Gli eventi mi stanno offrendo la possibilità di mettermi alla prova su una distanza che avevo smesso di prendere in considerazione e per la quale al momento non mi sento davvero pronto, ovvero i cento chilometri su strada. Nelle prossime settimane dovrò improvvisare una preparazione che possa aiutarmi a fare una buona prova sui centomila metri, difatti punto a migliorare il mio record personale che risale al 2018, in quel di Seregno, quando conclusi la gara in otto ore e trentacinque minuti.
Mi affascina questa prova perché in larga parte è un salto nel buio. È una sfida che lancio a me stesso e alle mie attuali capacità, di certo superiori a quelle con cui affrontai la manifestazione di cui sopra, ma l’ultima parola spetta alla strada e solo lei può dare un giusto responso, o meglio, in questo caso l’asfalto dell’autodromo di Imola sul quale si disputeranno i campionati italiani di cento chilometri e per la cui partecipazione sono previsti dei requisiti che io soddisfo in ragione delle mie prestazioni pregresse.
Mi eccita l’idea di non avere il controllo della situazione, di rischiare il ritiro e la sua amarezza o di conseguire i loro celestiali opposti, perciò farò tutto quanto è nelle mie possibilità psicofisiche per arrivare pronto alla partenza. Quello è il mio posto al momento, devo recarmici, al di là dello sport e del mero agonismo, per me si tratta del richiamo di un ricorso storico e può costituire una sorta di anno zero sotto tanti punti di vista. Ci metterò tutto me stesso.
In questo periodo mi sento pronto soltanto per una buona maratona, perciò dovrò modulare i ritmi e i carichi dei chilometri in funzione di una distanza più che duplice. Non sono un neofita e ho molto margine per affrontare bene le settimane venture. Credo tantissimo in me stesso, anche perché se non lo facessi io il posto resterebbe pericolosamente vacante.
A volte il pensiero retrocede a tempi d’illusorio entusiasmo, ma non riesco a condannare queste sue divagazioni e quindi le accolgo nella misura in cui non mi sinistrino. Forse alla mia esistenza manca qualcosa ed essa me ne chiede conto nei modi più disparati, ma io non posso dare seguito alle sue istanze e quindi la invito a desistere per mezzo dell’inazione nei suoi campi d’interesse.
Per quanto lentamente, l’età avanza e tale incedere attenua le richieste di cui sopra, perciò ho più margine di manovra e controllo a livello cosciente, piano quest’ultimo sul quale riesco a trovare appagamento e sublimazione al di fuori delle vie ordinarie. Sarei al contempo folle, ingenuo e paranoico se pretendessi di reprimere ogni appello della mia parte più recondita, giacché se provassi a misurarmi con le sue insistenze finirei per alimentarne la tenacia e dunque mi affido all’introspezione come strategia preminente. Mi pare che le scelte migliori non siano sempre intuitive e devo distrarre a intervalli regolari una certa quantità delle mie energie per rammentarmelo con la dovuta perseveranza.
Lo strumento più potente in mio possesso è il dialogo che ho instaurato con me stesso e l’ipertrofia dell’amor proprio ne è una chiara conseguenza benché non presenti complicazioni egoistiche. Non mi reputo adatto a un ruolo preciso, non rintraccio in me talenti particolari e non ho l’ambizione di diventare il pilastro di un’altra esistenza. Il mio raggio d’azione è limitato alla mia sfera personale e se già non fosse così mi adopererei per ridurne la gittata. Non ho nulla da insegnare e quello che condivido arriva eventualmente a terzi come effetto secondario di una causa catartica, inoltre modulo la mia propensione a imparare sulla possibilità di farlo da autodidatta.
Mi considero in una zona grigia, ovvero a debita distanza da molta mediocrità grazie a uno iato che cerco di salvaguardare, ma lontano dalle migliori declinazioni di qualunque sodalizio, ergo il mio solipsismo è una scelta obbligata di cui al contempo mi compiaccio. In estrema sintesi, non amo le rotture di coglioni.
Assisto con un certo distacco alle comiche repubblicane e non mi perdo nemmeno lo spettacolo delle loro rovinose conseguenze. La disorganizzazione impera a qualsiasi livello, ma almeno innesca delle sane risate e mi domando se il popolo tutto non debba fare affidamento proprio su queste per alzare le difese immunitarie. Un tempo i traditori della patria più che in televisione passavano per le armi, ma oggigiorno v’è un’accesa sensibilità che spegne il buonsenso, specialmente quando risulti poco piacevole. Io non posso lamentarmi, me la cavo alla grande e mi sento bene: coltivo le mie passioni in quieta solitudine, condivido gli spazi domestici con simpatici e apatici felini, mi bevo limonate dissetanti e delle buone tazze di ginseng. Insomma, non mi faccio mancare niente.
Ho cominciato a scrivere il mio sesto libro e ho ragione di credere che questa sia la volta buona, però non ho idea di quanto tempo mi servirà per completare il prossimo scritto a mio uso e consumo. C’è una forza creativa che preme in me anche su altri fronti, di fatto essa mi accerchia e non allenta la propria presa perché ancora non ho reificato talune cose, ma tutto sta avanzando insieme e il prezzo di tale coordinazione è una certa lentezza. Non voglio fare qualcosa per identificarmici o per caricarci delle aspettative, bensì per liberarmi dalla spinta di cui sopra: in altre parole intendo realizzare delle cose per immolarle a loro stesse come già ho fatto in passato.
Da dicembre ho compiuto dei buoni progressi nella corsa e spero di capitalizzarne una parte nella prima maratona dell’anno, tuttavia non ho ansie da prestazione e non ne avrei neanche se dovessi perdere la verginità con la più bella e intelligente ragazza di un capoluogo di provincia o addirittura di regione. Sono un po’ indietro con alcune letture e coi relativi appunti, ma indietro rispetto a cosa non mi è chiaro, forse in relazione al comprensibile desiderio che tutto si compia il prima possibile in ragione di chissà quali infantili motivi.
El pueblo unido jamás será vencido.
A causa del Covid mi è saltata la fashion week nel primo outlet a conduzione sino-italiana che sia raggiungibile in riserva, perciò ho dovuto cercare sul web qualcosa per rinnovare il mio guardaroba.
Questo è un pezzo della collezione primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera, alla Kim Ki-duk.
Per ragioni piuttosto ordinarie mi trovo a mettere piede con regolarità in un determinato luogo, invero si tratta di un’incombenza il cui espletamento non mi dispiace, e da un paio di mesi mi sono reso conto che una ragazza ivi impiegata mi rivolge degli sguardi indagatori. All’inizio ho pensato che la mia fosse soltanto un’impressione sbagliata, una percezione erronea dovuta a una possibile e plausibile sopravvalutazione dell’ego in quel frangente, perciò mi prendevo in giro da solo dicendomi mentalmente: “Eh sì, sta tutto il giorno là ad aspettare te che entri. Dev’essere proprio così, non può esserci altra spiegazione”.
Non mi reputo un ragazzo orripilante, secondo me non mi manca nulla, però sotto molti aspetti mi considero nella media e quindi, per quanto possa essere ipertrofica, la mia autostima non mi porta mai a ritenere che una giovinetta possa stravedere per me, inoltre io non ho niente da offrire a nessuno perché sono troppo pigro per rendermi affascinante e troppo scanzonato per far sentire una ragazza speciale. Sto con me stesso e con il mio spirito.
A un certo punto ho cominciato a riconoscere una frequenza nelle occhiate della ragazza di cui sopra ed esse non si sono mai dimostrate languide o ammiccanti, bensì vi ho percepito (non so se giustamente o meno) un invito a stabilire un primo dialogo di circostanza o perlomeno un’espressione di casto e cordiale ricambio da cui, ovviamente, io mi sono sempre astenuto. Non si tratta di una ragazza bellissima, nel senso che se fossi il direttore di Vogue spegnerei sul nascere ogni sua speranza di campeggiare sulla copertina della rivista, però la trovo carina, delicata, portatrice di una certa beltade e mi chiedo quale sia la sua personalità. Una parte di me vorrebbe rispondere a quegli apparenti segnali, ma evito di farlo perché oltre al rischio del fraintendimento sussiste quello ancor maggiore che di fraintendimenti non ve ne siano proprio. Per scongiurare involontarie risposte somatiche da parte mia, ho imparato a eludere il contatto visivo con ragazze piacenti e difatti, in casi del genere, da buon maratoneta dirigo lo sguardo verso un orizzonte immaginario a trenta metri di distanza.
Non ho paura di relazionarmi con l’altro sesso né della psicologia spicciola a cui taluni ricorrono, ma il mio amor proprio ormai ha assunto dimensioni gargantuesche e non riesco a immaginare come io possa stare con qualcun altro meglio di quanto stia con me stesso, non riesco a figurarmelo né sono spronato ad approfondire la cosa. Forse se incontrassi Ipazia di Alessandria nel corpo di Pantasilea potrei ricredermi su tutto questo, ma immagino che si tratti di un’evenienza assai improbabile.
L’evanescente flusso di un’astrazione inopinata
Pubblicato venerdì 12 Marzo 2021 alle 01:57 da FrancescoNottetempo riesco a fare esperienze coinvolgenti in una posizione immobile, rilassata, con gli occhi chiusi e l’ausilio di determinati suoni. In cinque minuti posso ritrovarmi nel Caucaso di mille anni fa o da qualsiasi altra parte. Le ali dell’immaginazione aiutano questi voli pindarici, ma da sole non bastano e per descrivere il mezzo nella sua piena complessità non sono sufficienti delle suggestioni giustapposte.
La mia vita interiore non è mai stata florida e rivelatrice come in quest’ultimo periodo benché in passato abbia esperito più volte fasi d’intenso splendore. Quello di cui scrivo non si presta alla parola perché quest’ultima lo sminuisce e lo banalizza, ne distorce i contorni e ne sabota gli intenti, però io vi ricorro ugualmente per giocare con l’impossibilità stessa grazie alla quale la sua essenza resta impermeabile a tutto il resto. Credo che sia necessario perquisire l’intero universo per restare a mani vuote, ma ciò esattamente cosa significa? Probabilmente niente, è soltanto una facezia dal retrogusto iperbolico, però da una sua prima lettura scaturiscono un’immagine spontanea e un’associazione d’idee che sanno farsi entrambe latrici di piccoli indizi personali. Non c’è nulla di oggettivo qua in mezzo, tuttavia può darsi che io non sappia né possa captarlo in quanto non sussistono pre(te)se di universalizzazione.
Per qualcuno altrove non vi è un altrove e la mia ripetizione lo vuole sottolineare, io invece mi chiedo laggiù quale sia la stella del mattino e con quali colori la ionizzazione dell’atmosfera ivi regnante dipinga i crepuscoli. Forse si possono sentire tutti i sapori del cosmo tramite lente e ripetitive cucchiaiate di un riso bianco che sia stato cotto sul fuoco sacro di tutti i millenni a disposizione. Non posso restare attonito dinanzi a niente, anzi, non posso proprio restare più del dovuto perché con la mente ho già fatto le valigie per la prossima incarnazione. Attendo sereno un passaggio o l’ultima corsa per il primo passo di un ennesimo ciclo.
Le incessanti e multiformi sciagure umane offrono occasioni innumeri per indossare i panni altrui, ma quanto può durare l’identificazione in una tragedia che non sia privata? Ogni giorno l’umanità si macchia di ingiustizie sempre nuove e fa crescere con cura quelle ormai radicate, ma anche i più volenterosi alfieri dell’empatia in quale misura riescono davvero a identificarcisi? Forse la psiche umana possiede un meccanismo di difesa che le impedisce di fare propria la sofferenza di qualcun altro quando l’assimilazione di quest’ultima, oltre un determinato grado, risulti troppo nociva per chi se ne faccia carico? Mi pare che spesso le parole si dimostrino la massima espressione di vicinanza ai drammi di terzi, ma talora lo sono in quanto nulla di diverso risulta possibile e altre volte, invece, lo diventano in ragione di una fervente ipocrisia.
Non azzardo un’improbabile disamina dal tono vago e generale, bensì accenno l’analisi della questione sulla base della mia esperienza ed entro quest’ultima la circoscrivo. Seguo con una certa assiduità le notizie di geopolitica e dunque sono avvezzo alle storture delle società umane, ma non riesco a esperire una vera e propria partecipazione emotiva ai fatti di cui leggo. Anche i filmati più cruenti non destano in me intensi moti d’empatia benché talora veda apparire nella mia mente uno spontaneo senso di pietà. Non avverto il dolore altrui come se fosse il mio e mentirei se sostenessi il contrario, difatti quest’ultimo non attecchisce sulla mia interiorità, non vi lascia segni e tutt’al più può ingenerare una fugace impressione dovuta spesso più alla forma che alla sostanza.
Posso trovare aberranti le morti legate alla contesa di un lembo di terra come il Nagorno Karabakh, posso definire atroce l’ennesimo massacro di civili in una provincia irachena, posso considerare inumani gli efferati omicidi e le torture di cui i cartelli messicani si rendono protagonisti, ma alla fine tutte queste legittime opinioni a me sembrano soltanto un espediente autoreferenziale per alleggerire la coscienza da altre sue beghe. I pensieri hanno di sicuro un loro peso, ma in questo ambito credo che siano del tutto inutili quando il loro sviluppo si arresti a una forma scritta, mentale o verbale, quando insomma non concorrano a qualsiasi titolo per ispirare un intervento concreto. Provo a distinguermi da certi soggetti già nel momento in cui soppeso la questione, ma finirei per omologarmi alle loro edificanti illusioni se pensassi di esserne estraneo solo per la formulazione di interrogativi siffatti.
Sto seguendo gli sviluppi del bagno di sangue che è in corso in Myanmar. All’inizio il golpe mi aveva fatto sorridere perché ne avevo visto soltanto un filmato buffo e grottesco, poi diventato virale, ossia quello di un’istruttrice di fitness che, registrando la propria lezione, senza volerlo aveva catturato il momento in cui un gruppo di militari si stava avvicinando alla zona del parlamento per mettere in atto il colpo di stato.
Nei giorni seguenti non ho più prestato molta attenzione alla vicenda perché sapevo che in passato l’ex Birmania era stata sottoposta a una giunta militare per parecchio tempo, inoltre negli ultimi anni, almeno nel consesso internazionale, la figura di Aung San Suu Kyi ha subito delle forti critiche per la posizione di quest’ultima nei confronti della minoranza Rohingya e quindi, sommando questi elementi, pensavo che il paese si avviasse a una sorta di rassegnata restaurazione, un ritorno all’ancien régime.
Poi ho visto un’immagine che credo sia destinata a diventare iconica, ovvero quella di una suora in ginocchio davanti a un gruppo di soldati, ma prima di prenderla per buona ho fatto qualche ricerca e alla fine mi sono convinto della sua autenticità. Ho rovistato in certi angoli del web per trovare delle testimonianze filmate su quanto stia davvero accadendo nel paese e ho scovato delle immagini piuttosto cruente, ma nulla che non abbia già visto in scenari simili a diverse latitudini: la morte e la sofferenza si vestono quasi sempre allo stesso modo.
Nelle ultime ore mi ha colpito la storia di una giovane manifestante di diciannove anni, il cui nome pare che fosse Ma Kyal Sin: in varie immagini brandisce una bottiglietta di Coca Cola contro i soldati e sfoggia una t-shirt con su scritto Everything will be OK. In un’altra foto, che suppongo sia sta scattata poco dopo le altre, è ritratta con un buco in testa procuratole da un cecchino durante una protesta a Mandalay. Non so come si risolvano certe questioni di diritto internazionale e sono altri i soggetti che ricevono laute prebende per esercitare la medesima incertezza, però mi pare che si stiano formando tutte le premesse per l’avvio di una guerra civile simile a quella siriana. Già girano varie istruzioni a tema su come fabbricare bombe Molotov e su come mettere in difficoltà i cecchini.
Un’attuale parentesi di particolare magnitudine
Pubblicato sabato 27 Febbraio 2021 alle 02:10 da FrancescoSono pervaso da tali quantità di energie e creatività che fatico a canalizzarle. In me v’è un surplus che posso sfruttare solo entro un certo arco di tempo e di conseguenza corro il rischio di sprecarne una parte. Non sono in grado di stipare simili risorse per usarle all’uopo, tutt’al più posso allungare la durata della loro efficacia ed è infatti quanto mi riprometto di fare. L’attuale circostanza è dovuta alla conclusione di certi impegni che ho assolto con un po’ di lentezza, perciò ora ho modo di agire sulla scorta di una ritrovata libertà e di un giustificato entusiasmo sul quale non metto zavorre né pesi da novanta.
Plano sulla cupa atmosfera dei tempi correnti come se le disgrazie del mondo non fossero di mia competenza, anche perché di fatto non lo sono: io posso soltanto incidere sul mio modo di interiorizzarle e tutt’al più m’è data la facoltà di non esserne compartecipe nella mia trascurabile misura. Non ho assistenti di volo né ancelle devote, il mio è uno stupendo viaggio in solitaria tra questioni metafisiche e inezie prosaiche. La beltade è una costellazione che talora ammiro da lontano, ma non mi ci avventuro perché ne conosco i pericoli. Sono sulla strada maestra di una meta ignota e non carico di significati il mio soggiorno sulla Terra, inoltre non ne sento sulle spalle il peso planetario e avverto soltanto la sua peculiare forza di gravità.
Le mie iniziative personali sono solipsistiche, si riflettono in me, non hanno velleità esogene e non mi si palesano mai con l’illusione d’una permanenza che oltrepassi la caducità di cui sono interpreti. Di cosa mai dovrei parlare con qualcuno? Posso anche scambiare le parole, ma sono tutte doppioni che ho già incollato su significati più profondi di quanto possa darne conto. Anche al silenzio spettano delle ferite e allora che si discuta d’ogni cosa per non concedere il dominio assoluto a ciò che fu quando nulla era.
Negli ultimi tre giorni ho corso 84 chilometri suddivisi in due maratone con ventiquattro ore di riposo tra l’una e l’altra: entrambe da solo ed entrambe a stomaco vuoto. La prima l’ho fatta il 19 febbraio in 2 ore e 55 minuti, ma non mi sono piaciuto e ho accusato l’invadenza dello scirocco, presente anche oggi seppur in tono minore. Qui la traccia Strava: https://www.strava.com/activities/4813520157
La seconda l’ho provata questo pomeriggio ed è andata meglio, difatti l’ho conclusa in 2 ore e 49 minuti faticando di meno e sentendomi più padrone del mio passo. Di seguito la traccia Strava: https://www.strava.com/activities/4826746218
Se lo avessi voluto davvero avrei potuto asservire queste energie per una vendetta di sangue in ossequio allo ius naturale, ma la mia è un’indole costruttiva e sovente ricorro alla cosiddetta sublimazione perché ciò prevede la mia via solipsistica.Febbraio mi ha regalato delle belle soddisfazioni. Le ultime due settimane ho messo in cascina rispettivamente 129,3 e 126,8 chilometri. Il carico mensile per adesso si attesta sui 370 chilometri a una media 4’08” al chilometro, probabilmente il mio mese migliore di sempre.
In questi ventuno giorni ho fatto anche altri test, sempre da solo.
5K: 16’58”
10K: 35’17”
15K: 53’03” (il test migliore secondo me)
Due mezze, una in 1h18’38” e un’altra in 1h19’24”
Mi diverto come il puer che de facto sono ancora e, a scanso d’equivoci, della maggior parte delle cose non me ne fotte proprio un cazzo.