Le mie ultime letture in ordine cronologico attengono ancora una volta alla saggistica, campo dal quale ormai fuoriesco di rado. Odio, rabbia, violenza e narcisismo è un testo brevissimo, non raggiunge neanche le cento pagine, però è molto denso ed è rivolto a chi abbia già un po’ di confidenza con le tematiche psicoanalitiche. Io non vi ho appreso nulla di nuovo, ma al suo interno ho trovato utile il breve riepilogo delle moderne teorie degli istinti e delle emozioni con l’accostamento allo storico approccio freudiano, tutto volto a particolareggiare gli sviluppi delle prime: interessanti ed esplicativi i casi clinici di esempio. Il tratto preminente di queste pagine a me è sembrato quello della relazione oggettuale, tanto come terreno d’indagine quanto strumento terapeutico a mezzo transfert. Ottima l’esposizione di Otto F. Kernberg. Ormai gli impianti teorici della disciplina mi sono noti da anni, perlomeno nei loro termini essenziali, perciò in futuro proverò a cercare delle opere che pongano maggiormente l’accento sui casi clinici.
L’altro testo in esame l’ho affrontato sul mio fido Kindle 4 (quasi dieci anni d’onorata carriera, con buona pace del consumismo sfrenato) e l’ho scelto per due ragioni: un interesse metafisico e la curiosità verso quei territori nei quali, almeno in parte, già Hopkirk mi aveva condotto tramite un paio di suoi saggi storici, ossia Diavoli stranieri sulla via della seta e Il grande gioco.
Gli yogin del Ladakh è al contempo un resoconto della dimora delle nevi dal punto di vista paesaggistico ed etnico, ma consta anche di molteplici disquisizioni su certe tecniche di meditazione e sul concetto stesso di Dharma, oltre alle divergenze dei vari indirizzi dottrinali, tra l’altro a opera di due uomini (James Low e James Crook) che già erano adusi a determinate pratiche e le cui esposizioni nel testo mi hanno trasmesso la loro esigenza di approfondire le rispettive vie.
Ho trovato un po’ complicato ricavare una visione d’insieme delle scuole e dei lignaggi, perciò la lettura di alcune parti l’ho integrata con delle ricerche sul web. Un passaggio del testo sembra giustificare la moltitudine delle varie tecniche in quanto afferma che esse sono espedienti per persone con diverse capacità e realizzazioni. A livello meramente semantico ho chiarito a me stesso vari termini, tra i quali i titoli di “rinpoche“, “lama” e “geshe“, mentre sotto il profilo storico ho scoperto la figura di Machig Labdron, di cui non sapevo nulla, e la severità di Marpa verso Milarepa che spinse più volte il secondo sull’orlo del suicidio; interessante anche l’aspetto aneddotico che riguarda i personaggi coevi delle peregrinazioni descritte, quindi a metà degli anni ottanta del secolo breve: squarci d’un vivere dove il tempo s’era arrestato da secoli. Una menzione va a Tenzin Palmo, la quale è citata di sfuggita perché nel suo nome s’imbattono Low e Crook mentre lei è in ritiro da anni in una caverna: si tratta di una donna inglese fattasi monaca (bhiksuni) che in seguito sarà costretta a lasciare l’Asia per problemi di visto e finirà in Italia, ad Assisi: quest’ultima circostanza l’ho appurata con una mia ricerca personale.
È un libro che oscilla tra il sacro e il profano, dove al primo è ascritta una ricerca spirituale e al secondo le prosaiche avversità di cui ogni viaggio incerto sa essere prodigo, ma a mio parere questa natura ibrida giova al ritmo dello scritto. Gradito e utile è anche il testo di Padma Karpo su cui gli autori si soffermano verso la fine dell’opera.
Gli yogin del Ladakh e Odio, rabbia, violenza e narcisismo
Pubblicato martedì 16 Febbraio 2021 alle 20:30 da FrancescoSimmetrie e asimmetrie degli impedimenti
Pubblicato giovedì 11 Febbraio 2021 alle 00:51 da FrancescoSe nei supermercati fossero in vendita dei sorrisi a strappo io ne comprerei diversi rotoli da elargire a certuni, ma il denaro non è la migliore moneta di scambio nel campo della metafisica e l’accesso alle astrazioni di prima necessità è molto selettivo.
Non ho niente da condividere e l’ultima fabbrica di consolazione l’ho chiusa anni fa, però rivolgo i miei sinceri auguri a chiunque non se la stia passando bene. Mi risulta che anche la panacea di tutti i mali sia fuori produzione mentre le repliche cinesi del vaso di Pandora vanno per la maggiore. Taluni aspettano con ansia di vedere la luce in fondo al tunnel, ma io auguro loro di raggiungerne la fine prima che la galleria crolli e poco importa se ciò avvenga nottetempo, senza la trascurabile e invadente testimonianza dei raggi solari.
La maggior parte dei problemi sono falsi e il loro smercio non avviene d’estate sulle spiagge a opera di uomini subsahariani, bensì ogni singolo individuo si occupa della propria contraffazione e dunque coltiva da sé dei fardelli a chilometro zero. La stupidità e l’autolesionismo sono legali, anzi, a me sembrano persino incentivati e incensati, perciò chi vi si dedichi tutt’al più può finire per ottenere il patrocinio di qualche autorità. D’altro canto c’è chi ama le montagne russe e chi sogna di vedere da vicino le Pleiadi. Io conosco le soluzioni adatte al mio caso specifico ed esse si basano su leggi che io considero generali, ma non spetta a me enunciarle perché a malapena riesco a dimostrare le loro applicazioni su di me; sulla vita di terzi non m’è dato esprimermi né lo voglio, inoltre non faccio di cognome D’Alembert e quindi non possiedo velleità enciclopediche. In ragione di tutto ciò sono la persona meno indicata come empatico confidente poiché conosco le autentiche misure delle distanze tra individualità distinte ed esse sono incolmabili.
Ieri, nel tardo pomeriggio, mi sentivo stanco e svogliato per degli impegni improvvisi che mi avevano colto nelle ore precedenti, ma alla fine, verso l’ora dell’imbrunire e in ragione della mia autodisciplina, ho deciso di allenarmi lo stesso. La giornata era ventosa e plumbea, tutt’altro che invitante o consolatoria, però appena ho avuto modo di perdermi con lo sguardo verso settentrione mi sono sentito rinvigorito e sono stato pervaso da un’energia intensa che si è irradiata in tutto il mio essere. Mi è bastato vedere in lontananza uno squarcio di cielo terso affinché al mio interno, senza la mediazione della volontà né di chi ne fa le veci, s’innescasse una strana forma d’entusiasmo con un rapido effetto a catena.
A tutta prima quella circostanza si è rivelata benefica e l’ho sfruttata per svolgere una buona prestazione, ma qualche ora dopo ci ho ripensato e non me ne sono compiaciuto. Poco importa che il condizionamento sia positivo o negativo, difatti è esso in quanto tale a costituire un problema benché talora possa sembrare un fortuito ausilio. Non avrei avuto nulla da ridire su quest’episodio se mi fossi limitato ad apprezzare un’apertura di luce tra le nubi del crepuscolo, ma quella visione ha rivoluzionato il mio stato d’animo in un istante e ha quindi dimostrato un potere che io non voglio accordare così facilmente a tali dinamiche.
Non posso controllare ogni singola influenza e se ci provassi le altre passerebbero in secondo piano perché le riassumerei nella costante illusione di sottometterle tutte al mio dominio, ma di sicuro ho modo di assurgere a un grado ancora più alto di controllo e consapevolezza per contenere quelle situazioni in cui, in misura variabile, posso trovarmi alla mercé di dettagli apparentemente secondari. Innumerevoli e mimetizzati tra le molteplici inezie della quotidianità, i condizionamenti assumono forme, modi e schemi di difficile catalogazione, ma io credo che la banalità di tutto ciò a livello concettuale sia inversamente proporzionale rispetto alla difficoltà di tenerne conto nella vita pratica.
Qualche ora fa, mentre correvo sotto i minacciosi nembi di un inverno mite, mi sono chiesto quali siano i miei timori più profondi e in quale misura mi condizionino. Non sono riuscito a darmi risposte convincenti e non ho proprio idea di cosa mi spaventi davvero, però immagino che certe paure siano sopite al mio interno, ascose, pronte a uscire allo scoperto appena si presenti l’occasione per un agguato, a mo’ di vietcong nella giungla.
Non ho mai esperito attacchi di panico e credo che almeno in parte ne abbia scongiurato l’insorgenza grazie all’introspezione, tuttavia ho visto quale egemonia sanno ottenere quei disturbi su altre persone e ne sono rimasto sorpreso. Di cosa dovrei avere apertamente paura? Della mia morte? O di quella di mia madre, l’unica persona a cui voglio bene? Della povertà? Della malattia? Dell’invecchiamento? Di perdere un’identità che non ho né cerco? Del ritiro improvviso del burro di arachidi dai supermercati?
Vivo con un ricercato senso di abbandono che mi facilita l’esistenza, perciò sono poche le cose a cui tengo e forse anche di quelle alla fine non m’interessa poi tanto. Non sono un terreno fertile per certe inquietudini perché in me mancano le premesse necessarie al loro compimento, ma anche nel mio sottosuolo qualcosa dev’esserci e io continuo a scandagliarne le profondità.
Mi sento davvero di passaggio su questo pianeta, non ho ambizioni vere e almeno a livello conscio non cerco niente di particolare, però non mi sento immune da certi moti dell’animo. Oltre al corpo alleno la mente affinché si renda terza rispetto a quanto l’attraversa, ma talvolta gli sforzi non mi sembrano adeguati o forse io non riesco a coglierne gli effetti. Di questi miei anni, i quali per me rientrano in pieno nella tarda gioventù, non so cosa conservare perché anche i cimeli mnestici non mi appassionano molto, tuttavia sono contento di trovarmi su un mondo del quale non m’importa quasi niente. Vada tutto come deve andare e il resto lo segua di buona lena.
Di certo animato da buone intenzioni e da un’ingenuità di fondo, qualche giorno fa un conoscente di vecchia data mi ha detto: “Scusa, ma perché tutta l’energia che usi per la corsa non la investi in qualcos’altro? La vita poi passa, guarda me che ho già sessant’anni”.Non ho trovato affatto peregrina quell’esternazione, tuttavia, come spesso accade in questo genere di cose, l’altra persona in realtà si stava rivolgendo a se stessa.In quel momento, mentre parlavamo, probabilmente mosso da un’insoddisfazione di fondo, egli ha visto nella mia età (ancora relativamente giovane) una panoplia di possibilità inespresse, di vie non battute e l’inspiegabile preminenza da me accordata a qualcosa che per lui non conduce a nulla, irrazionale e insensato; forse ha provato in se stesso un fastidio inopinato per le sue occasioni mancate, come se tra sé e sé si fosse detto: “Ah, se avessi i tuoi anni, io farei questo e quello”.Ci sta, rientra nel cosiddetto e consunto ordine delle cose, ma la mia visione della realtà differisce dalla sua e io ricerco un gusto superiore, dove “superiore” non risponde a un sistema gerarchico, piramidale o verticistico, ma è cosa altra da questo tipo di categorizzazioni e anzi, la sua essenza verte sulla loro costante elusione.La mia reazione sarebbe stata più sbrigativa e inautentica (miope, limitata, fuorviante) se mi fossi risentito per quella frasetta, come se l’avessi presa per un atto di lesa maestà nei confronti di qualcosa a me caro, ma verso cui invece, anche e soprattutto nella pratica, devo mantenere un certo distacco proprio per ossequiare la ricerca di quel gusto superiore. Su tante cose soprassiedo perché non posso mettere sempre i sottotitoli, quindi lascio a terzi l’onere di andare alla pagina 777 del Televideo.
Mi sento in procinto di raggiungere la migliore forma fisica che io abbia mai esperito e spero di farla valere alla prima occasione utile. Nelle ultime settimane ho riflettuto sul mio rapporto con l’atletica leggera e sono giunto a una simpatica conclusione che mi ha fatto ridere di gusto.
A livello emotivo la corsa mi ha dato più di quanto abbiano fatto tutti i rapporti platonici in cui, a mio disdoro, mi sono ritrovato nell’arco di sedici anni. Non sono state molte le occasioni nelle quali s’è innalzato un ponte tra me e una ragazza, però tutte le confidenze, i prodromi di complicità, la sagacia, le piacevoli illusioni d’una parvente intesa, persino un rinnovato senso d’identità per interposto sé, ebbene, tali cose non mi hanno mai fatto provare ciò che mi ha rapito in alcune gare o in certi allenamenti dove mi sono sentito tutt’uno con il cosmo.
A questo proposito mi vengono in mente le parole di Toshihiko Seko, un fortissimo maratoneta giapponese degli anni ottanta che una volta disse: “The marathon is my only girlfriend, I give her everything I have“. Lui era un campione mentre io sono soltanto un buon dilettante, ma capisco ciò che intendeva. Domani stesso potrei essere costretto a non correre più per un incidente, una malattia o per qualche altra disgrazia, ma se mi accadesse qualcosa del genere avrei comunque già maturato tanti bei ricordi.
Per me la corsa non rappresenta tutto così come io stesso non sono il mio semplice corpo, però mi rendo conto che le riservo delle attenzioni particolari e ancor oggi, dopo tanti anni, ne sono ancora perdutamente innamorato.
Cosa può darmi una relazione affettiva che la corsa non sia in grado di elargirmi? A parte le facili battute da caserma, le quali comunque mi divertono sempre, mi pongo quell’interrogativo con la massima serietà. Immagino che io riesca a dare il meglio di me da solo perché ho molto amor proprio e poco da condividere. Sono arrivato a un punto in cui sto talmente bene con me stesso che potrei contenere e modificare questa mia condizione solo se mi trovassi dinanzi a una esponente della kalokagathia con le medesime intenzioni: meglio che io continui a correre!
Più volte, in passato, ho avvertito un senso d’impotenza dinanzi a fatti e impegni da cui sono stato investito con particolare intensità, come in una tempesta perfetta, ma da qualche anno a questa parte ho sviluppato la capacità di rallentare, correggere e ordinare quelle percezioni erronee. Anche in ragione di questa miglioria la qualità della mia vita è aumentata, ma oltre a un vantaggio organizzativo e umorale ne ho tratto l’ennesima prova di quanto la cosiddetta realtà, almeno fino a un certo livello, dipenda dai costrutti della mente. Invero tutto ciò può sembrare banale e forse lo è, ma credo che i suoi meccanismi e le sue epifanie sfuggano al controllo più di quanto lascino intendere le facili descrizioni a cui si prestano.
I pensieri hanno un peso specifico e sono soggetti a una forza di gravità superiore a quella terrestre, perciò il loro corretto trattamento deve tenere conto di questa differenza e sulla base della mia esperienza credo che un tale approccio non sia affatto intuitivo. Avverto i benefìci dei molteplici progressi che la mia introspezione mi ha fatto guadagnare a fronte di sforzi equi e sinceri. Non m’illudo che il processo d’individuazione possa farsi entelechia, nell’accezione più profonda del termine, ma tale impedimento immagino che caratterizzi la natura intrinseca del fenomeno e dunque prescinda dall’impegno del soggetto.
Forse la libertà si misura nel grado di controllo della mente e può darsi che questo sia uno dei motivi per cui alcuni individui risultano più liberi di altri benché all’apparenza versino in condizioni precarie. Pare davvero che ogni individuo abbia in sé il proprio carceriere e il suo salvatore, oltre a tutta una serie di personaggi intermedi, ma l’importante gerarchia alla quale mi riferisco non ha nulla di pirandelliano. Per mia fortuna non devo insegnare né spiegare alcunché a nessuno, difatti sono il maestro di me stesso e mi considero un allievo diligente: spero che la realtà, ossia la costante commissione esterna, continui a promuovermi.
Le manie di protagonismo e l’avidità di potere brillano di luce propria: almeno quest’ultima non è a carico dei contribuenti. Credo che ogni nazione abbia la classe politica che merita e quindi ogni popolo viene sì rappresentato, ma in primo luogo per le proprie storture e poi, in un secondo tempo e solo formalmente, per le confuse istanze di cui si fa richiedente grazie al giochino democratico delle “libere” elezioni.
La mia non è una banale invettiva, giacché se tale fosse il mio intento risulterei più scontato di quanto già io non sia, e quindi mi limito a una constatazione dei fatti, invero anch’essa piuttosto ovvia. Per me le istituzioni sono ricettacoli di acque reflue, prive di pragmatismo e incapaci di perseguire quest’ultimo, anche nei rari casi in cui esse ci provino nella persona di qualche integerrimo funzionario, ma d’altro canto non può essere altrimenti perché una democrazia corrotta e immatura necessita di un tale trofismo per mantenere in vita gli aggettivi anzidetti. Un sistema differente può essere ideale per me, ma esiziale per chi invece trovi vantaggi e una propria identità in una cotale porcilaia, dunque non ammanto queste mie considerazioni d’una patina moralistica e riduco tutto a un approccio analitico assai semplice o semplicistico.
Se anche volessi vedere delle persone capaci e meritevoli sugli scranni più alti di questa baracca repubblicana, come potrei fare? Di certo non con il voto, ma soltanto con un atto di forza per istituire un nuovo potere che a taluni, alla fine, risulterebbe altrettanto oppressivo, inetto e reo delle peggiori sperequazioni. Non se ne esce, ma il problema si trova a monte: esserci entrati con l’incidente della nascita.
Lo stato (con la esse maiuscola o minuscola in base al proprio sentire) si configura come il male minore di un male maggiore ma spesso necessario: quest’ultimo altro non è che è la vita in società. Non m’interessa granché l’argomento del giorno quanto invece quello dell’eternità, ma dal primo traggo spunto per eiaculare un pensiero infecondo sull’attualità, altrettanto sterile.
Rischio di risultare ripetitivo come i migliaia di passi che quasi ogni giorno alterno sull’asfalto, ma oltre ai chilometri corro anche l’alea di un approccio monotematico perché, in ultima analisi, non ho lettori a cui rendere conto e io non mi annoio mai con me stesso. In Oriente per taluni l’unica cosa che non cambia mai è il cambiamento stesso: condivido e per adesso non mi sento incline a dedicare sguardi attenti ai tanti e apparenti fatti del pianeta sul quale risiedo.
Ieri pomeriggio ho corso una maratona in allenamento in 2 ore, 56 minuti e 25 secondi, ossia a un passo di 4’11” al chilometro, perciò alla fine non è uscita neanche così veloce, ma l’ho portata a termine in una cornice di trenta giorni in cui ho mantenuto un chilometraggio settimanale superiore ai 130 chilometri e un’andatura media di 4’18” al chilometro.
Non ho assunto acqua né ingerito gel, come faccio quasi sempre in gara; non ho ricevuto alcuna assistenza e sono stato parzialmente accarezzato da un leggero grecale: queste le condizioni, invero nient’affatto avverse.
Si è trattato di uno sforzo abbastanza controllato e ho fatto in modo che il chilometro più veloce fosse l’ultimo. Sotto il profilo mentale ho retto bene, ma quello è l’unico aspetto che non devo allenare ed è una meritata fortuna. Quando sto così tanto sulle gambe penso alle cose più disparate, dal grottesco al metafisico: di solito mi faccio un film a metà tra Nuovo Cinema Paradiso e Il commissario Lo Gatto.
Per almeno tre settimane non farò sessioni superiori ai venti chilometri e mi concentrerò su qualche frazione da spingere in soglia.
Mi sto allenando con una costanza e una determinazione dalle quali non ero mai stato investito prima, inoltre il fisico e la mente stanno rispondendo bene agli sforzi che impongo loro con una certa frequenza. Voglio spingermi fino ai confini delle mie possibilità genetiche e non ho altre ambizioni all’infuori di questa, ma se non dovessi riuscirci non cambierebbe nulla, proprio come se invece portassi a compimento l’opera mia. È tutto autoreferenziale e si esaurisce in sé.
Il gesto atletico e l’accumulo di acido lattico mi fanno sentire tutt’uno con il cosmo, perciò non intendo rinunciarvi fino a quando cause di forza maggiore non me lo imporranno. La corsa mi ha dato molto e io mi ci rapporto come se fosse una dea madre. Se la natura mi avesse donato il talento necessario, mi sarei votato anima e corpo al professionismo, ma io ho soltanto un po’ di predisposizione e non posso ambire a certi tempi.
Ammiro chiunque coltivi con devozione quasi mistica il proprio potenziale perché ai miei occhi è come se assolvesse un dovere che nessuno gli ha imposto né suggerito. È stato speso bene tutto il tempo che ho trascorso sull’asfalto e tra i sentieri della macchia mediterranea: non mi sono perso nulla e ho guadagnato qualcosa che non si può comprare. A taluni tutto questo appare privo di senso, però io non so dove ordinare i pezzi di ricambio né le parti mancanti per aggiustare il loro punto di vista e, soprattutto, non offro questo tipo di assistenza tecnica.
La mia motivazione s’ingenera con un processo d’abiogenesi. Dentro di me c’è tutto quello di cui ho bisogno e ormai ho una certa confidenza con i processi estrattivi dai quali dipende l’accorto sfruttamento delle risorse endogene.