Recentemente ho speso alcune parole sulla mia serenità e mi accingo a spenderne altre per fornire alle mie letture future una descrizione più dettagliata del mio equilibrio interiore. Nel corso degli anni la mia introspezione è stata piuttosto laboriosa e attraverso la scrittura ho fatto emergere i travagli dei miei pensieri. In questo arco di tempo ho vissuto dei momenti estatici e ho superato i periodi cupi, ma questa alternanza emotiva si è verificata sempre in seno alla solitudine ed è grazie a quest’ultima che ho compiuto progressi importanti per me stesso. Passo dopo passo ho stabilito una sorta di autarchia interiore e ho imparato a fare meno di tutte quelle forme di appagamento che derivano dall’approvazione altrui, ma allo stesso tempo ho evitato accuratamente qualsiasi forma di misantropia per non denigrare i miei simili. Faccio parte di una società e mi avvalgo di alcuni dei suoi mezzi, perciò non la critico ossessivamente per sentirmi estraneo alle sue regole e se mi comportassi diversamente aumenterei a dismisura la quota della mia incoerenza. Mantengo le distanze da alcuni aspetti del mondo che mi circonda e riesco a compiere facilmente alcune rinunce per salvaguardare me stesso. Credo che nel migliore dei casi una pioggia di accuse continua e gratuita a verso i propri simili possa essere una valvola di sfogo, ma dubito che quest’ultima sia in grado di favorire l’evoluzione personale. Oggi la mia serenità è solida e i suoi momenti deboli sono meno intensi, inoltre si verificano a intervalli di tempo sempre più grandi e dunque posso ritenermi soddisfatto del lavoro che ho svolto finora su me stesso. In passato ho trascorso dei giorni tremendi per fronteggiare la discrepanza che vigeva tra le mie intenzioni e i risultati insoddisfacenti che conseguivo. In certe occasioni ho criticato me stesso oltre il dovuto e altre volte sono stato troppo indulgente, ma suppongo che questi siano gli errori di chiunque interpreti male lo zelo dell’autodisciplina. Penso che qualunque cosa sia criticabile e trovo che molte critiche siano opinabili, ma io ho sempre aspirato ad avvicinarmi il più possibile a un giudizio oggettivo e ritengo che quest’ultimo sia più semplice da applicare sulla propria esistenza qualora non si abbia paura di versare dei tributi spaventosi che talvolta sono richiesti dall’imparzialità. Ogni tanto formulo qualche opinione su temi di rilevanza sociale, ma spesso accompagno queste esternazioni con un aggettivo: “trascurabili”. I meccanismi che regolano l’umanità sono più complessi di quanto possa emergere da un discorso qualunquista che si innalzi verso le nubi dai tavoli di un bar, perciò mi dedico con attenzione a questi argomenti ogniqualvolta convergano con la mia introspezione e in tutti gli altri casi non mi cruccio su analisi di questo genere perché non sono un politico né ricopro un ruolo che mi obblighi a prendere delle scelte responsabili per altri gruppi di esseri umani. Per raggiungere un certo distacco da alcune cose ho ridimensionato il mio Ego in un modo abbastanza truce e l’ho fatto tramite la derisione del mio pene. Il fallo non è importante a meno che qualcuno non aspiri a diventare una grande testa di cazzo, perciò l’ho ridicolizzato in privato e in pubblico per negargli qualsiasi valenza. Ovviamente la mia serenità non è qualcosa di astratto né è il frutto dell’autosuggestione altrimenti avrebbe avuto una durata molto breve e le sue carenze si sarebbero già manifestate alle mia attenzione, bensì si tratta di un risultato che ho raggiunto a seguito dell’iter che ho sintetizzato parzialmente in queste righe. Sebbene io sia sereno ciò non vuol dire che dove io metta piede nascano le margherite né tantomento ciò significa che la mia serenità corrisponda a un atteggiamento accondiscendente e buonista nei confronti del mio prossimo. Mi sento bene quando sono calmo e mi sento allo stesso modo quando gli eventi mi portano a incazzarmi, ma in quest’ultimo caso sembra che la mia serenità sparisca temporaneamente perché in tali circostanze non si palesa all’esterno. Credo che alcune persone non riescano a comprendere che il concetto di serenità non è soltanto quello che loro hanno in mente e forse ignorano che ne esistano altre varianti, perciò non mi stupisco che ogni equilibrio interiore possa essere messo in discussione dalle parole e fortunatamente so che su qualsiasi espressione autentica della personalità non può incidere verbo alcuno. Non riesco a capire come taluni pretendano d’insegnare a qualcun altro ciò che quest’ultimo può apprendere soltanto da se stesso. Io ammiro le persone che costruiscono da sole ciò da cui poi vengono animate e sono consapevole della loro esistenza anche se non sono in grado di riconoscerle, perciò a costoro tributo la mia stima. Penso che la vita sia stupenda e la mia affermazione non ha bisogno di soddisfare l’esigenza naif che secondo taluni dovrebbe legittimarla. Non è facile sentirsi completamente appagati e l’indole umana cerca sempre qualcosa di nuovo per fuggire dall’ombra della morte, ma io non voglio nulla di ciò ed è per questo motivo che riesco a muovermi nel vuoto con la familiarità con cui certi mammiferi attraversano gli oceani.
Appunti ulteriori sul tema della serenità
Pubblicato venerdì 25 Luglio 2008 alle 06:16 da FrancescoOgni tanto la collera e le esternazioni irose consentono alla mia serenità di assumere un aspetto umano, ma le controversie che mi riguardano e il modo in cui le affronto sono cose di poco conto alle quali riservo l’attenzione che reputo opportuna. Non desidero nulla in modo smodato perché mi sento piuttosto appagato. Negli ultimi anni alcune necessità apparenti sono cadute dai rami dei miei bisogni e il loro impatto con il suolo non ha prodotto rumore. Le mie parole non contengono nulla di esoterico e sono tanto distanti da ogni forma di spiritualità quanto lo sono io. Sento una gioia profonda dentro di me, tuttavia non sono in grado di descriverla adeguatamente. Il mio presente è immerso nel vuoto, ma quest’ultimo non è una fonte di tristezza ed è fondamentale che io spenda qualche parola per contenere la portata di ogni fraintendimento futuro. Le mancanze affettive, la nostalgia per un passato apparentemente migliore, l’assenza di un riferimento e il pensiero ricorrente della morte sono alcune parti del vuoto a cui mi riferisco, ma credo che queste condizioni non siano necessariamente le fondamenta dell’infelicità e vedo in loro lo stesso potenziale che spesso è più facile riscontrare nelle rispettive controparti. Se la mia vita fosse stata radicalmente diversa forse non avrei visto alcune cose e con questo non oso affermare che certe prospettive possano essere raggiunte soltanto attraverso l’isolamento, ma io probabilmente non ci sarei riuscito in un’altra maniera e sostengo questa ipotesi sulla base di quanto conosco della mia persona. La mia indole non mi consente di accontentarmi e in parte ne sono felice, ma la mia soddisfazione ha già raggiunto un grado elevato e mi sforzo di preservarla invece di arricchirla secondo i ritmi parossistici che sono richiesti dal lato più ingenuo della mia interiorità. Conosco buona parte dei meccanismi che regolano il mio comportamento grazie una gavetta intensa, tuttavia mi rendo conto che una conoscenza di questo tipo possa essere riconosciuta soltanto da chi la consegue e la esercita poiché neanche quest’ultimo è sempre in grado di certificarla con tutti i crismi di una introspezione imparziale.
Riservo lo stesso trattamento a tutte le parole e per questo motivo credo che la mia indifferenza sia democratica. Cerco di rispettare il vuoto nel quale mi trovo a mio agio e rimprovero ogni parte di me che tenti di riempirlo per viziare il mio Ego. Ripudio ogni reputazione che abbia il compito inderogabile di presentarmi agli occhi degli estranei con troppa benevolenza o con demeriti eccessivi, ma salvaguardo ciò che essa nasconde sotto le sue sembianze deformi. Appartengo alla società umana e non la rinnego mai, tuttavia mi tengo a debita distanza da alcune delle sue espressioni e di tanto in tanto presenzio al suo interno per non assentarmi completamente dalla realtà che mi circonda. Scarico la mia frenesia comunicativa nella scrittura e nei monologhi impercettibili che recito a me stesso senza preavviso. Non mi curo dell’opinione altrui perché essa non può curarmi dai mali che dipendono dai miei moti interiori, ma non commetto mai l’errore di considerarmi al di sopra di tutto ciò che non mi interessa e agisco in questo modo per tutelarmi contro gli errori del mio giudizio invece di farlo per nutrire una modestia narcisistica. Talvolta sono sgarbato e irruento, ma penso che sarei molto più sgradevole se accettassi di partecipare a certi eventi per salvaguardare la mia affabilità apparente. Sono consapevole delle impressioni erronee che possono emergere dalle mie scelte e dalle azioni con cui le confermo, ma non mi preoccupo della forma quando quest’ultima non sia conciliabile con il contenuto. I miei atteggiamenti non sono snobistici e altezzosi, ma capisco che possano essere percepiti in questo modo e sono indulgente con gli effetti che vengono prodotti da queste sensazioni erronee. Non voglio che qualcuno cerchi di comprendermi per fraintendermi, ma sono io che ho bisogno di approfondire ulteriormente la conoscenza di me stesso per invalidare qualsiasi spiegazione fallace che provenga dalle mie valutazioni sbagliate o da quelle di chiunque si ritrovi a relazionarsi con me.
Oggi compio ventiquattro anni e ne sono contento. Mi trovo in perfetta sintonia con la mia età e sono soddisfatto di quanto ho ottenuto finora nella mia vita, tuttavia capisco che a uno sguardo estraneo il mio raccolto esistenziale possa sembrare esiguo. Sono a mio agio in mezzo al tempo e per quanto io mi sforzi non riesco a immaginare qualcosa che possa turbarmi seriamente. Spero che la mia serenità non venga mai messa alla prova da un incidente grave né da una malattia incurabile, ma sono pronto a fronteggiare queste evenienze lugubri. Cerco di guardare la realtà da una prospettiva asettica e quanto scorgo dalla feritoia del mio cerebro mi consente di riflettere adeguatamente su ogni cosa che mi riguardi. Non bramo una rivelazione inimmaginabile e riesco a dormire bene senza badare alle forme illusorie di una verità presunta. Il mio benessere è impagabile e proviene da una sforzo costante grazie al quale sono in grado di tenermi in equilibrio sopra gli eventi che transitano a distanze e velocità diverse nei pressi della mia sfera personale. Impongo a me stesso ciò che voglio e questa dittatura benevola mi guida verso quella parte del futuro che appare puntualmente dopo ogni battito fugace del presente. Ci sono cose che non conosco e probabilmente alcune di esse non le conoscerò mai, ma preferisco annoverare un’esperienza in meno nel mio bagaglio esistenziale piuttosto che viverla forzatamente per accontentare la curiosità. Ventiquattro anni sono pochi e ne voglio di più, ma non ho fretta e posso aspettare. Credo che la vita sia più bella di quanto l’indolenza disfattista della pigrizia interiore faccia pensare. Il mio respiro perdura ed è alimentato da una forza adamantina che non si lascia connotare per ringalluzzire la vanità intellettuale. Happy birthday to me.
Rilettura aperiodica e fondamentale
Pubblicato domenica 11 Maggio 2008 alle 20:15 da FrancescoDi quando in quando ho bisogno di valutare il mio lavoro introspettivo per proteggerlo dalle trappole degli automatismi riflessivi. Ormai ho una buona conoscenza di me stesso. La costanza del mio equilibro dimostra che il boom del mio sviluppo interiore è passato da un po’ di tempo, ma questo rallentamento evolutivo è un bene per il prosieguo della mia esistenza e costituisce un ritmo migliore che mi solleva dai compiti incalzanti di un recupero temporale: non devo più colmare certe lacune e non mi sento più obbligato a chiarire alcune questioni trascurabili. Anche se tutti i miei scritti andassero persi il loro valore personale resterebbe ugualmente dentro di me. I caratteri che dissemino lungo i giorni acquisiscono un’utilità fugace nel momento in cui articolano sensatamente la mia autoanalisi e muoiono subito dopo l’ultimo segno di interpunzione. Le parole che appesantiscono queste pagine sono rovine semantiche e credo che uno sguardo esterno possa coglierne prevalentemente la forma. In termini agricoli i miei scritti sono semine puntuali e le loro riletture aperiodiche sono raccolte efficaci, tuttavia ciò che ottengo a distanza di mesi o anni dal termine della mia scrittura è un frammento immobile che non sottostà alla percezione soggettiva del tempo e per questo motivo ho affermato precedentemente che l’utilità di ogni manifestazione della mia profusione testuale nasce e muore tra il debutto istantaneo della sua prima lettera e l’apposizione altrettanto fulminea dell’ultimo punto. La mia ventiquattresima primavera s’avvicina, ma la sua venuta non è anticipata dal germoglio dei dubbi né dalla fioritura dei timori. Sono pronto ad accogliere la mia nuova età con tutti gli onori che merita. Il mio stato d’animo è ancorato al largo e qualche volta mi trattengo davanti a uno specchio per ammirare la sua stabilità, ma è destinato ad andare in frantumi per rinnovarsi con le migliorie dell’esperienza. Conosco il processo della mia crescita interiore e di conseguenza non temo gli sbalzi d’umore né gli avvicendamenti della sorte.
La solitudine è una compagna fedele e un’insegnante impeccabile, ma credo che per apprendere le sue lezioni sia indispensabile accettare il metodo con cui ella le impartisce. Chi è estraneo a una certa parte della società tende a stigmatizzare quest’ultima per rafforzare le sue convinzioni, ma io ritengo che una condotta simile provochi semplicemente una perdita di tempo e penso che sia più importante utilizzare i giudizi personali per esaminare le matrici da cui derivano le proprie azioni. Talvolta anch’io mi lascio trascinare dal piacere di una critica inutile e aspra verso questioni che catalizzano il mio interesse soltanto per la facilità con la quale si prestano a un giudizio negativo, ma quando mi rendo conto di questo inganno provvedo a rimproverare la mia ingenuità e taccio. Credo che una stroncatura gratuita sia una catarsi controproducente e la reputo una conseguenza comune nell’ambito di un egocentrismo sterile. È difficile sottrarsi alle inezie quotidiane per elevarsi sul piano aulico del vuoto esistenziale ed è altrettanto arduo rivendicare la propria libertà attraverso il ricorso paradossale ad alcune rinunce, ma io non conosco un’altra via per resistere a quanto si oppone alla bellezza nella sua accezione più profonda e non nego che gli ostacoli ripetitivi di questa impresa mettano a dura prova la sopportazione umana. Suppongo che non sia fondamentale un abbandono radicale del mondo per guardare negli occhi la precarietà della propria vita e iniziare ad amarla in un modo diverso dai dettami ordinari, ma credo che questo fine meraviglioso debba essere perseguito in seno alla società in modo tale che risalti maggiormente ai propri occhi e segua un percorso più formativo quanto possa essere uno scenario bucolico. Non ho mai smesso di pensare che la cultura sia accessoria e vanagloriosa sebbene io tenti di accrescerla per esercitare la mia volontà: lodo ogni azione silente che porti a termine i compiti dell’introspezione. Non intendo sposare una causa diversa da quella che mi impegna nella salvaguardia e nel progresso della padronanza di me, ma allo stesso tempo non la considero il centro della mia esistenza per evitare che assuma delle dimensioni spropositate ed è per questo motivo che le dedico soltanto una parte delle mie energie.
Ogni tanto i giorni si dileguano insensatamente attraverso gli spiazzi della quotidianità e in quei momenti ho l’impressione che il tempo scivoli dalle mie mani, ma la visione ipotetica del futuro non riesce ad alterare il controllo che esercito sulla mia vita e per questo motivo, nell’arco delle ventiquattr’ore giornaliere, non mi limito a respirare. Non voglio lezioni di storia da qualcuno che non sia in grado di scrivere la propria e mi basta una parola per riassumere quanto ho appreso finora: “Silenzio”. La mia età è friabile, ma io sono ancora intatto e durante la notte mi rinsaldo con la fiamma dell’elucubrazione. Non sono esente dai desideri complementari e rifiuto l’immunità emotiva perché non voglio disumanizzarmi, ma per questa presa di posizione ricevo innumerevoli sferzate dall’assenza passionale e ne mostro i segni senza imbarazzo perché ritengo che l’omertà interiore possa creare una connivenza pericolosa con la frustrazione. La mia serenità affonda le radici nella sua antitesi, ma non è inquinata dal malessere ed è attraversata da una linfa benevola grazie alla quale riesce a ramificarsi nella consapevolezza delle mie azioni. La giovinezza mi lancia regolarmente un ultimatum fasullo, ma il suo bluff non può convincermi e inoltre lo trovo ridicolo. Non relego i miei pensieri su me stesso e talvolta plano platonicamente sopra un continente indigente per rammentare alle mie idee che altrove il sole e l’acqua non sono semplicemente allegorici, ma i miei voli pindarici non avvengono sulle ali del pietismo e non rasento mai le utopie. Cerco stimoli edificanti dove non cresce nulla e brandisco la mia indole per difendermi dal surplus della pochezza.
Secondo l’opinione illuminata di qualcuno io spreco la mia vita: ritengo che questa valutazione dozzinale possa essere uno spunto di riflessione. Le parole non riescono a intaccare la mia indole resiliente, ma talvolta la loro dissonanza con la realtà riesce a strapparmi un sorriso. Nel bene e nel male la mia esistenza è un po’ sui generis, perciò si presta piuttosto facilmente alle analisi improbabili di qualche pensatore annoiato. Ogni tanto provo a guardare la mia vita con distacco e mi rendo conto che possa apparire grigia benché non lo sia, perciò comprendo parzialmente chiunque la consideri in modo negativo. Suppongo che la serenità non sia opinabile e ritengo che solo il diretto interessato possa sapere se faccia parte della sua vita. Credo che alcune persone mi ritengano un disadattato a causa della mia assenza dalla vita sociale e concorderei con loro se quest’ultima fosse dettata da una patologia psichiatrica, ma nel mio caso si tratta di una scelta consapevole e reversibile. I miei bisogni non combaciano con il cliché giovanile e non sottolineo questa particolarità per darmi un tono, ma penso che si tratti di un punto fondamentale per capire la genesi di certe incomprensioni. Le valutazioni avventate non hanno un contenuto utile, ma stimolano ugualmente l’introspezione. Oggigiorno mi sforzo di reprimere qualsiasi giudizio sommario per conservare la parte migliore di me e il silenzio mi aiuta molto in questo compito, ma non svaluto le prime impressioni e le reputo importanti. Non voglio diventare un habitué della superficialità e penso che due pesi e due misure siano ingombranti. Le critiche pressappochistiche servono soltanto a placare le insicurezze di chi le esterna e credo che ogni individuo equilibrato palesi la sua condizione senza proferire parola.
Oscillo in silenzio tra il giorno e la notte, ma non m’illudo che il mio moto sia perpetuo e spesso rammento la sua provvisorietà. Non cerco la soddisfazione personale e non ho ambizioni filantropiche, ma la mia forma mentis non confina con l’apatia né con il menefreghismo. Nutro un disinteresse totale nei confronti di molti discorsi, ma presto attenzione al modo in cui vengono modulate le parole che li compongono. Non è la superbia che mi allontana dalle opinioni, bensì la consapevolezza di quanto valga poco ogni parola che non ricalchi la realtà. Freno le mie esternazioni verbali e preferisco annoiarmi in modo genuino ogniqualvolta l’alternativa sia un divertimento fallace. Alcune volte credo che la mia età non mi rispecchi e in altri momenti sorge in me il dubbio che io non sia in grado di rispecchiarmi nella mia età. Sono fiero dell’equilibrio che vige nella mia condotta solitaria e penso che la sua costanza sia indice di serenità, ma non ignoro la bellezza che si trova al di fuori della sua portata e la contemplo da lontano. L’isolamento mi ha rafforzato nei segmenti della mia giovane esistenza e oggi le difficoltà del passato mi sembrano delle inezie, perciò non ho motivi validi per ritenere che alle avversità del presente spetti una sorte diversa. Non ho bisogno di una forma di fiducia sebbene la mia autostima sia alta quanto il tasso glicemico di un diabetico. Non aspetto che una zingara usi le sue carte per giocare d’azzardo sul mio futuro e non cerco una divinazione delfica per ottenere un po’ di conforto inutile. Non temo il futuro malgrado i suoi presagi funesti e la mancanza di questa paura è una delle colonne che sorregge l’equilibrio della mia condizione anomala.
Ultimamente allungo il mio percorso podistico per godermi l’attraversamento di un tratto di spiaggia e di conseguenza concedo al sole possibilità di indorare le mie impronte sabbiose. Talvolta sulla strada del ritorno passo in mezzo a un breve nebbione e per qualche minuto mi sembra di trovarmi in un’atmosfera mistica nella quale vorrei perdermi per diverse ore. Mi piace correre e mi sento appagato quando mi lascio alle spalle un bel novero di chilometri. La fatica salutare concede al corpo l’occasione di giacere in un riposo paradisiaco e l’appagamento che ne segue è una ricompensa abbondante. La solitudine indossa un abito estatico quando mi accompagna nelle escursioni e in quei momenti non posso fare a meno di venerarla come una dea. Penso che ogni uomo ricopra un ruolo fondamentale per il proprio equilibrio e adoro ogni esistenza che presenti delle sfumature stoiche, ma le mie lodi maggiori sono sempre per la vita e per le ambivalenze apparenti che la compongono. Mi sento bene e il mio vigore è stabile. Spero di vivere a lungo, ma anche se dovessi defungere domani o se mi ammalassi gravemente non mi potrei lamentare della mia esistenza. Il passaggio del tempo porta via il mio presente, ma in compenso mi allenta i paraocchi e per questo motivo mi ritengo fortunato. Custodisco qualcosa che non può essermi tolto e che non ha alcuna somiglianza con le fedi flatulenti delle religioni.