Sono tornato a casa alle sette di ieri sera dopo diciannove ore lungo le linee ferroviarie francesi e italiane. Non ho potuto prendere un volo aereo dato che non avevo neanche un documento con me. Il viaggio in treno è stato lungo e piacevole. Sono partito da Toulouse dopo mezzanotte e sono giunto a Nice otto ore dopo. Sono restato meno di sessanta minuti in Costa Azzurra e attorno alle nove di mattina sono arrivato a Ventimiglia dove ho acquistato tre biglietti per coprire gli ultimi tratti del mio ritorno a casa, ma prima di rientrare nel mio comune ho effettuato due fermate. Sono rimasto più di un’ora alla stazione di Genova Piazza Principe e per ingannare il tempo ho comprato un libro leggero: “Leviatano” di Thomas Hobbes. La lettura mi ha consentito di passare piacevolmente le ore d’attesa, ma ho dovuto interromperla quando sono salito sull’Intercity che mi ha portato fino alla stazione di Pisa Centrale. Mi sono ritrovato in uno scompartimento con tre ragazze che erano in procinto di rincasare dopo un viaggio in Provence durante il quale avevano partecipato a un incontro sul buddismo. Per buona parte del tragitto le tre ricercatrici del Nirvana si sono lanciate in disquisizioni continue sulla società e due di loro hanno discusso animatamente. Ho ripreso la lettura di Hobbes quando sono sceso a Pisa Centrale e l’ho continuata fino al mio arrivo a Orbetello. Ho raccolto un po’ di materiale nel corso della mia settimana francese, ma non ho ancora trasferito il contenuto della mia MIniDV sul PC e devo fare una cernita delle foto che ho scattato.
In questo momento mi trovo in un Internet point vicino alla stazione principale di Toulouse, ovvero gare de Toulouse-Matabiau. Il locale è gestito e frequentato da maghrebini, ma se fossi un fautore del terrorismo islamico userei questo luogo come una base d’appoggio per organizzare qualche attentato. Finora ho visitato una parte della costa e dell’entroterra del meridione francese, ma non ho riscontrato differenze eccessive tra i paesaggi della Maremma e gli scenari nei quali mi sono imbattuto durante gli ultimi giorni. Lungo l’itinerario mi sono fermato a Menton, Gordes, Avignon, Arles, Saint Marie de La Mere, Aigues Mortes e altre località di cui non ricorderò mai il nome. Ho fatto anche un salto in Spagna e per la terza volta nella mia vita ho messo piede a Cadaqués, il paese natale di Salvador Dalì. Non viaggio mai in compagnia, ma ho deciso di fare un’eccezione per accontentare mia madre e di conseguenza ho accettato il suo invito a partire in auto con lei e un paio di sue amiche. Quest’oggi, dopo una settimana, mi sono separato dal resto del gruppo a causa di alcune divergenze insanabili e ho deciso di tornare in Italia da solo. Le amiche di mia madre fumano molto e talvolta sembra che costoro gareggino per arrivare prime alle olimpiadi del cancro, perciò non sono molto avvezze al movimento fisico e oltre all’agonismo neoplasico praticano frequentemente un’attività urinaria che comporta numerose pause tra un tiro di Camel e l’altro. Sono a Toulouse dalle tre del pomeriggio e devo aspettare ancora sei ore prima di salire sul prossimo treno per Ventimiglia, ma trovo che questa attesa sia piacevole e la pioggia che imperversa sulla città non mi infastidisce affatto. Au revoir.
Oggi ho ricevuto i biglietti per il Tuska Open Air Metal Festival che si terrà nel parco Kaisaniemi di Helsinki agli sgoccioli di giugno. Ho già prenotato il mio volo per la Finlandia e questa volta usufruirò dei servizi aerei della Lufthansa. Il Tuska Open Air Metal Festival dura tre giorni e il programma di quest’anno prevede anche la presenza dei Morbid Angel, una leggendaria band statunitense di death metal della quale posseggo la discografia originale, ma attendo con trepidazione di vedere dal vivo anche i Carcass, i Kreator, gli Entombed, i Behemoth, gli Amon Amarth e nutro una forte curiosità per le formazioni che non conosco. Alcuni gruppi che suoneranno al Tuska Open Air Metal Festival presenzieranno a un evento italiano molto simile, ovvero il Gods of Metal di Bologna, ma ho preferito partecipare al primo per vivere da solo l’atmosfera di Helsinki e delle zone limitrofe. La Finlandia per me non è totalmente sconosciuta e mi è stata descritta verbalmente in più occasioni dai ragazzi finlandesi che facevano parte della squadra europea nella quale militavo quando giocavo tramite Internet a Operation Flashpoint. Il mio soggiorno nordeuropeo durerà otto giorni e come al solito sarà un’esperienza solitaria, ma non ho ancora prenotato un alloggio e ne cercherò uno quando tornerò da un altro viaggio che sto per compiere. Oggi partirò per la Francia e resterò oltralpe per alcuni giorni. Sono stato diverse volte a Parigi, ma questa volta mi troverò in Camargue e ne approfitterò per assistere a una festa gitana.
Qualche giorno fa ho trascritto le mie impressioni sul memorabile concerto fusion di John McLaughlin al quale ho avuto la fortuna di assistere recentemente e dopodomani appunterò su queste pagine le ragioni musicali che alla fine di giugno mi porteranno in Finlanda. Stasera ho deciso di annotare una scoperta piacevole che ho fatto alcune ore fa. La scorsa notte ero alla ricerca di un nuovo album da sviscerare con le orecchie e sono incappato per caso in due gemme della scena hip hop francese che erano sfuggite alla mia attenzione. I lavori in questione appartengono a L’Algerino, un rapper francese che ha fatto uscire due dischi eccezionali negli ultimi tre anni. Il video che si trova a piè di pagina è tratto dalla traccia di apertura dell’album “Mentalité Pirate”. Mi sono espresso molte volte a favore della scena hip hop francese e attualmente la reputo superiore a quella statunitense. Non oso paragonare le produzioni transalpine con quelle italiane dato che trovo le ultime piuttosto imbarazzanti sebbene per il mio udito esistano alcune piacevoli eccezioni a questa regola soggettiva. Appena ho ascoltato “L’envie De Vaincre” ne ho apprezzato subito il beat e L’Algerino mi ha esaltato altrettanto rapidamente con il suo flow eclettico; rovo che anche il disco precedente sia di ottima fattura e anch’esso contiene delle basi che combaciano perfettamente con le atmosfere che cerco quando ho voglia di ascoltare un album hip hop. Gli anni passano inesorabilmente, ma in questo ambito musicale lo strato maghrebino della Francia mi dà sempre soddisfazioni e rinnova continuamente la sua impronta inconfondibile in un genere che spesso sembra appannaggio degli afroamericani.
Altruismo egoistico: un allenamento banale e proficuo
Pubblicato sabato 17 Maggio 2008 alle 13:53 da FrancescoUso alcuni metodi comportamentali per affinare la padronanza di me stesso e uno di questi prevede un ricorso continuo all’empatia. Cerco di evitare che le emozioni influenzino eccessivamente la mia condotta e in determinati contesti mi sforzo di agire sempre nello stesso modo per rivendicare l’indipendenza della mia volontà, ma questo procedimento non sottrae nulla al comparto emotivo e si limita a regolarlo per impedire che assurga a un ruolo diverso da quello a cui è destinato in un’esistenza equilibrata. Quanto ho appena descritto si traduce concretamente in un atteggiamento altruistico che in realtà serve la causa di un egoismo positivo. Anche nei momenti in cui sono tremendamente incazzato o smodatamente euforico tento di rapportarmi ai miei simili in modo da facilitare le loro azioni e penso che occorra citare qualche situazione in cui tutto ciò possa avvenire, ma credo che le dinamiche di queste circostanze ipotetiche non vadano descritte cosicché all’immaginazione resti il compito di portare avanti un’indagine facile e positiva con cui accrescere certi aspetti dell’introspezione: all’ingresso di un locale, davanti alle strisce pedonali, di fronte a una domanda vaga, nei pressi di una richiesta d’attenzione o lungo le sponde dei contrattempi. Confermo la mia sovranità individuale ogniqualvolta io riesca a immedesimarmi nelle esigenze del mio prossimo senza che il mio stato emotivo mi condizioni e qualsiasi inezia altrui che io faciliti con il mio comportamento diventa un’unità del mio calcolo volitivo. Trovo che sia incredibile il potenziale che si cela dietro ogni sciocchezza quotidiana e questa considerazione mi permette di notare per l’ennesima volta quante opportunità offra ogni singolo momento dell’esistenza per allenare l’individualità in modo tale che essa non si dissoci dal mondo né da chi lo popola.
John McLaughlin & The 4th Dimension a Ciampino
Pubblicato mercoledì 14 Maggio 2008 alle 14:00 da FrancescoIeri sera ho sono andato a Ciampino con la mia auto per assistere a un concerto dell’ultimo progetto di John McLaughlin. Il suddetto è un chitarrista eccezionale e ho avuto il piacere di scoprirlo molto tempo fa su un album leggendario di Miles Davis, ovvero “Bitches Brew”, ma in seguito mi sono appassionato anche al suo lavoro con la Mahavishnu Orchestra di cui ho già accennato qualcosa su queste pagine e non ho ignorato neanche la sua produzione solistica sebbene io non sia stato in grado di apprezzare completamente le sonorità di Shakti. Il live è stato impressionante e ogni comprimario di McLaughlin si è esibito in virtuosismi stupefacenti. Il resto del quartetto era composto da Gary Husband alle tastiere e alla seconda batteria, Dominique di Piazza al basso (che per questa tournée ha rimpiazzato il suo giovane amico Hadrien Feraud) e Mark Mondesir alla batteria. Purtroppo McLaughlin ha chiesto di non fare filmati né altre registrazioni e di conseguenza non ho usato la videocamera che avevo portato con me per immortalare l’intero live, ma alla fine del concerto ho scattato una fotografia che custodirò a lungo come una reliquia digitale. Prima che il gruppo salisse sul palco uno dei gestori del locale ha chiesto l’aiuto del pubblico per prevenire una reazione simile a quella di Keith Jarret: fortunatamente non ci sono stato cattive conseguenze sebbene qualcuno non abbia trattenuto la propria smania multimediale.
Tra i colleghi di McLaughlin sono rimasto molto impressionato dallo stile schizofrenico di Gary Husband: quest’ultimo passava continuamente dalle tastiere a una seconda batteria per duettare con Mark Mondesir in passaggi strabilianti. Anche se non sono un musicista né un audiofilo non ho potuto fare a meno di esaltarmi di fronte ai tecnicismi a cui ho assistito e qualcosa di analogo mi era già accaduto in occasione del concerto di Allan Holdsworth che ho visto oltre un anno fa. Il live di John McLaughlin & The 4th Dimension si è tenuto a Stazione Birra e penso che sia doveroso ringraziare i gestori di questo grande locale che si prodigano per offrire musica di qualità. Un’ultima nota di merito credo che vada elargita al pubblico. I presenti hanno omaggiato il quartetto a più riprese e io con loro, ma già prima che il live incominciasse ho respirato un’aria piacevole e mi sono sentito in un Eden jazzistico. Ho speso trentacinque euro per il biglietto, ho guidato per trecentoventi chilometri e durante il viaggio di andata temevo il sold out, ma sono tornato a casa con un evento strepitoso nella memoria che probabilmente non potrà essere cancellato neanche dall’Alzheimer. Concludo questo appunto con un video recente di John McLaughlin.
Rilettura aperiodica e fondamentale
Pubblicato domenica 11 Maggio 2008 alle 20:15 da FrancescoDi quando in quando ho bisogno di valutare il mio lavoro introspettivo per proteggerlo dalle trappole degli automatismi riflessivi. Ormai ho una buona conoscenza di me stesso. La costanza del mio equilibro dimostra che il boom del mio sviluppo interiore è passato da un po’ di tempo, ma questo rallentamento evolutivo è un bene per il prosieguo della mia esistenza e costituisce un ritmo migliore che mi solleva dai compiti incalzanti di un recupero temporale: non devo più colmare certe lacune e non mi sento più obbligato a chiarire alcune questioni trascurabili. Anche se tutti i miei scritti andassero persi il loro valore personale resterebbe ugualmente dentro di me. I caratteri che dissemino lungo i giorni acquisiscono un’utilità fugace nel momento in cui articolano sensatamente la mia autoanalisi e muoiono subito dopo l’ultimo segno di interpunzione. Le parole che appesantiscono queste pagine sono rovine semantiche e credo che uno sguardo esterno possa coglierne prevalentemente la forma. In termini agricoli i miei scritti sono semine puntuali e le loro riletture aperiodiche sono raccolte efficaci, tuttavia ciò che ottengo a distanza di mesi o anni dal termine della mia scrittura è un frammento immobile che non sottostà alla percezione soggettiva del tempo e per questo motivo ho affermato precedentemente che l’utilità di ogni manifestazione della mia profusione testuale nasce e muore tra il debutto istantaneo della sua prima lettera e l’apposizione altrettanto fulminea dell’ultimo punto. La mia ventiquattresima primavera s’avvicina, ma la sua venuta non è anticipata dal germoglio dei dubbi né dalla fioritura dei timori. Sono pronto ad accogliere la mia nuova età con tutti gli onori che merita. Il mio stato d’animo è ancorato al largo e qualche volta mi trattengo davanti a uno specchio per ammirare la sua stabilità, ma è destinato ad andare in frantumi per rinnovarsi con le migliorie dell’esperienza. Conosco il processo della mia crescita interiore e di conseguenza non temo gli sbalzi d’umore né gli avvicendamenti della sorte.
Quest’oggi ho deciso di abbandonare il tono ampolloso dei miei ultimi appunti per affrontare una questione particolare. Sotto la mia stanza si trova un bar e il soffitto di quest’ultimo combacia perfettamente con il mio pavimento. I nuovi gestori dell’esercizio hanno piazzato degli altoparlanti vicino al soffitto del locale e non hanno insonorizzato adeguatamente il loro ambiente, perciò la mia camera viene invasa con regolarità dalla musica sottostante. Questa situazione ha delle ripercussioni sul mio riposo e di conseguenza accelera il moto dei miei coglioni. Ho provato a parlare con i responsabili di questa condizione incresciosa, ma i miei tentativi diplomatici mi hanno quasi portato ad alzare le mani sui due gentiluomini che si occupano del bar e dopo uno scambio di opinioni con i figuri di cui sopra ho capito che avrei avuto più possibilità di parlamentare con un gruppo di Janjaweed.
In Italia gli sconti di pena sono applicati con celerità mentre l’attuazione della giustizia civile richiede dei tempi biblici, ma non ho fretta e sono disposto a perseverare per debellare i rumori molesti che s’insinuano nella mia abitazione. La musica è una delle mie più grandi passioni, tuttavia manderei a fare in culo anche John Coltrane se resuscitasse per suonare alle tre di notte nella mia stanza. Oltre alla musica indesiderata il palinsesto del bar offre anche qualche spettacolo d’azione: i deliri di qualche ubriaco e le risse occasionali. Per chetare l’ultimo scontro ho chiamato il centododici e le guardie sono arrivate dopo tre quarti d’ora, ma se al loro arrivo la rissa fosse stata ancora in corso sarebbe diventata di diritto un incontro di boxe e a quel punto avrei osato scommettere qualche euro. I Carabinieri fanno ciò che possono, ma le loro risorse sono limitate e il sabato sera si riducono ulteriormente. Spero che la mia zona si liberi dalla feccia prima che diventi eleggibile per concorrere con Scampia. Ho già contattato un avvocato e mi sono informato in materia di inquinamento acustico, ma prima di agire devo attendere un po’ per compiere ulteriori valutazioni.
La solitudine è una compagna fedele e un’insegnante impeccabile, ma credo che per apprendere le sue lezioni sia indispensabile accettare il metodo con cui ella le impartisce. Chi è estraneo a una certa parte della società tende a stigmatizzare quest’ultima per rafforzare le sue convinzioni, ma io ritengo che una condotta simile provochi semplicemente una perdita di tempo e penso che sia più importante utilizzare i giudizi personali per esaminare le matrici da cui derivano le proprie azioni. Talvolta anch’io mi lascio trascinare dal piacere di una critica inutile e aspra verso questioni che catalizzano il mio interesse soltanto per la facilità con la quale si prestano a un giudizio negativo, ma quando mi rendo conto di questo inganno provvedo a rimproverare la mia ingenuità e taccio. Credo che una stroncatura gratuita sia una catarsi controproducente e la reputo una conseguenza comune nell’ambito di un egocentrismo sterile. È difficile sottrarsi alle inezie quotidiane per elevarsi sul piano aulico del vuoto esistenziale ed è altrettanto arduo rivendicare la propria libertà attraverso il ricorso paradossale ad alcune rinunce, ma io non conosco un’altra via per resistere a quanto si oppone alla bellezza nella sua accezione più profonda e non nego che gli ostacoli ripetitivi di questa impresa mettano a dura prova la sopportazione umana. Suppongo che non sia fondamentale un abbandono radicale del mondo per guardare negli occhi la precarietà della propria vita e iniziare ad amarla in un modo diverso dai dettami ordinari, ma credo che questo fine meraviglioso debba essere perseguito in seno alla società in modo tale che risalti maggiormente ai propri occhi e segua un percorso più formativo quanto possa essere uno scenario bucolico. Non ho mai smesso di pensare che la cultura sia accessoria e vanagloriosa sebbene io tenti di accrescerla per esercitare la mia volontà: lodo ogni azione silente che porti a termine i compiti dell’introspezione. Non intendo sposare una causa diversa da quella che mi impegna nella salvaguardia e nel progresso della padronanza di me, ma allo stesso tempo non la considero il centro della mia esistenza per evitare che assuma delle dimensioni spropositate ed è per questo motivo che le dedico soltanto una parte delle mie energie.
Qualche giorno fa ho visto “A Farewell To Beat”, un documentario nel quale Fernanda Pivano ripercorre una parte importante della sua vita e riassume poeticamente la beat generation. Il film è un po’ amarcord, ma credo che veicoli un messaggio di speranza. Durante la visione mi è venuto in mente uno dei primi libri che ho letto, ovvero “Viaggiatore Solitario” di Jack Kerouac, perciò ho cercato qualcosa sul web che riguardasse quest’ultimo e mi sono imbattuto in una intervista surreale nella quale lo scrittore statunitense appare completamente ubriaco di fronte alle domande di Fernanda Pivano. Credo che Kerouac fosse un personaggio straordinario e su di lui persino l’alcolismo sembrava una virtù. Ho passato molte notti a leggere “Sulla Strada” e anche se adesso ne ho un vago ricordo non sono in grado di dimenticare l’essenza pulsante di quel libro. Nel dedalo di Internet ho scovato un commento che lasciai otto anni fa sul guestbook di un sito dedicato a Jack Kerouac e appena l’ho riletto non ho potuto fare a meno di sorridere teneramente di fronte all’innocenza delle mie righe incerte, perciò ho deciso di appuntarle qua sopra e per l’occasione ho rimosso qualche errore di ortografia: il commento risale al mese di luglio del duemila. “Salve. Mi chiamo Francesco. Ho sedici anni. Ho conosciuto Jack per caso. Alle medie mi dissero di portare un libro e farne una breve descrizione, ne presi uno di mio padre, uno su cui si trovava una breve sintesi sul retro e lo relazionai senza leggerlo. Passano tre anni e riprendo quel libro spinto dalla ricerca di qualcosa che Kerouac ha cercato tutta la vita: la libertà assoluta. Il libro in questione è Viaggiatore Solitario. Tutto ciò mi ha spinto a decidere che tra qualche anno dovrò lasciare la scuola per frequentarne una migliore: la vita. Grazie Jack, ti avrei voluto conoscere. Tanti della mia generazione non sanno nemmeno chi sei, mi dispiace per loro come mi dispiace che non riescano a capire la mia voglia di evadere per iniziare la mia ricerca. Grazie Jack, ogni tanto pensa ai tuoi fratelli dall’alto dei cieli, okay? Ciao fratello“.