15
Mar

Voragini pietroburghesi

Pubblicato mercoledì 15 Marzo 2006 alle 18:01 da Francesco

Arrivò all’aeroporto di Pulkovo nel primo pomeriggio e iniziò subito ad arrendersi all’accerchiamento delle segnaletiche cirilliche. Prese il suo bagaglio, comprò una barretta di cioccolato e si sottopose alla burocrazia aeroportuale. Carlo era un giovane toscano aitante senza più speranze. Si era risolto a partire per la Russia dopo il fallimento dell’azienda di suo padre, un fallimento causato dalla sua cattiva amministrazione. Non era religioso, ciò nonostante durante tutta la tratta aerea Fiumicino-Pulkovo aveva recitato un continuo mea culpa. Aveva raggiunto San Pietroburgo con l’idea di morire e voleva farlo tra le strade descritte dalla penna di Dostoevskij. Uscì dall’aeroporto dopo i controlli di rito, si accese una sigaretta e iniziò a cercare un taxi. Un uomo di mezza età, tarchiato e basso, iniziò a caricare le valigie di Carlo sulla propria auto senza proferire parola. La nicotina cadde a terra, schiacciata dal piede dell’italiano, il diesel della vettura sovietica si mise in moto e una fumata di smog offuscò il marciapiede. L’autista iniziò una logorrea russa con l’intento di truccare il tassametro senza farsi notare. Anche se Carlo avesse notato il trucco non avrebbe protestato perché gli interessava soltanto vivere la sua prima giornata russa e le sue ultime ore di vita. Aveva sempre sognato di recarsi in Russia e vedeva questo viaggio come una giusta liquidiazione dal suo battito cardiaco trentennale. Il russo si chetò dopo aver manomesso il tassametro, poi accese la radio e intonò con voce gutturale una canzone popolare. Carlo, all’inizio, non sapeva dove farsi lasciare, gli venne in mente una canzone di Franco Battiato e decise di fermarsi presso la prospettiva Nevsky. Scese dall’auto e allungò al tassista più rubli di quanti gliene dovesse senza preoccuparsi del resto. Salutò il truffaldino e iniziò a percorrere una delle strade più famose al mondo. I suoi occhi spiarono il colonnato della cattedrale di Kazan, il suo volto si riflesse sulle acque dei canali e la sua psiche lo indusse a trovare un albergo. Dopo un lungo vagare raggiunse un hotel a tre stelle di cui non ricordo il nome. Esibì il suo passaporto alla reception e chiese una stanza singola con l’ausilio del suo inglese maccheronico. Una bellissima ragazza russa gli rispose con cortesia, prese il compenso per una notte e gli porse la chiave della stanza numero quindici. Le quattro mura temporanee erano state riempite con mobili modesti e vecchi; un letto scomodo, un televisore non funzionante e un bagno senza cesso. Carlo si fece una doccia, si vestì e strinse al petto gran parte del suo denaro. Egli trascorse un’ora, dalle diciassette fino alle diciotto, steso sul letto, riflettendo su sé stesso, sulla propria vita e sulla fine di quest’ultima. Usò il bagno comune per pisciare, uscì dall’albergo e inizò a cercare i luoghi più malfamati della vecchia Leningrado. Il buio faceva capolino dal cielo e l’illuminazione urbana iniziava a propagarsi. Il suo cammino continuò per circa un’ora, a volte spezzato da piccole pause per osservare bellezze architettoniche come l’immagine lontanta della chiesa del Sangue Versato. Raggiunse luoghi periferici e incominciò a guardare con più attenzione le facce delle persone. Il suo istinto lo portò a entrare in una bettola dalla quale provenivano grida e musica, mentre nella sua mente apparivano le immagini del muro di Berlino e dei dibattiti sulla perestrojka. Appena entrato iniziò a squadrare alcuni ragazzi, poi si recò al bancone dove ordinò una bottiglia di vodka. Una cameriera, un po’ paonazza e alticcia, lo servì. Carlo bevve un sorso di vodka, si avvicinò sorridente ad alcuni ragazzi e colpì uno di essi con la bottiglia. Vetri in terra, sangue ad altezza d’uomo e acuti femminili che sembravano presi in prestito dal teatro Mariinsky. La compagine russa portò Carlo fuori dalla bettola e lo malmenò con calci e pugni fino alla sua morte apparente. La polizia giunse sul posto dopo quaranta minuti. Carlo non era morto. Un’ambulanza lo portò d’urgenza in terapia intensiva mentre gli agenti si accertarono della sua identità. Fu avvertita la famiglia in Italia tramite il consolato. Il padre raggiunse il figlio e vegliò su di lui fino alla morte di quest’ultimo che sopraggiunse dopo tre settimane di coma.

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15
Mar

Risveglio poetico

Pubblicato mercoledì 15 Marzo 2006 alle 10:57 da Francesco

Stamane il mio risveglio è stato meraviglioso. Durante il dormiveglia ho iniziato a sentire il suono monotono di un sax provenire dal palazzo di fronte. Probabilmente qualcuno si stava esercitando con il sassofono. Mi è piaciuto moltissimo svegliarmi con il suono sbilenco di questo strumento a fiato, nonostante l’esecuzione amatoriale. Prima di alzarmi dal letto mi sarebbe piaciuto osservare la mia menade dormiente, ma al momento ella non esiste. In questo istante la mia finestra aperta fa da usciere a un vento leggero e ad alcuni raggi solari. Da circa una settimana, nella mia cittadina, si susseguono giornate sempre più belle e questo credo che sia un chiaro avvertimento dell’invasione primaverile. Di solito sto bene, ma stamani riesco addirittura a toccare il cielo con un dito. In giornate come queste, battezzate da risvegli celestiali, metto in dubbio la natura mortale dell’essere umano. Per me è bizzarro come questa stagione possa condividere la mia serenità e atti biechi narrati dalla cronaca quotidiana: rapimenti, emersioni di doppie personalità, violenze domestiche e scandali politici. Ogni giorno, da qualche parte, avviene un acting out che assume forme inquietanti. Sono uno spettatore del mondo mimetizzato da comparsa inerte. Metto il punto a questa frase e inizio la mia, solita, giornata.

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14
Mar

14 marzo 2006

Pubblicato martedì 14 Marzo 2006 alle 16:47 da Francesco

È una giornata soleggiata. Ho trascorso le prime ore pomeridiane alle prese con una simulazione bellica su Internet assieme ad altri giocatori europei. Quattordici persone, talvolta più, intente a uccidersi virtualmente. Forse a ventuno anni dovrei smetterla di alienarmi con i videogiochi, ma non ho ancora trovato nulla di meglio da fare. L’unico pensiero che in questo momento popola il mio cerebro è la cena: un vasetto di yogurt da cinquecento grammi. Non ho molto da scrivere. Continuo a credere che nella mia vita manchi una presenza femminile. Il mio compleanno è il sei giugno e ciò che significa che tra meno di tre mesi compirò ventidue anni. Mi chiedo se il numero ventidue abbia una qualche valenza cabalistica. Alle volte mi rende cupo pensare ai giorni che ho speso su questo pianeta, ma ogni volta riesco a ribellarmi alle ombre del passato e della noia. Io sorrido anche se non c’è un cazzo da ridere. Sto bene? Sì, e questo è l’importante. Voglio vivere a lungo, a lungo.

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13
Mar

Un incubo mai sognato

Pubblicato lunedì 13 Marzo 2006 alle 22:27 da Francesco

Vedo un uomo altissimo in frac che fa danzare le proprie dita sopra i tasti di un pianoforte bianco. Sono l’unico spettatore presente in sala. Le note continuano a fluire mentre il grande sipario rosso inizia ad aprirsi. Il ritmo della musica si fa serrato e immagini concitate escono dal palco per incollarsi sulle pareti come presenze spettrali. In una ripresa obliqua vedo un uomo che si schianta con la sua cazzo di Renault contro un platano, nella stessa ripresa, ma da un’altra angolazione, osservo la morte dell’anima di una donna in salute. Le sequenze diventano sempre più truculente con l’aumento della rapidità del pianista senza volto. Un uomo schiaffeggia la propria moglie, la manda in coma e poi si uccide con un colpo di Beretta in bocca. Minorenni collassano sotto l’effetto dell’edonismo sintetizzato, mentre madri melodrammatiche gridano i loro nomi a nubi indifferenti. Sudo e mi tengo stretto al mio posto. Davanti a me passa una processione cristiana, un prete porta una grossa croce sulle spalle mentre comanda la marcia dei suoi chirichetti e orchestra le voci del loro pentimento. Nessuno di loro mi osserva, nemmeno con la coda dell’occhio. Continuano a passare davanti a me mentre il pianista non sembra intenzionato a frenare la sua frenesia. Le immagini iniziano a entrare e a uscire dal mio sterno. Vedo crocefissi, icone sacre, cassette per le offerte e corpi in offerta sulla soglia di porte e portoni. È l’anifetatro di un terrore moderato: la vera paura non è trascrivibile in nessuna lingua umana. Apro gli occhi e smetto di scrivere.

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13
Mar

Prima della primavera

Pubblicato lunedì 13 Marzo 2006 alle 11:57 da Francesco

Per me la primavera inizia questa mattina. Respiro un’aria nuova e mi sento scaldato da un sole in bermuda. Mi piace molto questo periodo perché esercita su di me un effetto tonificante che rinforza la mia calma adamantina. Ogni anno, durante la seconda metà di marzo, la mia mente fa sempre retromarica: affiorano i ricordi della confusione scolastica, le azioni irrazionali tipiche degli adolescenti e le immagini di giornate assolate e isolate. Dopo qualche amarcord metto la prima e mi dirigo verso il futuro per impedire che il piacere del passato annuvoli la bellezza del divenire. Il mio stomaco si ribella e vuole cibo. Stamane ho fatto venti chilometri in cyclette impiegando meno di quaranta minuti e il mio organismo, giustamente, chiede rifornimenti. A pranzo degusterò del riso integrale condito con i carciofi, addenterò un po’ di frutta e scaverò tra gli abissi di un vasetto di yogurt. Credo che nemmeno una malattia improvvisa possa turbare il mio stato di grazia. Alcune volte mi chiedo se il mio sia un benessere reale o il semplice frutto di una mia convinzione inconscia. Penso che il mio benessere sia vero perché non riesco a mentire a me stesso, ma per sicurezza tengo sempre sotto controllo la sua veridicità. È quasi mezzogiorno e tutto va bene.

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12
Mar

Uxoricidio

Pubblicato domenica 12 Marzo 2006 alle 20:23 da Francesco

Circa tre anni fa un uomo freddò la sua ex moglie davanti al duomo di Orbetello, a trecento metri da casa mia. Le sparò un colpo in faccia e si diede alla fuga verso Porto Ercole. Fu arrestato, processato e condannato. È disarmante come lettere dolci possano trasformarsi in un semplice numero di pronto intervento: 113. Una donna un tempo madre e moglie si è ritrovata in un corpo senza vita tra rivoli di sangue. Anche oggi è stato commesso un uxoricidio in quel di Monza. La passione è un’arma a doppio taglio in mano a milioni di persone senza porto d’armi. La gelosia e la rabbia formano un cocktail drogato che altera la percezione della realtà e mette in moto i meccanismi più selvaggi della natura umana. Credo che il delitto passionale sia un sigillo ineluttabile che l’omicida mette sulla propria vittima per legarla a sé. Ogni giorno i lettori della cronaca quotidiana fanno incetta di molestie, stupri, privazioni e di altre storie di degrado sociale. Troppo spesso l’uomo usa il cazzo al posto delle facoltà intellettive. Vivo in un mare di merda come altri sei miliardi e mezzo di persone, ma ogni giorno trovo sempre qualche motivo per sorridere.

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12
Mar

Guerriglia urbana

Pubblicato domenica 12 Marzo 2006 alle 09:21 da Francesco

Non sostengo nessuna fazione politica e mi sono sempre astenuto dal voto elettorale a causa della mancanza di qualcuno che mi rappresenti. Ieri Milano è stata teatro di scontri tra i cosiddetti “autonomi” e le forze di polizia. Mi attrae la guerriglia urbana perché la immagino come una grande fonte adrenergica. Caschi come elmetti, sassi come proiettili partigiani, trincee formate da automobili, scooter e cassonetti, divise blu da una parte e blue jeans dall’altra. Scoppi, fumate nere, odori acri, incitamenti e minacce. Una follia controllata che riporta l’homo sapiens allo stato brado in mezzo alla flora tossica della giungla urbana. Tafferugli, si chiamano tafferugli le lotte tra i figli del potere legislativo e i nipoti di un disagio sociale atavico. Sono un borghese che non si preoccupa delle motivazioni che stanno alla base degli scontri, mi interessa solo l’aspetto scenografico della rabbia popolare. Probabilmente i miei occhi osservano con sadismo le riprese faziose delle televisioni pubbliche e private. A differenza di tanti altri credo di essere cosciente del mio disinteresse nei confronti delle problematiche sociali e non fingo una preoccupazione ipocrita solo per darmi un tono o per evitare di essere tacciato di qualunquismo. Mi ha madre ha fatto il ’68, io nel 2006 faccio lo spettatore annoiato.

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11
Mar

Sulla via del sonno

Pubblicato sabato 11 Marzo 2006 alle 20:34 da Francesco

Durante il pomeriggio ho pedalato per trenta chilometri davanti a un telefilm, mi sono masturbato prendendo spunto dal video di una fellatio e infine mi sono fatto una doccia bollente. Non sono molto stanco, ma voglio dormire ugualmente. Tra poco le mie funzioni neurovegetative rallenteranno e la mia coscienza inizierà ad assentarsi. Domattina pedalerò più del solito e tenterò di finire la lettura de “I Rifugi della Mente”. Nel corso della prossima settimana mi arriveranno alcuni libri riguardanti il kendo e il bushido, e anche un atlante illustrato della filosofia . È mero consumismo. Ho letto il mio primo libro a diciotto anni: “Una Vita Violenta” di Pasolini, acquistato nella libreria della stazione Termini durante una giornata afosa. Se avessi una buona padronanza della mia lingua madre farei lo scrittore, ma le mie conoscenze mi consentono solo di essere un segaiolo sorridente che incastra frasi.

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11
Mar

Tacente

Pubblicato sabato 11 Marzo 2006 alle 16:20 da Francesco

Il mio sabato pomeriggio è avvolto da un silenzio imperturbato. Mi piacerebbe poter serrare lo sguardo e vedere ciò che accade in questo momento in ogni loco terrestre; vorrei fare zapping tra l’emisfero australe e quello boreale. I vetri della mia finestra sono un po’ sporchi, devo ricordare alla mia volontà di pulirli. Ho bisogno di pisciare, ma non urinerò fino a quando non avrò svuotato il sacco di parole quotidiane. In questo preciso istante ci sono cellulari che squillano e persone che non rispondono, suonerie fastidiose e becere provocano inquinamento acustico nell’autismo generale. Parole non dette, mezze verità, desideri repressi: sono felice di essere fuori da questo circolo vizioso. La mia calma assomiglia a una donna nuda che riga il suo corpo con un cubetto di ghiaccio. Non sono un fatalista, ma credo che tutto vada come deve andare. Io vado adagio, come una barchetta ellenica che circumnaviga Cipro sopra le correnti del Mediterraneo. Da tanto non irrito più i miei occhi con la salsedine, nonostante il mare disti solo tre chilometri dalla mia magione. Mi chiedo se sia io a vivere al margine o se il centro della pagina sia un luogo poco frequentato. Le mie domande sono delle vedove lesbiche alle quali mancano le risposte. La mia carne chiede sudore e la mia voglia di pedalare acconsente alla richiesta.

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11
Mar

Assoli mattutini

Pubblicato sabato 11 Marzo 2006 alle 11:21 da Francesco

Mi sono alzato alle nove e mezza dopo quasi dieci ore di riposo tombale. Mi sento in forma e anche stamane non riesco a trattenere il mio sorriso. Le mie lettere sono scandite dai tocchi di “Cause We Ended As Lovers” di Chieli Minucci, un ottimo chitarrista jazz fusion. Sto fluttuando a mezz’aria senza rendermene conto. È il mio senso di leggerezza e di quiete che mi fa levitare sopra i patemi comuni. Non so che sensazioni diano le droghe, ma non credo possano creare una sola allucinazione migliore della mia realtà. Sono io che mi porto dietro l’Eden terreno o è quest’ultimo che segue i miei passi? Sono appagato, ma non completo. La mia parte complementare è assente, essa latita per il globo senza che io conosca le sue fattezze. Non posso diramare un ordine di cattura né affiggere manifesti con su scritto “wanted” perché non conosco i tratti della mia metà; la mia parte complementare è un po’ come Maometto, non può avere un volto prima della sua apparizione. Non so se avrò mai una visione mistica di lei in abito da sera o in cardigan, non so se avrò mai modo di tenere il suo kajal, e soprattutto non so se conoscerò mai le forme irregolari della sua anatomia. È una giornata stupenda e per oggi mi basta sapere questo. Non posso spiccare il volo perché sono già in aria; posso solo volare più in alto. Chieli Minucci continua a dispensare assoli a destra e a manca, e questa volta è il sound ottimista di “The Sun Will Always Shine” che rimbalza sulle pareti della mia stanza. La mia bocca è ancora permeata dal piacevole gusto dello yogurt ai frutti di bosco che ho fagocitato quasi due ore fa, le mie mani sono un po’ fredde e profumano di sapone di Marsiglia, mentre le mie gambe, un po’ villose, chiedono con insistenza di percorrere lunghi chilometri immobili sopra la cyclette. Fermo l’ingordigia della scrittura e conservo parole per le ore a venire.

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