Finalmente ho deciso di dare una forma cartacea e digitale a una cosa che ho scritto un po’ di tempo fa: “La Masturbazione Salvifica: Diario Agiografico Di Un Onanista”. Devo premettere che ormai il testo è datato poiché ha già espletato la sua funzione introspettiva, infatti si tratta di un caso di scrittura terapeutica che ho sfruttato per conoscermi meglio. Alcune parti del libro possono risultare imbarazzanti e io stesso le riterrei tali se avessi fallito miseramente il processo di introspezione. Sono uno scrittore mediocre e il mio stile è semplice, tuttavia non ho bisogno di grandi capacità letterarie per lavorare sulla mia interiorità con l’ausilio di penna e calamaio. Sono soddisfatto del risultato che ho conseguito e il carattere obsoleto del contenuto (lo ritengo tale perché dalla prima stesura a oggi il mio insight è aumentato ulteriormente) e la mia mediocrità umanistica non pregiudicano l’importanza che questo libercolo ha avuto per lo studio di me stesso, tuttavia è un aspetto positivo (forse è meglio definirlo “costruttivo”) che a mio avviso, malgrado le prodezze dell’idenfiticazione, non può essere fruibile da qualcun altro a causa del suo tratto intimista e personale. Devo riportare due dati tecnici per chiunque fosse tanto scriteriato da procurarsi una copia cartacea di quanto ho bistrattato presentato finora. Primo: il testo è giustificato e privo di rientri. Secondo: la numerazione delle pagine è interna, mentre di solito è centrata o esterna. Mi auguro che il testo sia scevro di refusi e spero che le mie riletture abbiano estirpato ogni errore. La copia cartacea può essere acquistata a questo indirizzo mentre l’e-book può essere scaricato da qui: le due versioni sono identiche. Sulla copertina sono riportati dei kanji che si pronunciano “dousatsuryoku”, ovvero “insight” in giapponese. Lascerò per un po’ questo appunto in primo piano per evitare di doverlo rivangare successivamente.
Premesse de “La Masturbazione Salvifica”
Pubblicato lunedì 26 Gennaio 2009 alle 15:42 da FrancescoUna corsa imperturbabile verso il pronto soccorso
Pubblicato sabato 20 Dicembre 2008 alle 01:28 da FrancescoIeri sera mia madre ha avuto una reazione allergica piuttosto forte e l’ho dovuta portare al pronto soccorso mentre lamentava difficoltà a respirare, ma il suo malore improvviso non mi ha spaventato e non mi sono scomposto. Ho guidato fino all’ospedale della mia cittadina senza provare agitazione né timore, ma sono stato freddo ed efficiente. Sono contento di essermi trovato in una circostanza del genere poiché ho avuto la possibilità di confermare a me stesso ciò che ho sempre sostenuto sul mio sviluppo interiore e adesso mostro la mia contentezza per questo risultato senza nascondermi dietro alcuna forma di ipocrisia. Ovviamente non desidero che mia madre si senta male e sono pronto ad aiutarla ogniqualvolta ne abbia bisogno, tuttavia ieri sera ho provato una sensazione stupenda perché ho dimostrato a me stesso di non temere la morte. Sono rimasto estasiato dalla mia capacità di estraniarmi interiormente da eventi in cui dovrei essere succube dell’emotività. Forse più che un figlio sono stato un barelliere in fase di pensionamento, ma non vedo nulla di sconcertante in tutto questo: a me non piacciono i cappi né i cordoni ombelicali. Io sono in grado di elevarmi al di sopra di ogni legame emotivo senza pregiudicare la mia sensibilità e finalmente ho verificato in circostanze reali uno degli obiettivi della mia introspezione. Le mie parole non sono più tali, ma sono diventate le gregarie di un dato di fatto e ne sono felice. Quanto ho scritto finora può sembrare cinico e provocatorio, addirittura fastidioso, ma si tratta di un’analisi lucida. Mi fa piacere prodigarmi per qualcuno, ma sono più contento per il distacco che impregna il mio aiuto e penso che quest’ultimo venga impreziosito moralmente dal mio modus operandi poiché rasenta il disinteresse. L’omissione di soccorso è un reato, ma la legge non prevede ancora pene per l’assenza di coinvolgimento o suggestione nei casi in cui un individuo presti assistenza a un suo simile. L’autocontrollo è uno strumento meraviglioso, tuttavia può essere usato anche per bloccare del tutto la propria sensibilità e questo è un pericolo dal quale mi guardo attentamente. Per me le dimostrazioni di affetto non sono debolezze, ma a mio avviso lo possono diventare qualora siano estorte da eventi improvvisi invece di essere esternate con lo stesso vigore nei momenti di quiete. Io non soffro di quell’attaccamento alla madre che specialmente all’estero viene attribuito agli italiani e anche se sono grato a colei che mi ha cresciuto la mia interiorità non dipende dalla sua longevità. Io credo che i legami consanguinei non debbano essere idealizzati né caricati di significati eccessivi e per questo motivo ho affermato in altre occasioni che secondo me la portata reale dei propri sentimenti può essere dimostrata soltanto nel rapporto con un partner o in quelle circostanze che trasformano gli esseri umani in eroi. È molto facile confondere ciò che intendo con un atteggiamento falso o duro, ma il suo punto di forza è la spontaneità e se non fosse così si tratterebbe semplicemente di un meccanismo difensivo della mente per eludere i pericoli di situazioni incontrollabili. Non ho mai amato nessuno, ma so da molto tempo di essere in grado di farlo; non ho mai provato una paura profonda e ieri sera ho capito che posso sostenere molti eventi con agevolezza grazie al mio lavoro introspettivo. L’importanza di questo appunto non si trova nelle parole che lo rendono intelligibile, ma nei fatti che assommandosi mi hanno dato conferme meravigliose.
Ho notato che negli ultimi mesi il tono dei miei appunti è stato più frivolo del solito. Credo che il predominio della leggerezza nei miei scritti sia una prova ulteriore del mio distacco dalle problematiche comuni. Non sento più la necessità di affrontare alcuni argomenti, tuttavia l’assenza di questo bisogno non mi preclude la possibilità di trattare nuovamente quei temi che ho pacificato dentro di me attraverso l’introspezione. I miei giorni trascorrono senza intoppi e la loro vitalità è variabile, ma non scende mai sotto il livello di guardia. Non sono un derviscio e piuttosto che ruotare su me stesso preferisco lasciare ai miei coglioni il compito di girare, ma le polemiche puerili e qualche mia battuta infelice non compromettono la struttura portante della mia esistenza. In passato il mio tallone di Achille era costituito dalle mancanze affettive e in particolare dalla mia estraneità all’amore, ma ho superato questo scoglio anche se la mia vita privata non ha avuto ancora la sua genesi e difficilmente ne avrà una. Per me è stato piuttosto arduo riuscire a impedire che l’assenza di emozioni mutue desertificasse le mie capacità empatiche, tuttavia mi sono lasciato alle spalle anche questo ostacolo e il tempo ha giocato un ruolo fondamentale per l’ottenimento di un simile successo. Le difficoltà appaiono magnifiche quando perdono il loro aspetto spaventevole. La mia lotta interiore è iniziata alcuni anni fa sotto i migliori auspici e penso che ormai si sia conclusa con un vittoria ampiamente prevedibile, ma non ho alcuna intenzione di allontanarmi da tutto ciò che mi ha permesso di superare la selezione naturale dell’interiorità. Non ho bisogno di gustare qualche aspettativa per addolcire il presente, tuttavia il futuro è sempre il benvenuto nel mio microcosmo. Ci sono delle parole che sento profondamente e voglio riportarle per concludere questo appunto. La citazione che segue non proviene da un guru canuto con la barba incolta né da un bohémien, ma appartiene a Franklin Delano Roosvelt: “L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”.
Non riesco a disfarmi della mia scrittura precaria, ma sono in grado di tollerarla. Il modo in cui mi esprimo verbalmente ha una parvenza anaffettiva e talvolta io stesso commetto l’errore di ritenermi un freddo calcolatore. In passato ho creduto che la linearità della mia voce fosse un retaggio dell’introversione pubescente, ma ho abbandonato presto questa ipotesi. Se fossi ancora introverso probabilmente non sarei sereno. Mi piace comunicare e un astrologo non faticherebbe a credermi, tuttavia non sono un individuo propositivo. Non faccio mai il primo passo per interagire con qualcun altro a meno che la casualità non mi metta nelle condizioni di farlo ed è per questo motivo che le mie conversazioni migliori sono avvenute con personaggi strambi in luoghi di transito. Sono abbastanza affabile, ma disprezzo le forzature espansive che vengono perpetrate da chiunque bistratti la solitudine e il silenzio. Non condivido la tratta delle parole che ingrassa le costrizioni relazionali. Per me la contingenza rappresenta una condizione indispensabile per ogni legame interpersonale che non abbia un fine burocratico o di carattere analogo. Amo le cose che esercitano un’azione positiva su di me e in particolare quelle che incontrano l’apprezzamento della mia lungimiranza. Le abitudini salutari del corpo e della mente non coincidono necessariamente con la comodità o la soddisfazione immediata, ma rivelano nel corso del tempo i loro effetti positivi e io le coltivo con piacere perché non vedo alternative valide. Qualcuno può temere l’isolamento e reputarlo terribile, ma io credo che sia un trampolino di lancio, una cazzo di Cape Canaveral da cui è possibile raggiungere punti molto elevati. Respingo a forza di bestemmie le forme impure di gentilezza e tengo a debita distanza coloro che reputo incompatibili. Non dissimulo mai il mio atteggiamento e anche per questo abuso della sincerità ho guadagnato molte antipatie che ancor oggi mi fanno sorridere.
Qualcuno crede che io sia afflitto dalla tristezza a causa delle mie analisi interiori, ma le cose stanno diversamente. Attraverso l’introspezione ho toccato punti molto profondi della mia intimità senza curarmi di eventuali conseguenze. Ho sempre ritenuto che fosse importante liberarmi il più possibile dai condizionamenti esterni e per questo motivo non ho mai avuto problemi ad affrontare argomenti personali, ma questa disinvoltura titanica ha creato un’apparenza cupa sulla mia persona. Non sono un masochista che ama vessarsi con indagini impietose, ma cerco di utilizzare l’introspezione in modo distaccato e razionale per facilitarmi la vita. Non posso avere il controllo su ogni cosa, ma ho la possibilità di aumentare l’emancipazione della mia capacità decisionale dall’impulsività e dai paralogismi. Questo processo non si svolge presso i prati fioriti di Heidi ed è normale che talvolta emergano argomenti quasi imbarazzanti, ma ritengo che in casi simili si veda la volontà di studiarsi. Io tendo verso l’oggettività, ma so che non posso raggiungerla e allo stesso tempo compio sforzi per avvicinarla quanto più possibile. Alcune cose che ho scritto in passato possono sembrare disgustose e altre ingenue, ma io penso che rappresentino le estremità sincere della mia morale. Ho ripetuto altre volte che io non credo nell’amore perché non ho bisogno di credere in qualcosa che esiste e si manifesta senza avalli ulteriori, ma questa posizione può essere ritenuta ingenua da chiunque la interpreti in maniera superficiale. Ciò che viene comunemente indicato come “amore” probabilmente non lo è altrimenti rimarrebbe tale e non provocherebbe reazioni che non lo riguardano, ma per taluni è impossibile ammettere una cosa del genere poiché si tratta di un attentato alle strutture di difesa dell’Ego. Trovo che sia più facile pensare all’amore come qualcosa di elitario, romanzesco o reazionario, ma io che tendo verso l’oggettività non posso fermarmi di fronte agli alibi dell’incoerenza e della paura. Le mie parole non vogliono convincere nessuno, infatti io mi rivolgo sempre ed esclusivamente a me stesso, ma posso conoscermi meglio lambendo alcuni aspetti dei miei simili senza preoccuparmi delle scelte private di costoro poiché non mi competono né possono influenzarmi. Un discorso simile si adatta alle parti più macabre e disgustose della mia scrittura. Io non amo l’horror: lo trovo banale ed estremamente noioso. A me interessano gli orrori reali e per questo a un film come “Begotten” preferisco un documentario sugli esperimenti di Josef Mengele. Il mio approccio nei confronti degli orrori umani non è adolescenziale. Non mi interesso al male per stupirmi o per stupire. A me interessa la realtà e penso che quest’ultima sia più difficile da scorgere attraverso scenari che la alterino, tuttavia non nego che possano avere ugualmente una certa valenza in un’ottica metaforica. Non posso farci nulla se sembro un individuo triste e anche se potessi liberarmi da questa nomea non lo farei perché non è un problema che mi riguarda. Credo che la tristezza sia fondamentale e sono contento di averla sperimentata in passato, ma ho già imparato da lei tutto ciò che poteva insegnarmi e ormai preferisco frequentare i miei risultati positivi. Penso che la comunicazione sia una sorta di selezione naturale che premia chiunque provi ad agire e riflettere abbattendo ostacoli senza il timore dei pregiudizi e dell’imbarazzo.
La mia vita procede bene e il mio equilibrio è ancora intatto, ma prima o poi dovrò affrontare gli eventi ineluttabili del tempo. Non temo il futuro perché conosco alcune cose che mi attendono e mi sono già preparato ad accoglierle. In “La Masturbazione Salvifica: Diario Agiografico Di Un Onanista” ho effettuato qualche volo pindarico sull’avvenire e anche questo ha contribuito a suggellare l’efficacia del mio lavoro introspettivo. Penso che sia fondamentale comprendere la finitezza dell’uomo. Io non sono immortale. Invecchierò, mi ammalerò e lascerò questa valle di lacrime, ma spero che tutto questo avvenga molto tardi perché io amo esistere. È possibile che la mia dipartita venga anticipata da una malattia grave o da un incidente mortale, tuttavia anche in questo caso faccio un massaggio apotropaico ai coglioni e mi auguro che nulla di tutto questo mi accada per il solito motivo: la mia venerazione nei confronti della vita. C’è un’onda d’urto che mi attende nel futuro e si tratta della morte di mia madre. Quando ero un bambino temevo che la mia genitrice potesse defungere improvvisamente ed ero terrorizzato da questa evenienza perché pensavo che nessun altro si sarebbe occupato di me, inoltre alcune storie di cronaca nera che udivo allora contribuivano ad alimentare le mie paure fanciullesche. Ormai sono adulto e vaccinato, ma so che la morte di una madre può avere un impatto emotivo molto forte sui figli e le depressioni profonde di alcune persone mi hanno fornito prove sufficienti al riguardo. Ho forgiato bene alcuni tratti del mio carattere e l’isolamento mi ha permesso di capire che non c’è nulla di tragico nel corso naturale delle cose, ma voglio rinforzarmi ulteriormente e per questo motivo una delle mie prossime letture sarà: “Attaccamento e Perdita. La perdita della madre” di John Bowlby. Il libro in questione è il terzo di tre volumi di psicologia che affrontano il tema dell’attaccamento, della separazione e della perdita della madre. Anche per un profano come me questi testi risultano utili e ho avuto modo di sperimentarne l’efficacia quando ho deciso di cominciare ad articolare la mia introspezione. Fatta eccezione per mia madre, sono abituato a vivere senza legami affettivi e di conseguenza posso elaborare ogni lutto senza troppi problemi. Non vorrei sembrare distaccato e freddo, ma la mia scrittura è monogama e le parole sono puttane. Trovo paradossale e magnifico che la mia ignoranza sentimentale abbia accresciuto la mia consapevolezza esistenziale. Potrei supporre che la sofferenza acuisca la mente e devo ammettere che in alcuni casi condivido questa ipotesi, ma non ho mai subito grandi dolori finora e credo che l’andamento ripetitivo della mia vita sia stato un humus perfetto per la crescita spontanea di una serenità rigogliosa.
Mi sono reso conto che attualmente non ho granché da appuntare su queste pagine e ho deciso di lasciarle impolverare per un po’ di tempo. In questi anni la scrittura mi ha aiutato enormemente, ma ormai il suo aspetto terapeutico è terminato e io padroneggio la mia esistenza con maestria. Avrei voluto utilizzare queste pagine per archiviare alcune annotazioni delle mie letture, ma alla fine ho deciso di non lasciarmi dominare dall’attaccamento affettivo che provo nei confronti di questo spazio virtuale. Credo che il mio lavoro introspettivo abbia dei punti in comune con il fine antropologico di 7up. 7up è un programma televisivo che da diverse decadi segue la crescita di alcune persone e si sviluppa con delle interviste che avvengono ogni sette anni. Il programma sostiene che il futuro dei protagonisti sia determinato dalla loro estrazione sociale, ma questo assunto non mi interessa particolarmente e non lo condivido in pieno. Il mio carattere non è cambiato molto da quando ero un bambino e io mi sento sempre la stessa persona, ma è mutato radicalmente il modo in cui guardo me e le mie azioni. Mi sto allontanando dalla scrittura perché non ne ho più bisogno e non riesco a trarne lo stesso piacere di un tempo, invece la lettura mi aggrada ancora e probabilmente non l’abbandonerò mai. Credo che a suo modo la scrittura sia una forma di rumore e per adesso non ho più voglia di fare chiasso. Ho trovato un luogo ideale per vivere e trascorrerò il prossimo inverno e il resto della mia vita nella campagna che circonda il mio comune. Mi ricongiungerò per brevi periodi al caos cittadino quando deciderò di compiere un viaggio in qualche grande metropoli. La mia vita non è cambiata esteriormente e sono ancora un individuo che abbraccia con passione la propria solitudine, ma la consapevolezza che mi anima è la più grande risorsa di cui io abbia bisogno per campare felicemente. Queste pagine non sono soltanto un documento introspettivo, ma attestano una forma di felicità che è alla portata di chiunque e rappresentano un manifesto personale che non può essere intaccato dalle mie menzogne né da quelle di terze persone. Immagino che questa scelta faccia parte di un meccanismo ciclico, perciò in futuro mi aspetto di scrivere nuovamente con la costanza che mi ha contraddistinto in passato. Ho demolito buona parte del mio Ego e non mi resta che salire sulle sue rovine per respirare un’aria nuova. Non voglio nulla di particolare e continuo a sentirmi bene. Sono lontano da ciò che allontana dalla serenità e intendo accentuare la mia posizione eremitica. Adesso è il turno del silenzio, ma anche quest’ultimo avrà una fine.
L’istinto di conservazione mi ha spinto a praticare l’introspezione e mi ha permesso di migliorare la qualità della mia vita. Talvolta intravedo un po’ di morbosità nel mio atteggiamento intimistico, ma suppongo che quest’ultima in realtà sia la conseguenza dell’isolamento volontario nel quale trascorro buona parte del mio tempo. Mi piace la comunicazione, ma prediligo le conversazioni surreali che nascono spontaneamente. Non amo le grandi compagnie, ma adoro il caos urbano delle megalopoli perché produce in me un’alienazione particolare. Mi piace trovarmi da solo in mezzo a un melting pot. Certe persone scambiano l’introspezione per qualcos’altro e la usano come scusante per dispensare lezioni di vita senza che nessuno ne abbia mai sollecitato la declamazione. Non ho nulla da insegnare e ciò che devo apprendere ha una radice endogena, perciò non mi concedo neanche l’illusione di imparare da qualcun altro ciò che mi riguarda. Apprezzo i monologhi e parlo spesso con me stesso. Trovo imbarazzanti i discorsi filosofeggianti che abbiano come fine precipuo la soddisfazione egoistica dei partecipanti. Non gradisco le contese verbali perché spesso sono patrocinate dalla vanità intellettuale. Ognuno creda ciò che vuole e affermi qualunque cosa o il suo contrario. Verba volant; e per fortuna abito in una zona che è soggetta ai venti. La mia introspezione non è costituita dall’ammasso chilometrico di appunti che ho prodotto in questi anni né dai pensieri che accentuano la costanza delle mie sensazioni piacevoli. La mia introspezione non è tangibile, ma è qualcosa che mi tange perché al di là di ogni frase criptica io sono un individuo pragmatico. Non mi lascio contaminare dai facili entusiasmi né dai condizionamenti negativi delle delusioni estranee. Misuro il mio operato interiore durante l’attività fisica e non conosco un modo migliore per farlo. A mio avviso il rapporto tra mente e corpo è più stretto di quanto lascino intendere certi dotti impigriti. Forse sono limitato, ma per me è fondamentale che la resistenza fisica vada di pari passo con la coerenza delle idee.
Non pensavo di raggiungere il mio stato attuale a ventiquattro anni. L’introspezione mi ha dato più di quanto mi attendessi e non ho intenzione di abbandonarla. Non ho ambizioni né dipendenze e la libertà armoniosa che accarezzo ogni giorno attenua gli effetti di ogni cosa che tenti di sabotarla. Posso mostrarmi senza filtrare deliberatamente le mie azioni e questo è un lusso che non si può acquistare neanche dopo la riuscita di un aggiotaggio. Non escludo che in qualche anfratto del mio inconscio vi siano ancora degli inganni di cui non sono consapevole, ma credo che una parte consistente di me sia autentica e le opinioni negative che circolano sul mio conto avallano questa ipotesi. Penso che il giudizio esterno sia utile per misurare alcuni aspetti della propria personalità, ma allo stesso tempo credo che non debba deformare quest’ultima per renderla appetibile. Apprezzo la società perché la considero un percorso a ostacoli in cui un essere umano può allenare la sua interiorità e per questo motivo non sono allettato da un allontanamento completo dal resto dell’umanità. Credo che sia troppo facile vivere pacificamente in un eremo e ritengo che la mia individualità debba essere sollecitata dalle turbolenze della quotidianità per confermare la sua costituzione granitica. Non sono differente dai miei coetanei e non ho nulla che mi renda speciale. Io non conosco l’intimità di due individui e non so cosa siano le attenzioni reciproche, ma in compenso sono accompagnato da sensazioni edificanti con cui mi arrogo il diritto di vivere per il tempo che ho a mia disposizione. Talvolta sento la mancanza della lotta interiore che ha caratterizzato le mie giornate nel corso degli ultimi anni, ma non ho più bisogno di combattere con me stesso per sentirmi vivo e ormai mi considero un reduce vittorioso. Ogni persona prima o poi si trova di fronte a delle prove individuali, ma alla luce di quanto ho appreso io non temo quelle che mi attendono. Non so quali misure adottino i miei simili nei confronti di loro stessi e nella mia natura egoistica non può germogliare una curiosità di questo tipo. La giornata odierna si presenta bene: qualche nuvola, un po’ di vento e molto sole.
Appunti ulteriori sul tema della serenità
Pubblicato venerdì 25 Luglio 2008 alle 06:16 da FrancescoRecentemente ho speso alcune parole sulla mia serenità e mi accingo a spenderne altre per fornire alle mie letture future una descrizione più dettagliata del mio equilibrio interiore. Nel corso degli anni la mia introspezione è stata piuttosto laboriosa e attraverso la scrittura ho fatto emergere i travagli dei miei pensieri. In questo arco di tempo ho vissuto dei momenti estatici e ho superato i periodi cupi, ma questa alternanza emotiva si è verificata sempre in seno alla solitudine ed è grazie a quest’ultima che ho compiuto progressi importanti per me stesso. Passo dopo passo ho stabilito una sorta di autarchia interiore e ho imparato a fare meno di tutte quelle forme di appagamento che derivano dall’approvazione altrui, ma allo stesso tempo ho evitato accuratamente qualsiasi forma di misantropia per non denigrare i miei simili. Faccio parte di una società e mi avvalgo di alcuni dei suoi mezzi, perciò non la critico ossessivamente per sentirmi estraneo alle sue regole e se mi comportassi diversamente aumenterei a dismisura la quota della mia incoerenza. Mantengo le distanze da alcuni aspetti del mondo che mi circonda e riesco a compiere facilmente alcune rinunce per salvaguardare me stesso. Credo che nel migliore dei casi una pioggia di accuse continua e gratuita a verso i propri simili possa essere una valvola di sfogo, ma dubito che quest’ultima sia in grado di favorire l’evoluzione personale. Oggi la mia serenità è solida e i suoi momenti deboli sono meno intensi, inoltre si verificano a intervalli di tempo sempre più grandi e dunque posso ritenermi soddisfatto del lavoro che ho svolto finora su me stesso. In passato ho trascorso dei giorni tremendi per fronteggiare la discrepanza che vigeva tra le mie intenzioni e i risultati insoddisfacenti che conseguivo. In certe occasioni ho criticato me stesso oltre il dovuto e altre volte sono stato troppo indulgente, ma suppongo che questi siano gli errori di chiunque interpreti male lo zelo dell’autodisciplina. Penso che qualunque cosa sia criticabile e trovo che molte critiche siano opinabili, ma io ho sempre aspirato ad avvicinarmi il più possibile a un giudizio oggettivo e ritengo che quest’ultimo sia più semplice da applicare sulla propria esistenza qualora non si abbia paura di versare dei tributi spaventosi che talvolta sono richiesti dall’imparzialità. Ogni tanto formulo qualche opinione su temi di rilevanza sociale, ma spesso accompagno queste esternazioni con un aggettivo: “trascurabili”. I meccanismi che regolano l’umanità sono più complessi di quanto possa emergere da un discorso qualunquista che si innalzi verso le nubi dai tavoli di un bar, perciò mi dedico con attenzione a questi argomenti ogniqualvolta convergano con la mia introspezione e in tutti gli altri casi non mi cruccio su analisi di questo genere perché non sono un politico né ricopro un ruolo che mi obblighi a prendere delle scelte responsabili per altri gruppi di esseri umani. Per raggiungere un certo distacco da alcune cose ho ridimensionato il mio Ego in un modo abbastanza truce e l’ho fatto tramite la derisione del mio pene. Il fallo non è importante a meno che qualcuno non aspiri a diventare una grande testa di cazzo, perciò l’ho ridicolizzato in privato e in pubblico per negargli qualsiasi valenza. Ovviamente la mia serenità non è qualcosa di astratto né è il frutto dell’autosuggestione altrimenti avrebbe avuto una durata molto breve e le sue carenze si sarebbero già manifestate alle mia attenzione, bensì si tratta di un risultato che ho raggiunto a seguito dell’iter che ho sintetizzato parzialmente in queste righe. Sebbene io sia sereno ciò non vuol dire che dove io metta piede nascano le margherite né tantomento ciò significa che la mia serenità corrisponda a un atteggiamento accondiscendente e buonista nei confronti del mio prossimo. Mi sento bene quando sono calmo e mi sento allo stesso modo quando gli eventi mi portano a incazzarmi, ma in quest’ultimo caso sembra che la mia serenità sparisca temporaneamente perché in tali circostanze non si palesa all’esterno. Credo che alcune persone non riescano a comprendere che il concetto di serenità non è soltanto quello che loro hanno in mente e forse ignorano che ne esistano altre varianti, perciò non mi stupisco che ogni equilibrio interiore possa essere messo in discussione dalle parole e fortunatamente so che su qualsiasi espressione autentica della personalità non può incidere verbo alcuno. Non riesco a capire come taluni pretendano d’insegnare a qualcun altro ciò che quest’ultimo può apprendere soltanto da se stesso. Io ammiro le persone che costruiscono da sole ciò da cui poi vengono animate e sono consapevole della loro esistenza anche se non sono in grado di riconoscerle, perciò a costoro tributo la mia stima. Penso che la vita sia stupenda e la mia affermazione non ha bisogno di soddisfare l’esigenza naif che secondo taluni dovrebbe legittimarla. Non è facile sentirsi completamente appagati e l’indole umana cerca sempre qualcosa di nuovo per fuggire dall’ombra della morte, ma io non voglio nulla di ciò ed è per questo motivo che riesco a muovermi nel vuoto con la familiarità con cui certi mammiferi attraversano gli oceani.