17
Apr

Né uova né sorprese

Pubblicato domenica 17 Aprile 2022 alle 01:35 da Francesco

Non mi affliggono le molteplici incertezze che pervadono i parti imminenti del presente e non chiedo ai giorni lontani di adottare delle speranze a distanza. Mi sento bene, sono sereno e condivido tutto questo con me stesso in ragione di un’abitudinarietà che considero una forza pristina. Il resto mi riguarda in misura marginale e cerco di non curarmene oltre quanto mi sia richiesto da certe incombenze.
Sto continuando ad alimentare le mie passioni come se fossero delle figlie predilette e riesco a crescerle da solo perché le mie sono attività individuali. Non cerco approdi né traccio rotte verso mete altrui. Vorrei completare alcune cose a un ritmo più spedito nonostante siano tutte a mio uso e consumo. Conto di reificare alcune idee e sul piano sportivo confido nella mia forma crescente, difatti gli allenamenti mi stanno dando delle belle soddisfazioni che intendo tradurre in qualche tempo certificato. Sono molto concentrato su di me perché sto molto bene in mia compagnia e di certo non me ne faccio una colpa. In queste prime ore di Pasqua non ho ancora sonno e quindi mi diletto a scrivere due righe per navigare a vista nella notte corrente.
Un tempo in occasione di questa festività solevo mangiare dell’agnello fritto e lo trovavo molto buono, ma oggi l’idea di quel cibo violento mi disgusta. Non rompo il cazzo al prossimo e non dico a nessuno cosa deve fare, ma io mi pento per tutta la carne che ho masticato. Non mangio più animali morti (né vivi) da diversi anni, ma sono riuscito a smettere solo a seguito di vari tentativi, precisamente dopo che vidi un macellaio intento a prepararmi della carne di coniglio; avevo già assistito a scene ben peggiori e malgrado ciò quel giorno, al cospetto di quei colpi ripetuti e insistenti, provai una compassione che fino ad allora non avevo mai provato neppure in una camera mortuaria.
Quand’ero piccolo mia nonna e mia madre mi somministravano un’alimentazione onnivora in buona fede, ma se tornassi indietro mi leverei dal piatto ogni singolo boccone di carne e pesce.
Io seguo le mie convinzioni, la Pasqua non mi appartiene e non sindaco le scelte altrui, perciò ognuno divori ciò che vuole, compresi i propri figli a mo’ del Saturno di Goya.

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7
Apr

Saldato un debito se ne fa un altro

Pubblicato giovedì 7 Aprile 2022 alle 16:58 da Francesco

Qualche giorno fa ho appreso che la Grecia ha saldato ogni debito con il Fondo Monetario Internazionale, per gli amici FMI, perciò la notizia mi ha riempito il cuore di eurobond.   
Della crisi greca ricordo in particolare la storia di un ex farmacista di settantasette anni, Dimitris Christoulas, che all’inizio del periodo fosco si recò in piazza Syntagma ad Atene e si sparò in testa. Così egli lasciò scritto: "Non vedo altra soluzione che questa fine dignitosa della mia vita, così da non trovarmi a cercare cibo nei bidoni della spazzatura".
Poi arrivò Syriza con a capo il prode Tsipras, ma alla fine il capitale ebbe la meglio con buona pace di Marx ed Engels. Eh, che ci vuoi fare, è la legge del mercato bellezza!
Gli appassionati dell’horror possono trovare un’applicazione letterale delle cosiddette manovre "lacrime e sangue" nella Grecia di quegli anni. Poi vi fu la rapida ascesa di Alba Dorata perché giustamente per i problemi complessi si cercano soluzioni semplici, quindi come sempre accade il tracollo economico fu accompagnato da fortissime tensioni sociali di cui il gruppo d’estrema destra si fece interprete.
Ricapitolando: i politici greci mentirono sui conti pubblici del paese, i politici europei imposero misure draconiane ai cittadini greci, altri politici greci promisero al popolo di opporsi alle misure europee, ma alla fine queste vennero applicate senza umanità con tanto di referendum inascoltato, ovviamente. Il sillogismo viene da sé, così come la naturale conclusione che votare non serve a una sega.

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28
Mar

A taxi driver (Taeksi unjeonsa)

Pubblicato lunedì 28 Marzo 2022 alle 01:27 da Francesco

Non conoscevo la storia delle proteste sudcoreane che nel 1980 portarono al massacro di Gwangju,  un brutale episodio su cui è basata l’interessante pellicola di Jang Hoon.
Il protagonista è un tassista di Seoul, vedovo, squattrinato e con una figlia da crescere, quindi pronto a non farsi scappare la possibilità di un facile guadagno che gli si profila nel momento in cui viene a sapere quanto è disposto a pagare un giornalista tedesco per recarsi a Gwangju, teatro di forti manifestazioni studentesche di cui lui sembra pressoché ignaro, immerso com’è nelle sue preoccupazioni quotidiane.
In base a quanto ho letto pare che Jang Hoon si sia preso qualche licenza all’inizio del racconto rispetto a come i due personaggi principali si siano effettivamente conosciuti, ossia il tassista Kim Man-seob e Jurgen Hinzpeter, inviato dell’emittente tedesca ARD.
Secondo me il grande pregio del film è racchiuso nello sviluppo interiore del protagonista e nel ritmo credibile con cui viene seguito, difatti Kim una volta entrato a contatto con gli eventi inizia a sentirsi combattuto tra quanto desidera e ciò che invece egli ritiene giusto fare, così finisce per mettere in discussione se stesso e alla fine, aggiungo io, per conoscersi.
Secondo me alcune scene rischiano di offrire il fianco a una certa retorica, ma forse il parziale ricorso a quest’ultima è un po’ inevitabile quando vengano trattate certe vicende e ammesso anche che sia davvero così queste comunque non inficiano il valore dell’opera.
Un altro punto di forza del racconto risiede nell’abile sfruttamento del gap linguistico, difatti Kim parla poco inglese e Jurgen non conosce neanche una parola di coreano, ma questo ostacolo viene ribaltato in un vantaggio narrativo: tale espediente permette di allargare la comunicazione oltre i confini del solo linguaggio verbale con un risultato a mio parere tanto efficace quanto verosimile. Anche la cadenza dei momenti concitati in alternanza con le scene più distese e riflessive gode secondo me di un equilibrio perfetto. Insomma, A taxi driver mi è piaciuto moltissimo e mi ha portato a conoscenza di un fatto storico di cui non sapevo nulla benché io in Corea del Sud ci sia pure stato circa quindici anni fa.

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18
Mar

Le solite mattanze

Pubblicato venerdì 18 Marzo 2022 alle 23:36 da Francesco

Da qualche parte nel mondo cadono ordigni e le pallottole viaggiano ad altezza d’uomo, altrove invece quegli stessi eventi gettano ombre che preannunciano scenari similmente distruttivi: in entrambi i casi v’è un crollo verticale e un effetto domino di cui le altrui esternazioni dànno conto in maniera più o meno diretta con o senza il concorso di una volontà cosciente.
La minaccia pende come una spada di Damocle e l’angoscia che attanaglia taluni s’ingenera dalla natura indecifrabile del pericolo, ossia dall’impossibilità di tracciarne una forma la cui attendibilità abbia i crismi dell’immediatezza: tutto è vago e opaco nei nembi prospicienti il golfo delle certezze, come se i primi fossero sul punto di fagocitare ogni caposaldo. 
Cosa si oppone a come si oppongono gli uni contro gli altri che a loro volta vedono terzi opporsi al loro opporsi? Non ne ho idea, ma dubito che in questo caso si possa fare affidamento su entità trine ed è evidente di per sé come in tali circostanze il terzo non goda, anche perché tertium non datur o almeno così sembra. Quello che è giusto differisce da quanto è opportuno o forse fa comodo pensarla così per alleggerire la coscienza e mantenere le luci accese senza rinunciare all’una né alle altre, quando invece taluni sono chiamati ad abdicare alla vita per le proprie idee e per i propri simili. Tutto o niente accanto a tutto e niente, ma così passa la gloria del mondo. Vi sono questioni più grandi di me sulle quali io posso confezionare solamente pensieri parzialmente riciclati, come in una sorta di economia circolare delle opinioni. Non si butta via niente tranne la vita. Adombrarsi serve a poco, ma può darsi che aiuti a compensare il pallore sebbene etica ed estetica siano intrecciate in un tutt’uno: un palazzo divelto e ancor di più un cadavere sfigurato dicono molto in questo senso con i rispettivi silenzi.

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11
Mar

Di ovvie ipocrisie ed evenienze belliche

Pubblicato venerdì 11 Marzo 2022 alle 21:48 da Francesco

L’auspicio della cosiddetta pace incontra il mio favore, ma ritengo quest’ultima come in perenne subordine all’interesse personale di chi la sostenga. Su un certo piano non v’è distinzione tra chi spera nella fine di un conflitto per salvaguardare le proprie abitudini, i propri averi, le proprie certezze e chi, invece, condivide la stessa aspettativa per avvicinare il mondo alla sua visione dello stesso: in altre parole a me sembra che certe esternazioni procedano quasi sempre da meccanismi di identificazione e appagamento sebbene questi siano celati a livello conscio dalla pavidità in un caso e dall’ideologia nell’altro.
La parvente empatia verso i popoli in lotta è proporzionale all’insistenza con la quale le notizie vengono diramate e alla portata con cui le disgrazie altrui gettano un’ombra minacciosa sul proprio ordine delle cose, infatti poco sconcerto, apprensione e interesse destano i conflitti che si svolgono a certe latitudini, quasi come se i primi definissero le seconde e fossero endemici a certi inferni terrestri. Non scrivo codeste cose per indicare con stucchevole retorica l’ipocrisia imperante, bensì come mio costume mi limito a sottolineare l’ovvio affinché resti tale nella mia mente e non assuma le illusorie sembianze di cui sopra.
La solidarietà ha una matrice adattiva ed è l’arma in più di chi non ne voglia altre, ma nell’essere umano albergano millenni di sopraffazione e la mutua distruzione è una tendenza di cui forse la specie non si libererà mai. Può darsi che in capo ad alcune settimane o nell’arco di qualche mese la guerra si espanda dalle ex repubbliche sovietiche fino al cuore dell’Europa: chi lo sa? A me non piace l’odore della morte e non amo le città coventrizzate, ma prima di tutto ho in orrore queste cose perché me ne sento minacciato e solo in un secondo (per quanto immediato) tempo per un senso di viva partecipazione alle sciagure dei miei simili: talora l’onestà è brutale. Non so come mi comporterei se mi ritrovassi a imbracciare un fucile per proteggermi, tuttavia ho paura di quello che potrei diventare per combattere e di quello con cui poi dovrei convivere se riuscissi a non farmi ammazzare.

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4
Mar

Voler vivere e voler morire

Pubblicato venerdì 4 Marzo 2022 alle 01:39 da Francesco

In questi tempi di facile sconforto ravviso un’idea predominante, la quale invero fa sempre da sfondo alle vicissitudini umane e ne costituisce l’orizzonte ultimo, perlomeno sotto la ristretta prospettiva biologica, ossia quello della morte.
In Ucraina esistenze innocenti vengono spezzate anzitempo dal braccio armato della politica estera e dalla tendenza alla sopraffazione che alberga negli uomini da sempre, benché in debite proporzioni e con rapportate capacità di nuocere: laggiù le persone non riescono a vivere; altrove, come in Italia, individui parimenti innocenti ma già consunti da malattie terminali o da condizioni simili, si vedono invece privati del diritto a una fine dignitosa.
Da una parte la vita non riesce ad affermarsi, perché la sua negazione più atroce per modi ed entità, ossia la belligeranza, si scatena e agisce anche contro coloro da cui è servita con riverenza; in astratta e speculare opposizione a questa inveterata circostanza, giacché la storia umana dimostra come i popoli abbiano eletto ad abitudine il reciproco annientamento, vi è l’impossibilità di morire per propria scelta, autodeterminandosi, per eludere sofferenze inutili.  
I due piani si possono sovrapporre solo idealmente, tuttavia risuona in me questo paradosso: chi vuole abbracciare la vita non può farlo in quanto vi viene strappato con forza, chi invece la vita la vuole salutare in un ultimo rito di somma libertà e catartico distacco, è costretto a protrarre il proprio dolore in ragione di questioni puramente formali, politiche, ideologiche, per le quali non vi è morfina che tenga. In buona sostanza ma in cattiva sorte, al di là di quali siano le dinamiche specifiche di queste due situazioni, ossia la guerra e l’opposizione all’eutanasia, la morte ne è il tema comune, il fil rouge che Atropo, la più anziana delle Parche, recide troppo presto o troppo tardi. Si muore, soleva affermare Heidegger per riferirsi al concetto di si impersonale, ma la fine altrui in realtà invita sempre a riflettere sulla propria.

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1
Mar

Un affare di famiglia

Pubblicato martedì 1 Marzo 2022 alle 22:31 da Francesco

Non mi considero un cinefilo, ma ogni tanto mi trovo a compulsare la settima arte per ricavarne degli spunti con cui arricchire il mio immaginario. Sulla scorta di ciò un po’ di tempo fa sono approdato a delle recenti produzioni nipponiche e quella che più mi ha colpito è stata la pellicola di Hirokazu Koreeda risalente al 2018.
Il film descrive un Giappone lontano dalla sua immagine idilliaca e vicino a quello di una famiglia che si barcamena tra espedienti, piccoli furti e segreti, ma nella quale trovano spazio anche sentimenti di affetto e una profonda umanità. A mio avviso l’opera ha un taglio sociale e si nutre delle contraddizioni di cui si rende latrice. Ogni personaggio ha un profilo preciso e contribuisce  all’economia di una narrazione scorrevole, mai banale, tuttavia per me il ruolo più riuscito è quello dell’anziana Hatsue, interpretata da Kirin Kiki: immensa attrice nipponica deceduta pochi mesi dopo l’arrivo del film nelle sale e di cui ho adorato anche un’altra pellicola della quale scriverò in futuro.
Mi è piaciuta molto la fotografia, in particolar modo negli ambienti chiusi, così come ho ravvisato un’opera di rara sensibilità in certe inquadrature che fanno parlare piccoli gesti o minime alterazioni dei muscoli facciali. Non sono un esperto di recitazione, perciò valuto in maniera del tutto soggettiva le prove attoriali in base al grado di convinzione che suscitano in me e in questo caso il livello è risultato massimo. In buona sostanza si tratta di un racconto agrodolce, fatto di cinismo, pentimenti e tragiche redenzioni che a tratti mi è sembrato un saggio sulla natura umana. Non ho percepito l’opera come un semplice atto di denuncia né come un tentativo di subordinare la sociologia a un esercizio di stile, bensì ho apprezzato la crudezza del suo verismo per mezzo di un perfetto connubio in cui forma e sostanza finiscono per equivalersi.

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24
Feb

Ucraina: della forma e della sostanza

Pubblicato giovedì 24 Febbraio 2022 alle 21:51 da Francesco

L’inettitudine occidentale, il fallimento della diplomazia e la risibile prospettiva di sanzioni non hanno avuto effetto sulle grandi manovre della Russia, tuttavia credo che le responsabilità del conflitto in corso non siano ascrivibili soltanto a Mosca. Per quanto m’è dato di capire il casus belli è nato… a causa della NATO. Forse devo sostenere il contrario perché vivo in Italia ed è persino nei miei interessi farlo, ma l’onestà intellettuale m’impone di spingere ai limiti le mie capacità di comprensione: per fortuna quanto penso non conta un cazzo.
La Russia esigeva da tempo l’arresto dell’espansione NATO verso Oriente e pare che in tal senso avesse anche ricevuto degli impegni all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, ma poi l’Ucraina nella figura dei suoi alti papaveri ha cominciato ad alimentare ambizioni europeiste e a ventilare la possibilità di aderire all’atlantismo. Alla luce di queste circostanze e dei molteplici avvertimenti lanciati da russi, posso sostenere che l’Occidente a trazione statunitense e il governo ucraino siano del tutto esenti da colpe? Non me la sento, ma può darsi che io sbagli e nel mio ragionamento vi siano delle falle di cui non riesco ad avvedermi.
Ammesso che da un punto di vista formale l’azione russa (o, da cotale prospettiva, la reazione russa) possa avere un fondamento per quanto pretestuoso, basta quest’ultimo a giustificare morte e distruzione? Secondo me no e anche una sola vittima è una catastrofe immane, ma la realtà è più articolata delle descrizioni di cui può essere oggetto giacché al piano umano si sovrappone quello politico e l’irreversibile tragedia dei morti ammazzati finisce per diventare una fredda statistica. A complicare ulteriormente le cose vi è la volontà filorussa di una parte della popolazione ucraina e quindi dividere nettamente il bene dal male diviene opera improba.
Mi chiedo quante vite valga la vocazione europeista di una ex repubblica sovietica e quanto interessi l’entrata del paese nella NATO a qualsiasi babooshka che la mattina si reca a comprare il pane. Quando la cosiddetta democrazia manchi di pragmatismo e si riduca a mera ideologia, riducendosi così a demopazzia, allora finisce per diventare l’oppio dei governanti.
La mia nazione immaginaria uscirebbe dalla NATO qualora ne facesse parte, chiederebbe il cessate il fuoco alla Russia e riconoscerebbe l’errore dell’espansione a est delle forze atlantiche: fantasticare non costa nulla, fare politica estera in un certo modo invece può portare a pagare il più alto dei prezzi.

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17
Feb

I meccanismi di difesa di Robert B. White e Robert M. Gilliland

Pubblicato giovedì 17 Febbraio 2022 alle 22:45 da Francesco

Ho colto la lettura de “I meccanismi di difesa”, scritto a quattro mani da White e Gilliland, come un’occasione per passare in rassegna e approfondire dei concetti di cui ero già edotto, non ultimo quello di “permanenza oggettuale”, ovvero la capacità della quale i bambini sono sprovvisti fino ai diciotto mesi e la cui mancanza induce essi ad attribuire un’esistenza solo a quanto rientri nel loro campo visivo. Un altro punto capitale in apertura del testo riguarda la distinzione tra paura e angoscia con le loro differenti implicazioni, laddove la prima riguardi un pericolo concreto mentre la seconda abbia ragioni indefinite e una natura endogena.
Dopo queste e altre premesse nelle pagine si susseguono disamine ed esempi per tredici meccanismi di difesa di cui la rimozione figura come quello principale, difatti opera per escludere dalla coscienza un impulso insopportabile e il suo relativo ricordo, ma il materiale escluso (e anche questa nozione compone la parte introduttiva del libro) non ne decreta né ne riduce la portata, bensì lo tiene sotto custodia come se fosse un carcerato; a corredo di ciò aggiungo una celebre citazione di Freud che secondo me in una certa misura rimarca il concetto: “Le emozioni inespresse non moriranno mai. Sono sepolte vive e usciranno più avanti in un modo peggiore”.
Oltre alla rimozione le forme di difesa sono la conversione, l’inibizione, lo spostamento, il diniego, la razionalizzazione, la formazione reattiva, l’annullamento, l’isolamento dell’affetto, la regressione, la proiezione, il rivolgimento contro il Sé e la dissociazione: di queste tredici ve ne sono due (razionalizzazione e diniego) che fanno parte anche delle cosiddette cinque fasi del lutto, ma si tratta di una mia libera associazione più o meno corretta di cui il testo non fa menzione. Non è un volume corposo, consta di appena duecento pagine, ma tanto denso quanto utile per chi sia digiuno di tali nozioni e voglia meglio comprendere sé e gli umanoidi.

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11
Feb

All’ombra degli assetti piramidali

Pubblicato venerdì 11 Febbraio 2022 alle 23:19 da Francesco

Vorrei risiedere in un’alta ed eburnea torre dalla quale tutto guardare e nulla temere, ma mio malgrado per plurimi versi sono legato a doppio filo al destino di altri umanoidi. Per me la vera e unica indipendenza si traduce in un’autarchia totale e non è la semplice affermazione in un qualsivoglia sistema rispetto a cui il soggetto resta comunque in subordine.
Non sono neanche libero di eludere le radiazioni più o meno ionizzanti che mi attraversano né mi è dato di trovare un’alternativa al ciclo di Krebs, perciò i vincoli, certi evidenti e altri surrettizi, sono innumerevoli e ineludibili. Non posso farci nulla se qualcuno decide di coinvolgermi in una guerra mondiale o se alti papaveri invece della manna fanno cadere dal cielo obblighi e divieti che difettano di pragmatismo. La gerarchia di per sé come concetto non mi disturba né mi repelle, ma sono i criteri con cui sovente è posta in essere e gestita che me ne fanno disprezzare l’applicazione. Con sommo fatalismo accetto che nei ruoli apicali si trovino anche figure mediocri e inadeguate alla gestione di qualunque potere, foss’anche solo quello di tirare lo sciacquone. Forse a volte il problema non verte attorno all’assenza di alternative, bensì al loro grande numero e così in alcuni casi, per puro paradosso, una scelta obbligata può rivelarsi quella più libera. Non ho una parte attiva nelle grandi questioni del presente e quindi sono l’ennesimo spettatore pagante, difatti il dazio delle decisioni altrui ricade anche su di me, ma non ho scelto io di assistere all’ennesima replica della follia umana. Sedersi comodi e crepare.
Tenendo conto di tali premesse mi sembra lecita ogni astensione da sforzi maggiori del dovuto e da ogni slancio che superi troppo un minimo sindacale. Fare il sufficiente è abbastanza e non si tratta solo di un pleonasmo, ma di un vero e proprio manifesto. L’ambizione è una cretina che pensa di saperla lunga, tuttavia ha le gambe corte come le menzogne sulle quali si fonda. Esistere è una tentazione trascurabile.

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