8
Nov

Gli orsi non esistono di Jafar Panahi

Pubblicato martedì 8 Novembre 2022 alle 01:36 da Francesco

Nel novembrino pomeriggio della scorsa domenica mi sono infilato dentro un piccolo cinema di Grosseto per vedere un recente e premiato film iraniano, Gli orsi non esistono, ultima fatica di Jafar Panahi. Di norma non amo molto il metacinema benché in suo nome siano stati realizzati dei capolavori, ma in questo caso l’ho apprezzato in quanto mezzo e non fine, difatti la storia di un film dentro a un film è funzionale al messaggio di opposizione al regime di Teheran e non si arena nel pur nobile esercizio di stile. A mio parere quest’opera rientra tra quelle che più di altre richiedono allo spettatore uno sforzo di attenzione nei suoi tempi dilatati, ma per me l’impegno risulta spontaneo e non si fa mai gravoso.
Nella narrazione viene dato conto di due mondi apparentemente agli antipodi: da una parte c’è il protagonista, ossia un regista abbiente e metropolitano che possiede auto, fotocamere e soprattutto una coscienza politica; dall’altra gli autoctoni del viaggio al confine con la Turchia dove egli dirige le riprese del proprio film da remoto: ivi si trovano individui ancorati e mossi da quei retaggi e da quelle scale di valori con cui deve fare i conti anche il primo ancorché per ragioni diverse e con una differente consapevolezza.   
Per me la carta dell’impegno civile non gioca alcun ruolo, infatti non opero una divisione tra buoni e cattivi, bensì sono i ritmi del racconto, i dialoghi, gli espedienti da metacinema, le soggettive e tutta la messa in scena che secondo me rendono il film riuscito ed esauriente. Forse gli orsi non esistono in questa diegesi, ma di sicuro a quelle latitudini esiste del buon cinema che riesce ancora ad arrivare in Occidente.

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24
Ott

Manuale del film di Gianni Rondolino e Dario Tomasi

Pubblicato lunedì 24 Ottobre 2022 alle 22:13 da Francesco

In illo tempore mi ripromisi di approfondire il linguaggio cinematografico, difatti sapevo che se avessi maturato una fruizione più consapevole della settima arte avrei finito per apprezzare maggiormente la stessa: così è andata appena ho smaltito letture saggistiche per me prioritarie e, talora, più “pragmatiche”.
Avevo bisogno di qualche mezzo che mi permettesse di rendere meno soggettiva la mia esperienza di spettatore: alla fine ho scelto Manuale del film di Gianni Rondolino e Dario Tomasi per affinare un po’ il mio gusto e sviluppare un senso critico con un minimo di fondatezza.
Da queste trecento paginette assai utili, le quali comunque non possono di certo considerarsi esaustive, ho attinto spunti per visioni inedite oltre alle nozioni di cui ero alla ricerca. Secondo me è un testo ben fatto, mai prolisso ed esemplificativo al giusto grado.

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17
Ott

Immaginarsi a prescindere dall’immaginazione

Pubblicato lunedì 17 Ottobre 2022 alle 15:02 da Francesco

La realtà si frappone fra i soggetti e le interpretazioni che i secondi dànno della prima, perciò le cose in quanto tali non aderiscono quasi mai agli arbitrari stampi delle altrui aspettative e da questa frequente incompatibilità, a mio parere, scaturiscono i molti mali degli individui e delle masse. È un meccanismo facile da riconoscere, ma forse arduo ne è il sabotaggio giacché esso definisce i rapporti tra le persone e le astrazioni che ne fanno da collante, perciò ogni serio tentativo di alienarsene implica la rinuncia a delle sovrastrutture sociali le quali, invero, io reputo del tutto sacrificabili. Per paradosso simili intuizioni sono contrarie all’intuito ed è giusto che siano sottoposte a un esame costante anche da chi decida di perseguirle per il proprio bene o per la strenua ricerca di un innalzamento che esuli da gerarchie e riconoscimenti.
Secondo me l’unico approccio salvifico all’esistenza, qualunque cosa ciò significhi, è descrittivo e, per quanto possibile, si pone al di là delle bene e del male per eludere tali categorizzazioni quando non siano strettamente necessarie. Scrivendo di codeste cosucce mi tornano alla mente le parole che pronuncia il personaggio di Steiner ne La dolce vita felliniana, ossia quand’egli solo nella penombra e vicino a una finestra dice a se stesso: “Bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell’armonia che c’è nell’opera d’arte riuscita, in quell’ordine incantato. Dovremmo riuscire ad amarci tanto da vivere fuori del tempo, distaccati… distaccati”.
Come si può obiettare alcunché a una simile lucidità? Di contro (in tutti i sensi) questa presa di coscienza può risultare troppo, un peso soverchiante, una pressione eccessiva per quanti non sappiano conviverci e si ritrovino incapaci di contenerne le possibili e pericolose degenerazioni.

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6
Ott

Una vittoria inaspettata in quel di Pescara

Pubblicato giovedì 6 Ottobre 2022 alle 13:50 da Francesco

In questo brevissimo filmato riassumo quanto è accaduto alla Maratona di Pescara (la mia quarantesima gara sulla distanza regina) che ho corso e vinto il due ottobre.

È stata una bella esperienza e una grande soddisfazione, inoltre ho avuto modo di visitare una cittadina costiera nella quale non avevo mai messo piede e di cui ho raccolto piacevoli impressioni. Il sabato mi sono recato a nord della linea Gustav, appunto in quel di Pescara, laddove l’indomani ho preso parte alla ventiduesima edizione della cosiddetta D’Annunziana, ma durante il viaggio in auto non ho avvistato panzergrenadier.
L’intenzione precipua era quella di sfruttare l’evento per correre un allenamento lungo di qualità sotto le 2 ore e 50 minuti, poi per l’eterogenesi dei fini c’è scappata la vittoria in un modestissimo (in termini assoluti) ma per me soddisfacente 2 ore 45 minuti 39 secondi (3’56″/km), complice anche un errore di percorso toccato in sorte a chi è stato in testa fino al ventitreesimo chilometro. Conosco il feeling.
Ho cercato il cambio di passo dopo trentottomila metri e mi è andata bene. Giacché la gara è conosciuta come D’Annunziana, sul podio ho avuto la tentazione d’intonare un “eja eja alalà” che il vate riportò in auge dal mondo classico, ma per amor di patria ho lasciato perdere!
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4
Ott

La quiete prima della tempesta o viceversa

Pubblicato martedì 4 Ottobre 2022 alle 22:04 da Francesco

Lascio il disincanto a briglie sciolte in modo che serpeggi ovunque e non faccio credito ad alcuna speranza. Prediligo la bicromia agli stolidi pastelli degli utopisti impenitenti. Ogni parola porta in dote i nascosti propositi del fraintendimento e deflagra insieme alle sue omologhe in discorsi che si esauriscono nei propri boati, in quel rumore di fondo a cui taluni attribuiscono i crismi del dialogo. Cosa c’è mai da ricordare che non valga la pena di lasciare in balìa della dimenticanza, inesorabile esito d’ogni cosa? Quale urgente domanda v’è da formulare che non sia destinata a rimanere orfana di risposta? Il logos si qualifica come pour parler e ogni cosmogonia è il riassuntino dell’eterno ritorno. In quanto essere umano sono chiamato a rapportarmi con le buone e le cattive maniere della specie, tuttavia posso provare ad affrancarmene nella misura in cui tale arbitrio sia permesso dalla mia volontà e questa, a sua volta, riesca a scavalcare un po’ se stessa. Il resto si presta perlopiù a frasi di circostanza e a circostanze sulle quali talvolta grava l’assenza di qualsiasi parola.
Per quanto paragoni e confronti siano possibili o accettabili, dal mio trascurabile punto di vista la fantasia è inferiore e subalterna rispetto alla realtà, difatti un adagio vuole che la seconda superi sempre la prima, ma le riconosco comunque un’utilità come strumento di (ri)creazione nell’effimera ora dell’esistenza. Ribadire simili ovvietà mi rasserena e mi fa apprezzare il sollievo per ciò che vado negandomi o al quale non conferisco il peso comune dell’altrui metro. Si rischia di scivolare e cadere su certe scale di valori, ma ne esistono anche di mobili sulle quali tutte le cose restano statiche fino ai rispettivi e inevitabili deperimenti.

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27
Set

Votare è un po’ morire

Pubblicato martedì 27 Settembre 2022 alle 21:46 da Francesco

Le recenti elezioni mi hanno divertito oltremodo in quanto hanno reso intolleranti certi individui verso quegli stessi meccanismi democratici dei quali costoro non mancano mai di dichiararsi indefessi guardiani e paladini. Io ho preferito tenere pulita l’anima e quindi ho disertato il seggio giacché reputo il voto un rito pro forma, una superstizione novecentesca, un concorso a premi senza jackpot; inoltre il completamento dei timbri sulla scheda elettorale non dà diritto manco a una radiosveglia né a un qualunque altro gadget da collezione. Cui prodest?
Capisco gli ingenui entusiasmi di quanti si spendano nell’agone politico, mossi dalla parodia del civismo e da un particolare impegno, tipico di chiunque sappia ancora illudere e illudersi, perciò è nell’ordine delle cose che simili persone credano e si battano per innalzare il proprio castello di carta o per minare le fondamenta di quello rivale. Al contempo comprendo perfettamente il feroce disincanto di coloro che osteggiano le elezioni e le denigrano a ogni piè sospinto, ma dal mio punto di vista il modo migliore per non farcisi il sangue amaro consiste nel considerarle un divertissement e niente di più. Può darsi che la democrazia allo (e nello) stato attuale sia davvero il minore dei mali, ma allora non oso chiedermi quale si configuri effettivamente come quello peggiore. Nell’ultima imbarcata di candidati, partiti e circhi vari, la libertà di scelta mi è sembrata assente proprio come nelle precedenti occasioni, ma almeno è rimasto l’imbarazzo della scelta nel senso che ogni possibile scelta poteva avere come unica conseguenza quella dell’imbarazzo. Perché mai sporcarsi le mani e, come già scritto, l’anima? Per me prevenire è meglio che curare e astenersi è meglio che incollerirsi.
Non so se esista davvero una parte giusta, il bene assoluto, ma tendo a credere che spesso tale espressione sia utilizzata in modo improprio per indicare una convenienza materiale, ideologica, identitaria, affettiva, insomma la mendace traduzione di istanze egoiche nelle svianti pretese di un falso altruismo: la solita merda da umanoidi.

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22
Set

Le comiche e le atomiche

Pubblicato giovedì 22 Settembre 2022 alle 22:10 da Francesco

Nonostante il livello del mare s’innalzi qualcuno non sa quali pesci pigliare e dubito che tale inazione dipenda da una coscienza vegetariana. Ormai per apparecchiare l’ultima cena nessuno può escludere di mettere sul tavolo l’opzione nucleare, difatti chiunque osasse prodursi in una simile omissione verrebbe meno al bon ton del suicidio di massa: prima il dovere e le buone maniere, poi i (dis)piaceri delle loro conseguenze più nefaste.
Nel libero mercato, il quale è un mercato nero di cui le cronache del medesimo colore forniscono quotidiani ed efferati racconti, la vita ha scarso valore e può essere scambiata con ogni cosa laddove la violenza si faccia puntuale intermediaria. Dall’ultima e squallida rissa tra ubriachi fino ai missili balistici, tutto testimonia contro l’umanità affinché essa stessa si… deponga.
Se le parole non fossero per uso personale, se esse non avessero altra funzione oltre a quella di articolare i propri pensieri e sapessero assolvere un compito dialogico, allora la diplomazia avrebbe un altro nome e ogni suo impiego non potrebbe che produrre accordi perfetti, ma la realtà è scandita dalle dissonanze e sulle lingue babeliche, le quali incidono tutt’al più sulla forma, gli istinti e le pulsioni hanno la meglio e talora si servono delle prime per giustificare ciò che quegli ammassi di suoni e segni non sanno né possono affrontare sul piano sostanziale.
Mi viene da pensare che le atomiche siano come le ciliegie: una tira l’altra. Quale forma verrà data alle macerie e cosa dovranno rappresentare alle totali assenze che ne saranno uniche e possibili spettatrici? Forse una guerra nucleare più che come un problema può configurarsi quale soluzione finale. La violenza chiama violenza perché il genere umano le fa eco e d’altro canto come si può escluderla quando è stata, è ed destinata a rimanere la forza trainante delle grandi disuguaglianze tra simili che definiscono la realtà antropica?
Non so chi abbia doti taumaturgiche né conosco il distributore italiano di bacchette magiche, perciò mi limito a un approccio descrittivo e non anelo nulla di diverso da ciò che dev’essere. Per una volta saranno i funghi (atomici) ad anticipare le piogge (radioattive).

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21
Set

Il quieto vivere nell’irrequieto esistere

Pubblicato mercoledì 21 Settembre 2022 alle 23:08 da Francesco

Mi chiedo come mai i ciechi temano di restare al buio per la crisi energetica. Il buonsenso è schiavo delle libere elezioni, prigioniero nel più democratico dei sequestri. L’avvenire è un mosaico di incertezze su cui le crepe tendono ad allargarsi con pervicacia. In questo transito terreno viaggio per i fatti miei con qualche illustre gatto al seguito e diffido di chiunque mi si pari davanti. Per me il beneficio del dubbio costituisce già un’alta onorificenza che conferisco di rado. Appartengo alla cultura del sospetto e non credo a nulla, nemmeno alla verità, però riesco a ritagliarmi tanti bei momenti che celebrano la mia caduca esistenza. Non sono portato alla condivisione e non sono in grado di spendermi per nessun altro. Di rado può capitare che un volto muliebre evochi in me un vago desiderio di reciprocità e l’anelito di sensazioni tutt’oggi inedite, ma con sempre minore frequenza rispetto al passato e in ogni caso, quando ciò accade, lascio queste idee bislacche al loro puntuale deterioramento.
Credo che l’esistenza sia molto più semplice quando non si abbiano responsabilità verso terzi, al contempo può rivelarsi anche più arida e povera ma soltanto se l’individuo non abbia coltivato se stesso: sono scelte anche quando tali non paiono. Al netto della mia autostima, della quale certo non difetto, mi chiedo cosa mai una ragazza possa vedere in me che non sia un derivato delle sue arbitrarie proiezioni, un carico di aspettative per le quali io non posso garantire nemmeno l’imballo e difatti mi tengo alla larga da ogni equivoco, da ogni fraintendimento, da qualunque ambiguità di gesti e parole.
Masturbazione (per le pulsioni organiche) e sublimazione (per la componente affettiva ed emotiva) sono ancor oggi le vie regie, le strade maestre che seguo in nome di una proficua autonomia e so per certo come queste non siano percorribili da chiunque.
Ho una posizione di vantaggio rispetto a quanti siano ingabbiati in nuclei opprimenti od opprimano sé stessi giacché, non avendone ancora uno proprio, ne patiscono la mancanza. Preferisco essere prigioniero di me stesso piuttosto che ritrovarmi carcerato per l’altrui impegno. Mi conservo bene e spero che la mia sia una natura a lunga scadenza, non ho ambizioni di sorta e mi diletto nella quotidianità con quello di cui dispongo, perciò lasciò che vada da sé il mio rapporto con gli eventi, così com’è stato finora e come probabilmente continuerà a essere. Su tutto il resto discutano e decidano pure coloro che per me non esistono: a ognuno il suo.

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15
Set

Riverbero d’autunno prossimo venturo

Pubblicato giovedì 15 Settembre 2022 alle 18:21 da Francesco

Sin dall’infanzia venti e nembi suscitano dentro di me un senso di profonda appartenenza alla tempesta di cui essi sono temibili latori. Le forze meno rassicuranti della natura evocano qualcosa d’ancestrale che s’insinua nel mio individualismo e lo esalta, laddove tutto confluisce e assume sembianze soggettive a tempo determinato. Nelle bufere e nelle piogge la dissoluzione parla di sé e del suo avvento, ma questa prospettiva non può suonare funerea né nefasta a chi sappia accordarle il suo inesorabile ruolo. Mi domando cosa pensassero quanti nacquero e morirono nudi nelle terre preadamitiche, quali fossero le loro percezioni e come si rapportassero alla propria finitudine.
Non so di preciso in quale punto della mia parabola io mi trovi e non conosco cartografi che possano dirmelo, tuttavia mi sento al di là del presente e dunque riesco a districarmi nelle sue espressioni più precarie e meno concilianti. Il continuo dialogo interiore mi aggiorna sulla equidistanza dalla maggior parte delle cose e in questa maniera mi risulta semplice calcolare la traiettoria più agevole con cui seguire la linea del tempo. Lo ripeto a me stesso affinché mi sia chiaro: non so quanto manchi al termine del viaggio. Serafico e conflittuale il divenire si dispiega a prescindere da quanti vi partecipino per inerzia con la maschera del libero arbitrio. Non credo molto ad altro scambio di parole all’infuori di quello che sia endogeno, ma forse qualunque discorso, anche quello tra sé e sé, in un’ultima analisi è un ronzio di fondo da cui niente promana davvero. Oggi avevo voglia di astrazioni e le ho somministrate a queste pagine virtuali su cui ancora insisto e mi attardo a dir di me: nulla v’è d’aggiungere.

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11
Set

Le primavere mancate

Pubblicato domenica 11 Settembre 2022 alle 23:03 da Francesco

In questi ultimi tempi ho pensato a una persona che di recente ha lasciato il corpo. Era ancora giovane e io non avevo mai avuto particolari legami con lei, però la ricordo ancor oggi come una simpatica compagna di classe all’interno di aule che ho sempre frequentato poco. Per me sotto certi aspetti la morte non significa nulla, tanto meno la considero una fine, così come non ritengo la nascita un inizio, tuttavia queste mie intime convinzioni non hanno carattere consolatorio giacché la prospettiva di non poter non essere (non vi è alcun refuso) risulta ontologicamente inquietante e dà molto da pensare.
Talora quando una giovane vita viene spezzata anzitempo ho la sensazione che essa dietro di sé si lasci qualcosa d’incompiuto, però non so se poi sia realmente così. A volte l’entità di una grande sofferenza dipende soltanto da un tempismo cinico e crudele, laddove tali termini acquisiscono la loro esiziale portata in ragione dell’emotività umana, perciò vorrei che vi fosse una forma di sollievo per quanti si trovino a fare i conti con le insostenibili assenze delle persone a cui erano legati. In alcuni casi avverto un fastidioso senso d’impotenza davanti al dolore altrui, come se l’impossibilità di sistemare le cose a proprio piacimento ci tenesse a rammentarmi quanto i poteri della mia specie siano lontani da quelli di un demiurgo.
Fatta eccezione per mia madre io non ho mai avuto affetti e quindi non conosco l’attaccamento né la perdita, non so cosa significhino davvero se non per interposto lutto e indiretta testimonianza. Alla fine ho sempre rivolto gli investimenti emotivi verso di me e questo mi ha messo al riparo dai problemi dell’identificazione, quindi non posso permettermi di scrivere o di dire a qualcuno che “lo capisco”, nondimeno gli auguro ogni bene.

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