Insisto a lavorare su di me per compiere un salto di qualità nelle mie prestazioni atletiche, ma i miglioramenti sensibili non si fanno ancora vedere. La sfida è ardua, ma è alla mia portata e proprio per questa ragione mi stimola oltremodo. Continuo a dare tanto alla corsa perché lei ricambia nella stessa misura, ma più che di tempo si tratta di energie psicofisiche. Dall’inizio dell’anno non mi sono allenato molto, però l’ho fatto con un’intensità superiore rispetto al solito ed è grazie a questa che sono riuscito a compensare la riduzione del volume.
Voglio spingermi ai limiti delle mie possibilità genetiche o comunque punto ad arrivarci vicino, ma già la possibilità di poterci provare mi rende entusiasta. Non mi sono mai sentito in forma come negli ultimi quattro mesi, tuttavia sono certo di avere a disposizione ancora parecchie frecce nella mia faretra. Non so come finirà né di cosa mi proverò capace, ma ripeto ancora a me stesso che devo reputarmi fortunato.
In aprile, qualora la situazione generale dovesse migliorare, vorrei fare la mia quarantunesima maratona per cercare di buttare giù il mio record personale, ma i tempi sono stretti e quindi resta tutto in divenire. Devo arrivare agli inizi di marzo con una forma ottimale, dunque le settimane venture saranno importanti affinché io mi faccia un’idea di cosa potermi aspettare e del margine su cui fare affidamento per i prossimi mesi. Certo, sono un mero dilettante, ma posso divertirmi a prendere un po’ sul serio la corsa perché quello dell’atleta è un ruolo di mio gradimento sebbene io abbia anche la duplice veste di allenatore.
Non riesco a spiegarmi da cosa dipenda, ma in me sta cominciando a maturare un insolito ottimismo verso l’avvenire e non sono certo che io ne apprezzi il retrogusto. Non mi riferisco alle fragili fogge delle speranze né a quelle altrettanto precarie e indefinite degli auspici, ma questa mia sensazione verte su prodromi particolari e concreti. Sono abituato a considerare sempre come più probabile l’ipotesi peggiore e non mi creo mai grosse aspettative, perciò mi trovo un po’ spiazzato al cospetto della crescente fiducia verso il futuro. Per precauzione non intendo dare troppo credito a tale moto interiore, inoltre non ricerco una positività che io non senta davvero mia e neanche ho bisogno di incoraggiamenti.
Non di rado gli esseri umani si fanno dominare da astrazioni del tutto slegate dai fatti e poco importa quale sia la loro polarità, difatti un entusiasmo ingiustificato può essere disastroso o fatale quanto un timore parossistico. Io cerco di passare in mezzo a quelle fluttuazioni che talora mi pervadono, anche quando comincino ad assumere sembianze verosimili in un senso o in quello opposto. La lettura della realtà è difficile e si presta a tanti errori di valutazione, ma un po’ di esperienza mi suggerisce che quasi ogni segnale forte vada ridimensionato affinché mi sia dato di ricavare un’idea più chiara della sua vera portata. È come se al momento della loro ricezione certi impulsi venissero amplificati oltremodo e il loro contenuto fosse alterato dalla forma distorta che ne fa da veicolo: l’applicazione di filtri si rende indispensabile.
L’introspezione non cessa mai di rinnovarsi e non presenta aspetti scontati per quanto banale possa sembrarne il loro esame, ma d’altro canto non esiste un protocollo perfetto e io per fortuna devo occuparmi soltanto di quello che risulti efficace per me. Insomma, lascio che passino queste ventate di ottimismo e non le sfrutto neppure per il volo dei miei aquiloni.
Soffiano venti di guerra, i mercati finanziari crollano, le democrazie si scoprono sempre più fragili e io ho inito il latte perché di solito non lo bevo. La pazienza è la virtù dei forti perché l’attesa sa essere logorante e io per mia fortuna non mi aspetto mai niente, ma al contempo sono in grado di lasciare il passo al tempo senza angustiarmi. Sono tanti i vantaggi di un’introspezione che risulti feconda e si faccia prima ancella di un isolamento prolungato. A mio parere l’epoca corrente renda merito a chiunque abbia svolto un certo lavoro su di sé, ma i frutti di quest’ultimo non deperiscono mai e le attuali circostanze si limitano a mettere in risalto quanto già rifulge di luce propria.
L’agitazione non porta mai nulla di buono, è nociva per la lucidità e non di rado si sprigiona come un immondo fetore da timori infondati. La mente non dice sempre la verità ed è proprio per metterla sotto torchio che io non identifico tutto me stesso con lei. Sono molteplici e infidi gli scherzi che le proprie astrazioni sanno tirare, ma non è così intuitivo prenderne coscienza. Non sono in grado di stabilire cosa sia meglio per altri e quindi non provo ad avventurarmi al di là della mia giurisdizione.
Spesso la natura del desiderio è subdola e vincolante, perciò diffido di quanto mi attragga e lo passo quasi sempre al vaglio del tribunale interiore, ma anche quest’ultimo non è esente da errori e dunque le certezze fanno di rado una fugace comparsa. I pericoli si annidano ovunque, ma io credo che una buona parte siano endogeni. I campanelli d’allarme sono superati in rumore dagli entusiasmi e di norma la loro eco torna a primeggiare nello spettro sonoro quando ormai nessun richiamo serva più.
Non rifuggo dalla risonanza altrui né la evito, ma neanche mi metto nella condizione di ricercarla e quando mi trovo a relazionarmici tento di non proiettarci più del necessario. Secondo me ognuno ha dentro se stesso tutto ciò di cui abbisogna, ma nessuno può spiegarlo a chi non sappia impararlo da solo: di questo avvitamento logico sono fortemente convinto. Il resto? Mancia.
La nuova normalità continua a snodarsi in abiette e deformi abitudini di sottomissione, ma d’altronde la misura non è ancora colma giacché serve molto tempo per riempire un barile di cui sia stato raschiato a lungo il fondo. Il pensiero critico è bandito da ogni consesso di rilievo e l’unica funzione che rimane al dubbio è quella di prestarsi a oggetto di scherno. Le apparenze ingannano perché talora affermano una verità che non sa vincere la loro cattiva reputazione, perciò restano vox clamantis in deserto e solo il tardivo ausilio del senno di poi può riabilitarle quando ormai sia troppo tardi.
Il nemico viene creato a tavolino, ma si trova sempre un posto a sedere per ambo le parti ed è proverbiale l’aiuto a crocifiggerlo da parte di chi salti prontamente sul carro del vincitore. Io non credo più neanche alla verità, qualunque essa sia. Per me l’essere umano è degno solo del proprio sdegno, ossia la sua tendenza a riflettere la propria inadeguatezza rispetto alle utopie di cui teorizza nei più consolatori dei deliri. Non vedo cosa aggiungere che non valga poi la pena di rimuovere. Non ho vocazioni eroiche né slanci idealistici, bensì mi limito a constatare una natura morta, olio su tela o petrolio su terra. Forse andrebbero aboliti gli scambi di ossigeno e anidride carbonica così da abbassare le emissioni inquinanti nonché le figure inquietanti. Mi attardo su questo pianeta per l’istinto di conservazione e per il cattivo gusto di vedere un brutto finale.
Il salvatore di turno mangia l’uovo di Colombo a pranzo e cena mentre le sue controfigure ne fanno le veci al cospetto di una claque che viene pagata a cottimo. Ognuno mantiene le proprie convinzioni come se fossero ex mogli alle quali pagare gli alimenti e va bene così benché così invero non vada affatto bene.
I tempi si fanno sempre più incerti, ma io trovo rifugio dentro di me e cerco di concentrarmi sugli aspetti dell’esistenza che rispondono subito alle mie azioni deliberate. Non posso evitare il confronto con quelle condizioni su cui non ho potere decisionale né modo d’incidere, tuttavia mi è permesso eluderle il più possibile e posso reagirvi nella maniera che io reputi migliore. È poco, ma non è nulla e soprattutto può diventare molto. Non è colpa mia se le scelte importanti sono delegate a degli idioti impreparati che rasentano la perfezione nella palese inettitudine di cui sono gelosi custodi, ma posso sfruttare una simile circostanza come banco di prova da cui trarre spunto e dimostrazione per essere all’altezza di altre situazioni: nulla va perso.
Sono il mio alleato migliore, di certo l’unico, ma d’altro canto non può che essere così. Quando una parte di me si allontana dal mio centro un’altra corre in suo soccorso e la richiama a quell’ordine di cui riconosco l’importanza. Non mi cerco fuori né m’illudo che le mie componenti formino sempre una salda unità. Sono l’opera incompiuta di un divenire privo di scopo, ma tutto ciò non significa che debba tenere il broncio davanti alla mia finitudine. È sempre la questione introspettiva che non smette di appassionare né di appassionarsi, nient’altro.
Penso che la decostruzione sia il modo migliore per edificare rovine sostenibili e quindi me ne avvalgo per quanto è nelle mie capacità. La continua scoperta di me stesso è il leit motiv che si manifesta salvifico quando altre sublimazioni siano costrette a una battuta d’arresto definitiva o passeggera, calcolata o improvvisa: in ogni caso si tratta di un processo perpetuo e secondo me questo suo tratto più di altri ne svela l’importanza. Non ho appigli dialogici né voci risonanti a cui dare credito. Non ho tele organiche su cui proiettarmi o dalle quali ricevere proiezioni, o almeno non a un livello che faccia qualche differenza su un piano qualsiasi. Non subordino la ricerca alla consolazione perché anche se volessi tentare questo espediente non saprei trarne il mendace vantaggio: la lucidità è già sopra il livello di guardia.
Non ho propositi da seminare sulle nuove pagine del calendario gregoriano. Per me un anno vale l’altro, ma comprendo l’esigenza pratica della loro enumerazione. Il giovane e mite inverno delle ultime settimane non mi fa né caldo né freddo, perciò la mia noncuranza è anche climatica giacché le condizioni me lo permettono. La mia esistenza segue una rotta precisa e non avverto il bisogno d’imporle brusche virate, ma non posso escludere che eventi futuri e privi di avvisaglie mi obblighino a compiere manovre decise. Vivo per me stesso, tuttavia non ricorro al bieco egoismo di cui il mondo subisce ogni giorno gli infortuni e quindi la mia è una condotta innocua. Sono autoreferenziale per comodità. Non vado alla ricerca di emozioni forti e non mi stupiscono i trucchi della specie, però ho una vita interiore molto intensa ed è proprio nei miei recessi che trovo quasi tutto o me lo faccio ordinare.
Non ho nulla da condividere perché non m’impegno a fare né a ottenere qualcosa che si presti a tale comunanza. La mia indole non è oppositiva rispetto ai miei simili, tutt’altro, ma con me stesso ho sempre la certezza di eludere la noia mentre in compagnia non posso dichiararmi altrettanto sicuro. Non smetterò mai di ribadire quanto gli entusiasmi altrui spesso non mi appartengano né m’interessi appropriarmene, ma al contempo intuisco come taluni siano incapaci di concepire ogni realtà diversa da quella in cui sono irretiti con le apparenze del libero arbitrio. Ognuno s’illude come crede: qualcuno si arrampica sugli specchi o raschia il fondo, altri invece cercano di affrancarsi il più possibile dagli inganni della mente: i secondi (secondo me) compiono un’opera meritoria già con il solo tentativo di porla in essere, ergo a prescindere dall’esito poiché quello sforzo ne definisce il grado di autenticità.
Rischiano di risultare pericolanti quei ponti che vengano eretti in tutta fretta con il solo scopo di trovare un’alternativa all’isolamento, ma d’altro canto soltanto chi non sappia godere di sé è destinato a giocare con le costruzioni fino a quando non ne abbia abbastanza o non si stufi della propria inettitudine.
Abbattimenti per improvvidi umanoidi
Pubblicato domenica 26 Dicembre 2021 alle 17:40 da FrancescoAll’orizzonte non si profilano porti d’attracco, bensì vi colgo mirabili occasioni di naufragio. Secondo me l’ottimismo si presta bene al dileggio e per questa ragione non lo reputo del tutto inutile. Talora ho anch’io i miei slanci di fiducia verso eventi in divenire e bagatelle simili, però non riesco mai a capire se debba esserne fiero o se almeno possa compiacermene. Non vedo ragioni valide per condannare i sorrisi forzati, difatti essi per definizione già scontano la propria pena e se così non fosse sarebbero sotto la tutela di un altro aggettivo. Quando il futuro non si annunci roseo a me non viene di fingermi daltonico, quando invece quest’ultimo abbia davvero tinte propizie di certo non vado a incupirle con pennellate di grigi. Si tratta di cose banali, come tutte d’altro canto.
Spero che il nuovo telescopio spaziale fornisca presto ragguagli su come è cominciata questa replica cosmica nel palinsesto degli universi. Per me le vere restrizioni sono quelle che non consentono alla mia specie di recarsi fuori del sistema solare con lo stesse risorse richieste da una gita fuori porta. A volte l’aiuto giusto assume la forma irreversibile di un suicidio assistito o quella altresì definitiva di un aborto coi fiocchi. C’è una lunga lista d’attesa per entrare al camposanto, però di tanto in tanto una morte precoce corrisponde a uno scatto d’anzianità o a quello verso il primo baratro in linea d’aria. Mi chiedo come mai non esista un concorso per vincere un funerale di Stato da usare all’uopo. Quando vado in un cimitero non capisco mai chi sia il più ricco degli assenti e all’entrata non trovo mai la classifica, ma può darsi che qualcuno la rubi per appropriarsi di quel primato in futuro.
Sotto l’albero di Natale si possono porgere verità infiocchettate che valgano per tutto l’anno e anche oltre, ossia regali ecologici ed economici il cui unico costo risulta a carico della coscienza. Si accendono e si spengono le lucine sulle strade violente dove la legge nulla può giacché spesso i suoi servitori nulla vogliono. Forse qualcuno scrive biglietti di auguri con gli stessi ritagli di giornale che di solito impiega per le lettere minatorie.
I sogni son desideri, ma anche le cospirazioni rientrano nella stessa categoria. Qualora basti il pensiero immagino che un dono possa considerarsi anche quello di una promessa da montare e smontare all’uopo in barba (bianca) alla coerenza. I buoni propositi risultano molto utili perché di ciò sono lastricate le vie dell’inferno che hanno un costante bisogno di manutenzione, ma almeno quelle sono più sicure di certi ponti e viadotti sui quali taluni hanno perso la vita per colpa di terzi e di lucrosi secondi fini.
Avverto l’atmosfera delle festività benché molto attenuata per ovvie e pervicaci ragioni che invero non mi turbano. Anche quest’anno non mi sono arruolato nel consumismo sfrenato né ho dovuto tenere a bada l’acquisto compulsivo, però ho riservato qualche piccola attenzione per me stesso e non mi sono spinto oltre. Più passano gli anni e più mi risulta difficile gratificarmi con modesti beni materiali ancorché siano veicoli di cultura e apprendimento: allo stesso modo trovo sempre più facile concedermi riflessioni liete e distaccate. Credo che in fondo non me ne fotta un cazzo di niente, ma questa è soltanto una mia vaga impressione.
Per Capodanno non ho progetti, tuttavia non ne serbo neanche per l’avvenire e quindi non proietto nulla in avanti così come non mi trascino dietro un passato ingombrante. Viaggio leggero, io, però conto di liberarmi in misura ulteriore e per uno sgombero definitivo mi affido alla mia futura estinzione. Tempo al tempo: intanto mi diletto in questa gabbia terracquea e, per areare il locale, mando a fare in culo chi lo merita.
Talora le parole giuste cadono dal cielo o precipitano dalle bocche nei momenti sbagliati, perciò ogni loro beneficio viene nullificato dal pessimo tempismo. Non so quali formule pronunciare davanti agli eventuali entusiasmi di una nuova conoscenza e suppongo che questa mia incapacità derivi da una crescente noncuranza verso ogni possibile reciprocità, ma preferisco attribuirla a un amor proprio fattosi ipertrofico per ragioni di sussistenza interiore.
In trentasette anni non ho mai esperito relazioni sentimentali né carnali, però ho avuto delle sporadiche infatuazioni platoniche con pochissime temerarie che si sono concluse sempre con un distacco vicendevole e definitivo. A me piace pensare che qualche rara volta le persone si allontanino così tanto solo per ritrovarsi all’altro capo del mondo, ma io non mi ci vedo in un rendez-vous di questo tipo. Forse l’età fa scemare certi bisogni, specialmente se essi siano rimasti inespressi e inappagati proprio quando potevano affermarsi all’acme della loro intensità. Non riesco davvero a rendermi conto se in me alberghi ancora qualche necessità affettiva e, qualora davvero ve ne si annidino, quale sia la loro entità. Non sono neanche in grado d’immaginarmi al di fuori di quel numero che precede tutti i numeri primi benché esso stesso non lo sia e mi doni alla grande: è l’abito buono per… tutta l’esistenza.
Dagli albori a oggi la mia individualità ha compiuto passi da gigante, ma forse questi non sono così ampi da consentirmi di farne qualcuno indietro. Mi sento quasi in debito con la specie per il mio (in)giustificato assenteismo.
Non ho un’indole autodistruttiva e la mia funzione di adattamento negli ultimi tre lustri ha dato il meglio di sé, ma il rovescio della medaglia si trova nella lontananza e nel disinteresse da ogni altro universo che proprio qui dibatto tra me e me stesso: mi avvince più la questione in quanto tale che il suo oggetto di domanda. Può darsi che ulteriori introspezioni di cui l’avvenire è puntuale latore finiscano per darmi ulteriori spunti, ma al momento non ne scorgo e quindi non ho altro da aggiungere né qualcosa da rimuovere.
Così è se mi pare.
Nuovo record personale sulla mezza maratona
Pubblicato mercoledì 8 Dicembre 2021 alle 16:53 da FrancescoIn una mattina tutt’altro che immacolata ho chiuso un piccolo tour de force di cinque gare che ho iniziato venticinque giorni fa, ossia due maratone, un trail, una dieci e, quest’oggi, una mezza in cui ho finalmente siglato il mio nuovo record personale. I 21097 metri sono una distanza per la quale non ho mai avuto grande attenzione né cura, alla stregua di quanto certe istituzioni hanno fatto con le vittime da uranio impoverito, quindi si trattava di una prestazione “facile” da migliorare.
Il tempo finale è stato di 1 ora, 16 minuti e 34 secondi (real time) in quel di San Miniato, quindi a un’andatura media di 3’38″/km (13° posto).Invero speravo di girare sull’ora e quindici, ma quattro giorni or sono ho corso anche una dieci chilometri a Canino piuttosto dura a causa del dislivello e l’ho chiusa in 35 minuti e 43 secondi perdendo una bellissima volata finale (8° posto): la foto, ch’io trovo michelangiolesca, fa riferimento proprio alla gara in Tuscia.
Sono contento di me come allenatore di me stesso e anche se cerco di strafare non me ne fotte nulla perché alla fine mi diverto sempre.