettare ponti che sono destinati a perire nelle correnti delle mistificazioni o dei malintesi.
Credo che la necessità di comunicare sia immanente all’uomo, ma questo bisogno può essere soddisfatto senza che diventi la croce vitalizia di chi provi ad appagarlo: est modus in rebus. Vi sono delle priorità e io non posso snaturarmi per condividere qualcosa con qualcuno, manco in quest’epoca di distanziamenti e sospetti.
Prediligo il soliloquio in quanto traggo sommo giovamento della discussioni che intavolo tra me e me, però talora vi coinvolgo anche qualche gatto di passaggio. La realtà è più sfaccettata di quanto traspaia dal mio pragmatico riduzionismo, ma io semplifico tali cose poiché non mi va di perdere tempo nelle loro complicazioni. Non intendo costruire edifici o cattedrali nel deserto che rischino di crollare al primo accenno tellurico, però non escludo che qualcuno possa riuscirci con tutte le intenzioni antisismiche e il favore delle forze cosmiche.
Sono poche le volte in cui mi sono sentito veramente connesso ad altri individui della mia specie e mi pare che questo tipo d’esperienza sia piuttosto diffusa, ma io ne ho fatto la mia forza e quindi non ho proprio niente di cui lamentarmi: posso comunque cercare qualcos’altro per dare volume e forma a una rimostranza di facciata; tanto alla fine qualcosa si trova sempre.
Questo caro amico ogni tanto mi viene a trovare e oggi ha deciso d’indossare una piccola striscia di luce solare. Si adagia dove meglio crede, talora sul mio letto, altre volte al cospetto delle persiane benché egli non abbia il pelo lungo. Vivo bene in mezzo ai gatti e per quanto posso cerco d’imitare alcuni dei loro tratti.
Per una settimana mi sono allenato assieme a Luigi, un veloce podista del nord che è venuto dalle mie parti per una breve vacanza. Quando l’ho incontrato per la prima volta io mi trovavo già a quattordici chilometri di allenamento, ma appena l’ho scorto ho capito subito che era uno abituato a certi ritmi e così gli ho chiesto se potessi unirmi a lui: alla fine sono tornato a casa con ventotto chilometri sulle gambe a un ritmo di 4’34”, un’andatura non certo veloce che tuttavia al momento per me non è così scontata, anzi! Proprio quella mattina mi chiedevo quando sarei tornato a fare qualche “lungo”, ovvero degli allenamenti prolungati per incentivare resistenza e velocità, difatti non avevo in programma nulla del genere a breve. Per me questo è stato un ulteriore episodio di sincronicità, uno dei molteplici che ho esperito negli ultimi anni.
Mi ha stimolato molto questo sodalizio passeggero perché solo nella condivisione della fatica sportiva riesco a trovare talora una connessione umana che sia autentica, perciò farò tesoro di tutti quei momenti e difatti ho intenzione di dedicare il mio prossimo record in maratona al grande Luigi! Mi meraviglio sempre di come una passione comune possa ricordare a due esseri umani di appartenere alla stessa specie. Sono molto motivato, mi sento in crescita e al contempo sono conscio di quanto la strada sia lunga e impervia, ma la corsa mi sta aiutando ancora una volta a dare una quadratura a questi tempi incerti e cupi. Ho me stesso e il mio modesto potenziale, il mio mondo, le mie abitudini solitarie e autoreferenziali, ma è tutto ciò che mi serve e anche quando non sembra sufficiente io me lo faccio bastare.
Ieri i miei ritmi circadiani sono stati sconvolti e suppongo che questo brusco cambio di ritmi sia stato all’origine della raffica di sogni che ho esperito nel pomeriggio, ma di cui alla fine sono riuscito a conservare solo i frammenti di un singolo episodio.
Mi sono ritrovato in un sorta di mansarda e davanti a me v’era una vetrata triangolare su cui campeggiavano delle linee dorate, come se fossero state aggiunte con lo scopo di rendere fattibili certe misurazioni: attraverso questa finestra riuscivo a vedere i tetti della metropoli e all’orizzonte non scorgevo un edificio più alto di quello da cui lanciavo lo sguardo.
A un certo punto ho aperto una porta e ho messo piede in una sorta di corridoio esterno. Alla mia destra si trovavano le persiane di un’altra casa e davanti a me un’altra abitazione ancora: da una finestra di quest’ultima è apparsa in lontananza una donna nuda e appena l’ho vista in me è scattato un moto di pudicizia che mi ha fatto tornare all’interno della mansarda.
Mi sono messo a letto e dopo un po’ di tempo, non so quantificare quanto, ho ricevuto un colpo alla parte destra del petto che io ho pensato fosse una coltellata, ma in realtà è stato come un pugno fortissimo di cui per altro, non so come, ho intuito l’arrivo: appena è accaduto tutto ciò io mi sono svegliato immediatamente (per davvero) con un forte senso di angoscia.
Mi avventuro in una delle possibili interpretazioni di questo sogno, ma come al solito lo faccio senza alcuna pretesa e con lo scopo precipuo di non lasciare nulla d’intentato.
La mansarda forse rappresenta una sorta di torre eburnea, un luogo di ritiro al di sopra del mondo, un simbolo di isolamento, e lo inquadro in questo modo poiché trascorro molto tempo da solo, immerso tra i miei interessi solipsistici. La porta che a un certo punto apro, quella che dà su un corridoio esterno, secondo me dev’essere intesa come gli sporadici affacci sulle altrui esistenze su cui però non mi trattengo. La donna in vesti adamitiche, quindi nuda, è l’oggetto di un desiderio archetipico, immanente alla mia natura, ma anche motivo di repulsione per ciò che può implicare. Il colpo che ricevo nel sonno è quello dell’inconscio, come se mi punisse poiché non ne assecondo a sufficienza le istanze, difatti mi colpisce a destra e non a sinistra (dove risiede il cuore) perché comunque io gli servo vivo, ma nel sogno per un attimo mi sembra di morire e quindi di essere assassinato.
In buona sostanza la storia è sempre la stessa. Rigetto i bisogni naturali d’affetto e contatto muliebre poiché il loro soddisfacimento è rischioso, precario e inconcludente, ma la mia natura d’essere umano reclama se stessa laddove può farlo, ovvero in una dimensione onirica su cui io non posso avere controllo e forse quest’ultimo è rappresentato dalle linee dorate che si trovano sulla vetrata della mansarda, quasi vi fossero state apposte per misurare qualcosa.
Avverto in me un rinnovato vigore, un potenziale accresciuto, e anche le pareti della mia interiorità appaiono sempre più adamantine. Mi sento all’inizio di una fase espansiva, come se tutte le mie facoltà psicofisiche fossero sul punto di estendersi più di quanto abbiano mai fatto finora. Ho già provato qualcosa del genere molti anni fa e fu il preludio a un cambiamento che si dimostrò assai intenso e repentino, però al contempo fu importante e proficuo. È come se all’improvviso mi fossi ritrovato a maneggiare degli elementi instabili, perciò devo agire con cautela. Ho sviluppato una profonda conoscenza di me stesso e della macchina biologica che mi ospita, ma non ne conosco ogni ingranaggio né mi sono noti tutti i suoi automatismi e commetterei un errore madornale se peccassi di superbia.
Le forze contrarie non sono sparite perché sono immanenti e la prospettiva della loro estinzione rasenta l’utopia o la sciocchezza, però ho la sensazione che in questa fase la loro presenza non abbia la minima presa su di me. Riesco a sentire un gusto superiore quando la mia attenzione risulti costante e sia coltivata con cura, ma non mi è facile rendere durevole e longevo tale dinamica poiché talora la mia concentrazione viene meno.
Non posso creare a mio piacimento occasioni del genere e non ho idea di quale concorso di circostanze ne causi l’avvento, tuttavia posso profondere i giusti sforzi affinché quella presente non risulti un epifenomeno a latere di un’esistenza ordinaria. Devo mantenere una certa centratura, senza eccessive distrazioni, almeno fino a quando non riuscirò a fare lo stesso senza un cospicuo dispendio di energie.
Ho registrato un filmato autoreferenziale nel quale ripercorro in maniera un po’ scanzonata i miei primi sette anni di agonismo podistico. Si tratta di una testimonianza che forse riguarderò con piacere e un po’ di nostalgia quando i miei telomeri si saranno accorciati di molto.
Al di là delle gare, la corsa per me è una sorta di via iniziatica, un modo con il quale ancor oggi scandisco la mia esistenza, un mezzo per affrontare ogni cosa e quindi intendo restarle legato finché le circostanze tanto esogene quanto endogene me lo permetteranno.