17
Nov

Piccola storia informatica

Pubblicato lunedì 17 Novembre 2008 alle 18:38 da Francesco

Devo molto all’informatica perché mi ha permesso di ampliare le mie conoscenze e di organizzarle. Non sono un sistemista né un programmatore, ma in questo campo mi piace definirmi un “power user”. Il mio primo computer è stato un Commodore 64, ma da piccolo ero più attratto dai videogiochi che dal BASIC, inoltre in edicola uscivano intere raccolte di giochi sulle celebri cassette che rendevano il mio interesse unidirezionale. Mi sono dilettato con questo mostro sacro per diversi anni e non ho vissuto l’era delle console a 16 bit, ma alcune pietre miliari di quell’epoca le ho vissute in seguito grazie all’emulazione. Dalla metà degli anni novanta in poi ho avuto un 486, un Pentium a 100MHz che portai a 133MHz muovendo i jumper, un Pentium III a 500Mhz e un Pentium IV a 1,7GHz a cui è seguito il mio primo (e ultimo) avvicinamento ad AMD. Durante la fine dello scorso millennio non ero interessato alla conoscenza della macchina che avevo di fronte, ma la utilizzavo per dilettarmi con i videogiochi. La prima connessione l’ho avuta a cavallo tra il 1998 e il 1999, ma già un anno prima avevo avuto l’occasione di accedere brevemente a Internet. Nei primi tempi dovevo connettermi con un 56K al nodo di Firenze, perciò non potevo stare online più di tanto. Il primo contatto con Internet alimentò la mia curiosità e cercai di comprenderne subito i meccanismi. È stato un effetto a catena e nell’arco di alcuni anni ho accresciuto il mio bagaglio culturale. Alla fine degli anni novanta il Web era molto diverso da com’è oggi. I siti erano meno dinamici e io stesso ne ho realizzati parecchi per diletto ricorrendo all’uso deplorevole dei frame. Il file sharing stava esplodendo con Napster e parecchi internauti preferivano ancora la rete Irc o ICQ agli odierni capisaldi dell’instant messaging. Ricordo che entrai in contatto con un tizio che vendeva videogiochi masterizzati per la prima PlayStation e da lui effettuai il mio primo acquisto attraverso Internet dato che ero smanioso di avere ogni cosa che girasse sulla console di Sony. A proposito, quello era il tempo delle prime modifiche per la PSX e i CD vergini costavano un occhio della testa e nel migliore dei casi venivano masterizzati a 4x mentre il prezzo della copia di un gioco oscillava tra le 5000 e le 10000 lire. Ricordo che il tipo in questione si faceva chiamare Master PlayStation e informava tutti i suoi clienti sulle ultime novità con una newsletter che aspettavo sempre con trepidazione: grazie a lui feci pervenire nella mia cittadina giochi che altri non avevano e divenni una sorta di leader in questo traffico bambinesco a cui compartecipavano altri ragazzini della mia età. Il Web era ancora un po’ scarno, ma penso che allora fosse più vivibile poiché la new economy era ancora allo stato embrionale e tanti espedienti pubblicitari non erano invasivi come lo sono oggi. Dopo un po’ di tempo mi avvicinai al mondo di Linux e ricordo che la prima distribuzione che installai fu Mandrake, dalle cui ceneri è nata l’odierna Mandriva. Provai anche RedHat e altre distribuzioni minori: insomma, mossi i primi passi nel mondo UNIX-Like. Lessi alcuni libri di informatica sul C e sul TCP/IP. In precedenza avevo letto e scritto programmi molto semplici in Pascal, ma fu il C che mi aprì la mente. Lo studio del TCP/IP mi è servito per comprendere il funzionamento delle reti sia in locale che in remoto mentre con la pratica del C ho compreso in modo più approfondito il funzionamento di un computer. Tante nozioni le ho perse perché non le ho ravvivate con l’allenamento e non mi perdonerò mai di non essere stato all’altezza di perseverare nello studio del C fino al tema dei socket (per levarmi lo sfizio di creare semplici applicazioni da usare in rete). Ho smanettato anche con il PHP e il MySql, ma soltanto per modificare script già fatti. Ho scritto qualcosa da zero, ma in tutti i linguaggi il mio codice è sempre stato pesante e privo di ottimizzazioni. In ogni caso quanto ho studiato per diletto non è stato inutile e mi permette ancor oggi di risolvere da solo ogni problema di software o di hardware che mi si presenti. Qualche mese fa ho montato il mio PC attuale in un case cubico di dimensioni ridotte, il NSK1380 della Antec. Sono ricorso a una scheda madre micro ATX della ASUS sulla quale ho deposto il E2160 della Intel, una GeForce 8400 e due banchi di RAM da un 1GB l’uno con clock a 800MHz di cui al momento mi sfugge la latenza. Non è certo una configurazione adatta per sbancare un benchmark, ma è più che sufficiente per i miei fini. Non mi piace la rincorsa all’hardware e per i videogiochi preferisco adoperare una console, inoltre il mondo di Linux mi ha insegnato che per un hardware meno recente la compatibilità è più probabile: risparmio e prestazioni. Dopo un anno su Ubuntu ho deciso di cambiare distribuzione e adesso sono un nuovo utente di Arch (che avevo già sperimentato qualche mese fa sul mio laptop). Adoro Arch perché permette di installare solamente ciò che si vuole, inoltre trovo che pacman sia un gestore di pacchetti eccezionale, a mio avviso superiore ad apt. Mi piace la pulizia e l’ordine. Oltre al cambio di distribuzione ho deciso di usare anche un altro desktop environment e sono passato da GNOME a KDE4. Ho apprezzato molto GNOME per il suo minimalismo, ma ho deciso di passare a KDE4 perché le mie applicazioni preferite sono legate a quest’ultimo e voglio vederle integrate senza stratagemmi (workarounds per gli esterofili). È divertente giocare con Compiz e gestire la propria musica con Amarok (a mio avviso il miglior programma della sua categoria), ma la verità è che mi piace vedere una macchina la cui efficienza dipenda esclusivamente dall’utente. Non sono un integralista e sul menù di GRUB c’è anche un sistema operativo di Microsoft. Ho installato Windows XP su una seconda partizione e ho utilizzato la licenza OEM del mio laptop (sul quale non l’ho mai adoperata) per accedere agli aggiornamenti. Per me XP è un sistema affidabile e lo utilizzo di tanto in tanto, ma senza la licenza di cui sopra non lo avrei mai installato: non lo avrei mai acquistato perché ritengo che la versione retail sia un furto e non avrei mai installato nuovamente una sua copia perché ho bandito il software pirata dal mio PC. A chi si avvicinasse al mondo dell’informatica non consiglierei mai di installare una distribuzione Linux. Credo che il mondo dell’open source debba ancora fare molti passi a livello di desktop per essere accessibile ai neofiti. Questa è la mia piccola storia informatica e sono contento di averla annotata qua in mezzo: un pesce fuor d’acqua. Potrei spendere altre parole su Usenet, sull’evoluzione del peer-to-peer e potrei citare qualche aneddoto divertente per lanciarmi in una disquisizione a metà tra informatica e sociologia, ma mi dilungherei troppo e finirei per essere dispersivo e prolisso. In futuro potrei annotare qualcos’altro su questo tema, ma per adesso va bene così. Un’ultima considerazione la devo rivolgere alla fortuna che ho avuto a nascere nel 1984, infatti la mia crescita individuale ha combaciato con l’esplosione di Internet, perciò ho potuto seguire la sua evoluzione con un tempismo perfetto. Voglio chiudere con una battuta vecchia che gira ancora in varie versioni: “Con un computer e con la vita basta usare brain.exe”.

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15
Nov

Le fusa

Pubblicato sabato 15 Novembre 2008 alle 02:27 da Francesco

Non sono cagionevole e mi ammalo di rado, ma da alcuni giorni la sinusite e il raffreddore mi costringono a stare tra le mura domestiche. È quasi una settimana che non vado a correre e mi manca l’endorfina che sono abituato a guadagnare a forza di falcate. Dopo una lunga pausa ho ripreso a scrivere il seguito de “La Masturbazione Salvifica: Diario Agiografico Di Un Onanista”, ma finora ho steso soltanto sette pagine: questo dato conferma quanto ho annotato qualche giorno fa a proposito della mia carenza creativa. Per fortuna scrivo per diletto e dunque posso concedere tempi biblici alla redazione dei miei manoscritti. Mi sento bene nonostante la mia mucosa nasale non sia in perfetto stato e respiro il mio benessere nel ventre delle circostanze interiori in cui mi trovo: una condizione che non può essere sottoposta agli esami clinici. Talvolta la frequenza con la quale incorro nei paradossi mi spinge a chiedermi se io mi abbassi a piegare certe idee alle mie esigenze, tuttavia l’entusiasmo che deriva dal mio vuoto positivo produce effetti ricorrenti e reali. Non sono circondato soltanto da sensazioni piacevoli e indipendenti, ma attorno a me orbitano anche dei felini. Sono cresciuto in mezzo ai gatti e conosco l’odore del loro piscio. Fino a qualche anno fa avevo un gatto persiano di cui adoravo l’espressione e l’indolenza e lo ritenevo il capo silenzioso dei suoi quattro compari. Ho avuto anche due cani, un pastore tedesco e un pastore maremmano, ma preferisco i gatti e in particolare i gatti persiani. Non ho mai idealizzato gli animali e non ho mai creduto che le bestie fossero migliori degli esseri umani. Vivo da poco con due nuovi felini che ho battezzato Eisenhower (il maschio) e Mata Hari (la femmina).

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8
Nov

Sessione proficua

Pubblicato sabato 8 Novembre 2008 alle 01:46 da Francesco

Talvolta ho la sensazione che la mia introspezione mi abbia lanciato velocemente verso alcune barriere personali e suppongo che la sua spinta vigorosa mi abbia permesso di superarle. Non temo il dolore interiore e plaudo ancora allo stato atarassico in cui versano beatamente i miei recessi. Nel corso della mia vita non ho mai subito sofferenze rilevanti, ma in passato le mie valutazioni erronee mi hanno indotto a ingigantire le conseguenze di alcuni episodi che rappresentano quasi delle tappe obbligatorie nella crescita di una persona. Sono ancora giovane e ho tutto il tempo per penare, ma non penso di dedicarmi a questa pratica masochistica poiché non rientra nella mia indole. Il mio benessere scaturisce dall’assenza di bisogni impellenti. Non mi serve denaro: spendo poco. Non ho bisogno di sesso: non mi attrae la carnalità senza il collante affettivo e liquido i miei impulsi sessuali con la masturbazione. Non mi occorre l’approvazione di terzi né un attestato di stima: produco personalmente queste suppellettili dell’Ego. Trovo banali le trasgressioni perché penso che possano essere ritenute tali soltanto da coloro che subiscono consciamente o meno l’influenza del retaggio cattolico o di qualche struttura dogmatica che presenti caratteri analoghi. Intendo dire che affinché una trasgressione sia tale, ci devono essere regole morali da infrangere e io ho sradicato tutto questo abbastanza precocemente. Non ho una forma di autorità contro la quale ribellarmi e non avverto la necessità di sovvertire qualcosa o qualcuno. Mi trovo in una condizione che non mi spinge a raggiungere i capisaldi dell’appagamento comune e ritengo che questo stato in alcuni individui possa celare una depressione profonda qualora abbia la convalida dell’apatia, ma io mi mantengo occupato e non sento pressioni né pesi. Se il mio umore fosse cupo io non riuscirei a svolgere alcuna attività fisica: posso fare un’affermazione di questo genere perché conosco le reazioni del mio corpo. Ho l’impressione che la mia verginità si stia trasformando in una sorta di atteggiamento asessuato e credo che questo possa essere un po’ pericoloso. Il mio desiderio di estraniarmi da me stesso per tutelarmi e conoscermi non deve minare le mie potenzialità affettive. Cerco sempre di guardare le mie azioni da due punti e svolgo questo compito in tre fasi. Prima provo a guardare i miei gesti come se non fossero miei, poi levo questa sorta di filtro imparziale (imparziale per quanto possibile, ovviamente) e infine mi osservo nuovamente da lontano come uno spettatore estraneo alle mie circostanze. Ormai tutto questo mi appare banale e in parte semplice poiché ho sviluppato una certa confidenza con me stesso. Non penso che le mancanze affettive possano compromettere la mia esistenza, ma devo ammettere che un tempo avevo paura che l’assenza di certe sensazioni potesse farmi diventare un handicappato sentimentale. Mi rendo conto che posso apparire freddo e distaccato, tuttavia ho un lato passionale che non emerge mai poiché finora non ho mai avuto e non mi sono creato le occasioni per portarlo in superficie. Mi farebbe comodo nascondere certe cose se temessi i miei giudizi, ma trovo che il pubblico ludibrio (in cui io sono il pubblico che deride se stesso) sia un banco di prova fondamentale. Non voglio celare nulla. A me piace essere trasparente e non mi tiro mai indietro dai miei monologhi né dalle conversazioni. Non sono un esibizionista, infatti ho sempre mantenuto un comportamento discreto e un profilo basso. Non apprezzo coloro che cercano alleanze, attenzioni o stimoli, ma capisco che possano sentirne la necessità. Per me le premesse sono fondamentali e come ho già scritto altre volte mi disgusta qualunque rapporto personale che nasca dal bisogno: lo trovo innaturale. Alcuni organismi possono sviluppare una grande tolleranza nei confronti di determinate sostanze e credo che il mio carattere abbia seguito un percorso analogo, infatti riesce a tollerare l’assenza di alcune soddisfazioni che paiono indispensabili a un numero rilevante di persone. Il mio compito è mantenere l’equilibrio tra la grazia del mio benessere interiore e le mie potenzialità affettive e per adesso non ho difficoltà a bilanciare queste due entità. Non è facile adoperare le parole per spiegare a me stesso ciò che intendo, ma io posso comprenderlo ugualmente perché lo vivo. Alcune volte vorrei smettere di crogiolarmi nelle mie conquiste interiori, ma per redigere bollettini funesti dovrei trovare un po’ di disperazione autentica e dubito di poterla rimediare senza una macchina del tempo.

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5
Nov

The land of opportunity

Pubblicato mercoledì 5 Novembre 2008 alle 22:16 da Francesco

La scorsa notte ho fatto la spola tra Sky TG 24 e la CNN per seguire l’ascesa di Barack Obama. Le elezioni statunitensi non hanno riservato sorprese, ma a mio avviso hanno suggellato un cambiamento inevitabile nel clima internazionale. Non sono interessato all’aspetto politico di questo evento, ma ne apprezzo la forma mediatica. Gli analisti politici sono una razza molto prolifica e tra questi annovero anche coloro che si illudono di esserlo. Non so cosa faranno Barack Obama e il suo staff, tuttavia che gli Stati Uniti e il mondo traggano beneficio da questa elezione o che scoppi un nuovo conflitto mondiale, a me fa piacere che un negro vesta i panni dell’uomo più potente del mondo. Qualcuno userebbe termini come “afroamericano”, “nero” o “di colore” per indicare il neopresidente, ma io trovo che soltanto il primo di questi termini sia corretto quanto quello che ho utilizzato poc’anzi. Il termine “nero” è adoperato per edulcorare la parola “negro” che talvolta in italiano assume un valore dispregiativo, però non ho mai gradito questo compromesso pro forma e ho utilizzato sempre il secondo vocabolo nonostante generi accuse di razzismo. Sono un filoamericano perché apprezzo molti aspetti che appartengono alle contraddizioni statunitensi e non ho mai provato avversione nei confronti del braccio armato di Washington che in parte si estende anche in Italia, ma allo stesso tempo ho sempre ritenuto ridicole le espressioni maccartiste di qualche yankee esaltato. Non cerco l’oggettività al di fuori dell’introspezione poiché non ho i mezzi per dar corpo a delle affermazioni assolute e non mi stancherò mai di sottolineare questa mia prudenza valutativa, ma credo che una superpotenza non consegua un tale titolo soltanto per i suoi meriti bellici.

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1
Nov

Lievemente criptico

Pubblicato sabato 1 Novembre 2008 alle 23:36 da Francesco

Si parla di parlarne, ma non serve a granché se non a sgranchire la lingua tramite la fonazione. Un grillo mi comunica che qualcuno ha fatto qualcosa a qualcun altro, ma io non presto orecchio alle cronache degli analfabeti e mi domando dove sia finito l’insetticida. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, perciò è normale che talvolta uno si senta gasato come un ebreo d’altri tempi. Qualche word play lede il politically correct secondo i futuri diplomatici che annacquano la loro lingua con gocce d’oltreoceano. I cacciatori di taglie cercano novità tra le forme XL, ma sanno che presto dovranno cambiare mestiere. Le donne non si toccano neanche con un fiore e io non l’ho mai sfiorata una neanche con le dita, ma pare che alcune di loro apprezzino gli alcaloidi dei papaveri. Il tempo passa e qualcuno lo investe sopra strisce psicotrope: la mia speranza è che gli venga ritirata la patente e la licenza di vivere. Le leccate di culo mantengono il clima umido. Le opinioni valgono in base alla popolarità di chi le sostiene e alla luce di questo non si può turbare il sonno della ragione: signora, lei quante ne vuole? Mio figlio è laureato. Mio figlio è sposato. Mio figlio lavora in quel posto. Sua figlia, invece? Lei ha figliato. Futuro interlocutore, tu che sta al di là delle previsioni, mi chiederai cosa ne penso e io ti risponderò con un congiuntivo e qualche aggettivo ricercato. Non va mai bene un cazzo. I ragazzi fanno un gioco di squadra, ma gli squadristi non sono ammessi: milord, questo è razzismo. Lettere di raccomandazione e lettere di disperazione: “Caro Gastone, io le scrivo perché un brav’uomo non arriva alla fine del mese, ma per la droga di Stato ha sempre qualche lira da spendere”. Che si faccia appello alla natura affinché aumenti l’altezza media per consentire alle persone di vivere al di sopra delle loro possibilità. Il cartello all’ingresso era abbastanza chiaro: “Non si può entrare tutti sul podio”. Chi sta sopra le righe finisce nelle liste di prescrizione che vengono redatte da schiavi autoctoni, ma differenti livelli di ironia e indifferenza si occupano di queste inezie con una pulizia etnica degna del feldmaresciallo Mastro Lindo. Le colpe sono sempre degli altri e si scarica il barile per solidarietà: mal comune mezzo gaudio. Siano maledette le mie mani per i refusi che producono e siano perdonate per le correzioni che apportano: Muzio Scevola non avrebbe potuto dire altrettanto. Per me un dio antropomorfo è un dio bastardo e allora che ogni simulacro si goda questo epiteto. Voglio chiamare le cose con il loro nome e voglio scrivere ogni nome come è stato scritto in origine. Amen mon ami, se mi si consente il francesismo. Le lettere fuggiasche devono essere rintracciate e rimpatriate: il loro surplus deve essere eliminato per evitare una catastrofe malthusiana.

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30
Ott

Visioni di un teleutente

Pubblicato giovedì 30 Ottobre 2008 alle 00:55 da Francesco

Trovo che il lato estetico delle proteste studentesche si presti a qualche considerazione innocua. Non entro nel merito delle questioni politiche e lascio questo compito ai capibanda delle mense universitarie, ma sento la necessità di riversare da qualche parte le impressioni comiche che ho ricavato negli ultimi giorni e adopero questo spazio virtuale come discarica per le mie facezie. Per salvaguardare la “cultura” qualcuno ha scritto uno striscione con abbreviazioni da SMS dal quale ho cercato di ricavare un messaggio simbolico: tagliare le parole, non i fondi! Quando ho sentito la voce di alcuni studenti mi sono chiesto se i telegiornali avessero selezionato di proposito persone balbuzienti ed emozionate mentre altri tizi sproloquiavano nei megafoni con il piglio di Grande Puffo. Qualcuno ha evocato il sessantotto e anch’io vorrei che quel periodo tornasse, infatti adoro i manganelli e gli idranti. Non ci posso fare nulla, ma provo una simpatia enorme nei confronti delle forze dell’ordine che indossano i loro completi antisommossa: forse subisco il fascino della divisa o delle macchie di sangue rappreso. In altre occasioni ho manifestato il mio apprezzamento per la guerriglia urbana e già in occasione del G8 di Genova mi sono dilettato a guardare le cariche della polizia. Non sono un sadico e non cerco di stare da una parte o dall’altra, ma guardo eventi simili da una prospettiva molto superficiale perché ritengo che il loro aspetto più profondo sia connesso alle ispezioni anali. Insomma, a me interessa il lato estetico di questi avvenimenti e non mi curo eccessivamente del casus belli. Sospetto che alcuni dei manifestanti condividano il mio atteggiamento senza rendersene conto, ma non voglio dilungarmi sul piacere dell’aggregazione che scaturisce dall’adesione a movimenti anacronistici. Mi dispiace un po’ per coloro che contestano sinceramente e con cognizione di causa. Mi riferisco a quelle persone che nutrono un interesse reale verso ciò di cui diventano fautori e posso soltanto immaginare la loro frustrazione ogniqualvolta il braccio armato della pecoraggine saboti le loro iniziative, ma credo che sia un prezzo da pagare per assistere puntualmente a qualche scaramuccia divertente. Ogni volta che Silvio Berlusconi siede sullo scranno più alto di Palazzo Chigi sembra che l’abbia raggiunto a seguito di un putsch, ma suppongo che qualsiasi governante sia destinato a destare impressioni del genere. Mi auguro che le elezioni statunitensi portino una ventata di novità sui media nazionali: le proteste sono come il pesce e dopo tre giorni puzzano. Non so nulla dei programmi elettorali di John McCain e di Barack Obama, ma spero che la spunti quest’ultimo per la sua pigmentazione e lo stile brillante che ho notato nelle sue interviste. Nel panorama repubblicano mi diletta molto la figura di Sarah Palin perché nel mio immaginario rappresenta lo standard della pazzia reazionaria che attecchisce in alcune zone degli Stati Uniti. Mi piace svuotare le cose di significato e concentrarmi sulle forme: è poco impegnativo e mi espone in modo minore alla mia autocritica feroce.

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25
Ott

Amor proprio

Pubblicato sabato 25 Ottobre 2008 alle 20:58 da Francesco

Mi sento come il generale MacArthur dopo la fine delle ostilità nel Pacifico. Navigo in acque tranquille e limpide. Al posto dei pensieri ho una forza di peacekeeping e la mia serenità è ancora tale. Non temo che il mondo vada a picco e non bevo le storie del catastrofismo. Vorrei descrivere la mia condizione con più accuratezza, ma credo che ogni tentativo sia vano: le parole non hanno lo spessore sufficiente per veicolare qualcosa del genere. Mi piacerebbe scrivere un altro libro per non essere scortese nei confronti della polvere, ma non ho nulla da dire. Non sono mai stato un individuo particolarmente creativo e non riesco più a incontrare alcuna forma di ispirazione saltuaria, tuttavia questa perdita non mi turba affatto. Sono in pace con me stesso da parecchio tempo e mi rimane soltanto qualche schermaglia occasionale a cui non riservo grande importanza. Mi riguardano soltanto gli eventi sui quali il mio potere decisionale risulta determinante e farei un torto all’obiettività se mi crucciassi su questioni che vanno al di là delle mie possibilità: non si può pretendere che un generale conquisti un avamposto o difenda una posizione senza un esercito e allo stesso modo io non posso occuparmi di cose sulle quali non esercito diritto alcuno. Mi sottopongo spesso a degli esami di coscienza e ogni volta mi promuovo a pieni voti, ma non è stato sempre così e sono contento che qualche anno fa la mia volontà abbia mutato le cose. Conservo una rabbia salutare con cui alimento la mia attività fisica e quest’ultima mi basta per compensare le mie lacune espressive. Nell’immaginario collettivo alla mia età si corre dietro le donne, io invece corro oltre i daini che mi attraversano la strada in pineta. Frequento due luoghi principalmente: il mio percorso podistico e un autogrill in cui mi reco di tanto in tanto per comprare qualcosa da mangiare che abbia il sapore di una sosta ristoratrice.

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20
Ott

Benedetta sia la contingenza

Pubblicato lunedì 20 Ottobre 2008 alle 15:47 da Francesco

Non riesco a disfarmi della mia scrittura precaria, ma sono in grado di tollerarla. Il modo in cui mi esprimo verbalmente ha una parvenza anaffettiva e talvolta io stesso commetto l’errore di ritenermi un freddo calcolatore. In passato ho creduto che la linearità della mia voce fosse un retaggio dell’introversione pubescente, ma ho abbandonato presto questa ipotesi. Se fossi ancora introverso probabilmente non sarei sereno. Mi piace comunicare e un astrologo non faticherebbe a credermi, tuttavia non sono un individuo propositivo. Non faccio mai il primo passo per interagire con qualcun altro a meno che la casualità non mi metta nelle condizioni di farlo ed è per questo motivo che le mie conversazioni migliori sono avvenute con personaggi strambi in luoghi di transito. Sono abbastanza affabile, ma disprezzo le forzature espansive che vengono perpetrate da chiunque bistratti la solitudine e il silenzio. Non condivido la tratta delle parole che ingrassa le costrizioni relazionali. Per me la contingenza rappresenta una condizione indispensabile per ogni legame interpersonale che non abbia un fine burocratico o di carattere analogo. Amo le cose che esercitano un’azione positiva su di me e in particolare quelle che incontrano l’apprezzamento della mia lungimiranza. Le abitudini salutari del corpo e della mente non coincidono necessariamente con la comodità o la soddisfazione immediata, ma rivelano nel corso del tempo i loro effetti positivi e io le coltivo con piacere perché non vedo alternative valide. Qualcuno può temere l’isolamento e reputarlo terribile, ma io credo che sia un trampolino di lancio, una cazzo di Cape Canaveral da cui è possibile raggiungere punti molto elevati. Respingo a forza di bestemmie le forme impure di gentilezza e tengo a debita distanza coloro che reputo incompatibili. Non dissimulo mai il mio atteggiamento e anche per questo abuso della sincerità ho guadagnato molte antipatie che ancor oggi mi fanno sorridere.

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18
Ott

James Senese – So Vivo

Pubblicato sabato 18 Ottobre 2008 alle 05:43 da Francesco

James Senese è un sassofonista talentuoso che possiede un carisma enorme. L’ho conosciuto un po’ tardi a causa della difficile reperibilità dei suoi dischi, ma ne ho sempre sentito parlare con entusiasmo da mio zio e dopo qualche anno ne ho compreso il motivo. È stato uno dei pilastri dei Napoli Centrale, un gruppo leggendario a metà tra il progressive rock e la fusion. Adoro l’impronta partenopea che caratterizza lo stile unico di Senese. “So Vivo” è un pezzo che mi è entrato in testa perché mi ci rivedo. Ho faticato un po’ per trovare gli album vecchi di Senese e de “Il Passo del Gigante” ho rimediato soltanto la versione in vinile che è stata portata in digitale con tutte le perdite del caso. Per fortuna la scena musicale di Napoli non è legata solamente ai cantanti neomelodici che piacciono tanto ai camorristi.

“D’int’ ‘a capa so’ vivo so’ vivo je nun tengo età”

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15
Ott

Lo strumento sporco

Pubblicato mercoledì 15 Ottobre 2008 alle 03:06 da Francesco

Qualcuno crede che io sia afflitto dalla tristezza a causa delle mie analisi interiori, ma le cose stanno diversamente. Attraverso l’introspezione ho toccato punti molto profondi della mia intimità senza curarmi di eventuali conseguenze. Ho sempre ritenuto che fosse importante liberarmi il più possibile dai condizionamenti esterni e per questo motivo non ho mai avuto problemi ad affrontare argomenti personali, ma questa disinvoltura titanica ha creato un’apparenza cupa sulla mia persona. Non sono un masochista che ama vessarsi con indagini impietose, ma cerco di utilizzare l’introspezione in modo distaccato e razionale per facilitarmi la vita. Non posso avere il controllo su ogni cosa, ma ho la possibilità di aumentare l’emancipazione della mia capacità decisionale dall’impulsività e dai paralogismi. Questo processo non si svolge presso i prati fioriti di Heidi ed è normale che talvolta emergano argomenti quasi imbarazzanti, ma ritengo che in casi simili si veda la volontà di studiarsi. Io tendo verso l’oggettività, ma so che non posso raggiungerla e allo stesso tempo compio sforzi per avvicinarla quanto più possibile. Alcune cose che ho scritto in passato possono sembrare disgustose e altre ingenue, ma io penso che rappresentino le estremità sincere della mia morale. Ho ripetuto altre volte che io non credo nell’amore perché non ho bisogno di credere in qualcosa che esiste e si manifesta senza avalli ulteriori, ma questa posizione può essere ritenuta ingenua da chiunque la interpreti in maniera superficiale. Ciò che viene comunemente indicato come “amore” probabilmente non lo è altrimenti rimarrebbe tale e non provocherebbe reazioni che non lo riguardano, ma per taluni è impossibile ammettere una cosa del genere poiché si tratta di un attentato alle strutture di difesa dell’Ego. Trovo che sia più facile pensare all’amore come qualcosa di elitario, romanzesco o reazionario, ma io che tendo verso l’oggettività non posso fermarmi di fronte agli alibi dell’incoerenza e della paura. Le mie parole non vogliono convincere nessuno, infatti io mi rivolgo sempre ed esclusivamente a me stesso, ma posso conoscermi meglio lambendo alcuni aspetti dei miei simili senza preoccuparmi delle scelte private di costoro poiché non mi competono né possono influenzarmi. Un discorso simile si adatta alle parti più macabre e disgustose della mia scrittura. Io non amo l’horror: lo trovo banale ed estremamente noioso. A me interessano gli orrori reali e per questo a un film come “Begotten” preferisco un documentario sugli esperimenti di Josef Mengele. Il mio approccio nei confronti degli orrori umani non è adolescenziale. Non mi interesso al male per stupirmi o per stupire. A me interessa la realtà e penso che quest’ultima sia più difficile da scorgere attraverso scenari che la alterino, tuttavia non nego che possano avere ugualmente una certa valenza in un’ottica metaforica. Non posso farci nulla se sembro un individuo triste e anche se potessi liberarmi da questa nomea non lo farei perché non è un problema che mi riguarda. Credo che la tristezza sia fondamentale e sono contento di averla sperimentata in passato, ma ho già imparato da lei tutto ciò che poteva insegnarmi e ormai preferisco frequentare i miei risultati positivi. Penso che la comunicazione sia una sorta di selezione naturale che premia chiunque provi ad agire e riflettere abbattendo ostacoli senza il timore dei pregiudizi e dell’imbarazzo.

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