Nei rispettivi eccessi e decessi le società umane hanno come fattori comuni la sopraffazione e un sistema di caste più o meno esplicito. In paesi come l’Iran e la Cina i governi reprimono senza scrupoli le audaci proteste dei dissidenti, con buona pace di quello stato di diritto nel cui nome, altrove (come in Occidente), invece si lasciano correre episodi di grave allarme sociale e non viene fatto abbastanza per prevenire atti di criminalità efferata, perlopiù in ragione di una tendenza perdonista secondo cui vittima e carnefice non sono poi così diversi, ma anche per un’ubriacatura dei cosiddetti diritti umani che è cosa altra rispetto a un ragionevole garantismo.
Nel Vecchio Continente non esistono contromisure efficaci per la delinquenza, perciò il crimine autoctono e straniero agisce in maniera sempre più impunita e disinibita, incentivato dalla tenuità delle eventuali conseguenze e, per quanti provengano da paesi severi, anche da un paragone spesso invitante con il sistema penale del proprio luogo natio: insomma, vale la pena provarci a ogni livello. Sotto un certo aspetto cambia poco se un individuo sia un sicario o un semplice vandalo, difatti le sue azioni non gli prospettano mai scenari che egli reputi davvero punitivi e quindi la sua condotta finisce per dipendere da un’etica di cui, evidentemente, manca. A causa di un simile lassismo alla legge ordinaria de facto subentra quella della giungla, un ritorno illico et immediate allo stato di natura, dove si salvi e prevarichi chi può.
La “giustizia” funziona a intermittenza, è una lotteria dalle estrazioni lente, pachidermiche, a cui i meno scafati non possono che rassegnarsi così come si accetta una malattia terminale. È tutto aleatorio e pro forma, perciò la tutela del singolo è delegata ai suoi santi in paradiso, ammesso che ne abbia o possa ingaggiarne qualcheduno.
Di converso i regimi totalitari agiscono in maniera brutale per mantenere lo status quo e talora, sulle ali dell’emotività con cui nel “civile” Occidente (così quest’ultimo si definisce) si apprende ogni genere di efferatezza, viene quasi da giustificarne i mezzi, come se l’essere umano non meriti né possa essere governato altrimenti a causa del suo attuale livello di coscienza.
Credo che ogni comunità umanoide vada pensata a invarianza di odio e punizione, come se qualcuno fosse sempre chiamato a macchiarsi le mani di sangue: nel caso dei regimi totalitari è perlopiù lo Stato, il Leviatano hobbesiano a sporcarsi, in altri luoghi invece anche i normali cittadini possono impiastricciarsi a detrimento dei loro simili. Per quanto si possano edulcorare gli individui con grandi proclami e costituzioni (nate comunque dalla violenza), essi non restano che animali da ripartire in prede e predatori. Ha senso mettere al mondo qualcuno che debba accettare preventivamente tutto questo? Secondo il mio trascurabile parere assolutamente no.
Circa un mese fa ho composto e registrato il terzo brano di un mio umile progettino musicale che risponde al nome de Il nipote di Franca e con somma euforia, senza celare l’ottimismo da cui sono pervaso, l’ho intitolato Entusiasmi da eutanasia.
Come al solito la mia parte preferita è l’assolo di chitarra benché io non abbia la tecnica di uno shredder. Il testo invece l’avevo scritto per un’altra cosa e ne ho adattato la metrica. Adoro le possibilità offerte dagli strumenti virtuali e i suoni che posso ricavarne, perciò mi dedico a queste cosette autoreferenziali che pubblico solo quando scatti in me lo spontaneo desiderio di riascoltarmele.
Non ho tenuto fede alle buone premesse che ho raccolto con la vittoria alla maratona di Pescara e il quarto posto, la settimana successiva, a quella di Forlì, difatti poi mi sono visto costretto al ritiro per due volte di fila sulla distanza regina, rispettivamente a Parma e a Ravenna. Credo che quest’anno mi siano mancati i chilometri preautunnali, difatti con il caldo anomalo dell’estate non sono riuscito a macinare il volume necessario per ambire a certi risultati cronometrici.
Ho all’attivo quarantadue maratone, tutte sotto le tre ore, ventinove sotto le due ore e cinquanta minuti, sedici sotto le due ore e quarantacinque minuti e tre sotto le due ore e quaranta minuti, vari podi, due modeste vittorie più tutto il resto nelle gare brevi e nelle mie sette ultramaratone, ergo posso trovare lo stimolo agonistico solo in un netto miglioramento: in ragione di tutto questo mi sono ripromesso di non partecipare più a nessuna manifestazione fino a quando, in allenamento, non riuscirò a correre molto vicino al mio record personale di maratona. Chissà, può darsi che io abbia chiuso con l’agonismo, ma se anche questo fosse il caso di certo continuerei a correre per stare in forma.
Spero di riuscire a fare progressi notevoli da sottoporre alle dovute prove entro febbraio: la voglia e l’entusiasmo non mi mancano. Sono consapevole di come io ancora non abbia espresso tutto il mio potenziale nella corsa, ma riuscire a farlo non è cosa semplice e al contempo si prospetta avvincente. Ho avuto molte piccole soddisfazioni in ambito podistico, tuttavia ancora mi piace la dimensione giocosa che contraddistingue il mio approccio alla disciplina e anche per questo motivo non temo il carico psicofisico da sostenere nel tentativo di battere me stesso.
Gli orsi non esistono di Jafar Panahi
Pubblicato martedì 8 Novembre 2022 alle 01:36 da FrancescoNel novembrino pomeriggio della scorsa domenica mi sono infilato dentro un piccolo cinema di Grosseto per vedere un recente e premiato film iraniano, Gli orsi non esistono, ultima fatica di Jafar Panahi. Di norma non amo molto il metacinema benché in suo nome siano stati realizzati dei capolavori, ma in questo caso l’ho apprezzato in quanto mezzo e non fine, difatti la storia di un film dentro a un film è funzionale al messaggio di opposizione al regime di Teheran e non si arena nel pur nobile esercizio di stile. A mio parere quest’opera rientra tra quelle che più di altre richiedono allo spettatore uno sforzo di attenzione nei suoi tempi dilatati, ma per me l’impegno risulta spontaneo e non si fa mai gravoso.
Nella narrazione viene dato conto di due mondi apparentemente agli antipodi: da una parte c’è il protagonista, ossia un regista abbiente e metropolitano che possiede auto, fotocamere e soprattutto una coscienza politica; dall’altra gli autoctoni del viaggio al confine con la Turchia dove egli dirige le riprese del proprio film da remoto: ivi si trovano individui ancorati e mossi da quei retaggi e da quelle scale di valori con cui deve fare i conti anche il primo ancorché per ragioni diverse e con una differente consapevolezza.
Per me la carta dell’impegno civile non gioca alcun ruolo, infatti non opero una divisione tra buoni e cattivi, bensì sono i ritmi del racconto, i dialoghi, gli espedienti da metacinema, le soggettive e tutta la messa in scena che secondo me rendono il film riuscito ed esauriente. Forse gli orsi non esistono in questa diegesi, ma di sicuro a quelle latitudini esiste del buon cinema che riesce ancora ad arrivare in Occidente.
Manuale del film di Gianni Rondolino e Dario Tomasi
Pubblicato lunedì 24 Ottobre 2022 alle 22:13 da FrancescoIn illo tempore mi ripromisi di approfondire il linguaggio cinematografico, difatti sapevo che se avessi maturato una fruizione più consapevole della settima arte avrei finito per apprezzare maggiormente la stessa: così è andata appena ho smaltito letture saggistiche per me prioritarie e, talora, più “pragmatiche”.
Avevo bisogno di qualche mezzo che mi permettesse di rendere meno soggettiva la mia esperienza di spettatore: alla fine ho scelto Manuale del film di Gianni Rondolino e Dario Tomasi per affinare un po’ il mio gusto e sviluppare un senso critico con un minimo di fondatezza.
Da queste trecento paginette assai utili, le quali comunque non possono di certo considerarsi esaustive, ho attinto spunti per visioni inedite oltre alle nozioni di cui ero alla ricerca. Secondo me è un testo ben fatto, mai prolisso ed esemplificativo al giusto grado.
Immaginarsi a prescindere dall’immaginazione
Pubblicato lunedì 17 Ottobre 2022 alle 15:02 da FrancescoLa realtà si frappone fra i soggetti e le interpretazioni che i secondi dànno della prima, perciò le cose in quanto tali non aderiscono quasi mai agli arbitrari stampi delle altrui aspettative e da questa frequente incompatibilità, a mio parere, scaturiscono i molti mali degli individui e delle masse. È un meccanismo facile da riconoscere, ma forse arduo ne è il sabotaggio giacché esso definisce i rapporti tra le persone e le astrazioni che ne fanno da collante, perciò ogni serio tentativo di alienarsene implica la rinuncia a delle sovrastrutture sociali le quali, invero, io reputo del tutto sacrificabili. Per paradosso simili intuizioni sono contrarie all’intuito ed è giusto che siano sottoposte a un esame costante anche da chi decida di perseguirle per il proprio bene o per la strenua ricerca di un innalzamento che esuli da gerarchie e riconoscimenti.
Secondo me l’unico approccio salvifico all’esistenza, qualunque cosa ciò significhi, è descrittivo e, per quanto possibile, si pone al di là delle bene e del male per eludere tali categorizzazioni quando non siano strettamente necessarie. Scrivendo di codeste cosucce mi tornano alla mente le parole che pronuncia il personaggio di Steiner ne La dolce vita felliniana, ossia quand’egli solo nella penombra e vicino a una finestra dice a se stesso: “Bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell’armonia che c’è nell’opera d’arte riuscita, in quell’ordine incantato. Dovremmo riuscire ad amarci tanto da vivere fuori del tempo, distaccati… distaccati”.
Come si può obiettare alcunché a una simile lucidità? Di contro (in tutti i sensi) questa presa di coscienza può risultare troppo, un peso soverchiante, una pressione eccessiva per quanti non sappiano conviverci e si ritrovino incapaci di contenerne le possibili e pericolose degenerazioni.
Una vittoria inaspettata in quel di Pescara
Pubblicato giovedì 6 Ottobre 2022 alle 13:50 da FrancescoIn questo brevissimo filmato riassumo quanto è accaduto alla Maratona di Pescara (la mia quarantesima gara sulla distanza regina) che ho corso e vinto il due ottobre.
L’intenzione precipua era quella di sfruttare l’evento per correre un allenamento lungo di qualità sotto le 2 ore e 50 minuti, poi per l’eterogenesi dei fini c’è scappata la vittoria in un modestissimo (in termini assoluti) ma per me soddisfacente 2 ore 45 minuti 39 secondi (3’56″/km), complice anche un errore di percorso toccato in sorte a chi è stato in testa fino al ventitreesimo chilometro. Conosco il feeling.
Ho cercato il cambio di passo dopo trentottomila metri e mi è andata bene. Giacché la gara è conosciuta come D’Annunziana, sul podio ho avuto la tentazione d’intonare un “eja eja alalà” che il vate riportò in auge dal mondo classico, ma per amor di patria ho lasciato perdere!
La quiete prima della tempesta o viceversa
Pubblicato martedì 4 Ottobre 2022 alle 22:04 da FrancescoLascio il disincanto a briglie sciolte in modo che serpeggi ovunque e non faccio credito ad alcuna speranza. Prediligo la bicromia agli stolidi pastelli degli utopisti impenitenti. Ogni parola porta in dote i nascosti propositi del fraintendimento e deflagra insieme alle sue omologhe in discorsi che si esauriscono nei propri boati, in quel rumore di fondo a cui taluni attribuiscono i crismi del dialogo. Cosa c’è mai da ricordare che non valga la pena di lasciare in balìa della dimenticanza, inesorabile esito d’ogni cosa? Quale urgente domanda v’è da formulare che non sia destinata a rimanere orfana di risposta? Il logos si qualifica come pour parler e ogni cosmogonia è il riassuntino dell’eterno ritorno. In quanto essere umano sono chiamato a rapportarmi con le buone e le cattive maniere della specie, tuttavia posso provare ad affrancarmene nella misura in cui tale arbitrio sia permesso dalla mia volontà e questa, a sua volta, riesca a scavalcare un po’ se stessa. Il resto si presta perlopiù a frasi di circostanza e a circostanze sulle quali talvolta grava l’assenza di qualsiasi parola.
Per quanto paragoni e confronti siano possibili o accettabili, dal mio trascurabile punto di vista la fantasia è inferiore e subalterna rispetto alla realtà, difatti un adagio vuole che la seconda superi sempre la prima, ma le riconosco comunque un’utilità come strumento di (ri)creazione nell’effimera ora dell’esistenza. Ribadire simili ovvietà mi rasserena e mi fa apprezzare il sollievo per ciò che vado negandomi o al quale non conferisco il peso comune dell’altrui metro. Si rischia di scivolare e cadere su certe scale di valori, ma ne esistono anche di mobili sulle quali tutte le cose restano statiche fino ai rispettivi e inevitabili deperimenti.
Le recenti elezioni mi hanno divertito oltremodo in quanto hanno reso intolleranti certi individui verso quegli stessi meccanismi democratici dei quali costoro non mancano mai di dichiararsi indefessi guardiani e paladini. Io ho preferito tenere pulita l’anima e quindi ho disertato il seggio giacché reputo il voto un rito pro forma, una superstizione novecentesca, un concorso a premi senza jackpot; inoltre il completamento dei timbri sulla scheda elettorale non dà diritto manco a una radiosveglia né a un qualunque altro gadget da collezione. Cui prodest?
Capisco gli ingenui entusiasmi di quanti si spendano nell’agone politico, mossi dalla parodia del civismo e da un particolare impegno, tipico di chiunque sappia ancora illudere e illudersi, perciò è nell’ordine delle cose che simili persone credano e si battano per innalzare il proprio castello di carta o per minare le fondamenta di quello rivale. Al contempo comprendo perfettamente il feroce disincanto di coloro che osteggiano le elezioni e le denigrano a ogni piè sospinto, ma dal mio punto di vista il modo migliore per non farcisi il sangue amaro consiste nel considerarle un divertissement e niente di più. Può darsi che la democrazia allo (e nello) stato attuale sia davvero il minore dei mali, ma allora non oso chiedermi quale si configuri effettivamente come quello peggiore. Nell’ultima imbarcata di candidati, partiti e circhi vari, la libertà di scelta mi è sembrata assente proprio come nelle precedenti occasioni, ma almeno è rimasto l’imbarazzo della scelta nel senso che ogni possibile scelta poteva avere come unica conseguenza quella dell’imbarazzo. Perché mai sporcarsi le mani e, come già scritto, l’anima? Per me prevenire è meglio che curare e astenersi è meglio che incollerirsi.
Non so se esista davvero una parte giusta, il bene assoluto, ma tendo a credere che spesso tale espressione sia utilizzata in modo improprio per indicare una convenienza materiale, ideologica, identitaria, affettiva, insomma la mendace traduzione di istanze egoiche nelle svianti pretese di un falso altruismo: la solita merda da umanoidi.
Nonostante il livello del mare s’innalzi qualcuno non sa quali pesci pigliare e dubito che tale inazione dipenda da una coscienza vegetariana. Ormai per apparecchiare l’ultima cena nessuno può escludere di mettere sul tavolo l’opzione nucleare, difatti chiunque osasse prodursi in una simile omissione verrebbe meno al bon ton del suicidio di massa: prima il dovere e le buone maniere, poi i (dis)piaceri delle loro conseguenze più nefaste.
Nel libero mercato, il quale è un mercato nero di cui le cronache del medesimo colore forniscono quotidiani ed efferati racconti, la vita ha scarso valore e può essere scambiata con ogni cosa laddove la violenza si faccia puntuale intermediaria. Dall’ultima e squallida rissa tra ubriachi fino ai missili balistici, tutto testimonia contro l’umanità affinché essa stessa si… deponga.
Se le parole non fossero per uso personale, se esse non avessero altra funzione oltre a quella di articolare i propri pensieri e sapessero assolvere un compito dialogico, allora la diplomazia avrebbe un altro nome e ogni suo impiego non potrebbe che produrre accordi perfetti, ma la realtà è scandita dalle dissonanze e sulle lingue babeliche, le quali incidono tutt’al più sulla forma, gli istinti e le pulsioni hanno la meglio e talora si servono delle prime per giustificare ciò che quegli ammassi di suoni e segni non sanno né possono affrontare sul piano sostanziale.
Mi viene da pensare che le atomiche siano come le ciliegie: una tira l’altra. Quale forma verrà data alle macerie e cosa dovranno rappresentare alle totali assenze che ne saranno uniche e possibili spettatrici? Forse una guerra nucleare più che come un problema può configurarsi quale soluzione finale. La violenza chiama violenza perché il genere umano le fa eco e d’altro canto come si può escluderla quando è stata, è ed destinata a rimanere la forza trainante delle grandi disuguaglianze tra simili che definiscono la realtà antropica?
Non so chi abbia doti taumaturgiche né conosco il distributore italiano di bacchette magiche, perciò mi limito a un approccio descrittivo e non anelo nulla di diverso da ciò che dev’essere. Per una volta saranno i funghi (atomici) ad anticipare le piogge (radioattive).